MOSCHEA

Enciclopedia Italiana (1934)

MOSCHEA (forma antiquata meschita; antico fr. mosquet; fr. mosquée; sp. mesquita)

Michelangelo GUIDI
Mario GIORDANI
Ernst KUHNEL

Dall'arabo masgid, plur. masāgid (che vuol dire propriamente luogo di adorazione o prosternazione): edificio o gruppo di edifici in cui è celebrato il culto musulmano e ove si compiono altri atti connessi con la religione. L'espressione più solenne del culto musulmano è la preghiera in comune poco dopo il mezzogiorno del venerdì (v. islamismo); questa però non è eseguita in ogni moschea, ma solo nella principale o nelle principali dei singoli centri, onde il nome per esse di giāmi‛, plur. giawāmi‛ (quelle che cioè riuniscono la comunità, la giamāah), che ha prevalso ormai per le maggiori moschee. Masgid è però nome rimasto ancor proprio p. es. della Ka‛bah, nella Mecca, già detta nel Corano al-Masgid al-ḥarām e della moschea di Gerusalemme detta al-Masgid al-Aqṣà, che è posta in relazione con la visione o viaggio notturno di Maometto (v. maometto). Molte moschee son contenute negl'istituti di religione superiore, detti Madrasah (v.) e sono chiamate con questo nome; ma anche le Madrasah hanno per lo più preso il nome di giawāmii‛, essendo state luogo del culto del venerdì.

Maometto usa - e già nel periodo meccano della rivelazione - la parola masgid, intendendo a volte con esso luoghi di culto anche non musulmano, ma alludendo anche in alcuni passi a quelli musulmani. Masgid è forma genuina araba, ma sicuramente è stata ricalcata sulla parola aramaica masgada, largamente usata nel linguaggio religioso, per esempio tra i Nabatei.

Origine della moschea. - Secondo la tradizione, Maometto è il fondatore della prima moschea musulmana a Medina (quella che ancora oggi è meta di pellegrinaggio e che contiene la sua tomba), alla quale egli conferì fin dall'inizio il carattere sacro di tempio.

Egli avrebbe prima fondato un'altra moschea nel villaggio di Qubā', poco prima di giungere a Medina; con ogni probabilità però egli si limitò colà a compiere ripetutamente la preghiera in una corte. Appena giunto nella città, nella sua emigrazione dalla Mecca, egli si lasciò condurre, per decidere il luogo di sosta, dal suo cammello, e dove questi s'inginocchiò prese dimora e stabilì la moschea. Costruita in sette mesi dai fedeli, consisteva in una ampia corte circondata da un muro di mattoni con porte di pietra. Nella parete in direzione di Gerusalemme, verso la quale era allora eseguita la preghiera, sorse una specie di capanna sostenuta da tronchi di palma, come ne sorse un'altra in forma simile, nel lato verso la Mecca, quando la direzione della preghiera (qiblah) fu spostata verso di essa. Intorno alla corte erano le stanzucce di abitazione, per il profeta e le sue mogli. Quest'ultimo fatto, e il carattere che subito ebbe il luogo di centro di vita politica e profana, i particolari che ci mostrano nei primi musulmani l'assenza di ogni reverenza per il sacro recinto, hanno indotto il Caetani nei suoi Annali dell'Islam, e qualche altro critico, a negare fede a questa tradizione e a sostenere che la pretesa moschea di Medina non fu che l'abitazione privata del profeta, il quale non volle attribuirle alcun carattere sacro; naturalmente nella corte di essa si svolsero quegli atti di culto, che nel periodo delle origini erano compiuti ovunque. La trasformazione della casa privata del profeta in moschea fu dovuta, sempre secondo il Caetani, a un processo di formazione culturale posteriore e assai lungo. Ciò sarebbe anche confermato dal fatto che Maometto usava celebrare una cerimonia assai solenne in connessione con il pellegrinaggio meccano (da lui inserito nel sistema musulmano) in altro luogo, e cioè nella cosiddetta muṣallà (o luogo di preghiera, denominazione che era in uso per luoghi sacri preislamici e poi passata anche ad alcuni oratorî musulmani) di una tribù del territorio di Medina, appunto perché la credeva luogo più sacro e più adatto a quella cerimonia. In questa muṣallà la cerimonia continuò a celebrarsi per parecchio tempo.

