MODENA

Enciclopedia Italiana (1934)

MODENA (A. T., 24-25-26)

Mario LONGHENA
Domenico FAVA
Tommaso SORBELLI
Arturo SOLARI
Luigi SIMEONI
Giovanni CANEVAZZI
Adolfo VENTURI

Città dell'Emilia e capoluogo di provincia, posta a 37 km. da Bologna e a 26 km. da Reggio, a 34 m. s. m. La via Emilia l'attraversa dalla Barriera Garibaldi a Porta S. Agostino, per 1,1 km. Un tempo la cingevano mura, sì che la forma che la città aveva era quella di un pentagono col vertice a NO.: ora al posto delle mura, larghi viali alberati, fiancheggiati da villini, girano intorno alla città. La via Emilia divide Modena in due parti disuguali e di carattere diverso: quella a S. di minore sviluppo ha vie strette, brevi, quasi correnti a semicerchio, l'altra a N. è più ampia, ché ha occupato tutto lo spazio fino alla stazione della ferrovia e anche oltre, e poi ha strade più larghe, tutte quasi parallele e tagliantisi ad angolo retto. Pure fuori delle due barriere che limitano il tratto della via Emilia passante per la città, si sono formati, lungo la magnifica strada, vasti sobborghi. Il vero centro cittadino è costituito dalla Piazza Maggiore sulla quale s'affacciano il duomo e il palazzo comunale; intorno a quel primo nucleo si è andata formando la città, prima a S. e poi a N. Il palazzo ducale, del sec. XVII, al limite della città più antica, che aveva forma di ferro di cavallo, indica l'inizio dello sviluppo verso quella parte, proseguito lentamente di poi e divenuto notevole in questo secolo. Due lunghe arterie, create di recente, solcano la città da S. a N., il Corso Vittorio Emanuele II e il Corso Umberto I.

Comunque Modena, che ha parecchie vie fiancheggiate da portici, fra cui alcuni, come quelli del Collegio, famosi, perché in essi s'aduna tutta la vita elegante e lieta della città, presenta l'aspetto, ancor oggi, di capitale: linda e ricca di bei monumenti, gaia, composta. Modena non manca di istituti caritativi e assistenziali; numerosi e variati sono poi gl'istituti d'istruzione (v. appresso).

La magnifica campagna che si stende piana o sale dolce ai primi colli, la fa essere centro di prim'ordine nel commercio dei prodotti del suolo, e i suoi mercati sono affollati. Ma Modena ha anche, intorno a sé, industrie che si possono dire notevoli. Le principali industrie meccaniche si raccolgono nelle vicinanze della città, poiché le Officine costruzioni industriali, la Soc. an. industrie meccaniche, le fabbriche Corni e Rizzi, sono nel comune di Modena, entro il quale funziona il maggior numero di caseifici sociali e privati; e in Modena lavora una Manifattura tabacchi.

Al principio del secolo scorso Modena non aveva che 23.300 ab.; nel 1890 la sola città ne aveva 31.053; nel 1921 erano saliti a 51.320 e nel 1931 a 64.810, sì che in quarant'anni gli abitanti si sono più che raddoppiati.

Il comune di Modena è il più vasto (183.71 kmq.) della provincia e si stende tutto in pianura; in complesso la popolazione dei singoli centri, esclusa Modena, era di 10.443 ab. nel 1921, quasi la metà della popolazione delle case sparse (21.900 ab.).

Nel 1931 gli abitanti del comune di Modena toccavano complessivamente la cifra di 92.757.

Monumenti e arte. - Quando la contessa Matilde diede tranquillità al popolo modenese, questo innalzò nel 1099 al suo santo patrono, il vescovo Geminiano, la cattedrale per opera dell'architetto Lanfranco. L'architettura romanica italiana trovò in essa un esempio fondamentale ch'ebbe continuità a Nonantola, a Ferrara, a Cremona, a San Benedetto di Polirone, a Piacenza, a Verona. Nel movimento delle masse murarie, nella potenza dei contrasti d' ombra e luce, l'architettura romanica raggiunse col duomo modenese un'espressione tipicamente italiana. "Fra gli scultori del duomo", così è detto in un'iscrizione della facciata occidentale, "quanto sii degno d'onore, appare ora, o Wiligelmo, dalla tua scultura". A Wiligelmo scultore si devono la porta principale a occidente del duomo, adorna di figure di profeti entro nicchie e di complicati intrecci di rami con uomini e bestie, come i rilievi sulla facciata con le prime storie della Genesi, grandiose, di severità sacerdotale. Ne continuò l'opera, nel duomo stesso, lo scultore della porta detta dei Principi, con le storie di San Geminiano sull'architrave, e quella della Pescheria con le figure di re Arturo e altri eroi del ciclo bretone sull'archivolto, e con le rappresentazioni dei dodici mesi nell'interno dei piedritti. Intanto si fabbricava la torre, la parte quadrata rivestita di antichi marmi romani raccolti, più tardi compiuta dai maestri campionesi. Quando si giunse alla cella campanaria, lo scultore che aveva lavorato nella chiesa, nel presbiterio e nel coro, ne adornò i capitelli, mentre i marmi veronesi erano portati dalle cave riaperte a dar magnificenza alla porta regia sulla piazza Maggiore. E i marmi veronesi servirono a formare la parte piramidale della torre, che, attorniata da una ghirlanda di colonnine alla base, acquistò impronta di leggerezza e di grazia sue proprie, espresse dal sentimento popolare col titolo di Ghirlandina.

Continuò l'arte nei secoli a recare i suoi tributi alla cattedrale col polittico del Serafini, l'altare gotico delle statuine, le antiche terrecotte del pulpito, l'altare dedicato a San Geminiano, di Agostino di Duccio (oggi frammentario), le tarsie di Cristoforo e Bartolomeo da Lendinara, i resti d'affreschi di Francesco Bianchi Ferrari nella vòlta della sagrestia, gli affreschi della prima cappella a destra forse del Bonascia, un monumento sepolcrale di Bartolomeo Spani, una tavola del Dosso, ecc.

L'arte della terracotta, della quale Guido Mazzoni lascia saggi in San Giovanni decollato e nel duomo, ebbe, pure nel Cinquecento, rinomanza per Antonio Begarelli, e grandissimo decoro per la sua Pietà in Sant'Agostino, la Deposizione dalla Croce in San Francesco, le statue e gli altari di San Pietro, il Presepe nel duomo, la Madonna del Museo Civico. Con queste opere, Antonio Begarelli trasformò la plastica rudemente veristica di Guido Mazzoni in arte improntata alle tendenze idealistiche del primo Cinquecento, tutta fiorita di gentilezza emiliana.

Dei suoi pittori, Modena conserva, nella R. Galleria Estense, di Barnaba, di Tommaso da Modena, degli Erri, del Bonascia, di Francesco Bianchi Ferrari, di Marco Meloni da Carpi, di Nicolò dell'Abate, di Gaspare Pagani, opere insigni, fondamentali per la storia della pittura modenese.

