MOROZZO DELLA ROCCA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MOROZZO DELLA ROCCA, Giuseppe

Emanuele Colombo

Marchese di Bianzè, nacque il 12 marzo 1758 a Torino da Giuseppe Francesco e da Ludovica Cristina Lucrezia Balbo Bertone, sorella del vescovo di Novara Marco Aurelio. La famiglia, di antica nobiltà, era signora dell’omonimo castello di Morozzo nel Cuneese dal X secolo.

Il fratello Carlo Lodovico, formatosi alla scuola d’artiglieria, fu uno dei maggiori scienziati piemontesi nonché presidente dell’Accademia delle scienze di Torino.

L’istruzione di Morozzo fu curata dal precettore Paolo d’Allegre, canonico di Novara poi legato a Napoleone e vescovo di Pavia. Iscritto all’Università di Torino nel 1773, si laureò in teologia il 23 aprile 1777; l’anno seguente fu eletto rettore dell’Università. Poco dopo si trasferì a Roma ed entrò nell’Accademia dei nobili ecclesiastici, dove ebbe come compagni di studi Ercole Consalvi ed Emanuele De Gregorio.

Pio VI lo nominò protonotario apostolico e lo destinò come vicedelegato pontificio a Bologna, dove restò nel biennio 1784-85. Superando concorrenti ben più anziani di lui, fu promosso a governatore di Civitavecchia il 25 febbraio 1785 e detenne la carica fino al 7 marzo 1794. Lì scrisse l’opuscolo Analisi della carta corografica del Patrimonio di S. Pietro, corredata di alcune memorie storiche ed economiche (Roma 1791).

Dal 18 agosto 1795 fino al 28 marzo 1797 fu governatore di Perugia (Weber, 1994, riporta erroneamente dal 1794; cfr. Tosti, 1984, p. 223). Qui si distinse per un governo particolarmente energico, tanto da pubblicare il 13 agosto 1796 un editto con cui si regolava il prelievo del grano destinato all’annona cittadina seguendo l’estimo dei seminativi del 1780. La soluzione, stimolata dalle continue proteste dei fornai perugini, che lamentavano l’inadempienza dei grandi proprietari, era stata fortemente osteggiata dai ceti cittadini dominanti.

Alla morte di Pio VI (29 agosto 1799) Morozzo, assieme al cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil, fu segretario del conclave che si aprì a Venezia. Eletto Pio VII nel 1800, lo accompagnò il 3 luglio a Roma. Poco dopo, il papa nominò segretario di Stato Consalvi, antico compagno di studi di Morozzo. Entrato nelle grazie del nuovo pontefice grazie a Consalvi e Gerdil, il 29 marzo 1802 questi fu preconizzato arcivescovo di Tebe in partibus dopo essere stato ordinato sacerdote il 14 dello stesso mese. Poco dopo, l’11 maggio 1802, venne nominato nunzio apostolico nel napoleonico Regno d’Etruria, alla corte di Ludovico I di Borbone.

In Toscana Morozzo divenne molto influente nella politica di corte e si dimostrò intransigente nel difendere le linee pastorali di Pio VII. In tale ottica si schierò contro la riabilitazione di Scipione de’ Ricci, il vescovo di Pistoia che nel 1786 aveva promosso un sinodo che proponeva idee riformiste gianseniste e fu costretto in seguito a rinunciare alla dignità episcopale. Morozzo si trovò coinvolto nello scontro tra Pio VII e Napoleone, il quale, dopo aver tentato senza successo di coinvolgere la S. Sede contro la terza coalizione, denunciò una congiura ai propri danni, particolarmente sviluppata in Toscana. Morozzo fu identificato come uno dei promotori della cospirazione; di conseguenza fu richiamato a Roma, dove tornò precipitosamente il 7 ottobre 1806, proprio mentre Consalvi perdeva la Segreteria di Stato.

