MOLISE

Enciclopedia Italiana (1934)

MOLISE (A. T., 24-25-26 bis)

Paolo DE GRAZIA
Cesare RIVERA

Il nome Molise compare nell'alto Medioevo come quello di una contea normanna e deriva da quello del castello di Molise (oggi piccola borgata fra Torella e Duronia). La contea, nella sua massima estensione, raggiunse il Volturno, il Trigno, il Fortore, i monti del Matese e il Mare Adriatico, confini conservati all'incirca nelle successive divisioni, fatte dai suoi varî dominatori. Il Molise non costituì mai un'unità amministrativa a sé, ma fu aggregato prima alla Terra di Lavoro, poi alla Capitanata, con la quale rimase unito fino al 1807, per poi formare una provincia autonoma. Effimeri furono i suoi nomi e le sue divisioni nel 1799; soltanto comparve come capoluogo Campobasso, designata a tale ufficio dalla sua posizione privilegiata per le comunicazioni con la Puglia e per le sue industrie. Nel 1860 furono staccati dal Molise 15 comuni per contribuire a formare l'unità territoriale della nuova provincia di Benevento, ma in compenso gli furono aggregati 13 comuni dalla provincia di Caserta, ridotti poi a 12 per l'inclusione di Presenzano nella Campania; nel 1927 furono aggiunti Cercemaggiore (prov. di Benevento) e 7 comuni della soppressa provincia di Caserta, sicché oggi il Molise ne conta 120.

I suoi limiti attuali sono segnati a NE. dal Mare Adriatico, fino alla foce del Trigno, di cui seguono poi per un tratto il corso; formano in seguito un grande arco, a linee spezzate, fino alle falde del M. Meta, scendono lungo il displuvio orientale dell'Appennino (affluenti del Volturno), entrano con un cuneo nella Campania, risalgono il displuvio del Matese, poi seguono il corso del Fortore dalle sorgenti, e successivamente quello del torrente Saccione, fino all'Adriatico. L'area del Molise è di 4617,96 kmq., secondo i calcoli del 1931.

Caratteristiche fisiche. - L'Appennino Molisano, grande muraglia tra l'altipiano Sannita e la Campania, continua la direzione dell'Appennino Abruzzese (v. abruzzo). Vi s'innalzano i gruppi del Matese e delle Mainarde con le loro diramazioni che si abbassano al valico di Rionero (1020), tra le valli del Biferno e del Tamaro, poi si elevano in cime isolate fino a 1600-1800 m. (M. Capraro, 1826 m.; la Montagnola presso Civitanova, 1720 m., ecc.), le quali sormontano altipiani interrotti da conche ristrette. Nelle parti più alte dei rilievi prevalgono rocce calcaree, nelle zone più basse arenarie, marne e argille dell'Eocene, nelle quali il Trigno, il Biferno, il Fortore, a regime piuttosto torrentizio e che non superano i 100 km. di corso, hanno scavato profondi solchi di erosione, favorendo le frane, che numerose lacerano i pendii, e danneggiano le aree coltivate e numerosi centri abitati. Non rari sono anche nel Molise i terremoti.

Nel Molise, per la varietà di altitudini, che vanno dalla bassa spiaggia adriatica alle alte vette delle montagne interne, superanti i 2000 metri, il clima è molto variato. I venti boreali invernali sulle montagne più elevate mantengono la neve talvolta fino a giugno. Il massimo delle piogge si ha nell'inverno; esse producono spesso frane e impaludamenti lungo le valli dei fiumi e la cimosa litoranea, onde la malaria insidia gli abitanti, specie quelli del basso Larinese. Frequenti le nebbie fitte, le brinate, le gelate.

Popolazione. - La popolazione del Molise, nei varî censimenti, ha presentato le seguenti cifre:

L'aumento del 5,18% dal '61 al '71 discende al 0,70% nel decennio successivo; mentre dall'anno 1881 al 1901 la popolazione è quasi stazionaria. Dal 1901 al 1911 si è verificata una diminuzione del 2,5%, e dal 1911 al 1921 una diminuzione del 2,6%, per le forti correnti di emigrazione. I vuoti di popolazione si sono colmati appena si è limitato l'esodo.

Le cifre della popolazione agglomerata e sparsa (nel 1901, rispettivamente 325.591 e 41.180; nel 1911, 307.083 e 42.525; nel 1921, 290.755 e 50.154) dimostrano un fenomeno notevole, in quanto la diminuzione degli abitanti è stata un fattore dell'aumento della popolazione nelle campagne, specialmente nell'Iserniano, territorio fertile e irriguo nell'alta valle del Volturno.

