Moneta

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Moneta

Claudio Sardoni

A cavallo fra il 20° e 21° sec. molti economisti, accademici e non, sono stati coinvolti in un dibattito abbastanza ampio sul futuro della m. e delle istituzioni a essa legate, in particolare le Banche centrali. Il problema del futuro della m. era sollevato soprattutto in relazione ai possibili effetti sul sistema monetario delle innovazioni in campo finanziario strettamente connesse allo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e a quelle della comunicazione. Ci si chiedeva se tali innovazioni potessero condurre, anche in tempi rapidi, a un 'mondo senza moneta', ossia un mondo in cui l'economia funziona senza l'uso degli strumenti monetari convenzionali. Più precisamente, ci si poneva il problema se questi processi innovativi avrebbero potuto condurre a una situazione in cui le funzioni svolte dalla m. convenzionale fossero svolte da nuovi strumenti (per es., la cosiddetta m. elettronica), non necessariamente creati e controllati dalle Banche centrali e dal sistema bancario, con il conseguente venir meno della possibilità di attuare le tradizionali politiche monetarie. Tuttavia, definire che cosa s'intende esattamente per m. è tutt'altro che facile. Pertanto, per rendere con chiarezza e senza fraintendimenti gli aspetti salienti di questo dibattito sul futuro della m., è necessario prendere le mosse proprio dal concetto di m. e delle sue funzioni in un'economia di mercato.

Che cosa è la moneta

Ciò che si definisce moneta varia da periodo a periodo e da luogo a luogo. Così, piuttosto che iniziare stabilendo quale sia lo strumento che si definisce m., conviene innanzitutto definire le sue funzioni. In qualsiasi libro di testo di economia monetaria o di macroeconomia, le funzioni della m. sono indicate nei seguenti modi: la m. è unità di conto; mezzo di pagamento e mezzo di scambio; riserva di valore. La funzione della m. come unità di conto (o standard di valore) significa che il valore di qualsiasi bene (o servizio, o attività) oggetto di scambio è espresso in unità monetarie (euro, dollari ecc.). La m. è mezzo di pagamento nel senso che essa è accettata come pagamento finale dal venditore, che quindi cessa di esigere alcunché contro quanto ha venduto. Ch.A.E. Goodhart (19892) sottolinea che il concetto di mezzo di pagamento dev'essere distinto da quello di mezzo di scambio: quest'ultimo è lo strumento che, ricevuto dal venditore, consente alla transazione di procedere, ma non rappresenta comunque il pagamento finale. Una transazione può essere effettuata grazie all'instaurarsi di relazioni di debito (da parte dell'acquirente) e di credito (da parte del venditore), ma non può considerarsi definitivamente liquidata finché il creditore mantiene il diritto di esigere pagamenti futuri da parte del debitore stesso o di altri agenti. In questa tipologia ricadono, per es., le transazioni effettuate tramite l'uso di carte di credito. La ricchezza degli agenti economici può essere detenuta in forma monetaria in alternativa, o congiuntamente, ad altre forme (titoli finanziari o ricchezze materiali come abitazioni, gioielli ecc.). Questa è la funzione della m. come riserva di valore. Spesso si sostiene che, a differenza di altre riserve di valore, la m. ha il vantaggio della perfetta liquidità: può essere trasformata senza costo in qualsiasi cosa in qualsiasi momento. J. Hicks (1989) però sottolinea che la perfetta liquidità della m. deriva in ultima istanza dalle sue due altre funzioni. La m. può convertirsi senza costi in qualsiasi cosa perché ogni cosa esprime il suo valore in m., e la m. è considerata il mezzo di pagamento finale.