A Roma, si legò inizialmente al partito degli zelanti (ostili a Consalvi), diventando segretario della Congregazione dei vescovi e consultore dell’Inquisizione. In questa veste ebbe un ruolo importante nella condanna di Niccolò Paccanari, fondatore della Societas Fidei Jesu che intendeva reintrodurre la Compagnia di Gesù. Alla conquista napoleonica dello Stato pontificio nel 1809, fu deportato in Francia e l’anno dopo gli fu concesso di ritirarsi a Torino. Quando, il 25 gennaio 1814, Napoleone decise di far tornare Pio VII in Italia, facendolo scortare da Fontainebleau a Savona, il papa trovò Morozzo ad accoglierlo (13 febbraio) per accompagnarlo a Roma. Il viaggio attraverso l’Italia toccò gli avamposti di Murat nella penisola, il quale mirava alla conquista degli Stati pontifici ma con cui Morozzo seppe trattare abilmente al fine di ricondurre a Roma il papa.

Tornato a Roma, Pio VII istituì il 28 e il 31 maggio 1814 due congregazioni, una per l’esame dei vescovi e l’altra per giudicare gli ecclesiastici secolari e regolari, allo scopo di chiarire le complicità del clero con il passato regime napoleonico: Morozzo fu segretario della prima e consigliere della seconda. Il 4 giugno Pio VII diede altresì vita a una Congregazione della riforma, di cui lo chiamò a far parte. L’8 marzo 1816 fu creato cardinale. Nel frattempo, Consalvi era ritornato a Roma nelle vesti di segretario di Stato, ancora più potente e influente che non in precedenza, ma ormai ostile a Morozzo, il quale fu ben presto allontanato dai vertici curiali romani.

Come è stato scritto, Morozzo non va ascritto semplicisticamente tra «coloro che volevano un puro e integrale ritorno allo stato antecedente delle cose. Egli apprezzava tanto la moderazione e la prudenza politica di Consalvi quanto il riformismo zelante di Sala, ma non doveva condividere gli estremi rigoristici di Severoli e di Pacca. Rimaneva in lui il bagaglio ‘gerdiliano’ della tradizione settecentesca da ‘terzo partito’» (De Giorgi, 2007, p. 296). La sua posizione intermedia si evidenziò nei successivi conclavi (1823, 1829 e 1830-31), quando agì spesso da mediatore tra i ‘politici’ e gli ‘zelanti’. La linea di moderazione ben si conciliava con la politica sabauda di quegli anni, di cui Morozzo divenne attivo interprete.

Il 1° ottobre 1817 fu preconizzato vescovo di Novara, il 20 Vittorio Emanuele I ottenne il ripristino delle precedenti sedi episcopali e il 2 dicembre Morozzo fece il suo ingresso nella diocesi, che era vacante da tre anni.

Nello stesso 1817 fece pubblicare a Roma un Manuale ecclesiastico proposto al clero della diocesi di Novara ..., diviso in quattro parti, di cui la prima sui doveri sacerdotali, con massime tratte da Alfonso de’ Liguori; la seconda consistente in una «raccolta di quotidiane riflessioni divotissime»; la terza composta da avvertimenti ai parroci di campagna; la quarta di massime di vari autori e rivolta agli ecclesiastici. Iniziava intanto un’instancabile opera di visitatore, che lo portò, primo tra tutti i vescovi novaresi, a compiere ben tre visite pastorali della diocesi, iniziate rispettivamente nel 1819, 1829 e 1841. Durante la prima, in particolare, visitò tutta l’area montagnosa a Nord della diocesi spingendosi poi fino in Svizzera e nel Vallese fino a Losanna.