La Galleria Estense fu proclamata, nel secolo XVII, la prima d'Italia. Il suo fondatore, Francesco I d'Este, che, nell'atrio dell'attuale pinacoteca, guarda alteramente dal marmo di Gian Lorenzo Bernini, aveva imposto, sulle rovine del castello modenese, la reggia romanamente architettata dell'Avanzini romano, adorna di pitture dal Boulanger che tanto nel palazzo ducale, quanto nella villa estense di Sassuolo, distese la sua vivace decorazione. Oggi non si vedono più che i resti della grande galleria: avorî, smalti, ceramiche, bronzi, gemme, cammei, medaglie, che compongono come un grande artistico trofeo del vetusto passato. In quel trofeo campeggiano il ritratto di Francesco I d'Este del Velázquez, nello splendore del manto purpureo, il trittico della chiesa di San Geminiano di Venezia, scintillante delle multicolori luci di Paolo, la Madonna Campori del Correggio, armonia carezzevole di linee falcate e di tinte leggiere. Accanto a questi grandi, l'arte modenese del Cinquecento si presenta con l'estro decorativo e la pittorica scioltezza di Nicolò dell'Abate, nei frammenti d'affresco trasportati dal castello di Scandiano. Con i saggi dell'arte modenese, la Galleria espone i modelli ferraresi che l'hanno ispirata: il San Giacomo della Marca di Cosmè Tura; la robertiana composizione di Lucrezia, Bruto e Coliatino; una Deposizione dell'Ortolano; il Giullare, il ritratto d'Alfonso I d'Este, la grande ancona con l'alfiere San Giorgio di Dosso Dossi; un'ancona e l'arpa estense, entrambe tra le migliori manifestazioni del Garofalo.

La reggia, già estense, domina con l'enorme mole la piccola città, ove sono le antiche case semplici, modeste, ordinate sulla pianta delle case romane a rua del Muro. Col fasto degli Estensi, portato dalla capitale Ferrara, loro tolta dal papa, s'accordarono le chiese, come quella secentesca di San Bartolomeo, frescata dal padre Andrea Pozzi, ben lontane dal tipo umile, con ornamenti di cotto, proprio al Rinascimento nell'architetiura, quale si vede nella facciata di San Pietro. Mentre in questa chiesa si trovano, del Trecento modenese, pale d'altare, prima quella del Bianchi Ferrari, affreschi dei Taraschi nel pulpito e nelle ante d'organo, un popolo di statue del Begarelli, in altre chiese, come in San Biagio, l'arte del Cinquecento ferrarese sopraggiunge con un quadro dossesco, e la ricchezza pittorica del Seicento napoletano scintilla negli affreschi di Mattia Preti, nei quali l'influsso di Michelangelo da Caravaggio si fonde con la tradizione emiliana.

Il gran fasto della corte e della città sminuì dalla seconda metà del Seicento, disparve nel Settecento, quando si vendettero ad Augusto III re di Polonia ed elettore di Sassonia le pale d'altare del Correggio, vanto delle chiese modenesi, coi tesori raccolti da Francesco I d'Este, e si dispersero le numerose statue portate da Ferrara.

Ma anche con i frammenti scampati da tanti naufragi, ultimo quello causato dalla tempesta napoleonica, Modena si presenta in nobili vesti.

Ancora la Biblioteca Estense mostra ricchezza di preziosi libri trasportati da Ferrara, tra gli altri la celebre bibbia di Borso ridonata a Modena dalla generosità del senatore Treccani, il libro d'ore di Renata d'Este miniato dal Bourdichon, libri corali, già a San Michele in Bosco a Bologna, esempî capitali della miniatura emiliana del '300 e del '400.

Nel Museo civico modenese, tra gli esempî notevolissimi d'arti minori, si conservano importanti campionarî di rare stoffe medievali e moderne, adunate dal conte Gandini, illustratore dell'arte tessile italiana; e nella Quadreria Campori, arricchita dalla generosità del marchese Matteo, si conservano pitture assai pregevoli, principalmente del ciclo emiliano.

V. tavv. CXIX-CXX.

Istituti di cultura. R. Università degli studî: sorta nel sec. XII, ebbe un periodo glorioso nel secolo seguente, poi decadde e cessò. Nel 1683 risorse a nuova vita, a cura di Francesco II d'Este ma per poco. Fu riaperta nel 1774 da Francesco III e, salvo il periodo francese, durò immutata sino al 1859, quando perdette la facoltà teologica e quella letteraria. Pareggiata nel 1887, venne nel 1923 classificata nel novero delle università di categoria B. - R. Accademia militare: venne fondata nel 1859 dal generale Fanti e riordinata nel 1860 per la preparazione dei sottotenenti dell'arma di fanteria col nome di "Scuola militare". L'attuale denominazione è del 1929. Ha sede nel Palazzo Reale. - R. Accademia di scienze, lettere ed arti: risale al 1680 (Accademia dei Dissonanti). Nel 1752 ebbe il titolo di Accademia ducale. Con Francesco IV assunse quello attuale. Nel 1841 iniziò la pubblicazione delle Memorie, giunte (1933) a 48 volumi. Ha sede presso il Collegio S. Carlo e possiede una ricca biblioteca e un medagliere. - R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi: creata nel 1860 come R. Deputazione per le provincie di Parma e Modena, solo dal 1892 è autonoma. Ha pubblicato 21 volumi di monumenti; 3 serie di Atti e Memorie con le altre Deputazioni emiliane e 4 separatamente (volumi 51). Ha sede nella casa del Muratori.

Biblioteche. - Biblioteca Estense: v. estense, biblioteca. - Biblioteca universitaria: è del 1772, ma ha subito una lunga interruzione. Dal 1891 è congiunta con l'Estense. - Biblioteca comunale Poletti: Aperta nel 1872, fu costituita con i libri dell'arch. Luigi Poletti e con rendite proprie. Possiede circa 20.000 volumi. Ha sede nel Palazzo dei Musei.

Archivî. - L'Archivio di stato è assai importante.

Vi sono inoltre: un Archivio comunale, con documenti antichi; un Archivio capitolare con codici e pergamene antichissime, e un Archivio notarile, che risale all'anno 1271.

