Modelli e influenze della canzone internazionale

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Modelli e influenze della canzone internazionale

Vincenzo Perna

di Vincenzo Perna

Ruolo e modelli della canzone

Gran parte della produzione di musica popolare contemporanea - espressione preferibile al più restrittivo 'musica leggera' - è rappresentato da canzoni. Non è sempre stato così: nell'Ottocento una parte considerevole della musica di consumo era strumentale, e soltanto nel Novecento si è verificato un marcato spostamento del gusto verso la musica vocale. L'origine di questa popolarità sta certo nella 'facilità' della c. come prodotto di massa, ma anche e soprattutto nel fatto che essa trasporta la marca più personale della comunicazione, quella della voce umana individuale. Ciò appare evidente nel passaggio dalla vocalità teatrale e rigida delle prime registrazioni al tono emotivo della c. contemporanea, passaggio in cui ha giocato un ruolo cruciale la tecnologia: l'uso del microfono, amplificando le minime inflessioni della voce, ha reso possibile un tipo di vocalità che simula l'intimità con l'ascoltatore. D'altra parte, la limitata durata dei primi dischi (2-3 minuti) ha imposto alla c. una grande economia di mezzi verbali e musicali, facendo sì che essa introiettasse quel limite al punto di continuare a rispettarlo, anche quando, tecnicamente, esso non ha più ragione di esistere.

La c. è definibile genericamente come una breve composizione cantata da un solista con accompagnamento strumentale. In termini strutturali presenta una forma strofica in cui si possono identificare due modelli, quello narrativo della ballata e quello, frequente nella c. italiana, strofa-ritornello, in cui la strofa prepara lo 'sfogo' emotivo del ritornello. Una variante è rappresentata dalla c. del musical americano, che utilizza un chorus (simile al ritornello) in 16 o 32 battute e forma AABA, collocato però all'inizio con funzione di richiamo. Rimane l'interrogativo di fondo se esista una forma-canzone. Fabbri (1996) ha indicato come la c. utilizzi in realtà varie combinazioni di elementi, osservando che "l'articolazione [...] ha a che fare con tattiche e strategie dell'attenzione e della convinzione; le parti della c. si succedono con funzioni paragonabili a quelle delle parti dell'orazione descritte e teorizzate dalla retorica". Esaminando il panorama della produzione popolare attuale, si può constatare come venga oggi comunemente chiamata canzone praticamente qualsiasi tipo di composizione contenente parole e musica, con brani strutturati sullo schema del musical ma anche della ballata e del blues, fino a musiche come il rap, in cui l'abissale distanza dai modelli letterari e musicali convenzionali non toglie alle 'canzoni' così prodotte una forte significanza anche politica.

È innegabile che in Italia il discorso sulla c. sia stato a lungo associato ai cantautori, visti come portatori di una versione 'nobile' della c., alimentando un'interpretazione letteraria che insiste sulla centralità del testo verbale (v. oltre: La canzone d'autore in Italia). All'opposto si è sostenuto - riferendosi al rock - che le parole sono percepite innnanzitutto come suoni. Se è esagerato negare qualsiasi rilevanza al testo, anche in una musica acusticamente densa come il rock, è vero che il significato di una c. non si esaurisce nel suo testo scritto perché gli elementi sonori concorrono in modo determinante a costruirne il significato, rendendo anche arrischiati i paralleli tra c. e poesia. Il linguista L.-J. Calvet ha introdotto un'interessante distinzione tra c. scritta, c. cantata e c. ricevuta (Calvet 1981). Ciò consente di descrivere gli spazi di significato (per es. l'ironia) che si aprono tra testo scritto ed esecuzione, e tra esecuzione e ricezione da parte del pubblico, tenendo conto di elementi di difficile notazione come la grana della voce, lo stile vocale e il sound. Nell'indirizzare la ricezione concorrono anche fattori extra-musicali, come lo stile visivo del cantante o i codici interpretativi del genere. Il significato di una c. sta dunque, più che dentro un'opera astrattamente definita, nella sua dimensione sonora e nel rapporto tra interpretazioni - spesso contrastanti - date da produttori, istituzioni (industria musicale, media) e pubblico. L'imprevedibilità del significato assunto dalla c. diventa manifesta nel caso - oggi tutt'altro che infrequente - di canzoni cantate in lingua straniera. Il rock cantato in inglese non può che assumere significati diversi per pubblici anglofoni e non anglofoni.

