MOLISE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

MOLISE (XXIII, p. 580)

Ricciarda Simoncelli
Franca Parise Badoni

Regione dell'Italia peninsulare, attribuita al Mezzogiorno per le condizioni naturali, i caratteri demografici e le vicende storico-economiche. È la più giovane regione italiana essendosi distaccata nel 1963 dall'Abruzzo al quale apparteneva amministrativamente con la sua unica provincia di Campobasso. Ha una superficie di 4438 km2, suddivisa in 136 comuni, e una popolazione residente di 330.475 ab. nella stima del dicembre 1976. Il M. si divide in due province: a oriente Campobasso, capoluogo regionale, 2909 km2 e 235.935 ab. (nel 1976) e a occidente Isernia (1529 km2 e 94.540 ab., sempre nel 1976), costituita nel 1970 per la sottrazione alla provincia di Campobasso della regione propriamente di montagna.

Il confine con le province dell'Aquila e di Chieti include nel M. i rilievi del M. Capraro (m 1730) e del M. Campo (m 1746), quindi, seguendo in parte il f. Trigno, raggiunge l'Adriatico lungo il quale scende per una quarantina di km. Il Fortore segna a sud un tratto del limite amministrativo tra la provincia di Foggia e il M. che poi incontra i monti del Sannio dividendoli a metà con la provincia di Benevento. Il confine sale, quindi, capricciosamente lungo il Matese che attraversa da est a ovest, lasciando il versante meridionale alla provincia di Caserta. Abbandonato il Volturno, include a nord le Mainarde, tocca i monti della Meta e piega a oriente, assegnando all'Abruzzo la Marsica. Per antica consuetudine i molisani distinguono il M. in due parti, Alto e Basso M.: nella prima, a occidente, comprendono i maggiori rilievi dai quali però escludono il Matese, quasi a sottolinearne la perifericità, nella seconda, a oriente, tutta la regione collinare digradante verso l'Adriatico.