Vita teatrale e musicale. - A cominciare dal sec. XVI, Modena ebbe spettacoli pubblici. Oltre oratorî, sacre rappresentazioni, grandiose processioni, come quella del 1556, ispirata alla storia di Nabucodonosor con apparati del Begarelli e versi del Castelvetro, ricordiamo la recita di una commedia (1539) nella Sala della Spelta. I tre volumi del Tardini, Teatri di Modena (Modena 1898-902) e i quattro del Gandini, con aggiunte del Valdrighi e del Ferrari-Moreni, Cronistoria dei teatri di Modena (ivi 1873-83) documentano come Modena, oltre aver avuto l'onore della prima rappresentazione dell'Amphiparnaso del Vecchi, della Merope del Maffei e di molti lavori dei Bononcini, Giannettini, Vitali, Stradella, Paisiello, Goldoni, Ferrari, Gandini, abbia dato spettacoli notevoli per novità, scenarî, esecuzione. Teatro ducale di Piazza o della Spelta (1654-1769): su disegni del Vigarani, Francesco I ridusse la Spelta a teatro, erigendovi un grandioso anfiteatro capace di tremila persone. Teatro di corte: eretto presso il palazzo ducale nel 1686 dallo Stringa, ornato dal Bibiena, ingrandito dal Cugini (1750) serviva per spettacoli di gala. Durante il predominio francese e napoleonico ebbe i nomi di Nazionale e Regio. Nel 1821, per ragioni politiche si sospesero le rappresentazioni. Ceduto nel 1862 all'Aliprandi, questi lo ricostruì, dandogli il proprio nome. Un incendio lo distrusse nel 1881. Teatro comunale vecchio: costruito la maggior parte in legno dal Valentini nel proprio palazzo (angolo via Emilia e attuale via Farini) nel 1643, distrutto da un incendio nel 1681 e ricostruito in cotto, passò poi in proprietà dei Fontanelli e dei Rangoni, dai quali prese nome. Regalato nel 1816 dai palchettisti al Municipio, fu chiamato Teatro comunale. Chiuso per ordine ducale il 4 febbraio 1831 per i moti menottiani, riaperto qualche sera dopo, i Modenesi vi s'abbandonarono a una calda manifestazione d'italianità. Venne demolito nel 1859. Degli odierni teatri ricordiamo: a) il Nuovo teatro comunale, eretto nel 1841 su disegni del Vandelli, dalla facciata ornata di cornici, bassorilievi, colonne e fastigio, dall'ampia sala circoscritta da quattro ordini di palchi, dal soffitto dipinto dal Crespellani e dal Manzini; b) il Teatro Storchi costruito dal Maestri e rifatto, nell'interno, dallo Sfondrini, dovuto alla munificenza di Gaetano Storchi, che volle nel 1889 dotare la sua città di un teatro popolare; c) il Teatro S. Carlo annesso all'omonimo collegio, eretto nel 1729 per eseguirvi i saggi degli alunni. Vi agirono come autori e attori, fra gli altri, il Varano e il Pindemonte. Dei teatri scomparsi, oltre il Molza (1713-64) e l'Arena Goldoni aperta nel 1866 e abbattuta qualche decennio dopo per ragioni edilizie, menzioniamo i teatri S. Rocco (1791-1836) e Scozzetti (1819-40) gestiti da dilettanti e fatti chiudere, perché sospetti di liberalismo, e quello della Società filodrammatica (1847-60) ispirato ad alto patriottismo e che ebbe ad animatore Paolo Ferrari.

Arte della stampa. - Tipografi tedeschi introdussero la stampa in Modena nel Quattrocento, indotti forse dall'esistenza di talune cartiere nelle vicinanze della città. Il primo libro che rechi il nome di Modena è il Virgilio stampato il 23 gennaio 1475 da Giovanni Vurster da Kempten in Baviera. Si crede però da molti che quest'opera sia stata preceduta dalle Pandectae medicinae di Matteo Silvatico, pubblicate dallo stesso Vurster nel 1474 senza indicazione del luogo di stampa; ma altri è d'avviso che il libro sia uscito a Bologna. Al Virgilio il Vurster faceva seguire nel 1475 il Mesue volgare (primo libro in italiano uscito a Modena) e poi qualche altro volume di argomento giuridico. Nel 1476 Baldassare de Struzzi ne prende il posto, stampando la 1ª ediz. della famosa Summa Artis Notariae di Rolandino Passageri di Bologna e altre due operette. Ma il tipografo modenese per eccellenza è Domenico Rococciola, la cui tipografia s'inizia nel 1481 (i Dialoghi di S. Gregorio in volgare sono il suo primo prodotto) e continua sino alla fine del Quattrocento, varcando il secolo, con operette per lo più di carattere popolare e adorne di xilografie. Tale la Vita di San Geminiano del Parenti, la Legenda di Santa Caterina del Monte Sinai, la Legenda del Volto Santo, la Vita di San Giovanni Battista, stampate fra il 1490 e il 1495. Nel contempo stampano a Modena per breve tempo Enrico di Colonia (1482-1483), Pietro Maufer, cui si deve la prima edizione dei Reali di Francia (1491) e Dionigi Bertochi (1499-1500), il cui Lexicon, del Crastoni, è il primo libro con caratteri greci uscito a Modena.

Storia. - L'antica Mutina (secondo la varia grafia Mutina, Mutena, Motina, demotico Mutinensis) fu città della Gallia cispadana, situata sul grande decumano della via Aemilia a 75 miglia da Placentia l'estremo nord-ovest e a 101 da Ariminum l'estremo sud-est, in posizione ottima da dominare vie principali per comunicazione e per commercio. In territorio ligure, non senza influssi etruschi (Bertoni, Profilo storico del dialetto di Modena), il centro fu occupato con la regione (ager Boicus) dai Boi, ai quali fu nella fine del sec. III tolto dai Romani, che ne fecero il luogo più fortificato della zona. Colonia civium romanorum, insieme alla vicina Parma, nel 183 segna la conquista definitiva dell'Emilia e il pieno assoggettamento dei Boi, godendo, nella tradizione letteraria, per la sua ubicazione itineraria, ricchezza commerciale, derivatale dai suoi prodotti, specialmente dal vino e dalla lana, e altresì importanza strategico-politica, onde i conflitti locali del 78 tra Gneo Pompeo e Bruto, del 72 di Cassio con Spartaco, del 43 tra Decimo Bruto e Antonio, mentre nell'impero fu teatro del dissidio tra Costantino e Massenzio, e nel sec. I, convegno del senato durante la competizione fra Otone e Vitellio. Nel sec. IV il centro fu soggetto alla sorte di molte altre città emiliane e fu tra le semidirutae, secondo S. Ambrogio e Paolo Diacono; il che ha contribuito alla leggenda dell'opera distruttrice di Attila in quella plaga.

Della floridezza del municipio, ascritto alla tribù Pollia, è testimonianza l'ampiezza dell'area cittadina, comprendente circa ha. 50, quasi pari a Bononia, con la lunghezza del decumano emiliano di m. 950, in un rettangolo dai due lati minori di circa m. 550 ciascuno, a est via del Gambero, a ovest via Modonella; alla quale superficie urbana-murale corrispondeva una popolazione di 20.000 ab., che vennero aumentando ben presto, quando la natura del luogo impaludato lo permise, con l'espansione suburbana. L'agro municipale, a cui si riferì la diocesi ecclesiastica, con un'estensione sui 2500 kmq., confinava a est col torrente Samoggia, a ovest col Secchia, a sud e a nord con l'Appennino e la corrente padana, lungo la quale, probabilmente, doveva stendersi il territorio dei Padinates, menzionati da Plinio.

La sorte della città, già disastrosa nell'ultimo secolo dell'impero, peggiorò nell'età barbarica. Nulla sappiamo di essa nell'età di Odoacre e dei Goti (è erronea la notizia di una distruzione per opera del primo) mentre con la venuta dei Longobardi il suo territorio divenne il teatro della guerra quasi incessante fra i Greci da Bologna e i Longobardi da Reggio. Così i danni della guerra e la violenza delle acque non più arginate dovettero segnare la fine di Mutina romana, che nel 590 i Greci, alleati ai Franchi, avevano rioccupato con le armi. Né la risollevò il tentativo di restaurarla che avrebbe fatto re Cuniberto verso il 693, così che, qualche decennio dopo, re Liutprando costruendo un fortilizio più a ovest, sulla via Emilia, per la sicurezza del traffico, trasportava colà anche la sede dell'organizzazione civile, facendo sorgere quella che fu detta Cittanova o Città Geminiana, che da alcuni si voleva identificare col sobborgo sorto accanto alla Mutina romana, attorno alla chiesa (eretta fin dal sec. V sulla tomba del vescovo Geminiano) dove era rimasto il vescovo e si accentrava ciò che sopravviveva dell'antica vita cittadina.