La canzone internazionale. Stili e influenze

L'influenza straniera nella musica popolare italiana non è, contrariamente a quanto spesso ritenuto, un fenomeno recente. Benché la c. in Italia abbia caratteri e modelli identificabili storicamente nella cultura nazionale (l'opera, la romanza per pianoforte, la c. napoletana), nel corso della sua storia essa ha risentito fortemente, e a più riprese, dell'influenza specie della c. francese e angloamericana.

La canzone in Francia.

Grazie al ruolo di Parigi come capitale mondiale dell'arte e dello spettacolo tra Ottocento e inizio Novecento, la Francia ha sviluppato modelli stilistici e spettacolari di grande rilevanza internazionale ben differenziati dalla c. anglo-americana. Tali modelli costituiscono storicamente il primo forte influsso straniero sulla c. italiana, che verso la fine dell'Ottocento ha adottato, sul modello transalpino, il formato spettacolare del caffè-concerto. Il ruolo della c. nella vita dei Francesi è antico. Praticata nei caveau settecenteschi frequentati dai letterati e nei café-chantants sorti a Parigi prima della Rivoluzione, essa commentava satiricamente fatti politici e di costume, intrattenendo rapporti con il mondo intellettuale e con altre forme espressive come danza e teatro. Cantanti di café-concert vennero spesso impiegati da J. Offenbach nelle sue operette nella seconda metà dell'Ottocento. Il café-conc ' ha svolto un ruolo fondamentale nella c. francese, costituendo fino agli anni Venti il principale vivaio dei suoi interpreti. Il repertorio era costituito da tipi fissi di c., come c. da ubriachi, c. patriottica, c. militare, con interpreti specializzati in ruoli macchiettistici. Figura popolarissima fu, sul finire del secolo 19°, il cantante di cabaret A. Bruant (1851-1921), i cui testi celebravano la vita pericolosa del faubourg impiegando l'argot e producendo una c. sociale satirica che rappresenta una sorta di c. d'autore ante litteram. Tale filone - in cui rivestono importanza fondamentale i luoghi che costruiscono la mitologia di Parigi (essa stessa basata, in gran parte, proprio sulle c.) - ha dato origine al genere definito come chanson réaliste, che canta la vita di strada marcando l'identificazione tra interprete e personaggio, e ha lanciato cantanti come Fréhel, Damia, É. Piaf. Nel varietà del music-hall, invece, convergono negli anni Venti e Trenta influssi jazz ed elementi spettacolarizzati del cabaret (Mistinguett, M. Chevalier, J. Baker). Argomenti e personaggi della chanson réaliste, amplificati dalla tragica vicenda personale, ricompaiono nel repertorio della Piaf (1915-1963), che raggiunse il massimo successo nel periodo 1945-50 e lanciò la carriera di cantanti come Y. Montand. Il periodo tra anni Cinquanta e metà anni Sessanta vide la grande stagione della chanson intellettuale, con cantautori come B. Vian, L. Ferré, G. Bécaud, G. Brassens, J. Brel, e interpreti come J. Gréco, che cantava testi di J.P. Sartre e R. Queneau. Gli chansonniers rinnovarono l'influenza francese sulla c. italiana, diventando un modello artistico e professionale per la prima generazione dei nostri cantautori (P. Ciampi, G. Paoli, L. Tenco, F. De André). Se negli anni Sessanta, sotto l'impatto del rock, la c. francese ha perso alcune peculiarità che l'avevano resa celebre, essa resta tuttavia ancora oggi un punto di riferimento importante per autori italiani come P. Conte e G. Testa.