I varî censimenti registrano maggior numero di femmine sui maschi per effetto dell'emigrazione. Nel 1921 i maschi rappresentavano il 47% del totale. Nel 1931 la percentuale delle nascite era del 18,63; dei matrimonî, dell'8,63; dell'eccedenza dei nati sui morti, del 15,91.

Gli Abruzzesi e i Molisani diedero per il passato grande contingente emigratorio; da 413 individui emigrati nel 1876 si raggiunsero nel 1913 i 62 mila individui; la diminuzione della popolazione del Molise dal 1901 al 1911 è dovuta ai suoi 32 mila emigrati nel quinquennio 1885-89. Nel 1920, l'esodo abruzzese e molisano era disceso a 49.775 individui, poi è andato sempre più assottigliandosi, fino a ridursi, nel 1930, per il solo Molise, a 2298 emigrati per l'estero.

L'emigrazione interna a scopo di lavoro dell'Abruzzo e Molise è assai scarsa in confronto di altre regioni italiane: 1928, ab. 782; 1929, ab. 1233; 1930, ab. 1403; 1931, ab. 745. Un indice notevole dell'emigrazione estera e interna, quantunque non preciso, per le varie epoche asincrone in cui si sono fatti i censimenti, è dato dal divario di più di 40.000 abitanti nel 1911, e di 11 mila nel 1931, tra popolazione residente e presente; nel 1911 erano emigrati in comuni del regno 6231 abitanti; nel 1921, 7556. Emigrano nell'interno abitualmente arrotini, fabbri, calderai, lupinai, cenciaioli, boscaioli, pastori e professionisti.

Ai Molisani negli ultimi secoli si sono variamente commisti Slavi, Albanesi e Dalmati. Gli Slavi hanno formato delle isole etniche presso la costa settentrionale adriatica (Acquaviva Collecroce, San Felice e Montemitro), gli Albanesi si sono stanziati nel basso Molise e verso il litorale.

L'istruzione era in passato in condizioni infelicissime, per l'eredità di lunghi periodi di trascuranza, ma, dopo l'unificazione d'Italia, anche il Molise è progredito di molto: basti dire che nel 1861 gli analfabeti erano l'83,69%, nel 1921 il 53,3, di cui maschi 60,2, femmine 47,2%; c'è ancora molto da progredire. Le comunicazioni vicinali difficili, e il lavoro dei campi, affidato anche ai fanciulli, sono i due grandi impedimenti alla diffusione dell'istruzione. Istituti privati e pubblici provvedono all'istruzione media, e sono in aumento.

Il popolo Molisano è religioso, ma non asceta: vede nel suo lavoro la grazia di Dio", nelle sue cattive azioni lo spirito del "Maligno", nelle sue infermità e sventure il "castigo di Dio". Il demonio fa avvenire anche il terremoto, battendo la zampa sulla schiena d'un morto ucciso. La donna si punisce e si concilia con la divinità, salendo in ginocchio i gradini della chiesa e trascinando la lingua sul pavimento di essa. Ogni paese ha uno o più santi protettori, in onore dei quali celebra feste rumorose, e che porta in processione anche per implorare la pioggia. A Guardiaregia si esegue una processione imponente con luminarie di torce a vento per la festa di S. Nicola, fra canti e spari; una tregenda infernale di schioppettate diventa la processione nel paese di S. Giuliano. Nel Larinese, in occasione di feste, fanno le carrere con carri rivestiti di lenzuola, di drappi, di fiori, trainati da buoi, anch'essi infiorati, per ricordare certi animali che si sarebbero inginocchiati, in epoca remota, dinnanzi alle reliquie del Beato Leone. I misteri di Campobasso sono macchine singolari rappresentanti 12 sacre scene, che dal 1718 sono portati dalla folla nella processione del Corpus Domini.

