Moneta

Enciclopedia Dantesca (1970)

moneta

Bruno Bernabei
Federigo Melis

Ricorre spesso, sia col significato proprio di " metallo coniato dallo stato ", " denaro ", " ricchezza ", sia con quello figurato. Per il primo caso si vedano i luoghi di Cv III XI 10 li legisti, [li] medici e quasi tutti li religiosi... non per sapere studiano ma per acquistare moneta o dignitade; If XIX 98 guarda ben la mal tolta moneta / ch'esser ti fece contra Carlo ardito (Niccolò III, secondo la voce [Villani VII 54 e 57], avrebbe appoggiato la congiura promotrice dei Vespri, ricevendo in cambio oro bizantino da Giovanni da Procida. Ma non è sicuro che a tale voce, riconosciuta leggendaria dalla moderna critica storica, D. abbia prestato fede; cosicché l'espressione mal tolta moneta, data la sua genericità, potrebbe riferirsi ai proventi delle decime e delle rendite ecclesiastiche, che il pontefice si era appropriati, facendosi ardito contro Carlo d'Angiò). Altre occorrenze: Pg VI 146 Quante volte... / legge, moneta, officio e costume / hai tu mutato, e rinovate membre (dove il frequente cambiamento dei valori monetari è ricordato da D. quale testimonianza dell'instabilità politica ed economica della vita civile fiorentina); Pd XIX 119, Fiore CLXXIII 14.

Con valore figurato, la parola raggiunge notevoli effetti espressivi, come in Pg XI 125 Ito è così e va, sanza riposo, / poi che morì; cotal moneta rende / a sodisfar chi è di là troppo oso (m. indica qui la " pena " purificatrice, che Provenzan Salvani sta scontando per saldare il debito contratto con la giustizia divina a causa del proprio peccato di superbia), e in Pd XXIV 84 Assai bene è trascorsa / d'esta moneta già la lega e 'l peso; / ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa: nell'esame di D. intorno alla fede essa indica " la cosa diffinita " (Buti), cioè la fede stessa. La metafora raggiunge intenso valore espressivo, suggerendo " l'idea di un dono prezioso da custodire gelosamente " (Sapegno), e si completa nella terzina seguente, con gli aggettivi lucida e tonda. La fede autentica, limpida e definita nella coscienza di colui che crede, è come una m. (cioè un valore), costantemente splendente e perfettamente coniata.

Infine, in Pd XXIX 126 Di questo ingrassa il porco sant'Antonio, / e altri assai che sono ancor più porci, / pagando di moneta sanza conio, la m. sanza conio, e quindi di nessun valore, indica le indulgenze prive di valore perché concesse con fini corrotti, che i monaci antoniani elargivano ai fedeli in cambio delle loro offerte.

Economia. - L'età di D. segna il trionfo della monetazione aurea dell'Occidente, già iniziatasi nel 1252 a Firenze con il ‛ fiorino ' (v.) e quasi contemporaneamente a Genova, con il ‛ genovino '; Venezia seguendo con il ‛ ducato ' (emesso dal doge Giovanni Dandolo, nel 1284). Altri paesi verranno dietro l'esempio; ma in nessun caso, almeno sino al tardo Quattrocento, la relativa m. perdurerà e, comunque, mai pervenendo all'alto rango internazionale, onde si distinguono i coni delle tre maggiori potenze economiche del basso Medioevo. Un'imitazione da ricordare, fra le tante, fu quella operata nel 1322, nel castello della Sorga, da papa Giovanni XXII, che ripeté con il ‛ fiorino di camera ' papale il celebre pezzo fiorentino, nel conio, peso e titolo. Il ‛ fiorino di camera ' sopravvisse quasi come il suo prototipo (fino a Paolo III), seppure cambiato nel conio e con oscillazioni nell'intrinseco.

Mentre da tempo i re della Spagna, della Sicilia, dell'Italia meridionale in genere avevano introdotto la m. d'oro a iniziativa e per imitazione di quelle arabe e di quelle bizantine, nelle tre città italiane il moto profondo dell'innovazione si esprime con l'emergere di una m. argentea ‛ grossa ' (che può essere il ‛ soldo ' o altro multiplo del denaro, come a Genova, che era del valore di 4 denari). Dal grosso d'argento si compie il passaggio alla m. aurea. Per Firenze, si stabilì l'equivalenza, ovviamente in base al rapporto argento-oro, con un multiplo del soldo, ossia, con la ‛ lira ' (v. FIORINO). Quanto a Genova, l'aggancio fra i due sistemi monetari non è stato ancora chiarito.

Venezia resistette di più ad abbracciare l'oro, a motivo dei suoi interessi politico-economici con l'Impero bizantino e la relativa m. (l' ‛ iperpero '), in continua decadenza. Il ‛ grosso ' era comparso nel 1202 circa, al peso di g. 2,178 e titolo di 968/ 1000, affinché eguagliasse 2 soldi, vale a dire 24 denari, i quali, d'ora in poi, saranno denominati ‛ piccoli ' (il rapporto tra grossi e piccoli si modificò in conseguenza della svalutazione del piccolo, passando nel 1282 a 1/32). Si ebbero, pertanto, due circolazioni: quella della m. ‛ grossa ' (con il suo multiplo ideale, la lira, di 20 soldi di grossi) e quella della ‛ piccola ' (essa pure con il multiplo lira, ma di rapporto variabile con l'altra, in relazione al variare del rapporto tra grosso e piccolo). Il ducato aureo venne eguagliato a 18 grossi; rapporto che nel 1328 fu portato a 24, per adeguarlo ai mutati rapporti di valore tra oro e argento. La preesistente lira maggiore, che annoverava 240 grossi, venne così a rappresentare il multiplo - e il collegamento - più facile fra i due sistemi: la ‛ lira di grossi ' diventando sinonimo di 10 ducati.

Il peso del ducato venne fissato all'origine in g. 3,559 (al titolo di 24 carati): il che indica che, nell'epoca, a Venezia il rapporto fra i due metalli era di 10,66 (dei 18 grossi considerando il peso unitario di g. 2,178 e il titolo di 968).

Il genovino si avvicinava maggiormente al fiorino, con il suo peso di g. 3,535, pure a 24 carati.

Fra le tre grandi m. italiane, il fiorino prevalse in tutti i mercati occidentali e s'impose notevolmente anche in Oriente, dove la m. veneziana aveva esercitato il ruolo preminente almeno sino al 1453.

Bibl. - C. Desimoni, Introduzione alle tavole descrittive delle m. della Zecca di Genova, in " Atti Soc. Ligure St. Patria " XXII (1890); P.F. Casaretto, La m. genovese in confronto con le altre valute mediterrane nei secoli XII e XIII, ibid. LV (1928); R. Cessi, Problemi monetari veneziani fino a tutto il sec. XIV, Padova 1937; ID., Le origini del ducato veneziano, Napoli 1951; R.S. Lopez, Il ritorno all'oro nell'Occidente duecentesco, in " Riv. Stor. It. " XV (1953); G. Luzzatto, Storia economica di Venezia dall'XI al XVI secolo, Venezia 1961; N. Papadopoli, Le monete di Venezia, i, ibid. 1883.