La canzone nel resto d'Europa

Il ruolo della c. tedesca a livello internazionale è individuabile soprattutto nella sua particolare versione colta elaborata da compositori come K. Weill, H. Eisler e P. Dessau, tutti collaboratori di B. Brecht. Tali autori hanno dato vita a una c. teatrale popolaresca, filtrata attraverso apporti colti, jazz e folk, che brechtianamente evita sentimentalismo e identificazione. Weill (1900-1950) è certamente il più noto dei tre: stabilitosi con successo negli USA nel 1935, ha visto le sue canzoni reinterpretate da personaggi come F. Sinatra, L. Armstrong e i Doors. In Italia gli influssi della c. tedesca si sono manifestati comunque soprattutto a livello teatrale, come testimoniano gli allestimenti brechtiani e le collaborazioni del regista G. Strehler con O. Vanoni e Milva tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Erede di quella 'scuola' può essere considerata una figura di interprete 'd'autore' come la tedesca U. Lemper. In paesi come Spagna e Portogallo, invece, un ruolo importante hanno svolto le musiche folkloriche. In Spagna la musica gitana andalusa, con la sua vocalità di matrice orientale, ha recentemente dato origine a una serie di fusioni che vanno dal flamenco-rock dei Pata Negra al commerciale flamenco-rumba dei Gipsy Kings (anagraficamente francesi). Rilevante è anche l'area della c. d'autore, dal canto novo catalano alla nueva canción andalusa. In Portogallo, uno stile di c. folklorica urbana come il fado ha compiuto in questo secolo la trasformazione in musica popolare, diventando, grazie a interpreti come A. Rodrigues, un importante elemento dell'identità culturale nazionale.

La canzone anglo-americana

A metà dell'Ottocento la musica nord-americana era dominata dal gusto del vecchio continente, da cui provenivano music-halls, operetta e repertori introdotti dalle successive ondate di immigrazione (c. irlandesi e tedesche, opera italiana ecc.). Il primo compositore realmente americano è S. Foster (1826-1864), autore di canzoni popolarissime (Oh! Susannah, The old folks at home) divenute simbolo di 'americanità' attraverso una sintesi di differenti tradizioni folk e popolari, dalla musica irlandese ai repertori afroamericani.

Nell'ultimo decennio dell'Ottocento prendeva forma l'industria musicale conosciuta come Tin Pan Alley, che nel giro di due decenni dominò il mercato europeo grazie a un sistema di produzione di massa della c., sostenuto anche da nuovi media come disco e radio. Le c. della Tin Pan Alley raggiunsero la massima popolarità nel periodo tra gli anni Trenta e Quaranta con i musicals di compositori bianchi come I. Berlin, C. Porter e G. Gershwin. Il repertorio della Tin Pan Alley riflette l'eclettismo della cultura americana, e risente fortemente dell'influenza del jazz (caratterizzato all'epoca da una forte componente vocale) e di forme afroamericane che ne stanno alla base come ragtime e blues. Benché la musica di Alley fosse differenziata dal jazz, in quel periodo si verificò tra i due generi un intenso scambio. Se l'influenza blues e jazz è evidente nella produzione di Gershwin, c. come Summertime, Body and soul e Georgia on my mind divennero a loro volta classici del repertorio jazzistico strumentale, che impiega spesso, a fianco del blues in 12 battute, la struttura del chorus della c. popolare. Il jazz esercitò negli anni Trenta un notevole influsso anche in Italia, in particolare sulla c. sincopata di A. Rabagliati e del Trio Lescano, e sulla musica da ballo di orchestre come quelle di P. Barzizza e G. Kramer.

Il secondo dopoguerra segnò il tramonto dell'epoca della Tin Pan Alley e l'ascesa del rock, musica rivolta specificamente ai giovani, veicolata essenzialmente attraverso disco e radio, e realizzata con l'ausilio della tecnologia (strumenti elettrificati, tecniche di manipolazione elettronica del suono). Uno degli elementi che ha distinto il rock 'n' roll dalla produzione precedente è il sound fortemente ritmico e lo stile vocale aggressivo derivati dal rhythm & blues, a sua volta basato sul blues nero. Tuttavia i maggiori successi dell'epoca furono legati, come già era avvenuto per il jazz, a reinterpretazioni bianche della musica nera. Il panorama della c. etichettata come rock 'n' roll era assai vario, spaziando da inflessioni country (J. Lee Lewis, B. Holly, lo stesso E. Presley) al rhythm & blues (Fats Domino, C. Berry) e al doo-wop (musica a cappella di gruppi neri come Orioles e Platters, in una forma non lontana dalle c. del musical).