Dal 1817 erano entrate a far parte del territorio della diocesi novarese le parrocchie, prima milanesi, del Vergante (sponda ovest del Lago Maggiore), politicamente facenti parte dello Stato sabaudo dal 1738. Alcune di esse, però, gelosamente legate al rito ambrosiano non accettarono di passare a quello romano; si trattava, soprattutto, delle parrocchie site nella pieve di Cannobio, che risposero negativamente alla circolare di Morozzo del 1818. La Congregazione dei riti accolse le ragioni dei cannobiesi con un decreto del 31 marzo 1821, invitando il vescovo a desistere. Morozzo affrontò invece la situazione con durezza, dichiarando di non avere sufficienti sacerdoti ufficianti il rito ambrosiano. Nel 1825, nonostante le resistenze delle comunità, e di Cannero in particolare, minacciò di sospendere a divinis ipso facto tutti quei sacerdoti che celebrassero secondo il rito ambrosiano. Il decreto della Congregazione dei riti del 1827 stabilì che le parrocchie rimaste ambrosiane avessero libertà di rito, ponendo fine al lungo conflitto. Un altro conflitto che vide impegnato Morozzo fu con la città di Novara per la giurisdizione sul Collegio Gallarini, che nel 1828 il vescovo aveva deciso di trasferire a Miasino sul lago d’Orta. La città ebbe alla fine la meglio, vincendo la causa davanti al Senato torinese, e il collegio restò a Novara.

Sul fronte dell’organizzazione interna, nel 1823 Morozzo riformò il corso di studi del seminario novarese, portandolo da cinque a sei anni, e scegliendo testi di ispirazione sia gesuitica sia rigorista. Nel 1826 indisse un sinodo che fissò l’orientamento normativo della diocesi per lungo tempo, e che fu indicato da papa Leone XII come esempio per le altre diocesi. Significativa dell’indirizzo pastorale di Morozzo, molto interessato alla predicazione missionaria, fu la ricostituzione della Congregazione degli oblati del Sacro Monte di Varallo, il 22 gennaio 1818. Sulla stessa scia, il 30 novembre 1824 istituì a Novara l’Opera della Propagazione della fede, fondata a Lione due anni prima e caldeggiata da Cesare d’Azeglio. In quegli stessi anni, e principalmente a opera del vicario generale, Pietro Scavini, di chiare tendenze antiliberali ancorché assai apprezzato da Morozzo, si diffuse nella diocesi la società dell’Amicizia cristiana, che faceva capo a d’Azeglio. L’associazione si sciolse nel 1828 a causa del crescente clima antigesuitico che si stava diffondendo nella corte.

Quando Antonio Rosmini decise di impiantare il suo Istituto della Carità proprio nel Novarese, trasferendosi al Sacro Monte Calvario di Domodossola il 19 febbraio 1828, avviò con Morozzo una fitta corrispondenza. Questi tuttavia assunse  nei confronti di Rosmini un atteggiamento ambivalente, in un primo momento assecondandolo ma senza insistere presso il papa per il riconoscimento ufficiale della società, in un secondo tempo invece appoggiandolo decisamente, nell’ottica del nuovo riformismo religioso intrapreso da Carlo Alberto. Un momento importante di questo rapporto fu la decisione, presa da Morozzo con il decreto del 19 agosto 1833, di affidare all’istituto di Rosmini la custodia del Sacro Monte Calvario, scatenando peraltro una controversia giudiziaria con il clero locale relativamente alla giurisdizione del luogo. Poco dopo, Carlo Alberto e Morozzo invitarono Rosmini a trasferirsi a Torino nel convento di S. Giuseppe, dove egli andò nel novembre 1836 tornando però poco dopo al Calvario. Il 20 settembre 1839, con notevole ritardo, la società fu infine riconosciuta da papa Gregorio XVI, grazie anche all’apporto di Morozzo che si era adoperato con l’amico cardinal Sala, divenuto prefetto della Congregazione dei vescovi e regolari.

Un ruolo di primissimo piano ebbe Morozzo nella progettata riforma del clero sabaudo di Carlo Alberto, che ne presentò le linee guida in un memoriale indirizzato al Papa nel 1831. Gregorio XVI approvò l’anno successivo la riforma (nel frattempo smussata nei suoi contenuti più radicali), istituendo il 28 settembre 1832 una commissione ad hoc, presieduta da Morozzo, nominato visitatore apostolico di tutti i regolari negli Stati di terraferma sabaudi. Il Senato di Savoia criticò la commissione, nonostante fosse stata suggerita da Carlo Alberto, ritenendola una magistratura dipendente da una potenza straniera (lo Stato pontificio) e dunque autonoma dal Regno. Il 21 novembre dello stesso anno, Carlo Alberto conferì a Morozzo l’ordine supremo della Ss. Annunziata, uno dei più prestigiosi ordini cavallereschi sabaudi.