I pellegrinaggi più noti e frequentati sono quelli a S. Nicola di Bari, a S. Michele del Gargano, e all'Incoronata di Foggia. Ogni paese poi fa il suo pellegrinaggio a santuarî campestri. Leggende di santi e di Madonne eccitano la fantasia del popolo, insieme con quelle di maghi, di draghi, di visioni ascetiche. Curiosa una leggenda, diremmo etnica; le donne di Venafro e di Bonefro portano vesti e abbigliamenti identici, perché un tempo quei di Bonefro rapirono delle Venafrane, che si recavano a S. Michele del Gargano, in contrada "Pianto delle donne". È rimasta in qualche paese, come a Riccia, la maggiolata, che consiste in un fantoccio di canne tutto rivestito di fiori e frutta, portato in giro da un uomo nascosto dentro, mentre il popolo canta. Le donne vestivano ricchi costumi, che gli abiti moderni vanno ora sostituendo. Le gonne brune a mezza gamba, arricciate nella schiena, i corsaletti multicolori, le camicie finissime ricamate e i ricchi monili d'oro sono ormai divenuti rarissimi. I Molisani avevano i loro canti, ma oggi preferiscono la canzonetta napoletana; la poesia popolare agonizza: l'emigrazione e il cresciuto benessere vanno distruggendo usi e costumi patriarcali.

Condizioni economiche. - L'agricoltura è l'occupazione della maggior parte (75% circa) degli abitanti, ma essa, a causa della natura del suolo, dà scarsi prodotti, sufficienti appena ad alimentare il consumo interno e una piccola esportazione. Secondo il catasto del 1909, oggi in revisione, su una superficie territoriale di 461.796 ettari, la superficie agraria e forestale sarebbe di 440.344 ettari, di cui seminativi semplici 192.494 ha., arborati 100.883, prati e pascoli permanenti 45.636, vigneti, uliveti e altre colture esclusive di piante legnose 21.670, boschi e castagneti 69.273, incolto produttivo 10.388. Eccettuati i possessi comunali e demaniali e poche proprietà private superiori ai 300-500 ha., prevale nella zona bassa del Larinese e del Venafrano la media proprietà terriera (con conduzione a colonia), nelle zone di montagna la piccola proprietà (con conduzione diretta).

Le granaglie sono il principale prodotto dell'agricoltura molisana: nel triennio 1930-32 il frumento, coltivato in media su 136.127 ha., diede una produzione di q. 1.222.833; il granoturco su ha. 65.472, q. 423.380; l'avena su ha. 10.240, q. 86.806. Vengono poi le fave da seme, che nel 1930-32 su ha. 22.154 diedero in media q. 290.010, le patate, i fagioli. Fra i prodotti seminativi hanno anche qualche importanza economica i pomodori, nonché alcuni altri ortaggi e leguminose, e un po' anche la canapa, il lino, il tabacco (Boiano).

In ha. 33.651 di prati artificiali ed ha. 36.582 di pascoli permanenti si ottenevano in media rispettivamente q. 1.136.233 e q. 48.173, di foraggi, più una produzione media di q. 30.896 nei prati naturali asciutti, di q. 82.066 negli erbai annuali e q. 83.370 in colture foraggere diverse.

Estesa è la coltivazione della vite e dell'ulivo, quest'ultimo anche in vere e proprie selve, come a Boiano: nel 1930-1932 i vigneti in coltura promiscua e quelli in coltura specializzata occupavano rispettivamente ha. 1702 e 17.881, dando una produzione complessiva di q. 528.596 (hl. 376.746 di vino); gli uliveti invece occupavano ha. 37.279 in collina promiscua e ha. 3096 in collina specializzata, dando una produzione complessiva di q. 283.470 (hl. 51.713 di olio). Mele, pere, frutta polpose, noci e fichi si ottengono per qualche decina di migliaia di quintali.

Fra le attività complementari dell'agricoltura, ha una discreta importanza l'apicoltura. Scarso è l'allevamento del bestiame, per mancanza di prati irrigui. Nel 1932 si contavano 12.567 cavalli, 29.163 asini, 13.144 muli, 31.032 bovini, 217.244 ovini, 39.920 caprini, 41.847 suini. Cavalli e muli sono sostituiti al bue nei lavori campestri. I bovini, che non si allevano per macello, sono del ceppo podolico; si alleva in purezza o per incrocio la razza bruna, e anche la razza olandese nero-pezzata. Gli ovini costituiscono il maggiore allevamento: i pastori (butteri, massari, quagliuni) con le loro greggi ovine svernano nel Tavoliere di Puglia; nel giugno salgono lungo gli erbosi tratturi, al Matese, alla Maiella, al Miletto per estivarvi fino a tutto settembre; da migliaia di anni, questa transumanza si svolge con un ritmo rituale. La produzione della lana prende il nome di gentile di Puglia ed è ben quotata nei mercati. Esteso è pure l'allevamento dei suini e degli animali da cortile per consumo domestico, e nella zona del basso Larinese l'allevamento semibrado del tacchino. Abbondante e redditizia la pesca nell'Adriatico, che si esporta largamente, e quella di trote, anguille, capitoni nei fiumi, di cui si fa consumo locale.