Gli anni Sessanta videro un'ulteriore diversificazione del panorama della c. anglo-americana, con la comparsa di cantautori come J. Baez, P. Ochs, e soprattutto B. Dylan, il cui stile musicale e poeticamente ermetico esercitò un impatto enorme sulla c. internazionale. Il filone della c. d'autore anglo-americana ha attinto liberamente al vasto serbatoio stilistico della c. americana, ricollegandosi ora al movimento folk, ora al repertorio vocale nero, ora al rock. Tra i personaggi più significativi si ricordano: la canadese J. Mitchell, una delle voci più originali; gli statunitensi T. Waits, che al rock mescola blues ed echi di K. Weill; P. Simon, partito dal folk per approdare a contaminazioni con musiche extra-occidentali e R. Newman, che integra ironicamente rock e c. 'classica'; il nord-irlandese Van Morrison, che innesta temi misticheggianti su una vocalità blues e soul, e il più giovane E. Costello, che emerge sulla scia del punk inglese ma si ispira anche a blues e country. Anche una musica apparentemente evasiva come lo stesso country ha influenzato interpreti come Presley e autori come Dylan, e incorporato a sua volta influssi rock con il movimento degli outlaws degli anni Settanta e il più recente new country di L. Lovett e S. Earle; essa rappresenta oggi un settore della c. statunitense di crescente rilevanza internazionale.

La musica inglese, vissuta dall'epoca di Alley all'ombra di quella statunitense, è tornata alla ribalta verso metà degli anni Sessanta con i Beatles, le cui c. costituiscono una sintesi originale di elementi precedenti. Se la prima produzione risentiva del rock 'n' roll (visto però con distacco europeo), quella successiva al 1965 li vide attingere ecletticamente alla c. di Alley e del music-hall, ai testi di Dylan e allo sperimentalismo del nuovo rock, producendo una serie di c. imbevute di anglicismo nostalgico. Dischi di teatro sonoro come Sgt. Pepper's consacrarono la tendenza del rock verso il concept album, in cui grafica, testi e musiche convergono in un insieme integrato (fino ad allora il consumo era centrato sulla c. singola e sul disco a 45 giri). La c. su disco ha rappresentato dunque in maniera crescente il prodotto di un lavoro in studio di registrazione piuttosto che l'esecuzione di una composizione preesistente. Il legame del rock americano di metà anni Sessanta con l'emergente controcultura giovanile proiettò la musica dei nuovi gruppi ben al di là dei limiti temporali consueti della c., incorporando influssi culturali e musicali in cui convergevano poesia e improvvisazione (Doors, Grateful Dead), blues (J. Joplin), folk (Byrds) e anche un beffardo sperimentalismo (F. Zappa). Ciò ha condotto una parte del rock, alla fine degli anni Sessanta, verso aspirazioni 'artistiche' e forme di musica puramente strumentale (progressive e art rock dei King Crimson, Pink Floyd ecc.). Tuttavia la forma breve della c. ha continuato a esistere, sia nella produzione di gruppi rock come Rolling Stones o Kinks, sia in quella della musica soul nera, legata al ballo e meno incline a intellettualismo e ribellismo (anche se talvolta veicolo della black consciousness, come nel funk di J. Brown). Alla musica afroamericana, in particolare, si deve l'introduzione di elementi formali quali la struttura a chiamata e risposta tra solista e coro, oggi largamente impiegati nella c. internazionale.

Negli anni Settanta si assiste con il punk inglese a una polemica reazione all'involuzione del rock. Le canzoni punk sono brevi, incisive, 'sloganistiche', ma il populismo di gruppi come Sex Pistols nascondeva spesso una forma di intellettualismo capovolto. Il punk ha prodotto una forma di c. politica radicale non solo attraverso i suoi testi violenti e iconoclastici, indifferenti all'argomentare della c. politica tradizionale, ma anche per mezzo di tattiche di shock visivo e il rifiuto delle logiche dell'industria discografica. Musicalmente il punk si esprime attraverso una serie di negazioni: rifiuto di una vocalità educata (la voce grida in tono monocorde), di testi 'profondi', di un suono gradevole, adottando un suono 'primitivo' di chitarra, basso e batteria. La produzione musicale successiva è caratterizzata dall'emergere di una pluralità di stili che si contendono la scena. Il rock, divenuto uno stile musicalmente conservatore, sopravvive nella musica di cantautori come B. Springsteen, che costruisce la sua autenticità sul recupero del suono ruvido del rock 'classico' e su testi che celebrano i perdenti della società americana, o nel suono epico su cui gli irlandesi U2 proiettano i loro testi impegnati. Il nuovo rock degli anni Novanta, d'altra parte, ha tentato un recupero dell'energia punk attraverso forme come hardcore e grunge (Nirvana, Pearl Jam). A fronte di ciò si è consolidato un tipo di c. pop transnazionale che ingloba numerosi elementi derivati dagli stili neri statunitensi (soul, disco, funk) ponendo una particolare enfasi sul ritmo e sulla ballabilità, esemplificata da cantanti pop 'globali' come Madonna e M. Jackson.