Stabilire una corrispondenza biunivoca tra le funzioni della m. e un concreto strumento che le svolge non è semplice. In diverse economie, e in diverse fasi storiche, lo strumento che svolge le funzioni di m. può essere differente e, inoltre, possono esistere più strumenti che svolgono una stessa funzione. In concreto, si adottano solitamente almeno tre diverse definizioni di m., ognuna delle quali comprende più strumenti. La Banca centrale europea (BCE), per es., usa la seguente classificazione: M1 (che include il circolante emesso dalla Banca centrale nelle mani del pubblico e i depositi bancari in conto corrente); M2 (che comprende M1 più i depositi bancari con scadenza fino a due anni e i depositi svincolabili con preavviso di almeno tre mesi); M3 (M2 più pronti contro termine, quote di fondi comuni monetari, titoli del mercato monetario e obbligazioni con scadenza fino a due anni).

In tutti gli attuali sistemi economici la funzione di unità di conto è svolta dallo strumento emesso e controllato dalla Banca centrale (dollaro, euro, sterlina ecc.). In quanto tale, l'unità di conto, come qualsiasi unità di misura, non deve avere un'esistenza fisica concreta e non deve essere qualcosa che è detenuto (domandato) dagli agenti economici. In realtà, lo strumento emesso dalla Banca centrale (come sua passività) è richiesto dall'economia come circolante (contante) per effettuare transazioni, e dal sistema delle banche ordinarie sotto forma di riserve presso la Banca centrale. Il circolante più le riserve bancarie costituiscono l'aggregato denominato base monetaria. Lo strumento unità di conto è anche mezzo di pagamento. I contratti sono espressi nell'unità di conto, e se il sistema legale deve intervenire per farli rispettare, la parte inadempiente è obbligata a onorare i suoi impegni versando all'altra un determinato valore espresso nell'unità di conto. Hicks considera pienamente m. solo lo strumento che allo stesso tempo è unità di conto e mezzo di pagamento, e 'quasi-moneta' gli altri.

Lo strumento immediatamente contiguo al circolante è stato storicamente rappresentato dai depositi bancari in conto corrente (o a vista), che sono usati come mezzo di scambio e, almeno in alcuni casi, come mezzo di pagamento e come riserva di valore. Tuttavia tali depositi non possono considerarsi un perfetto sostituto del circolante. Essi infatti possono non costituire un mezzo di pagamento finale, e non sempre costituiscono un mezzo di scambio. Chi deve essere pagato con un assegno (che è un ordine di trasferimento di fondi dal conto corrente dell'acquirente a vantaggio del venditore) vuole una qualche forma di garanzia su chi effettua il pagamento, e in mancanza di ciò può rifiutarsi di effettuare la transazione. Problemi di questo tipo non si presentano invece nel caso dell'uso di circolante: i depositi sono sempre e immediatamente convertibili in circolante. Per contro, nelle moderne economie, la moneta emessa e amministrata dalla Banca centrale non è convertibile in niente altro che sé stessa.

Per la possibile immediata convertibilità in circolante (liquidazione) di un deposito in conto corrente, le banche ordinarie detengono riserve presso la Banca centrale per far fronte a richieste di questo tipo da parte del pubblico. Tuttavia il motivo principale per cui le banche detengono riserve sono le operazioni di compensazione (clearing), ossia il saldo di debiti e crediti interbancari. I depositi bancari in conto corrente più il circolante detenuto dal pubblico costituiscono, come si è visto, M1, che è l'aggregato monetario più ristretto. Qui, per riferirsi a tale aggregato, si userà spesso la locuzione moneta convenzionale. Gli altri strumenti, inclusi in M2 e M3, in certi casi sono usati come mezzo di scambio e come riserva di valore, ma tradizionalmente non hanno un'accettazione universale come il circolante, o così ampia come gli assegni con cui si attuano trasferimenti di fondi dai conti correnti bancari. Si tratta, in altre parole, di attività altamente liquide, ma meno liquide della m. convenzionale. Esiste in altre parole una gerarchia fra gli strumenti che, nella pratica concreta, sono definiti e classificati come moneta.