Al contrario dell'agricoltura, l'industria nel Molisano ha scarso sviluppo, ed è rappresentata in genere da piccole e medie aziende di importanza puramente locale. Il censimento del 1927 accertava 7179 esercizî industriali con 16.399 addetti, di cui soltanto 9 con un numero di addetti superiore a 100, e 10 con un numero di addetti da 51 a 100. Nel 1931 il capitale investito nell'industria si calcolava in 90 milioni, dei quali 22 in molini (Campobasso, Gallo, Larino, ecc.), 9 in pastifici (Isernia, Campobasso, Termoli, ecc.), con esportazione nelle provincie limitrofe e anche un po' in America, 19 nell'industria edile e nelle opere pubbliche, 7 nell'industria dei laterizî, 6 nei frantoi, 3 nelle industrie boschive, ecc. Decadute sono le antiche industrie della lavorazione e tintura dei panni, delle concerie dei cuoi, del ferro battuto, dell'intaglio in legno; il grandioso impianto dell'Ente Volturno, fornitore di energia elettrica alla città di Napoli, ha fatto sorgere cartiere a S. Vincenzo, a Colli, a Castellone. Si fanno ancora lavori in acciaio a Campobasso, a Forsolone, a S. Elia, che gareggiano con altri nei mercati nazionali. Notissime le industrie dei pizzi e merletti a tombolo (Isernia, Tavenna, ecc.). L'arte di fondere le campane, praticata un tempo in molti paesi, è oggi ristretta alla sola Agnone, nota anche per industrie di lavori in oro, in argento, in bronzo, in rame. Si fabbricano liquori a Boiano e a Campobasso, Lungo la costa adriatica si trova qualche approdo peschereccio su scali fluviali; nel piccolo porto di Termoli vi è importazione di legname dalla Dalmazia. Esistono centrali elettriche a Rocchetta al Volturno (15 mila kW), a Prato Sannita (8 mila kW), a S. Massimo (3 mila kW), a Oratino, ecc.

Fino al 1817, il Molise non aveva che tratturi e strade mulattiere, inerpicantisi per i monti che solcavano i letti dei fiumi senza ponti: le antiche strade romane, che s'incrociavano a Isernia e proseguivano per Boiano e per Brindisi, erano abbandonate e interrotte: raramente era percorsa la Via Traiana, lungo il litorale adriatico, spesso inondata e malarica e mal sicura. Vie interne, dall'Umbria, dall'Abruzzo, dalla Puglia, dalla Campania (CaianelloIsernia) raggiungevano, con mille difficoltà, paesi molisani. E caduta Roma, si spensero i traffici che con essa avevano Larino e Venafro, che le mandava i suoi olî. Una via storica medievale era la Barletta-Montecassino, che toccava Campobasso e Boiano, oltre il quale raggiungeva Termoli sul mare.

La prima rotabile fu aperta sull'Adriatico, altre in seguito ne vennero incominciate nel fervore delle opere pubbliche, dopo il 1860, e continuate poi incessantemente, dopo l'avvento del fascismo. Queste rotabili sono oggi percorse in gran parte da autoservizî: dal capoluogo Campobasso ne partono 8 linee, che si diramano a raggiera per i varî comuni. Dalla ferrovia adriatica, che è per 34 km. nel Molise, a Termoli, si dirama una linea secondaria che segue per un tratto la valle del Biferno e poi il suo displuvio di destra, tocca Larino e Campobasso: si biforca a Vinchiaturo in due rami, l'uno porta a Benevento, l'altro attraversa la parte occidentale della regione: a Pescolanciano s'inizia una breve (38 km.) linea per Agnone che serve altri paesi. Per le comunicazioni con l'Italia settentrionale i Molisani raggiungono le stazioni sulla linea adriatica; per l'interno (Napoli e Roma) la Isernia-Caianello, che si congiunge appunto con la ferrovia che unisce quelle due grandi città, dalle quali ricevono prodotti industriali. Il commercio è limitato a materie prime e a pochi manufatti.