Il fenomeno musicalmente più innovativo emerso recentemente nel panorama della c. (nel senso allargato descritto sopra) è rappresentato dal rap (letteralmente 'conversazione'), recitazione parlata su una base ritmica nata nei ghetti neri di New York all'inizio degli anni Ottanta. La sua radicalità consiste innanzi tutto nella tecnica compositiva, che attraverso la tecnologia elettronica procede per accumulo di frammenti sonori, citazioni, riff. Centrandosi sulla figura del locutore, il rap introduce nella mainstream l'elemento performativo del linguaggio afroamericano, sbriciolando le precedenti convenzioni letterarie rock e pop in un flusso verbale, e riducendo la parte strumentale a sostegno del contrappunto ritmico-vocale. Stili correlati al rap, come dub e ragga giamaicani, hanno anche dato origine a forme 'colte' come la cosiddetta poesia dub dell'anglo-caraibico L. Kwesi Johnson. Va infine menzionato il permanere di un'area intellettuale della c. pop in cui operano artisti come D. Byrne (già leader dei Talking Heads), e la performer artist  L. Anderson, che hanno prodotto ironiche critiche della società americana. Da ricordare l'album My life in the bush of ghosts, prodotto da Byrne e B. Eno con il montaggio di voci radiofoniche 'trovate', e Songs from liquid days, con musica del compositore minimalista P. Glass su testi di Byrne, Anderson, P. Simon e S. Vega.

La canzone nel resto del mondo

La discussione della c. al di fuori dell'ambito occidentale esula dai fini della presente trattazione. Tuttavia è importante rilevare come - se l'influenza anglo-americana sulla c. internazionale del Novecento resta fortissima - varie tradizioni musicali popolari non occidentali si siano infiltrate a più riprese nella c. occidentale. Anche all'intemo di tali repertori la c. appare dominante, fatto ascrivibile non solo all'influenza occidentale ma anche al ruolo che la musica cantata riveste in tutte le tradizioni locali. L'America Latina, per es., ha prodotto forme di c. poeticamente agguerrite come il bolero, o impegnate come la Nueva canción cilena degli anni Settanta e la Nueva trova cubana. D'altro canto, numerose musiche da ballo afro-caraibiche, consumate in Occidente come simboli di esotismo, contengono in origine forme di commento sociale. È il caso per es. della salsa, nata a New York negli anni Settanta dalla rivendicazione dell'identità latina, o del reggae giamaicano, portatore di un messaggio di liberazione alle masse nere di tutto il mondo.

Bibliografia

Ch. Brunschwig, L.-J. Calvet, J.-C. Klein, Cent ans de chanson française (1880-1980), Paris 1981.

L.-J. Calvet, Chanson et société, Paris 1981.

J. Shepherd, Tin Pan Alley, London 1982.

C. Hamm, Music in the New World, New York 1983 (trad. it. La musica degli Stati Uniti, Milano 1990).

U. Fiori, Servono, al rock, le parole?, in Musica/Realtà, 1987, 24, pp. 49-66.

P. Manuel, Popular musics of the Non-Western world, Oxford-New York 1988.

Dizionario della canzone italiana, a cura di G. Castaldo, 2 voll., Roma 1990.

P. Hardy, D. Laing, The Faber companion to 20th-century popular music, London 1990.

Ph. Tagg, Analizzare la 'popular music': teoria, metodo, pratica, in Ph. Tagg, Popular Music. Da Kojak al Rave, Bologna 1994, pp. 43-75.

F. Fabbri, Forme e modelli delle canzoni dei Beatles, in Analisi e canzoni, a cura di R. Dalmonte, Trento 1996, pp. 169-96.

P. Jachia, La canzone d'autore italiana 1958-1997, Milano 1998.