I problemi del M. sono gravi, siano essi di ordine naturale, antropico o economico. Il paesaggio stesso tradisce la povertà delle risorse regionali e gli enormi sforzi compiuti dall'uomo per adattarsi a un ambiente in gran parte sfavorevole. Soltanto a sud-ovest, lungo la piana di Venafro, la campagna è ricca e verde; subito dopo, nell'Isernino, i cereali sostituiscono i foraggi e tra gl'immiseriti olivi affiorano terreni sassosi coltivati nel passato e oggi, di massima, destinati a pascoli aridi. Boschi, cedui e d'alto fusto, coprono il versante settentrionale del Matese, le alte valli del Volturno, del Sangro e del Trigno, ma in complesso risultano poco estesi. I molisani, infatti, per l'insalubrità delle valli, a queste preferirono la montagna, depauperandovi il patrimonio forestale che per secoli costituì l'unica loro risorsa insieme con l'attività pastorale, prima che l'agricoltura si potesse maggiormente diffondere tra le insalubri terre collinari. Il passaggio dalle forme di economia silvo-pastorale della montagna a quelle prettamente agricole della collina non si traduce nemmeno oggi in un insediamento umano diverso per forme o dimensioni. Sia nell'Alto come nel Basso M. la popolazione vive in piccoli e piccolissimi centri: nel primo fu l'orografia a esigere, per i tortuosi percorsi montani, un insediamento minuto; nel secondo, invece, furono le condizioni geomorfologiche della collina ad assegnare giri viziosi al tracciato stradale per sottrarlo ai movimenti franosi determinandovi, come nella montagna, una fitta maglia di piccoli centri abitati. Questi, quando dalla coltre argillosa emerge il solido calcare, si arroccano sulle sommità collinari per affacciarsi su valli generalmente ampie e deserte, le cui caratteristiche geopedologiche hanno imposto un'agricoltura estensiva, scoraggiante ogni forma d'insediamento umano sparso tra i campi. Poste quasi sempre a corona dei centri abitati, le rare colture arboree o arbustive non inducono alla dispersione della casa rurale, mentre i fondi mantengono intatto il loro indirizzo cerealicolo. Le campagne si fanno poi più vivaci nei dintorni di Campobasso, nel Larinese e nel Termolese, per una maggiore varietà culturale e presenza di case poderali, sostenute da proprietà fondiarie mediamente più ampie. Ma le poche e sempre limitate aree a maggiore intensività culturale non valgono a sollevare la cronica depressione economica del M., denunciata, in maniera inequivocabile, dalla continuità e dalle dimensioni dell'emigrazione che nel corso del secolo ha fatto addirittura decrescere il numero degli abitanti del M. (355.000 residenti nel 1861 e 330.475 nel 1976). Ma è fenomeno di vecchia data. Si può affermare che da decenni e decenni nessuna generazione di molisani sia mai riuscita a sottrarsi all'amara esperienza dell'emigrazione: prima emigravano come semplici braccianti o pastori al seguito di gregge transumanti nel Tavoliere o nella Campagna Romana, poi l'emigrazione oltreoceano portò definitivamente via alcune decine di migliaia di individui. Infine, nell'ultimo ventennio, quasi un quarto della popolazione è emigrata: temporaneamente nei paesi europei, o per sempre nel continente americano, nelle aree industriali dell'Italia settrionale e, soprattutto, nella capitale, aggiungendosi a una già cospicua colonia di molisani. L'intensità dell'esodo ha profondamente alterato i caratteri demografici della regione, abbassando sensibilmente l'incremento naturale (dal 9,8‰ del 1955 al 3,9‰ del 1974), elevando l'età media della popolazione e modificando il rapporto numerico fra i due sessi. Così come nel passato, l'esodo oltreoceano travolse l'Alto M. spopolandone i centri, negli ultimi venti anni il flusso migratorio ha decimato la popolazione della collina interna e litoranea, dove la pressione demografica non riusciva a trovare un adeguato sbocco in attività extra-agricole, mentre l'agricoltura andava liberando un crescente numero di braccia. Lo spopolamento che ha colpito i centri appenninici o subappenninici del M. non ha dunque risparmiato nemmeno quelli della collina adriatica. Tra il 1961 e il 1971 soltanto in una mezza dozzina di comuni (Campobasso, Campomarino, Isernia, Montemitro, Termoli e Venafro) si può osservare una crescita demografica, di dimensioni (assolute o relative) consistenti soltanto nei due comuni capoluogo di provincia (residenti a Campobasso 34.011 nel 1961 e 45.343 nel 1976; residenti a Isernia 12.781 nel 1961 e 18.004 nel 1976) e in quello di Termoli (residenti 11.278 nel 1961 e 19.331 nel 1975) per le funzioni amministrative svolte dai primi e per le maggiori risorse economiche dell'ultimo centro. Termoli, infatti, si giova di un porto che ne anima l'attività turistico-commerciale con le isole Tremiti, di un retroterra agricolo ricco di colture irrigue e industriali, di uno zuccherificio e, quindi, del recente insediamento automobilistico e siderurgico, comunque inadeguati al problema dell'occupazione. Anche il massiccio intervento della Cassa per il Mezzogiorno - che ha profondamente ristrutturato la rete stradale del M. attraverso numerose varianti o nuovi tracciati, come la fondovalle del Biferno - mentre spezzava l'isolamento dei centri e offriva ai molisani nuove occasioni di lavoro, si mostrava altrettanto insufficiente alla crescente domanda locale alimentata dall'inarrestabile esodo dalle campagne. Nel M. l'esodo agricolo (occupati nell'agricoltura 152.870 nel 1951 e 55.708 nel 1971) assume un significato assai complesso per il ruolo tuttora svolto dall'agricoltura nell'economia della regione (48,2% dell'occupazione totale e 22,8% del reddito lordo regionale nel 1971). Alle trasformazioni subite dall'attività primaria (abbandono delle terre marginali, specializzazione dell'allevamento, meccanizzazione del lavoro nei campi, crisi dell'azienda mezzadrile e della piccola proprietà coltivatrice diretta, ecc.) non ha fatto seguito un adeguato sviluppo dell'attività secondaria, che, al censimento del 1961, ancora incapace di superare il mercato locale, viveva in funzione esclusiva di quell'economia rurale. Malgrado il suo scarso sviluppo industriale, anche il M. ha oggi le sue manifatture in cui spicca il settore della meccanica (Fiat di Termoli con 3000 addetti), quello della lavorazione dei minerali non metalliferi (cementificio di Guardiaregia), quello siderurgico (soc. Stafana di Termoli), quello dell'estrazione degl'idrocarburi e, infine, quello alimentare. Quest'ultimo, decimato nel numero dei suoi frantoi, molini, pastifici e caseifici, ha perduto il primitivo carattere artigianale e assunto quello di un'industria più moderna. Il quadro economico del M. è, dunque, uno dei più drammatici per la povertà delle risorse economiche e per la sua cronica emorragia emigratoria che minaccia di compromettenne definitivamente ogni prospettiva di sviluppo.