Ma a prescindere dal carattere sacro di regolare servizio religioso che assumevano le riunioni dei fedeli intorno al profeta nel recinto medinese, si può opporre a tale teoria che in alcuni passi del Corano la parola masāgid non si può intendere altrimenti che nel senso di luogo di preghiera musulmana. Inoltre Maometto nell'anno 9 dell'ègira fece bruciare un masgid (il cosiddetto masgid ad-ḍirār), a cui si può attribuire un carattere di concorrenza al culto di Medina; e proprio in questo contrasto risalta la natura di vero masgid del recinto medinese a cui sembra anche sia fatta allusione. Non è neanche improbabile che Maometto abbia fondato altre moschee.

Sviluppo della moschea. Subito dopo Maometto i masāgid si moltiplicarono. Ebbero speciali moschee le varie tribù, per le quali esse erano il centro della vita politico-religiosa; e dopo le conquiste, nei nuovi centri militari creati dai conquistatori, come al-Fusṭāṭ, al-Baṣrah, al-Küfah, sorsero moschee simili nel tipo a quella medinese (però con una parte coperta), e simili ad essa anche per essere il centro del potere politico-militare esercitato dal generale o governatore. In città straniere conquistate dai musulmani avvenne che chiese o altri templi fossero adibiti al culto musulmano con gli adattamenti e le aggiunte che lo sviluppo religioso rendeva necessarî. Gli oggetti del culto idolatrico della Ka‛bah, meno la pietra nera, furono naturalmente distrutti da Maometto, appena conquistò la Mecca, e tutto il recinto fu consacrato al culto musulmano.

Lo sviluppo naturale del culto, l'influsso di quello cristiano, d'altra parte la sempre crescente potenza dello stato musulmano, condussero a mano a mano la moschea e i suoi singoli elementi alle sue forme definitive, e insieme allo splendore del più rigoglioso sviluppo artistico. Per tutta questa parte, v. appresso.

Pratiche del culto e altre attività nella moschea. - È considerato obbligatorio per il musulmano maschio adulto che risieda in un centro, di prendere parte alla solenne preghiera pubblica del venerdì, seguita dall'allocuzione o khuṭbah nella moschea o moschee a ciò designate, mentre le altre preghiere canoniche possono eseguirsi in casa, pur essendo meritorio farle nella moschea. In questa, inoltre, fin da tempo antico, si svolgevano altre pratiche di natura religiosa, come la lettura del Corano da parte di lettori professionali, o prediche edificanti da parte di oratori, che ebbero influenza notevole nella vita politica e religiosa; o come il pio ritiro (itikāf). Nella moschea è generalmente portato il cadavere prima del seppellimento, pratica che si è affermata dopo lunghe controversie. Inoltre la moschea, fin dal tempo di Maometto, fu centro della vita politica e sociale per la strettissima relazione che nella teocrazia islamica corre tra religione e politica; onde il carattere profondamente diverso della moschea dalla chiesa cristiana, dati anche quegli aspetti profani che nella moschea di Medina, nel principio della vita della comunità, erano così accentuati. La moschea fu veramente l'organo centrale dell'antica storia musulmana: nei diversi tempi dell'Islām la giustizia era esercitata nel recinto della moschea, come in esso era condotta l'amministrazione e conservato il tesoro. La moschea divenne egualmente e fu il centro dell'istruzione giuridicoreligiosa e delle materie connesse con la religione (v. madrasah). Tale insegnamento è ancora impartito in molte moschee. Lo sviluppo della vita civile, il sorgere di edifizî speciali per le varie manifestazioni della vita pubblica ridusse man mano la funzione della moschea a quella di tempio e di scuola; e inoltre il carattere sacro della moschee si accentuò sempre più non solo per naturale sviluppo, ma anche perché furono erette moschee in luoghi particolarmente augusti per memorie di Maometto o di altri, o perché inclusero le tombe di venerati personaggi.

Mete di pellegrinaggio furono alcune moschee più famose, prime fra tutte quella della Mecca e quella di Medina.

Parti principali della moschea. - La moschea ha una corte (ṣaḥn), in cui è anche una fontana per le abluzioni; e uno spazio coperto disposto differentemente rispetto alla corte secondo i varî tipi di moschea; nel tipo più antico, e che è assai comune, esso corre in forma di portico a più navate intorno al ṣaḥn. Lo spazio coperto contiene alcuni oggetti per il culto che sono tipici e presenti in ogni moschea e la cui istituzione rimonta in parte a Maometto stesso, in parte è frutto di posteriore sviluppo. Il miḥrāb (parola araba che nella letteratura antica ha anche il senso di nicchia, cella) è appunto una nicchia adornata di marmi o mosaici o in altro modo che indica la qiblah o direzione della Mecca; ed è detto anche qiblah. Sembra introdotto al tempo del califfo ommayyade al-Walīd (705-715 d. C.). Come Maometto indicasse la qiblah non è sicuramente noto.