Così per circa due secoli (VIII e IX) si ebbero (a distanza di circa 7 km.) due piccole città, l'una ecclesiastica, l'altra residenza dei conti, visconti e gastaldi. Il prevalere della prima, e il risorgere così di Modena, fu merito del vescovo Leodoino che nell'891 otteneva dall'imperatore Guido il diritto di fortificare la sua piccola città, estesa allora quanto l'attuale parrocchia del duomo. Questo privilegio, unito alla concessione di pubbliche funzioni e ampliato dagl'imperatori successivi, finì col conferire al vescovo quasi i diritti comitali sulla risorta città, mentre il comitato dipendeva da conti laici, il cui ufficio nel 961 passò in Adalberto Azzo di Canossa per concessione di Ottone I, e rimase nei suoi discendenti (Tedaldo, Bonifacio, Matilde) sino all'estinzione della casa (1115). Cade in quest'epoca di governo vescovile della città il primo ricordo del contrasto con Bologna per i confini delle due diocesi, deciso nel 969 da Ottone I, ma rinnovato nei secoli successivi. L'essere la città distinta dal comitato rese possibile che essa nella lotta delle investiture seguisse la parte imperiale e il suo vescovo Eriberto (1054-94 circa) consacrasse nel 1084 a Roma l'antipapa Clemente III, insediato da Enrico IV. Pochi mesi dopo però, a Sorbara, nel modenese, truppe di Matilde di Canossa sbaragliavano le milizie imperiali; ma Eriberto sino alla morte tenne lo stesso la città legata all'imperatore e il vescovo ortodosso, già da tempo nominato, poté solo allora prendere possesso della città. In essa poco dopo (1099) si compiva un avvenimento di grande importanza religiosa e civile, l'inizio della rinnovazione della cattedrale attorno a cui era sorta la città, il quale testifica della prosperità di Modena e della partecipazione della popolazione alla vita pubblica, come si vide nel 1106, all'atto della traslazione delle reliquie del patrono. Di questa partecipazione si trovano tracce anche anteriori e lo sviluppo di essa durante la lotta del vescovo Eriberto contro Matilde, signora del comitato, spiega come potesse affermarsi presto l'autonomia comunale il cui primo sicuro ricordo con i consoli è del 1135, ma che, almeno nella sostanza, si può credere più antica.

L'età comunale che a Modena va dal 1135 al 1288 (prima signoria estense) è dominata verso l'esterno dallo sforzo di assicurarsi il comitato minacciato dalle usurpazioni dei comuni vicini: di qui le lotte con Bologna che aspira a Nonantola e al Frignano, con Reggio e Ferrara. La rivalità con Bologna, un po' quietata durante l'età della Lega lombarda (a cui Modena aderì nel 1168 sì che vi si tenne una delle sue riunioni nel 1173), riprese dopo Costanza e fu male sopita da un arbitrato del 1204, che Federico II annullò nel 1226, come premio dell'adesione al partito imperiale, la quale era fatale per la città, dati i suoi contrasti con Bologna. La lotta con Reggio per i confini e le acque del Secchia, se diede in un primo tempo occasione a guerre e spinse Modena ad alleanze con città lontane, Parma, Cremona, Mantova, scomparve quando, risorta la lotta dell'impero con i comuni (1226), Reggio pure aderì all'imperatore. La sconfitta della Fossalta (1249) obbligò Modena a subire per 10 anni una tutela bolognese e il passaggio al partito guelfo, che divenne completo, quando nel 1264 furono espulsi i ghibellini.

Il comune all'interno si sviluppò assorbendo sempre più i diritti del vescovo con cui era da principio d'accordo nella lotta per Nonantola; poi sorsero attriti per il possesso dei canali e per leggi lesive dell'immunità ecclesiastica, finché nel 1227 il vescovo rinunciò alle pretese giurisdizionali verso il riconoscimento di certi beni e diritti e il compenso di lire 2000 imp. Così finiva, con la vittoria del comune, un secolo di contrasti latenti o aperti.

La prima costituzione comunale dai soli consoli con a fianco l'arengo o concione, si sviluppò col Consiglio grosso o maggiore, con l'istituzione del podestà (imperiale nel 1156 e comunale dal 1177) e di altri ufficiali, i giudici del comune, il massar, i procutori, gli estimatori, ecc. Fin dal 1182 vi era già la Società dei Mercanti con 4 consoli e quella dei cambiatori: lentamente dovettero sorgere anche le altre arti, che nel 1229 poterono partecipare al governo. In questo stesso periodo cominciano le fazioni e le lotte civili dando occasione al formarsi di due partiti, i Grasolfi e gli Aigoni, in un primo tempo ambedue aderenti all'impero. Ma nel 1247 gli Aigoni passarono ai guelfi lasciando la città, dove tornarono solo dopo Fossalta e vi acquistarono l'assoluta prevalenza dal 1264. Da quel momento cominciarono però le discordie fra le grandi famiglie che costituivano il partito (Rangoni, Boschetti e Guidoni da un lato, Sassuolo, Savignano e Vignola dall'altro) e le relative espulsioni. Il formarsi intanto in città di un forte movimento popolare con carattere antimagnatizio e culminante in una Società del popolo con organizzazione militare (1280) dovette convincere i capi degli Aigoni che la pace interna e il freno all'ascensione popolare poteva trovarsi solo in un signore, che, mancando in città le condizioni e l'uomo adatto, si dovette cercare in Obizzo d'Este, signore di Ferrara (1288). Cominciò così la prima signoria estense durata a Modena sino al 1306 in cui fu ristabilito il governo popolare. Il periodo dal 1306 al 1336 è fra i più fortunosi della città che cambia continuamente di partito e di signoria. Il comune, divenuto ghibellino per necessità di difesa, si dà all'imperatore Enrico VII (1311); ma attraverso i vicarî imperiali si arriva, l'anno dopo, alla signoria di Passerino Bonaccolsi di Mantova per resistere a Bologna. Cacciato nel 1318 e sostituito per poco più di un anno da Francesco Pico della Mirandola (capo nominale della repubblica), ritornò nel novembre del 1319, ma fu espulso ancora nel 1327. Durante questo suo governo fu rifatta la cinta murale e fu vinta sui Bolognesi la battaglia di Zappolino (1325) in cui, forse, fu riportata come preda la famosa secchia che ancora si conserva nella torre della Ghirlandina.

Espulso Passerino, Modena si diede alla Chiesa e al legato Bertrando del Poggetto, poi al Bavaro, che vi mandò come vicarî i Pio di Carpi, che nel 1331 la cedettero, nominalmente, a Giovanni di Boemia, ma in realtà ne rimasero essi stessi i signori, finché nel 1336 la lega formatasi contro il Boemo non obbligava Manfredo Pio a consegnare la città a Mastino della Scala che, secondo patti, la rimetteva agli Estensi.

