Modernità

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modernità Carattere di ciò che appartiene ai tempi più recenti. Riferito a persone o a manifestazioni, indica adesione allo spirito e al gusto dei tempi, e quindi originalità ed emancipazione dalla tradizione. Lo spirito della m. spesso connotato da un carattere utopico (nella consapevolezza che un'era si sta aprendo), dalla ricerca del nuovo e dall'interesse per lo specialismo e l'avanguardismo.

Moderno e postmoderno

Nella riflessione contemporanea viene spesso usato il termine postmoderno, per indicare la crisi e il tramonto della m. nelle società del capitalismo maturo, entrate, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell'economia e dei mercati finanziari, dall'aggressività dei messaggi pubblicitari, dall'invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. In contrasto con i caratteri tipici dell'ideologia modernista, la condizione culturale postmoderna si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l'abbandono dei grandi progetti per l'uomo, elaborati a partire dall'Iluminismo e fatti propri dalla m., dando luogo, sul versante creativo, più che a un nuovo stile, a una sorta di estetica della citazione e del riuso, ironico e spegiudicato, del repertorio di forme del passato, in cui è abolita ogni distinzione tra i prodotti 'alti' della cultura e quelli della cultura di massa.

Modernità - approfondimento

di Gianluca Sadun Bordoni

Il termine 'modernità' deriva dall'aggettivo 'moderno', con il quale si può intendere: un'epoca della storia; un tipo di società; una forma dell'esperienza estetica.

Un'epoca della storia

Etimologicamente, 'moderno' significa semplicemente 'ciò che appartiene al presente' (analogamente a 'odierno') ed è in questa accezione che compare per la prima volta nelle Epistulae pontificum di Gelasio, alla fine del 5° secolo. Solo in età carolingia l'espressione seculum modernum comincia ad assumere il senso proprio di un distacco dall'antico, senza tuttavia una chiara distinzione tra antichità pagana e cristiana: nonostante la contrapposizione di S. Paolo tra le "cose vecchie" e le "cose nuove", sorte con la venuta di Cristo, la distinzione tra antiquus e modernus non corrisponde, nel Medioevo, a quella tra 'pagano' e 'cristiano'. Con la cd. rinascita del 12° sec. si afferma l'idea di una possibile superiorità dei moderni, come nella celebre immagine di Bernardo di Chartres, che li indica come nani sulle spalle dei giganti (gli antichi), capaci dunque di vedere almeno un poco più lontano. L'orientamento all'emulazione degli antichi, proprio dell'Umanesimo rinascimentale, mostra bene la complessa gestazione della modernità: esso infatti, mentre ripristina l'idea della superiorità dell'antico, favorisce la genesi del concetto di medium evum, come parentesi negativa, destinato a uno sviluppo determinante in età illuministica. È comunque proprio dalla reazione nei confronti di tale orientamento verso l'esemplarità del mondo antico che si verifica una fondamentale maturazione del problema, all'epoca della disputa letteraria nota come Querelle des anciens e des modernes, sviluppatasi in Francia sul finire del Seicento, e nell'ambito della quale si affermò l'idea della superiorità dei moderni nelle scienze, nelle lettere e nelle arti. L'idea di una perfettibilità nelle arti, analoga a quella delle scienze, non trova tuttavia seguito: Voltaire, nella voce Anciens et modernes del Dictionnaire (1764), afferma la superiorità degli antichi nella letteratura e dei moderni nelle scienze. Si viene così definendo quell'idea di una differenziazione degli ambiti dell'esperienza, ciascuno recante una propria logica di sviluppo e propri schemi di valutazione, che è al centro della voce Moderne dell'Encyclopédie di D. Diderot e J.-B. d'Alambert e che, assieme alla nascente secolarizzazione del potere politico e all'incipiente differenziazione dello Stato dalla società nell'età dell'assolutismo, annuncia la genesi di un nuovo tipo di sistema sociale, dopo quello dell'età feudale. È in questo stesso periodo, tra la fine delle guerre di religione e l'età illuministica, che l'autonomia storica dell'epoca moderna diviene oggetto di una definizione più compiuta, attraverso la determinazione di essa rispetto al passato e al futuro: da un lato, la cultura illuministica elabora il concetto di Medioevo come parentesi negativa, il che implica la comprensione del tempo successivo come una fase nuova e superiore; dall'altro, l'indebolirsi dell'attesa cristiana della fine dei tempi rende possibile l'apertura di un orizzonte del futuro illimitatamente aperto alla novità. Solo così diventa poi possibile distinguere un'età 'moderna' da una 'contemporanea', concetto che sin dall'inizio del 19° sec. viene introdotto, con riferimento prevalente alla cesura rappresentata dalla Rivoluzione francese, e che per la prima volta indica un tempo che si apre davanti a noi, mostrando una crescente accelerazione del mutamento storico e della sua registrazione. Da allora, la modernità come concetto epocale si riferisce a un tempo inteso strutturalmente come transitorio, cioè destinato a essere superato. I tentativi di fissare una cronologia della modernità intesa come epoca, indicandone l'inizio (o magari annunciandone la fine), al di là dell'uso convenzionale, appaiono in tal senso problematici, rispetto a questa consapevolezza ormai acquisita della modernità come presente sempre in mutamento.

Un tipo di società

La consapevolezza di vivere in un'età segnata da profondi cambiamenti determinò d'altro canto, già a partire dalla fine del 18° sec., l'esigenza di chiarire il carattere di novità proprio della società moderna, favorendo la nascita della sociologia, che cerca di radicare l'autodescrizione della modernità sul terreno di una comprensione della sua struttura sociale. A tal fine, il pensiero sociologico ha cercato di misurare la nuova società industriale rispetto a quelle passate facendo leva sul modo di produzione capitalistico (K. Marx), segnato da una rivoluzione incessante dei rapporti sociali, in virtù della quale "tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria" (come si dice nel Manifesto), ovvero sul prevalere di una razionalità strumentale in tutti gli ambiti della vita sociale (M. Weber), su un processo di razionalizzazione che si accompagna a un progressivo 'disincanto' del mondo e all'emergere di un irriducibile 'politeismo' dei valori, in perenne conflitto tra loro.

Una forma dell'esperienza estetica

Il carattere di novità permanente proprio della modernità è stato colto anche nell'esperienza soggettiva individuale, divenendo dalla metà del 19° sec. il centro di gravità di una nuova sensibilità artistica e di una nuova estetica: "la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile", dice C. Baudelaire in Il pittore della vita moderna (1863). La modernità si presenta così come una qualità o una forma dell'esperienza, che l'arte è chiamata a registrare, e che trova nei luoghi tipici della vita moderna, come la città, l'ambito privilegiato della sua rappresentazione. Tra la fine del 19° e l'inizio del 20° sec. i fenomeni artistici da tale esperienza suscitati verranno indicati come arte d'avanguardia. Da allora è anche attiva una tendenza a vedere nella modernità estetica il luogo privilegiato per una comprensione della modernità in generale. Il cd. postmoderno non è probabilmente altro che un'accentuazione dell'esperienza della frammentazione propria della modernità estetica sin dal tardo Ottocento, contrapposta all'idea classica che indicava ottimisticamente la modernità come certezza del progresso, profondamente scossa dalle tragedie del Novecento.

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