Il minbar (pronunziato anche mimbar) è una cattedra posta a destra del miḥrāb, elevata sopra parecchi gradini, ricoperta di tabernacolo. Su di essa sale il khaṭīb od oratore per pronunziare la allocuzione o khuṭbah del Venerdì. Già usato da Maometto, in forma di seggio su due scalini, rappresentò in origine il trono del giudice o del capo; simbolo di potere fu anche il bastone che ancora è portato dal khaṭīb. In origine la khutbah era pronunziata solo dal capo supremo, poi dai governatori elle provincie, in seguito fu affidata a un khaṭīb regolarmente addetto alle moschee.

La dakkah o dikkah è una specie di suggesto posto innanzi e non lontano dal minbar (nelle moschee grandi ve ne è anche più d'una), destinato ai muballigh o ripetitori che fanno giungere in ogni parte della moschea l'invito alla preghiera, che nella sua terza volta è pronunciato dal muezzino nella moschea.

Il minareto (alcune moschee ne hanno più d'uno) è la torre ove sale per l'appello alla preghiera il mu'adhdhin.

Alcune moschee hanno anche una maqṣūrah o loggia riservata per il sovrano. Vi sono inoltre locali accessorî (in alcuni casi anche biblioteca, ecc.). Altri oggetti che si trovano nelle moschee sono un leggio per il libro sacro, con un seggio per il lettore, tappeti, lampade, incensieri, ecc.

Sviluppo artistico. - Il tipo più antico di moschea, con cortile (ṣaḥn) interno aperto, sala da preghiera (ḥaram) a tetto piatto e navate parallele alla parete della qiblah, derivava dalla casa d'abitazione araba. I primitivi edifici erano modestissimi, avevano mura in argilla e tronchi di palme, copertura in foglie di palma spalmate d'argilla: nacque ben presto però il desiderio di costruzioni più solide e si tolse il necessario materiale di sostegno da antiche costruzioni dirute, oppure furono trasformate in moschee basiliche cristiane, specie in Siria, accontentandosi di orientare semplicemente la costruzione da oriente a mezzogiorno, trasformando il corpo della chiesa in sala da preghiera e sistemandovi innanzi un cortile (esempî in Damasco, Baalbek, Geiusalemme, ecc.). Nei paesi recentemente conquistati all'islamismo furono costruite moschee fortificate, con mura esterne rinforzate aventi per compito di riparare, in caso di pericolo, un intero esercito di credenti (es. in al-Kūfah, al-Baṣrah, al-Fusṭaṭ, Kairouan). Questa tradizione riecheggia ancora nella grande moschea di Cordova, la cui facciata esterna ha carattere spiccatamente fortificato, sebbene l'edificio, varie volte ampliato, ottenesse l'aspetto definitivo solo nel sec. X, cioè alla fine del primo periodo dell'evoluzione della moschea (dinastia degli Omayyadi).

Gli ‛Abbāsīdi avevano frattanto iniziato in Baghdād una nuova fase architettonica: mantenuti i tratti essenziali della pianta della moschea a cortile, si iniziò la costruzione in mattoni; abbandonate le colonne monolitiche furono adottati pilastri in muratura, generalmente con colonnine angolari e ampî archi a sesto acuto. Sono da ricordare due imponenti esemplari di questo tipo, la grande moschea in Samarra, che misura 260 e 180 m. per lato, sicché vi trovavano posto più di 100 mila oranti, e la moschea di Ibn Ṭūlūn al Cairo, costruita nell'877-79, con imponenti archi a sesto acuto innestati su cinque serie di pilastri. La vecchia moschea in Shīrāz, molto rovinata, e alcuni avanzi architettonici in altri luoghi stanno a testimoniare la diffusione di questo tipo nel territorio persiano. Anche nell'occidente islamico, cioè nell'Africa settentrionale e in Spagna, la costruzione a mattoni entrò in uso, ma solo col sec. XI; non vi fu invece accettato l'arco a sesto acuto, o per lo meno non nella forma persiana, ma solo con intradosso a dentelli. Venne usato preferibilmente con un'affine decorazione anche l'arco a ferro di cavallo introdotto in età ommayyade; p. es. la Kutubiyyah a Marocco (Marrākesh), la grande moschea in Algeri e a Tlemčen. Al Cairo sotto il regno dei Fatimiti (970-1170) tornò in onore la pietra come materiale da costruzione; a sostegni vengono predilette le colonne e tra le innovazioni architettoniche va rilevata una accentuazione, sino allora ignota, della facciata; non sono invece da annoverare sostanziali variazioni nella pianta. Dipendenti nei particolari dalla moschea di Ibn Ṭūlūn, furono accolti pure alcuni elementi nordafricani e persiani: archi a sostegno della facciata della moschea di al-Azhar (972) mentre nella moschea di al-Ḥākim (circa 1000) sono maggiormente accentuate le tradizioni regionali e la moschea di al Aqmar (1125), con la ricca ripartizione della facciata costituisce una caratteristica creazione architettonica.