Alla luce di queste definizioni e classificazioni si può procedere a un esame più dettagliato dei vari tipi di transazione, distinguendole in base al mezzo di scambio utilizzato. Tutte le transazioni hanno luogo grazie all'impiego di un qualche mezzo di scambio. Da questo punto di vista, possono essere innanzi tutto divise tra quelle effettuate tramite l'uso di contante (circolante) e quelle che non lo richiedono (non-cash); queste ultime, a loro volta, sono suddivise in cartacee (paper-based) ed elettroniche. Le transazioni cartacee comprendono quelle effettuate tramite emissione di assegni (ossia ordini di trasferimento di fondi da un conto corrente a beneficio di qualcuno) e ordini di trasferimento di fondi basati su documenti cartacei diversi dagli assegni. Le transazioni elettroniche comprendono i trasferimenti elettronici di fondi e quelli effettuati tramite carte (carte di credito e di debito) e m. elettronica (basata sull'uso di carte prepagate o su qualche tipo di software che consente il trasferimento di fondi tramite un network elettronico).

Il futuro della moneta

Usando il quadro di riferimento tracciato, si possono esaminare alcuni dei problemi concernenti gli effetti delle recenti innovazioni tecnologiche e finanziarie sul sistema monetario e sul sistema di pagamenti. In quasi tutte le moderne economie si assiste da anni a due linee di tendenza: una progressiva riduzione delle transazioni in contanti (in valore e numero) e, fra le transazioni non-cash, una crescente importanza di quelle elettroniche. Nell'area dell'euro, per es., nel 2004 i pagamenti tramite assegno costituivano solo il 2,8% circa del valore totale delle transazioni effettuate. Essendo le transazioni paper-based e tramite contante quelle effettuate con m. convenzionale, si può così sostenere che è in corso un processo di sostituzione della m. convenzionale da parte di nuovi strumenti, largamente basati sull'elettronica. Ma ciò non giustifica l'idea che sia in corso un processo per cui la m. convenzionale, intesa come mezzo di pagamento finale e come unità di conto, sia sostituita da nuovi strumenti. Infatti, nella presente concreta situazione, tutti gli esistenti strumenti di pagamento elettronici appena menzionati richiedono e presuppongono l'esistenza di m. convenzionale: non solo perché il valore di queste transazioni è comunque espresso nella tradizionale unità di conto, ma perché il mezzo di pagamento finale, che effettivamente conclude la transazione, resta la m. convenzionale. I saldi fra trasferimenti elettronici avvengono in m. convenzionale; i debiti creati con l'impiego di carte di credito debbono essere estinti in m. convenzionale; i vari tipi di m. elettronica debbono essere acquistati con m. convenzionale.

Ma c'è un'altra considerazione: se gli strumenti elettronici di pagamento sono creati da banche ordinarie, dal punto di vista concettuale essi non sono sostanzialmente diversi dai depositi in conto corrente, in quanto il loro trasferimento da un soggetto all'altro si distingue soltanto per il tipo di supporto impiegato (gli assegni da una parte, qualche forma di impulso elettronico dall'altra).

Molti dei nuovi strumenti di pagamento sono effettivamente emessi e gestiti da banche, ma essi possono essere, e in qualche misura sono, emessi da istituzioni non bancarie (per es., compagnie telefoniche che consentono l'uso delle carte telefoniche ricaricabili per effettuare acquisti diversi dai semplici servizi di trasmissione telefonica). Il fatto che, nella presente situazione, la m. convenzionale, e in particolare quella emessa e gestita dalla Banca centrale, mantenga indubbiamente le sue funzioni di mezzo di pagamento e unità di conto, non significa che ciò non possa cambiare in futuro. Se un numero crescente di transazioni fosse effettuato con mezzi di scambio di origine non bancaria, si potrebbe giungere alla scomparsa della m. convenzionale non solo come mezzo di scambio, ma anche come mezzo di pagamento finale e unità di conto. Si supponga, per es., che i lavoratori siano remunerati tramite un sistema di 'punti' emessi da una o più imprese datrici di lavoro. I lavoratori sarebbero accreditati di un certo ammontare di punti registrati elettronicamente e, a loro volta, userebbero questi punti per effettuare le loro transazioni accreditandoli ad altri agenti e così via. Le banche ordinarie non svolgerebbero, in questa sorta di mondo, alcun ruolo per quanto riguarda il sistema dei pagamenti, e sembrerebbero non esistere ostacoli fondamentali all'adozione di una nuova unità di conto: i 'punti' emessi dalle imprese e universalmente accettati potrebbero anche divenire la nuova unità di conto.