Centri abitati. - Il Mare Adriatico, assai importuoso in questa parte, non ha consentito il sorgere di centri: Termoli (34 m. s. m.) è posta su una rupe facilmente difendibile; Campomarino (52 m. s. m.) si è avanzata verso le sue terre dunose, bonificate e lavorate intensamente. Gli altri centri, sospinti dalle incursioni e dalla malaria verso l'interno, occupano spesso alture superiori ai 1000 m. I paesi sono poco popolosi: solo Campobasso ha raggiunto (1931), 27.402 ab. Quasi tutti i paesi hanno recente sviluppo edilizio; e nuovi centri sono sorti, specie per l'apertura di nuove strade.

Dopo il capoluogo, i centri più popolosi sono Isernia (16.437 ab.), Agnone (10, 175 ab.), Venafro (9476 ab.), Boiano (8553 ab.), Larino (7089 ab.) e Termoli (7899 ab.).

V. tavv. CXXI-CXXIV.

Storia. - Il territorio fu, durante il sec. X, tenacemente conteso fra Longobardi e Bizantini. Disfatti questi dal principe Pandolfo Capodiferro nel 970, il movimento di secessione che aveva avuto inizio con la separazione di Salerno e di Capua dal principato di Benevento, continuò pure tra le stesse popolazioni di stirpe sannitica. Nella parte settentrionale suddetta troviamo, intorno a questa epoca, costituite ben 9 contee d'origine quasi tutte longobardica, cioè: Venafro, Isernia, Campomarino, Trivento, Boiano, Sangro, Pietrabbondante, Termoli e Larino. Queste contee si trovarono ben presto di fronte agl'invasori normanni. Il conte Bernardo d'Isernia già nel 1064 dipende dal principe di Capua; Venafro nello stesso anno è sotto lo stesso principe e la contea finisce nel 1118. Larino nel 1045 era già in armi contro i Normanni e la contea finisce nel 1060. Trivento accanto a Pietrabbondante fra il Trigno e il Sangro fu contea fin dallo scorcio del sec. X, finita alla fine del sec. XI. Ma Campomarino, appendice alla contea di Larino e sotto la stessa dinastia, sorta al principio del sec. XI presso le bocche del Biferno sulla rovina dell'antica Cliternia nel 1063 obbedisce ancora a Benevento ed è poi uno dei nuclei della contea normanna di Loritello. Termoli, tra il basso Trigno e il basso Biferno, dominata dai Bizantini prima del 1000 e poi dai conti di Teate è assorbita anch'essa dalla contea di Loritello. La "Terra Bullellensium" dominata dai potenti "figli di Borrello", di stirpe salica, verso la metà del sec. XI guerreggiava con il principe di Capua, Pandolfo III, contro Guaimario principe di Salerno: ma i Borrelli vennero sconfitti dai Normanni d'Aversa. Alleati poi con i conti dei Marsi loro consanguinei e con Richerio abate di Montecassino, riescono a snidare i Normanni dalle terre cassinesi. Nel 1053 combattono a Civitate per Leone IX contro i Normanni. Una spedizione del principe Riccardo di Capua contro di essi fallisce completamente. Riccardo stesso richiede il loro aiuto per la conquista della Campania, ma i Borrelli tornano a osteggiarlo per proteggere Onorio II contro Alessandro III, favorito dai Normanni. A questi i Borrelli si riaccostano allorché nel 1067 li guidano all'invasione delle terre dei conti dei Marsi. Con questa tattica poterono i Borrelli conservare la loro indipendenza fino al 1098 allorché troviamo uno di essi, Bernardo, vassallo del conte Ugone di Molise. Così aveva nome la contea normanna che riunì, prima o dopo l'estinzione delle vecchie dinastie, tutte le antiche contee longobarde o normanne del territorio. Le prime origini di questa contea esclusivamente normanna non sono, in ogni caso, anteriori al 1053.

Il vero nucleo della contea fu Boiano, antica capitale dei Pentri, alle fonti del Biferno e ai piedi del Matese. Nella seconda metà del sec. IX aveva fatto parte con Isernia e Sepino del gastaldato, di cui Romualdo duca di Benevento aveva investito il bulgaro Alseco e la sua banda. Circa lo stesso tempo si era alleata con Gerardo, conte di Marsi, e Lamberto, duca di Spoleto, contro i Saraceni. Ora assorbiva le contee d'Isernia e Venafro e gran parte del territorio dei Borrelli. Signore di questo primo nucleo è il normanno conte Rodolfo, cui succede Guimondo padre di Rodolfo II. Nel 1092 Rodolfo è signore d'Isernia sotto il vassallaggio del principe di Capua Giordano. Ugo I, successogli nel 1095, estende le frontiere dell'avita contea verso l'alta valle del Volturno e la terra Borrellense.