Bibl.: L. Ranieri, La media e alta valle del Biferno, Roma 1956; D. Ruocco, L'alta valle del Volturno, ivi 1956; V. Langella, Il Matese, ivi 1964; M. Cataudella, La casa rurale nel Molise, Firenze 1969; R. Simoncelli, Il Molise - Le condizioni geografiche di una economia regionale, Roma 1969; M. Fondi, Abruzzo e Molise, Torino 1970.

Archeologia. - I nuovi scavi, avviati nel 1959, nei pressi di Pietrabbondante (un tempo erroneamente identificata con Bovianum Vetus), dove erano stati scoperti, intorno alla metà dell'Ottocento, un teatro in opera poligonale databile fra lo scorcio del 20 secolo e i primi decenni del 1° e un piccolo tempio (a) dedicato dal meddix Gn. Staio Stabidino probabilmente nel corso del 2° secolo, hanno posto in luce dietro la cavea del teatro un secondo tempio (b), di dimensioni maggiori, su alto podio, prostilo, tetrastilo di ordine corinzio (con ante e triplice cella). Al tempio, separato dal teatro da un muro di terrazzamento e costruito alla medesima epoca del teatro, si accedeva per mezzo di una gradinata rientrante nel podio. Dalla sua area provengono numerose terrecotte architettoniche; due altari sono stati rinvenuti nello spazio fra tempio e teatro. Saggi di scavo sono stati effettuati nell'edificio scenico del teatro, che ricorda quello del "teatro grande" di Pompei prima dei rifacimenti sillani, ma con le due brevi arcate sopra le parodi presenta caratteri di transizione al tipo di teatro romano. Teatro e tempio b costituiscono gli elementi di un unico complesso monumentale, e testimoniano del potenziamento di un centro fin allora modesto, inserito nella dinamica di un'economia pastorale, negli anni che precedettero la guerra sociale. Il nuovo assetto dovette essere il risultato di una determinata volontà politica, che fece di Pietrabbondante il centro di un'attività di carattere confederale: ne sono la prova il rapido e progressivo immiserimento della zona e il precoce abbandono del santuario nel periodo immediatamente successivo al conflitto con Roma. A Sepino, in località Torrevecchia, sono state esplorate le mura della città sannitica distrutta nel 293 da Papirio Cursore. Il quadrilatero della cinta muraria, costruita probabilmente nell'ultimo quarto del 4° secolo, è costituito da due cortine sovrapposte in opera poligonale. La cortina superiore risulta arretrata rispetto a quella inferiore: l'intervallo è occupato da un'ampia piattaforma. La cortina inferiore poggia direttamente sulla roccia, e con il suo terrapieno offre un solido piano di posa al terrapieno superiore. Entrambe le cortine presentano in più di un settore banchine di fondazione fatte di grandi blocchi disposti sopra una fronte curva. Delle tre porte identificate nel percorso delle mura è stata integralmente scavata la Postierla del Matese. Il suo vano è ricavato interamente nel terrapieno inferiore; la copertura è realizzata con lastroni di pietra posti in piano; l'architrave è raddoppiato sulla facciata interna. Il pavimento è costituito dal banco di roccia. All'esterno una banchina collega il vano della porta a un masso inclinato che doveva costituire una rampa naturale alla strada di accesso. All'interno la soglia della porta immette in un passaggio scoperto compreso fra due avancorpi a paramento poligonale. Nella città romana, in località Altilia, sono stati restaurati, invece, il teatro, la porta di Benevento e la fontana cosiddetta del Grifo.