Le implicazioni più rilevanti dell'eventuale sorgere di una nuova m. che si sostituisse a quella creata dalla Banca centrale e dalle banche ordinarie riguardano proprio queste ultime e la loro domanda di riserve presso la Banca centrale. Infatti si sostiene da alcuni (Friedman 1999, 2000) che la Banca centrale può attuare un'efficace politica monetaria nella misura in cui esiste una significativa domanda di riserve. Se da un lato si riducesse il ruolo delle banche nel sistema dei pagamenti e, dall'altro, le banche stesse riducessero la domanda di riserve adottando nuovi sistemi di compensazione che non implichino l'uso di riserve presso la Banca centrale, la domanda complessiva di riserve ovviamente si ridurrebbe, e s'indebolirebbe la capacità della Banca centrale di influenzare l'intera costellazione dei tassi d'interesse a breve dell'economia. Infatti, secondo queste posizioni, quale che sia il modo in cui la politica monetaria opera, è cruciale che le banche ordinarie abbiano riserve presso la Banca centrale e che ogni transazione effettuata fra questa e le banche si traduca in una variazione dell'ammontare totale di riserve. La Banca centrale crea o distrugge riserve in condizioni di monopolio e, in tal modo, può controllare i tassi d'interesse: nessun altro attore nel mercato ha tale potere. Ma il potere di monopolio della Banca centrale diverrebbe insignificante se la domanda di riserve scomparisse, o si riducesse notevolmente: la Banca centrale diventerebbe un monopolista di qualcosa che nessuno domanda.

A questo tipo di preoccupazioni è stato risposto che la Banca centrale è sempre in grado di fissare un proprio tasso d'interesse e di influenzare tutti i tassi di mercato. Anche in una situazione estrema, ben lontana dalla realtà attuale, in cui le banche non avessero alcuna necessità di ricorrere alla Banca centrale per le loro operazioni di clearing, in quanto il mercato offre loro strumenti alternativi, la Banca centrale potrebbe 'forzare' i tassi d'interesse dell'economia al valore desiderato. A tal fine, sarebbe sufficiente che pagasse un tasso d'interesse sulle riserve presso di essa (cosa che già accade in alcune economie). Le banche desidererebbero ancora avere riserve presso la Banca centrale se il tasso d'interesse su di esse fosse maggiore di quello reso dagli strumenti alternativi. In questo quadro, se la Banca centrale mutasse il tasso sulle riserve rispetto a quello di mercato, si determinerebbe un eccesso di domanda o di offerta degli strumenti alternativi alle riserve, che sarebbe eliminato dall'arbitraggio, ossia attraverso variazioni del tasso d'interesse su queste attività alternative. D'altro canto, come sostiene M. Woodford (2000, 2003), la Banca centrale è sempre in grado di fissare il tasso d'interesse a qualunque livello desideri. Infatti non esiste un valore intrinseco d'equilibrio dei tassi d'interesse di mercato cui l'economia tende, ma è la Banca centrale che li determina. Solo questa può determinare simultaneamente la quantità di sue passività (riserve) e il loro tasso di rendimento: "la speciale caratteristica delle Banche centrali […] è che sono entità le cui passività sono usate per definire l'unità di conto per un'ampia varietà di contratti che altri soggetti si scambiano fra loro" (Woodford 2000, p. 258). Altre istituzioni finanziarie possono offrire un certo tasso d'interesse sulle loro passività, ma il loro valore (espresso in unità di conto) varia al variare di tale tasso. Così, la capacità della Banca centrale d'influenzare i tassi d'interesse dell'economia dipende, in ultima istanza, dal fatto che la sua passività è l'unità di conto dell'economia. In questa prospettiva la funzione della m. come unità di conto ha un'importanza cruciale.