In Asia Minore, nella seconda metà del sec. XI, i Turchi assumendo il potere in seguito al movimento selgiuchide, acquistarono per la prima volta un decisivo valore nazionale; furono essi a conferire un nuovo indirizzo all'architettura delle moschee. Introdussero nell'architettura islamica la medersa, la cui pianta cruciforme con i suoi quattro grandi līwān intorno a un cortile centrale, influì immediatamente sulla pianta della moschea. Purtroppo quasi tutti gli edifici sacri elevati in quel periodo in Persia e nel Turkestān sono rovinati e la sola moschea del Venerdì in Iṣpahān è abbastanza conservata per consentirci un'immagine dell'imponente effetto che dovevano fare le facciate dei līwān legati dal duplice ordine di loggiati, dominate dalla cupola sovrastante l'ambiente principale. La costruzione in laterizio trovò nuovi problemi da risolvere, raggiungendo una mirabile perfezione nella tecnica delle vòlte, anticipando una soluzione che l'Occidente conobbe solo nell'età gotica. Il nuovo tipo di moschea fu accettato in Mesopotamia con una certa titubanza, vi furono conservate le colonne, ci si accontentò di fare qualche concessione al motivo del līwān; una soluzione originale si ebbe nella moschea di Ani in Armenia (costruita circa nel 1100), in cui le varie parti dell'oratorio hanno vòlta indipendente. La pianta della moschea non presenta in Asia Minore nessuna particolarità; un carattere essenziale invece è costituito dagl'imponenti portali in pietra (sec. XIII), riccamente ripartiti e di straordinaria varietà.

In India numerose moschee furono costruite utilizzando spoglie di templi jainisti, le cui strane e talvolta esuberanti forme di pilastri influirono sull'architettura islamica regionale, ché solo apparentemente l'ârchitettura indigena cedette il posto a quella di tendenze persiane. La tradizione locale si affermò lungamente nella struttura degli archi, dei capitelli e di altri particolari (sec. XIII; v. ajmer; delhi).

Nell'epoca mongola continuò in Persia e nel Turkestān l'evoluzione stilistica iniziatasi sotto i Selgiuchidi: gli edifici a sala di vecchio stampo ancora esistenti cedettero il posto alla moschea medersa. Le moschee di Warāmīn (1322) e di Meshhed (Imām Riẓā, 1418) hanno proporzioni grandiose e armoniche; la moschea turchina in Tabrīz (metà sec. XV) è un tentativo di severa centralizzazione con la sua grande sala centrale a cupola, sostenuta da piccoli ambienti laterali anch'essi a cupola e ampliata da un vano sepolcrale inorganicamente aggiuntovi. Se l'influenza esercitata dal mausoleo a cupola sull'evoluzione della pianta della moschea appare decisiva, in Egitto un'evoluzione analoga, seppur svoltasi in tutt'altre condizioni, nell'epoca mamelucca (1250-1500) conferì alla moschea sepolcrale una posizione predominante nell'architettura sacra. I pii edifici fondati dagli emiri mamelucchi dovevano sempre contenere il sepolcro del committente e nel risolvere il loro compito gli architetti non cercarono soluzioni di aspetto imponente e in sé concluso, ma sempre quei raggruppamenti pittoreschi che dànno alla città del Cairo un suo fascino particolare. In molti casi fu conservato il vecchio schema della moschea a pilastri; negli edifici, in cui venne applicato il tipo medersa, fu talmente accentuato il līwān principale con la retrostante sala di preghiera, da ridurre gli altri līwān a semplici nicchie. Più tardi negli oratorî di piccole dimensioni fu abolito il cortile aperto: nella necropoli che stendevasi alle porte del Cairo si trovano numerose moschee sepolcrali con monasteri (khānqāh), fontana (sebīl), scuola (kuttāb) e altri annessi. In contrasto alle costruzioni laterizie della Persia, Mesopotamia e Turkestān, l'Egitto e la Siria si attennero alla costruzione in pietra, vivificata e illeggiadrita da tarsie e da mosaici marmorei.