A Isernia, la cui storia urbanistica è stata oggetto di recenti ricerche topografiche, sono stati esplorati due dei monumenti sepolcrali, che fiancheggiavano, in località Quadrella, il tratto della strada romana che conduceva a Venafro: il primo a tamburo cilindrico su base quadrata, il secondo a esedra appartenente al Collegium Fabrum Aeserninorum. Da essi provengono numerosi cippi di servizi augustali e urnette a forma di scrigno. I resti del tempio incorporati nel lato orientale della cattedrale sono stati datati al sec. 3° e posti in connessione con la fondazione della colonia latina.

A Venafro, dove non rimangono tracce dell'abitato sannitico, situato verisimilmente nell'area occupata oggi dal borgo medievale, è stato riconosciuto il disegno urbanistico connesso con la fondazione della colonia augustea. La cinta muraria è documentata probabilmente da un muraglione in opera incerta nei pressi della cattedrale. Nota è l'ubicazione del teatro; mentre le murature in opera incerta dell'anfiteatro sono conservate sotto edifici secenteschi disposti a ellisse. Un complesso di terrazzamenti con sostruzioni in opera poligonale, pertinenti a una villa o a un santuario e databili a non più tardi del periodo sillano, è situato nei pressi della chiesa della Madonna della Libera. Una replica dell'editto augusteo relativo all'acquedotto che collegava Venafro al Volturno è stata rinvenuta, da ultimo, presso le sorgenti del fiume.

Indagini topografiche compiute sul Monte Vairano presso Campobasso hanno portato al riconoscimento di un insediamento sannitico, del quale è conservata per quasi tutto il perimetro la cerchia muraria riscontrabile con quella di Sepino e come questa databile agli ultimi decenni del sec. 4°. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Enc. Arte Antica, IV, Roma 1961, p. 230, sub v. Isernia: G. Golonna, Saepetinum. Ricerche di topografia sannitica e medievale, in Arch. Class., XIV (1962), p. 80 segg.; A. La Regina, Venafro, in Quad. dell'Ist. di Top. ant. dell'Univ. di Roma, I (1964), p. 55 segg.; Enc. Arte Antica, Roma 1965, p. 160 segg.; sub. v. Pietrabbondante; ibid., VII (1966), p. 201 segg.; sub v. Sepino; A. Pasqualini, Isernia, in Quad. dell'Ist. di Top. ant. dell'Univ. di Roma, II (1966), p. 79 segg.; A. La Regina, Il tempio della colonia latina di Aesernia, in La cattedrale di Isernia nella storia e nell'arte, Napoli 1969, p. 27 segg.; H. Blanck, Archäologische Funde und Grabungen in Mittelitalien, in Arch. Anz., 1970, p. 330 segg.; Enc. Arte Antica, Suppl., Roma 1973, p. 379, sub v. Isernia; p. 894 seg., sub v. Venafro; M.J. Strazzulla, Il santuario sannitico di Pietrabbondante, Roma 1973; M. Gaggiotti, La fontana del Grifo a Saepinum, ivi 1973; G. De Benedittis, Il centro sannitico di Monte Voirano presso Campobasso, ivi 1974.

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