Tutte le considerazioni precedenti non escludono però la possibilità che la m. convenzionale, e in particolare la base monetaria, possa essere sostituita da un nuovo strumento che svolga tutte le sue funzioni. Se ciò avvenisse, le banche centrali perderebbero il loro potere e la capacità di influenzare il sistema economico attraverso le politiche monetarie. Questo processo di 'spiazzamento' è però reso problematico e difficile dall'esistenza di una serie di ostacoli. Pur supponendo che esista un nuovo strumento tecnicamente più efficiente della m. convenzionale (più sicuro, meno costoso ecc.), ciò non costituisce condizione sufficiente affinché esso sia più efficiente anche dal punto di vista collettivo e quindi sostituisca la m. convenzionale. Infatti, affinché il nuovo strumento sia più efficiente in senso generale è necessario che il suo grado di diffusione nell'economia sia ampio. Questo ampio grado di diffusione può essere ostacolato da diversi fattori, soprattutto dall'insorgere di un problema di coordinamento fra gli agenti: il nuovo strumento è più efficiente se ampiamente adottato, ma nessun singolo agente sa con certezza se e quando gli altri agenti lo adotteranno e accetteranno; cosicché nessuno degli agenti prende la decisione individuale di adottarlo. In conclusione, la concorrenza fra m. convenzionale e possibili nuovi strumenti monetari è fortemente ridotta a vantaggio della prima. Queste considerazioni valgono per lo spiazzamento della m. in quanto mezzo di scambio, ma valgono a fortiori per la m. nella sua funzione di unità di conto.

Gli ostacoli allo spiazzamento della m. dipendono in ultima istanza dal fatto che la m. costituisce una 'relazione sociale' piuttosto che un semplice mezzo tecnico per effettuare scambi (Ingham 2004). Da questo punto di vista, la fiducia è un fattore d'importanza fondamentale nella spiegazione della natura e delle origini della moneta. Uno strumento è accettato e/o detenuto come m. dagli agenti economici in quanto essi sono convinti che questo sarà accettato da tutti nel mercato come mezzo di pagamento e mezzo di scambio. Storicamente, lo strumento universalmente accettato e usato come mezzo di pagamento finale nell'economia è diventato lo strumento emesso dalla Banca centrale. Questa infatti può offrire garanzie che non possono essere offerte da nessun altro agente nell'economia. La nascita e l'evoluzione delle banche centrali può essere spiegata proprio dalla necessità di dare fiducia alla m. e al sistema dei pagamenti dell'economia (Giannini 2004). Inoltre lo Stato nel suo complesso opera in modo tale da assicurare che la m. convenzionale mantenga il suo ruolo centrale nel sistema economico. In particolare, l'obbligo di pagare le imposte usando m. convenzionale costituisce un fattore fondamentale per spiegare perché la domanda di questa da parte dell'economia rimane positiva e significativa.

Le Banche centrali e le moderne politiche monetarie

Quanto detto sopra a proposito della m. e, soprattutto a proposito della possibilità della Banca centrale di condurre politiche monetarie efficaci in un quadro d'intensa innovazione dove si riduce la domanda complessiva di base monetaria, è coerente con l'attuale pratica concreta delle principali banche centrali delle economie più avanzate, che operano con l'obiettivo di assicurare la stabilità dei prezzi usando il tasso d'interesse come loro fondamentale strumento operativo. Anzi, le linee teoriche indicate precedentemente sono state in parte sviluppate proprio per fornire una base teorica rigorosa alla concreta pratica dei banchieri centrali (Woodford 2003).