Ristabilita così la signoria estense e assicurata con un forte castello, là ove poi sorse il palazzo ducale, la vita della città non ebbe più importanza politica e trascorse per più di un secolo e mezzo senza rilievo tra le frequenti devastazioni del territorio occasionate dalle guerre dell'Alta Italia. Nel 1452 l'imperatore Federico III erigeva Modena con Reggio in ducato in favore di Borso d'Este; verso il 1477 veniva rinnovata la chiesa benedettina di S. Pietro che ancora mostra intatte le linee del Rinascimento. A interrompere questa condizione tranquilla sopraggiunsero le complicazioni create dalla guerra della lega di Cambrai: per esse il duca Alfonso I, già alleato di papa Giulio II, veniva scomunicato e Modena si arrendeva il 18 agosto 1510, senza lotta, al duca d'Urbino, capitano dell'esercito papale, che aveva segreti accordi con alcune delle maggiori famiglie; né l'intervento del re francese Francesco I otteneva che Leone X la restituisse al duca, poiché il papa l'avea segretamente comperata dall'imperatore Massimiliano per 40.000 ducati d'oro. La città, che con Reggio serviva a collegare allo stato papale il recente acquisto di Parma e Piacenza, fu ostinatamente contesa al duca che il 6 giugno 1527 approfittò della impotenza del papa Clemente VII, durante il sacco di Roma, per occuparla. Rimessa nel 1530 la decisione all'imperatore Carlo V, che ebbe la città in deposito, questi il 21 dicembre dello stesso anno (malgrado le promesse fatte al papa) l'assegnava al duca con l'obbligo di pagare al papa 100.000 ducati. I 17 anni di dominio papale, anche se per parecchio tempo vi fu governatore benemerito Francesco Guicciardini, furono dannosi alla città per lo stato di guerra quasi continuo. Lo sdegno dei papi per la perdita di Modena ebbe la sua espressione mezzo secolo dopo con l'occupazione di Ferrara nel 1598 che costrinse il duca Cesare d'Este a rifugiarsi, il 30 gennaio, a Modena, divenuta così la capitale del mutilato stato estense.

La città che già era stata ampliata verso nord sotto Ercole II (addizione erculea) e dallo stesso ricinta di mura bastionate (1551), venne ora a trasformarsi anche all'interno, con ampliamento di strade, erezioni di chiese (come la votiva dopo la peste del 1630) di portici e palazzi, fra cui grandioso quello ducale cominciato nel 1635, ma completato solo nei secoli XVIII e XIX e ora sede dell'Accademia militare. Nel 1634 (dopo la discesa di truppe imperiali contro Mantova, 1629-30) il duca Francesco I faceva erigere la Cittadella, primo segno di quell'attività ambiziosa che lo caratterizzò e per cui moriva nel 1658 a Mortara combattendo in Lombardia contro gli Spagnoli. Dopo la sua morte, Modena ritorna alla sua vita modesta, nella quale merita rilievo la nuova fondazione dell'università nel 1683, opera del duca Francesco II, per la quale nel 1774 Veniva eretta l'attuale sede.

Nel sec. XVIII la città fu per tre volte occupata a lungo da truppe nemiche: francesi, dal 1 agosto 1703 al 7 febbraio 1707, e dal 20 luglio 1734 al 23 maggio 1736: in ambo i casi il duca Rinaldo, a cui nulla aveva giovato la neutralità, si rifugiò a Bologna. Una terza occupazione, austriaca, si ebbe dall'8 giugno 1742 all'11 febbraio 1749, essendosi il duca Francesco III alleato con la Spagna e la Francia, che non seppero difenderne gli stati. In questo periodo, a Camposanto, sul Panaro, l'8 febbraio 1743 si combatté tra Spagnoli e Austriaci, con prevalenza dei secondi. L'epoca dei due ultimi duchi di casa d'Este (Francesco III ed Ercole III) fu caratterizzata da un notevole rinnovamento edilizio (l'ospedale, il cimitero di S. Cataldo, ecc.) e dall'apertura della via Giardini che per l'Abetone scende in Toscana.

L'invasione francese in Lombardia e in Emilia nel 1796 iniziò per Modena un quinquennio assai turbato. Il duca Ercole III che, per gli aiuti, sia pure forzati, forniti all'impero, era considerato dal Bonaparte come un nemico, fuggì a Venezia il 7 maggio, e, non avendo voluto assumersi il peso dei 10 milioni pretesi per la pace, diede occasione a tumulti che condussero il 6 ottobre all'occupazione francese. Il 16 ottobre in un congresso a Modena era votata l'unione con Bologna, Ferrara e Reggio, germe della repubblica Cispadana che nel luglio 1797 entrò a far parte della Cisalpina. A Modena si ebbero le solite ruberie e la mascheratura repubblicana che scomparve facilmente, quando nel giugno del 1799 vennero gli Austriaci dalla cui reggenza molti patrioti furono processati. Il 25 giugno del 1800 veniva ristabilita la Cisalpina e, malgrado la carestia e la miseria dopo tante incursioni e vessazioni, cominciò un regime ordinato e fecondo, benché nel contado e specie nella montagna si manifestasse qua e là l'ostilità al regime francese, e specie alla coscrizione, che dava occasione al formarsi di vere bande di renitenti che compivano atti di brigantaggio. Risale a questo periodo francese (1797) la fondazione di una Scuola d'artiglieria e genio che prelude all'attuale Accademia. Nel 1814, dopo una breve occupazione da parte di re Murat, il 7 febbraio Modena era occupata dagli Austriaci che vi proclamarono Francesco IV di Austria-Este, nipote, per la madre, dell'ultimo duca, che fu accolto con grandi speranze il 19 luglio successivo. Cominciava così l'ultimo periodo ducale durato sino al 1859 e interrotto solo brevemente tre volte: nell'aprile del '15 per una nuova occupazione di re Murat, nel febbraio-marzo 1831 e marzo-agosto 1848 per la formazione dei governi provvisorî rivoluzionarî in relazione ai moti generali italiani per la libertà, l'unità e l'indipendenza; in ambo i casi si ebbero interventi dell'Austria. Nel 1831 cadeva vittima il generoso capo del movimento Ciro Menotti (v.). Nel 1848 veniva votata l'unione al regno sardo che durò poco più di un mese. L'11 giugno 1859 l'ultimo duca Francesco V si ritirava a Mantova, e dopo la dittatura di L. C. Farini, Modena, per il plebiscito del marzo 1860, entrava a far parte del nuovo regno, che vi ristabilì la Scuola militare soppressa nel 1814, la quale doveva assurgere a importanza sempre maggiore quanto più si sviluppava nel paese la coscienza nazionale.

In quest'ultimo periodo la città si è profondamente trasformata abbattendo i bastioni che fin dal 1814 eran divenuti passeggiate alberate, ed espandendosi nel suburbio. Questo ritmo di rinnovamento si è accelerato nell'ultimo decennio di regime fascista alla cui preparazione, fin dal 1921, Modena offrì il sangue generoso di numerosi figli, primo fra essi Mario Ruini.

La provincia di Modena.

Ha forma quasi rettangolare, ed è circondata dalle provincie di Mantova, Reggio, Massa e Carrara, Lucca, Pistoia, Bologna e Ferrara.