La riforma albertina era congegnata con un afflato ‘rigorista’ e aveva lo scopo di potenziare la giurisdizione vescovile sull’insegnamento della teologia, sui regolari e sugli stessi secolari, anche se Morozzo aveva intenzione di concedere grande spazio ai gesuiti nel campo dell’istruzione. Egli inizialmente cercò di operare in maniera radicale, proponendo soppressioni anche drastiche di case religiose, ma la sua azione si affievolì alquanto già nel 1833-34. Le insurrezioni mazziniane di quegli anni e la paura di nuovi moti raffreddarono infatti le intenzioni riformiste di Carlo Alberto, svuotando la commissione (che operò fino al 1837) dei suoi significati originari. I risultati maggiori della riforma guidata da Morozzo vanno così indicati, piuttosto, nella costituzione (con decreto del 21 luglio 1833) dell’Accademia ecclesiastica di Superga, destinata ai sacerdoti di famiglia nobile (di cui fu il primo protettore), e soprattutto nella collaborazione con Rosmini.

Morì il 22 marzo 1842 a Novara. Il corpo venne sepolto nella cattedrale cittadina.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. privato Morozzo della Rocca, fondo cardinale Giuseppe Morozzo, 15 volumi (seconda metà sec. XVIII  - prima metà sec. XIX ); A. Mariotti, Saggio di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della città di Perugia e suo contado, Perugia 1806, p. 407; G. Bonino, Biografia medica piemontese, Torino 1824-25, pp. 398 s.; G. Avogadro di Valdengo, Notizie biografiche di s. eminenza il cardinale G. M. arcivescovo-vescovo di Novara, Novara 1842; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, XLVI, Venezia 1847, pp. 304-306; Scipione de’ Ricci, Memorie di Scipione de’ Ricci vescovo di prato e Pistoia scritte da lui medesimo, Firenze 1865, p. 210; T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, III, Torino 1888, p. 131; I. Rinieri, Napoleone e Pio VII (1804-1813), I, Torino 1906, p. 231; C. Rodolico, Carlo Alberto negli anni di regno 1831-1843, Firenze 1936, p. 262; L. Cobenzl, La prima Repubblica italiana in un carteggio diplomatico inedito. Corrispondenza ufficiale Cobenzl-Moll, a cura di P. Pedrotti, Roma 1937, p. 124; A. Marinoni, Il cardinale G. M. D. R., in Bollettino storico per la provincia di Novara, XLVII (1957), pp. 157-195; XLIX (1958), pp. 3-40; L. Sesini, Il cardinale G. M., arcivescovo di Novara, nell’epopea del Risorgimento italiano, Novara 1965; M. Tosti, Città e campagna e il problema del pane. La politica annonaria di Perugia nel Settecento, in R. Chiacchella - M.Tosti, Terra, proprietà e politica annonaria nel Perugino tra Sei e Settecento, Rimini 1984, p. 223; A. Spina, Nuovi documenti sulle deportazioni napoleoniche di ecclesiastici dello Stato della Chiesa(1810-1814), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XLIV (1990), p. 163; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli “anni francesi” all’Unità, II, Torino 1993, pp. 42 e 47; Legati e governatori dello stato pontificio (1550-1809), a cura di C. Weber, Roma 1994, pp. 161, 220, 335, 791s.; F. De Giorgi, Il problema della riforma del clero e l’origine delle “Cinque piaghe”, in Il gran disegno di Rosmini. Origine, fortuna e profezia delle Cinque piaghe della S. Chiesa, a cura di M. Marcocchi - F. De Giorgi, Milano 1999, pp. 55-93; Id., Nella Restaurazione: il card. M. Indirizzi riformistici e rapporti con Rosmini, in Diocesi di Novara, a cura di L. Vaccaro - D. Tuniz, Brescia 2007, pp. 293-316.

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