Al figlio Simone (1123) di Boiano succedeva Roberto, primo conte di Molise, al quale succedeva Ugo II (1128-1160), figlio di Simone (morto nel 1117). Nel 1134 il conte Ugo II si schiera con Roberto di Capua e Rainolfo d'Alife contro Ruggiero II, re di Sicilia; molti feudi, fra cui Boiano, gli vengono confiscati. Nel 1135 i feudi vinti tornano a ribellarsi e alla discesa di Lotario II, nel 1137, la contea di Molise è di nuovo in fermento contro re Ruggiero. Nel 1138 Venafro resiste al re, che intanto occupa alcune rocche dei Borrelli. Ugo però riesce a riconciliarsi col re, sposando una sua bastarda e concedendogli l'amore di sua sorella, da cui nacque poi il conte Simone. Onde nel 1144 troviamo Ugo giustiziere e i suoi dominî comprendono la maggior parte del territorio intorno a Isernia, Venafro e Larino. Tra il 1154 e il 1160 il Molise era il più forte ed esteso stato continentale della monarchia. Alla morte di Ugo, avvenuta nel 1168, la contea fu dalla reggente, regina Margherita, conferita a Riccardo di Mandra, compagno d'armi di Roberto III conte di Loritello, già ribelle nel 1157-1158. Accusato di cospirazione, riacquista nel 1169 il Molise, in cui gli succede nel 1170 il figlio Ruggero, prima fautore d'Enrico VI, poi combattuto da questo e dai suoi generali, e specie da Corrado detto Moscrin Cervello nuovo conte di Molise. All'alba del sec. XIII il Molise è sotto la signoria dei conti di Celano, i quali esercitarono un'attività di primissim'ordine nella storia delle competizioni fra il partito nazionale e quello tedesco dell'impero al tempo d'Innocenzo III e di Gualtieri di Brienne durante la minorità di Federico II e più tardi alla discesa di Ottone IV. Pietro di Celano e suo figlio Tommaso furono i protagonisti di questa azione. Dopo questo periodo la contea di Molise si estinse come unità feudale e perdette ogni importanza nello svolgersi degli avvenimenti storici posteriori. Ma perdura ancora come divisione permanente amministrativa, continuando come sempre divisa dall'Abruzzo e come avulsa dal resto del Sannio. Il "Comitatus Molisii" fu dal 1221 sede d'un giustizierato insieme con la Terra di Lavoro (Justitieratus Molisii et Terrae Laboris) fino al 1538 e fu aggregato poi alla Capitanata fra il 1531 e il 1533. Finalmente con la legge francese del 27 settembre 1806 il Molise fu eretto in provincia autonoma e cinque anni dopo Gioacchino Murat le aggregò Larino.

Bibl.: G. V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, Isernia 1644; G. M. Galanti, Descrizione dello stato antico ed attuale del contado di Molise, Napoli 1781; D. Romanelli, Scoverte patrie di città distrutte e di altre antichità della regione Frentana, Napoli 1905; P. Albino, Ricordi storici e monumentali del Sanio Pentro e della Frentania, Campobasso 1879; C. Rivera, Per la storia delle origini dei Borrelli conti di Sangro, in Archivio storico per le provincie napoletane, n. s., XLIV, fasc. 1-4, 31 maggio 1920; A. De Francesco, Origini e sviluppo del feudalismo nel Molise fino alla caduta della dominazione normanna, in Archivio storico per le prov. napoletane, XXXIV e XXXV (1909 e 1910); G. M. Masciotta, Il Molise dalle sue origini ai nostri giorni, Napoli 1914 (sono stampati 2 dei 4 volumi); A. Perrella, L'antico Sannio e l'attuale provincia di Molise, Isernia 1890; E. Jamison, The administration of the country of Molise in the Twelft and Thirthent Centurys, in The English Historical Review, CLXXVI e CLXXVII, ottobre 1929 e gennaio 1930; id., I conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, in Atti e Memorie del Convegno storico abruzzese molisano, I, Casalbordino 1933.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata