MONROY, Ferdinando, principe di Pandolfina e di San Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MONROY, Ferdinando principe di Pandolfina e di San Giuseppe

Giovanni Schininà

– Nacque a Palermo il 7 marzo 1814, primogenito di Alonso Ambrogio Monroy, principe di Pandolfina, e di Felicita Barlotta, principessa di San Giuseppe. Sposò in prime nozze Marianna Ventimiglia, principessa di Belmonte (da cui ebbe primogenito Gaetano, deputato al Parlamento nazionale) e in seconde nozze Laura Temple Bodwin.

Appartenente a un’antica famiglia nobile siciliana con origine in Estremadura (tra gli avi sono ricordati in particolare il condottiero spagnolo Hernan Cortes Monroy, il nipote del capostipite del ramo siciliano, Ferdinando de Monroy, che ottenne il titolo di principe di Pandolfina nel 1733, e nel secolo XX il noto scienziato e biologo Alberto Monroy) il M. accomunava, oltreché i titoli di principe di Pandolfina e di San Giuseppe, quelli di barone di Sant'Anna e di Arcodaci, e di marchese di Carsigliano. Fu inoltre massone, commendatore dei Ss. Maurizio e Lazzaro, Grande ufficiale della Corona d’Italia e dell’Ordine tedesco di Mecklenburg, Gran Croce dell’Ordine di S. Anna di Russia. Tra i palazzi di dimora della famiglia sono da ricordare villa Ranchibile e palazzo Pandolfina a Palermo, nonché per un certo periodo villa Cristina a Firenze, oggi sede della Facoltà di Ingegneria dell’Università.

Il M. fece parte dell’aristocrazia colta e liberale che preparò la rivoluzione siciliana del 1848, staccando l’isola dal Regno borbonico, e ricoprì incarichi politici in quel periodo, tra i quali quello di colonnello capo di stato maggiore della Guardia nazionale di Palermo dal gennaio di quell’anno fino al 15 maggio 1849. Membro per diritto ereditario della Camera dei Pari del Parlamento siciliano nello stesso periodo, fu chiamato a far parte della deputazione che, imbarcatasi il 24 luglio 1848 sul vapore francese «Descartes» fu inviata, per conto del Parlamento stesso e con il nuovo statuto, a sollecitare il duca di Genova, Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia, figlio di Carlo Alberto, ad accettare la corona di re di Sicilia. Della deputazione fecero parte, insieme al M., il duca di Serradifalco, il barone P. Riso, il principe di Torremuzza, F. Ferrara, F. Perez, G. Natoli e G. Carnazza.

Cessato il moto rivoluzionario con la sconfitta dei liberali, il M. fu tra le 43 personalità che vennero escluse dall’amnistia. Costretto all’esilio, si recò a Malta e in altri paesi, tra cui l’Egitto e soprattutto l’Inghilterra. Negli anni Cinquanta aderì al movimento che vide coinvolti i liberali siciliani in esilio nella preparazione dell’Unità nazionale: fu in contatto con R. Pilo e finanziò una sottoscrizione per aiutare i moti nell’isola alla fine del 1856. Per quanto graziato dai Borboni, nel 1859, in virtù di un atto sovrano di clemenza che permetteva ad alcuni esuli di rientrare, mantenne un ruolo nell’ambito del composito fronte degli esuli moderati.

Nel giugno 1859 il M., il marchese V. Fardella di Torrearsa, E. Amari e F. Cordova si trovarono invano a Milano, appena liberata dagli austriaci, con la speranza di interessare Napoleone III alle sorti della Sicilia. Poche settimane dopo il M. si recò in Inghilterra, insieme al marchese di Torrearsa, per cercare di convincere gli inglesi ad appoggiare la causa dell'indipendenza della Sicilia dal Regno borbonico. Essi presentarono un memoriale sulle condizioni di Napoli e della Sicilia, indirizzato al capo di governo Lord H.J.T. Palmerston, in cui si richiamava l’importanza commerciale dell’isola per la via delle Indie. L’iniziativa non ricevette il sostegno di G. La Farina, G. La Masa e R. Pilo, contrari a porre in quel momento ipotesi separatiste o autonomiste, a differenza di un altro gruppo, legato a M. Stabile, M. Amari e F. Cordova.

L’evolversi degli eventi successivi portò a una frattura nel movimento dei liberali moderati siciliani, assottigliando e isolando sempre più il gruppo degli intransigenti, come F. Ferrara, contrari all’annessione incondizionata al Piemonte. Fardella di Torrearsa, ad esempio, abbandonò il fronte autonomista intransigente, mentre Cordova si avvicinò alle posizioni di La Farina insieme ad altri che, per timore delle ripercussioni sociali dell’impresa garibaldina, sposarono integralmente la causa dei Savoia.

Nel giugno del 1860 il M. fu designato da G. Garibaldi  a rappresentare come incaricato di affari a Londra il governo provvisorio di Sicilia, analogamente al conte M. Amari, inviato presso la corte di Torino, e al principe di San Cataldo insediato a Parigi. Attenendosi alle generiche istruzioni date dal governo provvisorio di Sicilia agli Incaricati di Affari inviati a Torino, Parigi e Londra, che affermavano ormai l'obbiettivo dell'Unità nazionale sotto la dinastia dei Savoia, il M., peraltro ancora residente a Firenze al momento della nomina, dovette scontare, nella sua opera diplomatica, i ritardi nell’invio delle sue credenziali presso il governo inglese, la propria impreparazione tecnica e la scarsa conoscenza delle reali condizioni in cui si trovava l’isola in quel frangente, nonché la confusione e i continui avvicendamenti nella direzione degli Affari esteri operati dalla dittatura garibaldina.

Coadiuvato da L. Scalia, che curò le complicate trattative per l’acquisto di due battelli a vapore della marina britannica, il M., che tenne tale incarico fino al 21 ott. 1860, fu comunque partecipe attraverso colloqui con Lord Palmerston e Lord J. Russell, di importanti passaggi diplomatici. I dispacci da lui inviati ai ministri degli esteri siciliani attestavano infatti la favorevole disposizione dell’opinione pubblica inglese verso l’impresa antiborbonica nonché le sollecitazioni dei ministri inglesi a favore di una pronta annessione al Piemonte.

Nel settembre 1860 fu designato dai gruppi dirigenti siciliani a compiere, assieme ad altre personalità, una missione incaricata di chiedere ufficialmente al re Vittorio Emanuele l’annessione dell’isola al Regno piemontese.

Il 20 genn.1861, su proposta di Cavour, fu nominato senatore del Regno. Pur ritiratosi a vita privata, non fece comunque mancare la sua presenza alle sedute più importanti del Senato.

Il M. morì a Palermo il 15 marzo 1897.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Palermo, Fondo Belmonte; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, V, Palermo 1927, pp. 375-378; Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 6 apr. 1897; A. D’Ancona, Carteggio di Michele Amari, I, Torino 1896, pp. 588 s.; T. Whitaker Scalia, Sicilia e Inghilterra. Ricordi politici. La vita degli esuli italiani in Inghilterra (1848-1870), Mazara 1948, pp. 141, 163; L. La Bella, Vincenzo Fardella marchese di Torrearsa. I suoi tempi e i suoi amici, in Archivio storico per la Sicilia Orientale, s. 2, VIII (1932), 1, pp. 448, 467-469; La rivoluzione siciliana del 1848 in alcune lettere inedite di Michele Amari, a cura di A. La Pegna, Napoli 1937, p. 96; Sicilia e Piemonte nel 1848-49. Corrispondenza diplomatica del Governo del Regno di Sicilia del 1848-49 con la Missione inviata in Piemonte per l’offerta della Corona al Duca di Genova, a cura del R. Archivio di Stato di Palermo, Roma 1940, pp. XV s.; G. Falzone, La rappresentanza della dittatura garibaldina a Londra (maggio-giugno 1860), in La Sicilia verso l’Unità d’Italia. Memorie e testi raccolti in occasione del 39° congresso nazionale dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Palermo 1960, pp. 79-94; F. Brancato, La dittatura garibaldina nel Mezzogiorno e in Sicilia, Trapani 1965, pp. 146, 17 s.; Le relazioni diplomatiche fra il governo provvisorio siciliano e la Francia, III serie: 1848-1860, a cura di F. Curato, Roma 1971, ad ind.; Lettere di Rosalino Pilo, Roma 1972, a cura di G. Falzone, ad ind.; G. Garibaldi, Epistolario, V, Roma 1973, p. 360; S. M. Ganci, Il caso Crispi, Palermo 1976, ad ind.; G. Ciampi, I Liberali moderati siciliani in esilio nel decennio di preparazione, Roma 1979, ad ind.; F. Curato, Il Regno delle Due Sicilie nella politica estera europea (1830-1861), Palermo 1989, p. 256; F. Ferrara, Epistolario 1835-1897, Roma 2001, ad ind.; C. Benso di Cavour, Epistolario, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, XVII, Firenze 2005, ad indicem.

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