Le principali Banche centrali operano correntemente avendo come obiettivo principale (se non unico) la stabilità dei prezzi; diverse, inoltre, adottano un preciso tasso d'inflazione come loro esplicito obiettivo di politica (inflation targeting). Le banche operano per realizzare i loro obiettivi usando come variabile strumentale tassi d'interesse a brevissimo termine (per es., il tasso sui federal funds negli Stati Uniti e il tasso sulle principali operazioni di rifinanziamento nell'area dell'euro). Sulla base dell'idea che variazioni del tasso d'interesse reale (tasso d'interesse nominale meno tasso d'inflazione) determinino variazioni di segno contrario dell aggregato (PIL) e che il tasso d'inflazione è funzione diretta dello scarto (gap) fra output effettivo e output d'equilibrio (al quale non sono associati fenomeni inflazionistici), la Banca centrale si pone (esplicitamente o implicitamente) l'obiettivo che il tasso d'inflazione si assesti su un certo valore, e agisce sul tasso d'interesse nominale al fine di realizzare il suo obiettivo.

Questa descrizione, estremamente sintetica e semplificata, dei fondamenti delle politiche monetarie correntemente attuate, rappresenta un significativo cambiamento rispetto all'esperienza passata, in particolare rispetto ai decenni Settanta e Ottanta del 20° sec., tanto che A.S. Blinder (2004) parla di una quiet revolution delle banche centrali. Seppur è vero che anche nel passato la stabilità dei prezzi era la principale preoccupazione delle banche centrali, esse tuttavia cercavano di assicurarla usando la quantità di m. (anche se variamente definita) come variabile strumentale di politica. La realizzazione da parte delle banche centrali dell'estrema difficoltà (se non impossibilità) di controllare l'offerta di m. è stato uno dei principali fattori che hanno portato al fallimento di quell'esperienza e ha condotto alla situazione attuale. La difficoltà di controllare l'offerta di m. risiede essenzialmente in quanto detto a proposito della difficoltà di definire che cosa è m. e, quindi, la difficoltà di stabilire quale aggregato (M1, M2 ecc.) controllare. L'economia è sempre in grado di sottrarsi al desiderio della Banca centrale di controllare la quantità di m. in circolazione, adottando come mezzo di scambio strumenti diversi da quelli da essa controllati. Se, per es., l'aggregato controllato e razionato dalla Banca centrale è M1 e se l'economia desidera una quantità maggiore di mezzi liquidi, aumenterà la domanda di strumenti compresi in M2, non controllabili direttamente dalla Banca centrale. In altre parole, la quantità di m. in circolazione non è una variabile esogena, ossia determinabile autonomamente dalla Banca centrale; essa è invece una variabile endogena, determinata da altre variabili non immediatamente e direttamente determinabili dalla Banca centrale. Usando come strumento di politica monetaria il tasso d'interesse, la Banca centrale riconosce il carattere endogeno dell'aggregato monetario, rinunciando quindi al tentativo di controllarlo. Fissato un tasso d'interesse, l'economia nel suo complesso genera una corrispondente domanda di m. che viene fornita dal sistema bancario nel suo complesso.

Sebbene sia importante sottolineare gli elementi di novità che caratterizzano le strategie e le politiche correnti delle banche centrali, è altrettanto importante però mettere in evidenza che esistono anche elementi di continuità rispetto alla fase 'monetarista' precedente. Le banche centrali oggi operano avendo come obiettivo fondamentale e largamente dominante la stabilità dei prezzi, mostrando un interesse scarso o nullo per obiettivi di natura 'reale', quali il pieno impiego. Ciò deriva dalla profonda convinzione, condivisa con il monetarismo e la nuova macroeconomia classica, che, nel lungo periodo, la m. è neutrale, incapace cioè di influenzare le variabili reali del sistema. Quello che caratterizza le posizioni correnti è l'idea che, nel breve periodo, la politica monetaria può avere effetti reali (sulle l'occupazione in particolare) attraverso i suoi effetti sulla domanda aggregata. In tal senso, la politica monetaria può essere usata con successo a fini di stabilizzazione, ossia per far sì che le variabili reali non si discostino eccessivamente dai loro valori 'normali' (o 'naturali'), determinati da fattori reali e non influenzabili dalle variabili monetarie. I tassi d'interesse di breve periodo vengono usati per ricondurre l'economia ai suoi livelli 'normali' ogni qualvolta essa se ne allontani a causa di shock.

Il nuovo quadro concettuale entro cui si colloca la politica monetaria è caratterizzato dall'importanza centrale che assumono le aspettative degli agenti economici, in particolare quelle concernenti il tasso d'inflazione. Le aspettative sul tasso d'inflazione sono assai importanti per due fondamentali motivi, distinti ma fra loro connessi. Innanzi tutto, il tasso d'inflazione atteso entra nella determinazione del tasso d'interesse reale atteso, e il tasso d'inflazione corrente dipende tanto dal tasso dpassato quanto da quello atteso. In secondo luogo, è necessario rammentare che la Banca centrale è in grado d'influenzare i tassi d'interesse a breve e brevissimo termine, ma i tassi d'interesse d'importanza cruciale per l'economia sono quelli a più lungo termine, in quanto influenzano componenti della domanda aggregata come investimento e consumi e, quindi, output e occupazione. Si pone quindi il problema di come, in quale misura e con quale rapidità, le variazioni dei tassi a breve determinate dalla Banca centrale si riflettono su quelli a lunga. Si tratta in altre parole del problema della 'trasmissione' della politica monetaria. L'ampio dibattito sul problema della trasmissione mette in evidenza l'importanza cruciale che in esso assumono proprio le aspettative. In particolare, infatti, sono le aspettative dell'economia, e in particolare quelle sul livello futuro dei prezzi, che determinano essenzialmente la relazione fra tassi a breve, determinati dalla Banca centrale, e tassi a lunga, rilevanti per l'economia.

Riconoscendo l'importanza cruciale delle aspettative nel processo di trasmissione della politica monetaria, le Banche centrali si pongono il compito di agire in modo tale da influenzare significativamente le aspettative degli agenti economici. Da qui discende l'importanza assai elevata che le Banche centrali danno alla loro credibilità: solo una Banca centrale credibile, per es., è in grado di dar vita ad aspettative 'ancorate' al suo tasso d'inflazione obiettivo o, più in generale, alla sua strategia antinflazionistica. Una Banca centrale credibile riesce meglio a influenzare le aspettative degli agenti e, quindi, a facilitare il ritorno dell'economia al suo equilibrio, minimizzando le perdite generate dagli shock. A sua volta, si ritiene che la credibilità della Banca centrale risulti significativamente accresciuta dalla sua indipendenza dal governo, caratterizzato come un'istituzione che appare assai meno preoccupata dell'inflazione. In questo la BCE rappresenta un esempio estremo: essa è completamente indipendente da ogni autorità governativa e il suo statuto contiene il divieto esplicito di finanziare i singoli Stati membri dell'Unione monetaria europea attraverso l'acquisto di titoli da loro emessi. A differenza degli organi governativi e legislativi, una Banca centrale indipendente non è direttamente responsabile nei confronti degli elettori. Da qui discende l'esigenza che il suo operare sia quanto più possibile trasparente, rendendo così più agevole la comprensione e la valutazione delle sue strategie da parte dell'economia nel suo complesso.

bibliografia

Ch.A.E Goodhart, Money, information and uncertainty, London 19892 (trad. it. Bologna 1994).

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A.S. Blinder, The quiet revolution: central banking goes modern, New Haven (CT)-London 2004.

C. Giannini, L'età delle banche centrali: forme e governo della moneta fiduciaria in una prospettiva istituzionalista, Bologna 2004.

G. Ingham, The nature of money, Cambridge 2004.

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