Dopo il 1500 Spagna, Africa settentrionale, Egitto, Siria e Mesopotamia perdettero quasi ogni importanza per l'architettura di moschee, per lo meno non produssero nessuna creazione originale, accontentandosi di riprodurre vecchi schemi o di imitare più o meno fedelmente forme estranee. L'evoluzione stilistica della moschea può dirsi chiusa in Persia, anche se vennero ancora elevati edifici monumentali e se nell'epoca mongola si ebbero splendidi rivestimenti di cupole e facciate in mosaico a ceramica, il cui uso era stato introdotto sotto i Selgiuchidi. La moschea sepolcrale dello shaykh Ṣafī in Ardabīl (sec. XVI-XVII) va, sotto varî aspetti, considerata un capolavoro del genere, e come ultimo sforzo delle tendenze monumentali va considerata la moschea del re (Masgid-i-Shāh) a Ispahān, con le sue eleganti cupole e gl'imponenti portali. Impronta persiana ebbero col sec. XVI anche i luoghi di pellegrinaggio shiiti nel ‛Irāq (Kerbelā, an-Nagiaf, al-Kāẓimain, ecc.), le cui fastose moschee sepolcrali, sin nel sec. XIX, si mantennero strettamente attaccate alla tradizione ṣafawida. In India sotto gl'imperatori Moghul (dal 1526 in poi) s'impose il tipo a liwān, che assunse però sin dall'inizio un deciso carattere nazionale. Nel dissolvimento delle linee essenziali delle grandi moschee si disperde la compattezza dell'insieme, sicché la monumentalità si riduce essenzialmente all'ampiezza dell'edificio. Le cupole hanno forma di loto o di cipolla; imponenti portali a più ordini segnano gli accessi principali ai cortili. Grandiose sono le moschee di Bijapur, Fatihpur Sikri e Agra; la più imponente su suolo indiano è quella di Delhi (metà sec. XVII), composta da gigantesche terrazze, d'imponenti e nobili proporzioni, con possenti edifici d'ingresso e facciate fortemente accentuate, dominate dalle tre cupole dell'oratorio. Circa quest'epoca Shāh Giahān elevò nel palazzo di Agra l'insuperabile Moschea della perla, in arenaria rossa all'esterno, marmo bianco all'interno, usandovi l'elegante arco a dentelli.

Nuovo sviluppo e nuove soluzioni costruttive ebbe l'architettura di moschee nell'impero ottomano. Già nel sec. XIV si era imposto a Brussa e a Nicea come forma più semplice di moschea un ambiente a cupola preceduto da atrio, mentre in edifici di maggior mole era in uso la sala a pilastri con cupola su ogni campata (Ulu Giāmi‛ in Brussa). Gli architetti turchi si erano dedicati alla costruzione della cupola e non fa maraviglia se dopo la conquista di Costantinopoli il grandioso esempio di S. Sofia costituisse per loro una spinta all'ideazione di un nuovo tipo monumentale di moschea. Già la Mehmediyeh, costruita (1463-69) dal conquistatore, segna il primo passo nel nuovo indirizzo: ispirato all'edificio di Giustiniano il sistema delle cupole, esso ne accentua la pianta a croce; davanti alla sala di preghiera si stende un cortile quasi altrettanto ampio con porticati a cupole. La moschea del sultano Bāyazīd (1501-07) segue anche più servilmente la pianta di S. Sofia e ha, come questa, navate laterali con piccoli ambienti a cupola: i portali hanno la forma di sottili līwān a stalattiti, in uso in Asia Minore anche in epoche precedenti. Ma l'architettura di moschea trova la sua espressione più logica e stilisticamente più perfetta solo nel sec. XVI mercé un geniale maestro, che come i dirigenti del Rinascimento italiano impresse l'impronta della propria personalità a tutta un'epoca: Sinān (m. 1578) cercò principalmente di accentuare la leggerezza esterna della cupola e l'armonia degli effetti interni e riuscì mediante un abile digradare della costruzione, a ottenere un profilo straordinariamente deciso e compatto anche in edifici di grandiose proporzioni. Nella Suleimāniyyeh (1550-56) raggiunge una cosciente centralizzazione, anima la facciata con una bella galleria a due piani, riuscendo elegantemente a velare i problemi statici da lui risolti. Nel suo capolavoro, la Selīmiyyeh in Adrianopoli (1570-74) con un diametro pari alla cupola di S. Sofia, perfora le mura con numerose finestre per bandire sin l'ultima parvenza di pesantezza. Il suo stile inflvì sulle generazioni successive e non s'impose solo in tutti i Balcani, ma penetrò anche in Anatolia, Siria, Arabia, Egitto e sino in Algeri.