Il suo territorio, accresciuto nel 1929 del comune di Castelfranco, misura 2700,53 kmq. di superficie ed è nella metà meridionale montuoso e collinoso, e nella metà settentrionale piano; lo attraversano numerosi affluenti appenninici del Po, tra i quali il Panaro, che è formato dalla Scoltenna e dal Leo, i quali traggono origine dal M. Cimone (2163 m.), la più alta cima dell'Appennino settentrionale, e dai monti del crinale appenninico.

L'economia del Modenese è prevalentemente agricola. Su 252.357 ha. di superficie agrario-forestale, i seminativi semplici e con piante legnose occupano ha. 163.235, prati e pascoli permanenti ha. 31.530, boschi e castagneti ha. 48.332, vigneti e frutteti ha. 3063; il terreno incolto produttivo è di ha. 1197. Nel 1930-32 fra i seminativi, il frumento occupò in media ha. 45.090 e diede q. 894.030 di produzione, il granoturco maggengo ha. 12.702 e diede q. 306.813; i fagioli e altre leguminose, che pure occupano un posto ragguardevole, ebbero andamento alterno. Nello stesso triennio, i prati artificiali su ha. 70.785 diedero q. 4.771.300, i prati naturali su ha. 12.109 q. 547.860, gli erbai su ha. 15.414, q. 549.540, i pascoli permanenti su ha. 17.958, q. 46.821. Fra le piante industriali, la barbabietola da zucchero occupò ha. 1384 e diede q. 370.443, la canapa da tiglio ha. 2323 e diede q. 27.113. Gli ortaggi di grande coltura occuparono una superficie di 789 ha. e diedero una produzione di q. 135.723, di cui q. 88.593 di pomodori destinati ad alimentare le fabbriche di concentrato locali e della provincia di Parma. I vigneti su ha. 1087 in coltura specializzata e 116.391 in promiscua, diedero q. 1.035.336 di uva, da cui si produssero 628.813 ettolitri di vino. I frutteti diedero q. 351.066 di mele, pere, ciliege e altra frutta polposa, cui è da aggiungere circa q. 70.000 di uva fresca destinata al consumo diretto. I castagneti, infine, su una superficie di ha. 12.406, diedero circa q. 213.690 di raccolto.

Delle attività complementari all'agricoltura, la bachicoltura, un tempo molto prospera, è andata perdendo terreno e ormai registra le cifre più basse dell'Emilia: nel 1930 si sarebbero prodotti q. 80.000 di foglie di gelso e kg. 63.600 di bozzoli, nel 1931 q. 70.500 di foglie e kg. 36.026 di bozzoli; l'apicoltura invece si è sviluppata e su una diecina di migliaia di alveari si producono circa 500 q. di miele; anche la piscicoltura riesce a dare alcune migliaia di q. di pesce. Molto importante è l'allevamento del bestiame (nel 1929 esistevano nel Modenese 189.143 bovini, 125.188 suini, 18.124 equini, 45.930 ovini e caprini), che alimenta una prospera industria casearia locale. Così si dica dei suini, il cui allevamento serve ad alimentare la rinomata industria di salumi modenese. In confronto all'agricoltura, lo sviluppo dell'industria è nel Modenese relativamente limitato. Il censimento del 1927 rilevava 7687 esercizî industriali con 29.384 addetti, costituenti in generale una media e piccola industria distribuita fra i varî centri, con preminenza nel capoluogo. Fra le industrie è più diffusa quella alimentare e affini specialmente molini, pastifici, salumifici, stabilimenti di concentrato di pomodoro, stabilimenti vinicoli e casearî. Segue l'industria delle costruzioni che comprende specialmente fornaci da laterizî e da calce sparse per la provincia.

Numerose vie corrono per la provincia: la via Emilia l'attraversa da E. a O.; e da essa partono verso N. le due strade della pianura che conducono, l'una per Mirandola e Ostiglia a Verona e l'altra per Carpi a Mantova.

Attraversano la provincia anche le ferrovie Bologna-Milano, Modena-Mantova e Bologna-Verona. Importantissima la rete delle ferrovie provinciali (Sassuolo-Modena-Cavezzo-Mirandola, Cavezzo-Finale, Carpi-Bagnolo, Modena-Crevalcore-Cento, Sassuolo-Scandiano, Modena-Bazzano e Modena-Vignola, a cui si può aggiungere la tramvia Modena-Maranello).

Circa 40 sono i servizî automobilistici che percorrono la provincia o tratti di essa.

La popolazione, che secondo il censimento del 1881 toccava i 279.254 (109 ab. per kmq.), nel 1901 raggiungeva i 325.804 ab., nel 1921 arrivava a 394.815 ab. e finalmente, nel 1931, a 448.429 abitanti (166 per kmq.). Il numero dei comuni è di 46.

Bibl.: Per l'arte: L. Vedriani, Raccolta de' pittori, scultori et architetti modonesi più celebri, Modena 1662; G. Tiraboschi, Memorie storiche mod., ivi 1793-95; L. Forni e C. Campori, Modena a tre epoche, Modena 1844; G. Campori, Notizie storiche ed artistiche della chiesa e monastero di San Pietro in Modena, Modena 1849; id., Artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi. Catalogo storico, Modena 1855; A. Venturi, La R. Galleria Estense di Modena, ivi 1882; id., Il culto dell'arte a Modena, ivi 1885; id., L'oratorio dell'Ospedale della Morte, ivi 1885; id., La scultura emiliana nel Rinascimento, in Arch. st. dell'arte, III (1890), pp. 1-23; id., La pittura modenese nel sec. XV, ibid., III (1890), pp. 379-96; A. Dondi, Notizie storiche ed artistiche del duomo di Modena, ivi 1896; A. Venturi, Modena artistica, Modena 1896; V. Maestri, Di alcune costruzioni medioevali dell'Appennino modenese, Modena 1895-1900; B. Colfi, Di una recente interpretazione data alle sculture dell'archivolto nella porta settentrionale del duomo di Modena, ivi 1899; G. Bertoni, Atlante storico-artistico del duomo di Modena, ivi 1921.

Per l'arte della stampa, v.: E. Sola, Le edizioni modenesi del sec. XV ordinate cronologicamente, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie dell'Emilia, n. s., V, i (1880), pp. 117-262; K. Haebler, Die deutschen Buchrdr. des XV. Jahr. im Auslande, Monaco 1924, pp. 133-137, 152-154; E.P. Vicini, La stampa nella provincia di Modena, in Tesori delle Biblioteche d'Italia, a cura di D. Fava e collabor., I: Emilia e Romagna, Milano 1932, pp. 486-531.

Per l'antica Mutina, v.: H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 264 segg.; Corp. Inscr. Lat., XI, pp. 150-151; A. Solari, L'unità storica dell'Aemilia, in Bull. del museo dell'Imp. romano, II (1031), pp. 3-9. La bibliografia archeologica è raccolta specialmente in Katalog. d. Bibliothek d. k. deut. arch. Inst., a cura di A. Mau e E. Mercklin, I, Roma 1913, p. 420; e in una tesi di laurea di M. Maurizio Corvedi Cerci, Mutina colonia civium romanorum (presso la R. Università di Bologna, 1931).

