MONTALEMBERT, Charles Forbes, conte di

Enciclopedia Italiana (1934)

MONTALEMBERT, Charles Forbes, conte di

Fausto Nicolini

Uomo politico e pubblicista, nato a Londra il 15 aprile 1810, morto a Parigi il 13 marzo 1870. Educato in Inghilterra dal nonno materno James Forbes, poi, al ritorno della famiglia in Francia, nel Liceo Borbone (1819), indi (1826-28) nel collegio Sainte-Barbe, si rivelò fin da allora fervente cristiano: da che la sua amicizia fraterna con Léon Cornudet (1808-76), destinatario delle future Lettres à un ami de collège (1ª ed., postuma, Parigi 1873). Dopo brevi dimore a Stoccolma (1829) e in Irlanda (1830), dove aderì alla campagna di D. O' Connell, tornò a Parigi, entrando (ultimi mesi del 1830), nella redazione de L'Avenir, allora fondato da F. de Lamennais, in collaborazione con il quale e con D. Lacordaire, sostenne una pugnace campagna mirante all'instaurazione di una nuova era di libertà e di giustizia fondate sulla religione cattolica e, con ciò, tra altri capisaldi, a un ammodernamento, in senso liberale, della Chiesa, alla sua netta separazione dallo stato, all'emancipazione dei popoli oppressi, e ch'è più, a una compiuta libertà d'insegnamento e di stampa. Programma qua e là contraddittorio e utopistico, ma al cui trionfo egli, pur con qualche deviazione (per es., nei riguardi dell'unità e indipendenza dell'Italia), si consacrò tutta la sua vita col più disinteressato entusiasmo, apportando nella lotta pregi e difetti del suo temperamento di gentiluomo di razza e di artista romantico, e cioè passionalità generosa, sensibilità, sdegno aristocratico per gli avversarî, mancanza quasi assoluta di senso politico, realistico e critico.

L'avere aperto, insieme con il Lacordaire, una scuola pubblica malgrado il negato consenso governativo (1831), gli valse un processo innanzi alla Camera dei pari, quasi al tempo stesso che v'entrava per la morte del padre: primo passo, a causa della smagliante eloquenza con cui si difese, verso la sua popolarità immensa. In pari tempo, per avere le proteste di parecchi vescovi fatto sospendere L'Avenir, si recò con il Lamennais e con il Lacordaire, presso Gregorio XVI: viaggio che, pur dandogli agio di conoscere parecchie città italiane e parecchi letterati e patrioti della penisola, non impedì la condanna del giornale (enciclica Mirari vos del 1832). Sottomessosi, a differenza del Lamennais, al responso papale, s'occupò a Parigi (1833) d'arte cristiana - donde i suoi parecchi scritti (p. es. una lettera a Victor Hugo sul Vandalisme en France, inserita nella Revue des deux mondes del 10 marzo 1833), in difesa della scultura e architettura medievali - e di "polonismo" - donde i suoi rapporti col poeta ed esule Adam Mickiewicz, che aiutò a fondare la rivista Le Polonais e di cui tradusse, con una sua prefazione, il Livre des pélerins polonais, anch'esso, poi, condannato da Gregorio XVI. Dal 1834 al 1836 attese, non senza viaggiare in Germania e nuovamente in Italia, alla Vie de Sainte Elisabeth de Hongrie (1ª ed., Parigi 1836), pia leggenda della sofferenza e dell'amore, priva di valore storico, e ispirata soprattutto all'amore per una discendente della santa, Marianna de Mérode, che sposò appunto nel 1836, recandosi con lei a Roma (1837). Altri viaggi si alternarono alla sua crescente attività nella Camera dei pari, nella quale, fiero del suo isolamento, si dichiarava cattolico avanti tutto, pure affermando il suo profondo distacco dai cattolici legittimisti. In pari tempo assumeva la direzione de L'Univers religieux, fondato nel 1834 dall'abate J.-P. Migne accaparrandosi la collaborazione, tra altri, di Louis Veuillot; alla morte di monsignore de Quélen, arcivescovo di Parigi, prendeva partito in favore del liberaleggiante monsignore D.-A. Affre, divenendo, per tal modo, capo, come si disse, degli affreux; e intensificava la lotta per infrangere il monopolio governativo dell'istruzione e ottenere la libertà dell'insegnamento, promessa bensì dalla carta costituzionale del 1830, ma non ancora attuata. Due volte, nel 1841 e nel 1844 - dopo che, alla fine del 1843, da Madera, dove aveva accompagnato la moglie malata, lanciò l'opuscolo: Du devoir des catholiques dans la question de la liberté de l'enseignement - costrinse A.-F. Villemain a ritirare disegni di legge avversi o non compiutamente favorevoli a quella libertà: dopo di che, mercé due anni di propaganda intensa, culminata nella pubblicazione del manifesto intitolato Du devoir des catholiques dans les élections, gli riusciva, in quelle del 1846, di far entrare nella nuova camera ben centoquaranta suoi partigiani. Anziché abusare della vittoria, ascoltò i consigli di moderazione datigli dal suo nuovo amico Ph. Dupanloup, di cui difese, contro il Veuillot e monsignor Parisis, un disegno di transazione: il che non gl'impedì di combattere nuovi disegni di legge sull'insegnamento, presentati nel 1847 da N.-A. de Salvandy, di svolgere appassionate interpellanze contro i massacri compiuti dall'Austria nella Galizia e contro i radicali svizzeri vincitori dei cattolici nella guerra del Sonderbund, e di portare innanzi alla Camera dei pari (11 gennaio 1848) la questione di Pie IX et l'Italie. Rassegnatosi alla rivoluzione di febbraio, specie dopo aver convertito il Thiers alla libertà dell'insegnamento, ebbe parte cospicua nelle elezioni per la nuova Costituente, nella quale rappresentò il dipartimento del Doubs; fu, dopo un'intervista con Luigi Bonaparte, tra i più alacri sostenitori della sua candidatura alla presidenza della repubblica; durante le elezioni alla Legislativa e le relative agitazioni socialistiche, pose i comitati cattolici a disposizione del partito dell'ordine; votò, dopo i moti parigini del 13 giugno 1849, la legge sulla stampa; si batté con successo, specie contro Victor Hugo, perché fosse votata la spedizione di V. Oudinot contro la Repubblica Romana; e, malgrado l'opposizione, aperta o segreta, non solo dei suoi avversarî, ma altresì dell'Univers, di molti vescovi e persino dei suoi più cari amici (Lacordaire, Guerrier de Dumast, Guéranguer e altri), seppe, con l'aiuto del Thiers, far votare la legge Falloux del 15 marzo 1850 sull'insegnamento. Dopo un ultimo viaggio a Roma, di cui, previe due udienze da Pio IX, fu nominato cittadino onorario, entrava (9 gennaio 1851) nell'Académie française, e si schierava poi accanto al principe-presidente durante la sua lotta contro la Legislativa, non senza, tuttavia, dissuaderlo dal colpo di stato e, dopo che questo fu attuato, protestare. Ciononostante, incoraggiato dal papa, fu della Commissione consultiva, incitò i cattolici a votare per Luigi Napoleone nel plebiscito del 26 dicembre 1851 e fece parte del corpo legislativo quale deputato di Besançon: salvo a staccarsi via via dal nuovo regime, e poi passare apertamente all'opposizione, allorché si convinse che quello non avrebbe concesso mai la libertà dell'insegnamento superiore e di associazione. Perciò, dopo la costituzione del Secondo Impero, a cui l'Univers aveva aderito, sostenne per anni contro il Veuillot un'accanita polemica, sia in opuscoli (p. es. Les intérêts catholiques au XIXe siècle, pubblicato nel 1852) sia, soprattutto, dalle colonne del Correspondant, di cui divenne nel 1855 proprietario e direttore. La caduta nelle elezioni politiche del 1857 e due processi di stampa (1857 e 1858), intentatigli dal governo, furono gli avvenimenti cospicui della sua vita fino alla guerra d'Italia, avversata da lui, nell'articolo Pie IX et la France en 1849 et en 1859 e in altri scritti in difesa del potere temporale del papa, con la stessa asprezza con cui, già nell'opuscolo Pie IX et lord Palmerston, pubblicato nel 1856, durante il congresso di Parigi, aveva combattuto l'azione diplomatica del Cavour: il che spiega i due accenni satirici che, seguiti da due lettere aperte di risposta del M., si trovano contro di lui in due famosi discorsi parlamentari del medesimo Cavour (12 ottobre 1860 e 27 marzo 1861).