Il miḥrāb (nicchia della preghiera), ispirata certamente all'abside cristiana, non sporge però all'esterno; ebbe le forme più diverse e talvolta ne vennero praticate varie nella stessa parete. L'esemplare più antico si trova al museo di Baghdād; è costituito da due colonne, ricavate da un unico masso marmoreo, sormontato da un motivo a conchiglia e da una striscia decorativa verticale; evidentemente risale alla fine del sec. VIII d. C. Lo stesso motivo, seppure con forme più ricche, si ritrova nel miḥrāb della moschea di Cordova. La parete ne veniva riccamente decorata di mosaici, ed è lecito supporre che nel periodo omayyade la decorazione musiva della parete del mihrāb fosse di regola. Nella moschea di Kairouan la nicchia delle preghiere fu inquadrata circa l'860 da preziose piastrelle in ceramica a riflessi metallici provenienti da Baghdād; nello stesso tempo in Mesopotamia il miḥrāb veniva decorato in stucco, in armonia con la decorazione propria alle costruzioni in mattone. In Egitto, oltre ai surricordati materiali fu usato nei secoli XI-XII a decorare le nicchie il legno intagliato e a cassettoni e in Asia Minore si sono conservati parecchi esemplari del sec. XIII decorati di mosaici in ceramica. Contemporaneamente in Persia si usarono di preferenza miḥrāb completamente piatti, a cui conferiva la forma di nicchia un leggiero rilievo in stucco o in piastrelle, la cui ricca decorazione calligrafica o ornamentale veniva eseguita a riflessi metallici e in turchino su invetriatura bianca. In Cairo, sotto i Mamelucchi, le pareti del miḥrāb venivano intarsiate da varie specie di marmi e nelle moschee di Costantinopoli le nicchie da preghiera venivano completamente rivestite di marmo bianco o di formelle a invetriatura colorata, rivestimento in uso, per un certo tempo, anche per le pareti delle sale da preghiera.

Il minbar (pulpito) in origine previsto solo per le moschee principali in cui veniva tenuta la predica del venerdì, entrò poi in uso anche per i piccoli oratorî. Posto a destra del miḥrāb era generalmente in legno; in Egitto e Siria, e dal 1500 in poi anche in Persia, in India e Turchia, fu spesso costruito in marmo per armonizzarlo con la decorazione del miḥrāb. Il più antico minbar noto è quello fastosissimo della moschea di Kairouan, notevole opera d'intaglio dei secoli VIII-IX.

Il palco destinato al principe (maqṣūrah) è anch'esso generalmente costruito in legno, chiuso da un fitto cancello, posto accanto alla nicchia da preghiera.

Per altre illustrazioni di rnoschea v. bizantina, civiltâ; cairo; cordova; damasco; delhi; gerusalemme; kairouan; minareto; islamismo.

V. tavv. CLXIX e CLXX.

Bibl.: Enciclopédie de l'Islam, s. v. Masdjid; M. van Berchem, Matériaux pour un Corpus Inscriptionum Arabicarum, I, Parigi 1903; C. Becker, Islam. Studien, I, Lipsia 1924. - Per la parte artistica v. inoltre: F. Sarre, Denkmäler pers. Baukunst, Berlino 1910; C. Gurlitt, Die Baukunst Konstantinopels, Berlino 1912; G. Marçais, Manuel d'art musulman: architecture: Tunisie, Algérie, Maroc, Espagne, Sicile, Parigi 1926-27; E. Diez, Die Kunst der islam, Völker, Potsdam 1928; E. Kühnel, Die islamische Kunst, in Springer, Handb. d. Kunstgesch., Lipsia 1929; G. Wiet, Les mosquées du Caire, Parigi 1931; K. A. C. Creswell, Early muslim architecture, Oxford 1932.