Per la città nel Medioevo e nell'età moderna: Cod. dipl. modenese, in app. alle Memorie stor. mod. di G. Tiraboschi, Modena 1793-95; Chronicon Mutinense di G. da Bazzano, trad. da B. Morano e A. Tassoni, edito a L. Vischi e altri, Modena 1888-93; Cronaca modenese, di I. de' Bianchi detto de' Lancellotti (1469-1554); di Spaccini (1588-1636), e Statuta civ. Mutinae del 1327, in Mon. stor. della R. Dep. di st. patria, Modena 1864; Libri quinque statutorum civ. Mutinae, Modena 1547; Respublica Mutinensis (1306-07), Milano 1927-32; Studî: G. Tiraboschi, Memorie, cit., voll. 5; Dizionario topografico storico degli stati estensi, Modena 1824-25; Biblioteca modenese, Modena 1781-86; contin., Reggio 1833-37; L. Vedriani, Historia di Modena, Modena 1666-67; E. P. Vicini, I podestà di Modena (1556-1796), Roma 1913, p. 18; T. Sandonnini, Cittanova e le fortificazioni di Modena del vesc. Leodoino, Modena 1914; E. P. Vicini, Modena e Cittanova, in Arch. Romanicum, XII (1928); F. Patetta, Note sopra alcune iscrizioni medievali e mod., ecc., e Studi storici e note sopra alcune iscrizioni, in Mem. Acc. scienze di Modena, CV, CVIII, Modena 1905, 1907; V. Franchini, Lo statuto della corporazione dei Fabbri del 1244, Modena 1919; G. De Vergottini, Il papato a Modena, ecc., Siena 1931; C. Vicini, La caduta del primo dominio estense a Modena, Modena 1922; E. P. Vicini, Lo stemma del comune di Modena, Modena 1907; C. Campori, Del governo a comune in Modena, Modena 1864; T. Sandonnini, Modena sotto il governo dei papi, Modena 1879; G. Canevazzi, La scuola militare di Modena, Modena 1934. Molti altri studî particolari negli Atti e mem. della R. Dep. di st. patria, Modena 1863 segg.; L. Ricci, Corografia dei territori di Modena e Reggio, Modena 1806; L'Appennino Modenese, descritto ed illustrato, Rocca S. Casciano 1895; S. Govi, L'Appennino Modenese, Modena 1910; Relazione sull'andamento econ. della provincia di Modena nel 1929 (Consiglio dell'Economia), Modena 1931.

Il ducato di Modena.

Dopo l'espulsione dei Ghibellini capitanati dai Grasolfi (1264), i Guelfi, con a capo gli Aigoni, dominarono la città per lunghi anni, sebbene in Modena, come in altre città, per l'avvento della democrazia, il governo appaia nelle mani del capitano e dei difensori del popolo. L'anno 1282 scoppiarono in seno al partito guelfo gravissime dissensioni che divisero le nobili e potenti fmmiglie guelfe in due fazioni irreconciliabili, l'una detta degl'Intrinseci, l'altra degli Estrinseci. A nulla valsero le replicate paci ottenute per interposizione del vescovo e di altre città. Nella seconda metà dell'anno 1288 gl'Intrinseci si trovavano in una situazione politica molto critica, preoccupante e gravida di minacce, così da determinare i caporioni del partito ad appoggiarsi a qualche signore potente. Fu prescelto il marchese Obizzo d'Este, signore di Ferrara, uno dei più forti sostenitori del partito guelfo. Il 15 dicembre 1288 il vescovo, fra Filippo Boschetti, Lanfranco Rangone e Guido Guidoni con altri nobili e magnati modenesi si recarono a Ferrara per offrire il dominio e le chiavi della città a Obizzo che accettò l'offerta. L'esempio fu seguito dalla vicina città di Reggio, e trionfale, come si ha dalle cronache, fu l'ingresso del signore di Ferrara in Modena, il 23 gennaio 1289, dove tosto provvide a fare erigere un castello. Obizzo morì il 13 febbraio 1293, dopo aver resa la pace alla città per tanti anni dilaniata dalle fazioni. Gli successe il figlio marchese Azzo VIII, in contesa e contrasto coi fratelli. Principe di singolare energia e di smodata sete di dominio, suscitò contro di sé numerosi e potenti nemici che gli procurarono forti rovesci, come la perdita di Modena. Il 26 gennaio 1306 divampava la rivolta in Modena, capitanata da Sassuolo da Sassuolo, figlio dello stesso vicario del marchese. Le truppe estensi di presidio e altre accorse in aiuto furono sconfitte e parte si salvarono con la fuga, parte dovettero capitolare; il castello fu preso e poi distrutto. Vennero instaurati i liberi ordinamenti comunali a larga base demagogica, però con breve e scarso successo poiché prepararono l'asservimento della città a nuovi dispotismi. In un periodo di trent'anni appena si avvicendarono nel governo della città i legati imperiali di Enrico VII, i Bonacolsi signori di Mantova, Francesco Pico, di nuovo i Bonacolsi, poi il legato pontificio per la Chiesa, i legati imperiali di Ludovico il Bavaro e infine quelli regi di Giovanni di Boemia. Manfredo e Guido Pio, legati in Modena per il Boemo, vedendosi impotenti a resistere ai nemici che li circondavano, trattarono la resa della città con gli Estensi che la bloccavano con forte esercito e il 17 aprile 1336 fu stipulata la cessione di Modena ai marchesi d'Este.

Il 13 maggio seguente il marchese Obizzo con largo e splendido seguito entrava trionfalmente in città, accolto da manifestazioni di tripudio da parte della popolazione.

Il novello signore procurò la pace tra le fazioni e accolse senza distinzioni tutti gli esuli; tenendo in freno i nemici all'interno e all'esterno ricondusse e mantenne per anni la calma. Alla sua morte, avvenuta il 20 marzo 1352, gli successe il figlio Aldobrandino III, il quale, alla sua volta, ebbe successori nello stato, dapprima il fratello Niccolò II (1361), poi l'altro fratello Alberto (1388). Durante il regno dei suddetti tre fratelli il territorio modenese conobbe più volte gli orrori e le devastazioni di lunghe guerre e di invasioni da parte di compagnie di ventura, e terribili pestilenze desolarono la città e il suo distretto. Il 30 luglio 1393 moriva il marchese Alberto, mentre si apprestava alla conquista di Reggio, da lui e da suoi predecessori tanto agognata. Lasciava un figlio in età minorile, Niccolò III, che si mostrò poi principe animoso e prudente, chiamato spesso come arbitro nelle contese dei potenti d'Italia. L'anno 1409 ebbe il dominio di Reggio e nel 1433 ottenne dall'imperatore Sigismondo l'investitura dei proprî dominî e della Garfagnana. Fu durante il regno di Niccolò III che a Modena vennero promulgati nuovi Statuti comunali (1420), in sostituzione degli antichi riformati nel 1327. Morì Niccolò il 26 dicembre 1441, designando come successore il figlio naturale, Leonello, in pregiudizio del figlio legittimo Ercole. Leonello fu principe dotto, giusto, mansueto e si distinse per signorilità munifica verso i letterati e gli artisti, superato soltanto per lo sfarzo dal fratello suo, immediato successore nel governo degli stati, Borso (1450), che fu il primo di casa Estense a essere elevato alla dignità di duca di Modena e Reggio, titolo largitogli il 18 maggio 1452 dall'imperatore Federico III.