Nel 1860 uscivano i due primi volumi, seguiti poi da altri tre, della Histoire des moines d'Occident depuis saint Benoît jusqu'à saint Bernard (ultima ed., a cura del Goyau, Parigi 1926): opera che costò al M. vent'anni di lavoro e anche (dal 1860 al 1865) lunghi viaggi in Francia, Germania, Austria, Ungheria, Polonia e Spagna, ma che, riuscita, ciononostante, storicamente fiacca, non presenta interesse se non per il calore con cui viene sostenuta la tesi del Medioevo quale epoca di libertà e dei monaci depositarî e promotori della civiltà nell'Europa occidentale. Non riuscito nemmeno nelle elezioni politiche del 1863, il M. pronunziava in quell'anno, nel congresso cattolico di Malines, un discorso a favore della libertà di coscienza e di altre libertà moderne, procacciandosi, sia pure in forma non pubblica, il biasimo della S. Sede. D'allora in poi, malgrado atti estrinseci di sottomissione, il suo intimo distacco da Roma, accentuato dalla pubblicazione dell'enciclica Quanta cura e del Sillabo (8 dicembre 1864), si fece sempre più insanabile, culminando poi allorché si rese manifesto che il Concilio vaticano del 1869-1870 (contro la cui convocazione egli e il Dupanloup pubblicarono una protesta) avrebbe convertito gli articoli del Sillabo in altrettanti dogmi di fede. La morte, sopraggiunta dopo anni di malattia penosa, gli risparmiò il dolore di vedere, con l'esito di quel concilio, il crollo definitivo del suo programma.

Bibl.: Fondamentale: E. Lecanuet, M., d'après son journal et sa corresp., Parigi 1895-1901, voll. 3. Tra i documenti sulla vita: Lettres inédites de Lamennais à M., Parigi 1898; Lettres de M. à Lamennais, ivi 1932; nonché Correspondance de M. et L. Cornudet, Parigi 1905. Tra la molta letteratura biografica e critica: Revue M., numero del centenario (25 dic. 1910), contenente, tra l'altro, uno studio di G. Gallavresi sui primi rapporti tra il M. e i patrioti italiani; G. Goyau, M. précurseur du catholicisme social, nel volume Autour du catholicisme social, serie 5ª, Parigi 1910; id., Catholicisme et liberté: Ch. de M., in Catholicisme et politique, ivi 1923; id., Un français en Suède il y a cent ans: M., in Revue Montalembert del 25 gennaio 1929; P. de Lallemand, M. et ses amis dans le romantisme, Parigi 1927; id., M. et ses relations avec l'étranger jusqu'en 1840, ivi 1927.