A Modena tenne per anni (1463-70) come luogotenente generale il fratello Ercole, che gli successe poi nel ducato nel 1471, anno in cui il duca Borso moriva, pochi mesi dopo esser stato nominato duca anche di Ferrara. Il duca Ercole I alla sua morte (25 gennaio 1505) lasciava ingrandito lo stato di Cento, della Pieve e della metà del dominio di Carpi. Gli successe il figlio Alfonso I che tenne le redini dello stato in tempi burrascosi. Dapprima in lega col papa Giulio II assale i Veneziani che vince ripetutamente, poi rompe con l'alleato che gli occupa Modena (1510) e la cede, per essere feudo imperiale, all'imperatore Massimiliano (1511) che l'aveva richiesta. L'imperatore sempre bisognoso di denaro vende (1514) la città di Modena al papa Leone X per 40.000 ducati d'oro. Ma approfittando della disfatta dei pontifici, dopo il fmmoso sacco di Roma, Alfonso I, che già si era impossessato di Reggio (1523), ricupera anche Modena (6 giugno 1527). Sotto il governo di Ercole II, Modena venne ampliata e fortificata ed ebbe nuovi statuti comunali (1547) in sostituzione di quelli del 1420. Ercole, zelante cattolico, represse gli autori della Riforma che in Modena aveva fatto progressi nella classe degli umanisti. Per effetto di questa reazione andò sciolta come favoreggiatrice delle nuove dottrine la famosa Accademia modenese, fondata dal medico Giovanni Grillenzoni, a cui appartennero quasi tutti i dotti letterati, filosofi e scienziati della città fra i quali il celebre Lodovico Castelvetro che fu costretto a esulare. In quel tempo Modena, per virtù degli Accademici, era divenuta uno dei buoni centri di cultura in Italia. Con Alfonso II figlio di Ercole II si spense (27 ottobre 1597) la linea principale di casa d'Este. Successe, per designazione testamentaria, il cugino Cesare d'Este, il quale fu acclamato in Ferrara signore dei Dominî Estensi; ma papa Clemente VIII, desiderando d'impadronirsi del dominio di Ferrara, fece sentenziare l'incapacità di Cesare alla successione del detto dominio che era feudo della Chiesa. Il duca, uomo di carattere debole, mal consigliato, anzi tradito, sotto la pressione della scomunica abbandonò per sempre Ferrara il 28 gennaio 1598, recandosi a Modena, che divenne la capitale dei suoi stati. Ivi furono trasportati il ricco archivio di famiglia, il Museo e la Biblioteca, oltre la metà delle artiglierie. Il regno del duca Cesare, morto nel 1628, fu di pace, ma senza gloria; unico fatto politico saliente fu quello di aver accresciuto lo stato della signoria di Sassuolo tenuta da Marco Pio, assassinato in Modena l'anno 1599.

Il figlio di Cesare, Alfonso III, salito al trono, dopo pochi mesi di principato abdicò in favore del figlio Francesco I, per indossare il saio del cappuccino (1629). Francesco I, principe guerriero, dotto e splendido, tra i migliori dell'epoca sua, aggiunse ai suoi dominî il principato di Correggio, protesse i letterati e gli artisti e iniziò la grande fabbrica del palazzo ducale su disegno dell'Avanzini. Morì il 14 ottobre 1658. Assai giovani morirono i successori duchi Alfonso IV (1662) e Francesco II (1694). Quest'ultimo continuò la costruzione del palazzo ducale, accrebbe la biblioteca, raccolse un museo di antichità e fu l'istitutore dell'università. Per mancanza di discendente diretto, a Francesco successe lo zio Rinaldo, già cardinale, principe mondano, ma saggio, benefico, che vide il suo stato turbato e minacciato durante la guerra di successione. Nel 1710 acquistò dall'imperatore il ducato della Mirandola, e nel 1737, ultimo di sua vita, la contea di Novellara venne ad accrescere il suo dominio. Il nuovo duca Francesco III, figlio di Rinaldo, è una delle figure più interessanti della sua casa; riformatore intelligente, la città di Modena e il ducato ebbero notevolmente ad avvantaggiarsi. Le guerre di successione non erano ancora terminate e Francesco vi fu coinvolto con proprio pregiudizio. Tranquillate le cose, il principe abbellì e risanò la città e procedette a riforme edilizie, legislative, benefiche e culturali. È a questo principe illuminato che Modena deve tra l'altro le magnifiche fabbriche del nuovo Grande Spedale e dell'Albergo dei Poveri; l'ingrandimento e la restaurazione dell'università degli studî che tosto acquistò grido per il valore dei professori chiamati a insegnarvi nelle diverse facoltà. A lui il ducato deve l'apertura di nuove e magnifiche strade di grande comunicazione. Nel 1771 pubblicò pure un elaborato codice di leggi per i suoi stati. Il figlio, duca Ercole III, alla morte del padre (1780) assunse il governo trovando l'erario esausto per le grandi spese. Tuttavia con buona amministrazione poté proseguire nelle riforme, ma la venuta dei Francesi lo allontanò da Modena, dove non poté più fare ritorno, e così, nel 1796, il ducato di Modena e Reggio, cui si era aggiunto il ducato Massa e Carrara in seguito al matrimonio di Ercole con la duchessa Maria Cybo, per decreto del Bonaparte (4 ottobre) fu incorporato nella Repubblica, prima Cispadana, poi Cisalpina, e quindi nel 1° Regno Italico. Spentosi il ramo maschile di casa d'Este, alla Restaurazione il ducato passò nelle mani di Francesco IV d'Austria, figlio dell'arciduca Ferdinando e di Maria Beatrice Ricciarda di Ercole III d'Este duchessa di Massa. Come era stato stabilito dal trattato di Vienna, con la morte di questa, nel 1830, Massa e Carrara vennero ad ingrandire il dominio del duca per diritto di devoluzione. All'inizio del 1848, in esecuzione del trattato di Firenze del 28 novembre 1844, anche il ducato di Guastalla, Fivizzano, e parte dei territorî del Parmigiano, furono uniti al ducato di Modena, mentre Pontremoli e altre terre furono cedute dalla Toscana a Parma. Gli avvenimenti del 1859, che spodestarono per sempre gli Estensi, portarono la libertà del ducato che, con deliberazione dell'Assemblea costituente modenese e con plebiscito di popolo (12 marzo 1860) fece la propria dedizione spontanea al regno di Vittorio Emanuele II.

Bibl.: L.A. Muratori, Antichità estensi, Modena 1717-1740; G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi, Modena 1793 segg.; L. Ricci, Corografia dei territori di Modena e Reggio e degli stati appartenenti alla casa d'Este, Modena 1806; C. Roncaglia, Della statistica generale degli stati estensi, voll. 2, Modena 1849-50; C. Galvani, Memorie storiche intorno la vita dell'arciduca Francesco IV, Modena 1846 segg.; T. Bayard de Volo, Vita di Francesco V, Modena 1878-1885; T. Sandonnini, Modena sotto il governo dei papi, Modena 1879; L. Simeoni, Ricerche sulle origini della signoria Estense a Modena, in Atti e mem. della R. Dep. di stor. patr. per le prov. mod., s. 5ª, XII, Modena 1919.