MINGOTTI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MINGOTTI

Giovanni Polin

– Famiglia di impresari i cui principali rappresentanti furono i fratelli Angelo e Pietro.

Allo stato attuale delle ricerche è ignota la data di nascita di Angelo, da collo;carsi intorno al 1700; l’origine veneziana è dichiarata dallo stesso in una lettera a Carlo Eugenio di Württemberg scritta dopo il 1768-69 (Stoccarda, Hauptstaatsarchiv). È ipotizzabile che Pietro, in base all’atto di morte in cui risulta deceduto all’età di 57 anni, sia nato a Venezia intorno al 1702.

La prima traccia dell’attività impresariale operistica che rese famosi i M. nell’Italia settentrionale e nell’Europa centrosettentrionale è del 1731, quando Angelo firmò le dediche dei libretti impressi a Venezia di due melodrammi dati al teatro di piazza di Vicenza per la stagione di carnevale (Ariodante e Arsace). In essi figurano alcuni interpreti (Antonia Susani, Anna Isola, Giovanni Michieli ed Elisabetta Moro) poi ingaggiati da Angelo per spettacoli in teatri centroeuropei a partire dagli anni Trenta. Già nel 1732 Angelo, attestato a Lipsia e direttore di una troupe attiva a Praga, fece costruire nell’autunno a Brno un teatro di legno che inaugurò l’anno seguente.

Nel repertorio dato a Brno per circa un triennio da questa compagnia appaiono, pur adattati da autori come Eustachio Bambini o Giuseppe Alberti, alcuni titoli (per esempio La pravità castigata, Gli amori amari, Tullo Ostilio e Orlando furioso) già nel repertorio dell’impresario Antonio Denzio a Praga poche stagioni prima e, sovente, a ogni evidenza provenienti da quanto messo in scena nei teatri della Serenissima. Questo e il fatto che alcuni cantanti migrarono dall’impresa Denzio, in gravi difficoltà economiche, a quella di Angelo, pongono in rapporto attività e repertorio dei due operatori.

Nel 1736 (ultimo anno di presenza di Angelo a Brno) anche Pietro entrò nell’organizzazione teatrale, e i M. fecero costruire un teatro di legno a Graz di cui si riservarono l’uso esclusivo per un decennio. Nel frattempo il raggio d’azione delle loro troupe comprendeva anche Amburgo (Angelo nel 1740 e Pietro dal 1743 a più riprese fino a metà degli anni Cinquanta), Linz (1743) e Lubiana (1740 e 1742), dove Angelo propiziò, appoggiato dalla nobiltà locale, l’edificazione di un teatro. Nel 1742, al servizio di Pietro, entrò Paolo Scalabrini, prezioso come autore, adattatore e revisore di partiture fino agli anni danesi, e nel 1744 è attestata la collaborazione di Giovanni Battista Locatelli come «poeta» il quale, sposata la prima donna Giovanna della Stella, avviò tosto una attività impresariale in diretta concorrenza con quella dei Mingotti.

Mentre Pietro fece entrare nel giro delle sue compagnie Presburgo (l’odierna Bratislava, in occasione di un’incoronazione nel 1741), Praga (dal 1743), Lipsia (dove nel 1744 fu innalzato un nuovo teatro di legno) e Francoforte (1745), nei primi anni Quaranta Angelo fece ritorno in Italia. Nella stagione dell’Ascensione («sensa») del 1743 fu il promotore di una celebre messa in scena veneziana della Finta cameriera di G.G. Barlocci e G. Latilla (cfr. Heartz).

Erano nel cast alcuni dei protagonisti della diffusione dell’opera buffa nell’Italia centro-settentrionale come Francesco Baglioni, Giuseppe Ristorini, Costanza Rossignoli e Ginevra Magagnoli. L’opera, che fruttò all’impresario «300 e più zecchini» (ibid.), ripresa sui palcoscenici veneziani nei successivi due anni al S. Moisè (ancora con future stelle dei drammi comici per musica come Filippo Laschi, Maria Angela Paganini, Pellegrino Gaggiotti, ecc.) sempre da Angelo (secondo M.G. Miggiani: cfr. Selfridge-Field, p. 486), fu la prima di una serie di titoli d’origine centromeridionale che contribuirono in modo decisivo alla diffusione del gusto per un «onesto ridicolo», terreno fertile su cui germoglierà la fortunata pianta dei venturi testi buffi musicali goldoniani.

Forte dei successi avuti in Italia con il nuovo repertorio, Angelo lo esportò a partire dal 1745 nei teatri centrosettentrionali europei dove egli era già noto, rifornendo anche Pietro con le pièces comiche. Questi spostò la sua azione prevalentemente nel Nord della Germania: a Lubecca (dove nel 1746 fece dare Ipermestra) e Amburgo. Qui nel 1743 si fece notare e apprezzare dal principe ereditario Federico di Danimarca (cui dedicò un Artaserse) e, nell’estate del 1744, da Clemente Augusto principe elettore di Colonia, che assunse al suo servizio le primedonne Giovanna della Stella e Rosa Costa.

Grazie ai M. opere come La finta cameriera, Fiammetta, Orazio, ecc. batterono con successo i palcoscenici di Graz, Lipsia e Amburgo, aggiungendosi al repertorio serio allestito dalle loro compagnie, comunque proposto con l’applauso del pubblico, grazie anche all’eccellente livello medio degli interpreti, tra i quali figurano anche vere e proprie dive come Francesca Cuzzoni, la già citata Giovanna della Stella, Marianna Pirker, Giustina Turcotti e, dal 1743, Regina Valentini.

Dall’estate 1746, costruito a proprie spese l’ennesimo nuovo teatro, i M. presentarono a Dresda il loro repertorio serio con buon successo, assumendo poi come proprio collaboratore anche il giovane Chr.W. Gluck. Pietro, sposata nel 1747 la giovane e dotata Regina Valentini, la fece istruire da Nicola Porpora (allora maestro della principessa di Sassonia Maria Antonia) e quindi debuttare a Dresda.

Risale a questi anni il celebre aneddoto (Burney) secondo cui J.A. Hasse, all’epoca Kapellmeister a Dresda, istigato dalla gelosia professionale della moglie Faustina Bordoni, avrebbe composto un’aria in cui fossero messe a nudo le supposte carenze vocali della Valentini Mingotti nella sua parte nel Demofoonte, con il risultato di consacrare invece definitivamente la giovane soprano per le sue doti.

Salito al trono di Danimarca Federico V nell’estate del 1746, già nel 1747 Pietro ottenne i primi ingaggi per Copenaghen. Nonostante il fortuito incendio (gennaio 1748) del teatro eretto a Dresda, Pietro continuò la sua attività dividendosi tra Lipsia, Amburgo, Lubecca e, soprattutto, Copenaghen, da dove nel 1749 pare si sia spinto fino a Oslo al seguito del sovrano danese.

Intanto Angelo, tornato a Venezia, affittò il teatro di S. Moisè per tre anni a partire dall’Ascensione 1747. Nel contratto siglato con i Giustinian, proprietari della sala, si impegnava a versare 650 ducati annui come canone d’affitto.

Fatte rappresentare con alterne fortune opere del repertorio giocoso centromeridionale già note, nel 1748 fece prima adattare da C. Goldoni La semplice spiritosa, che diventa (con la riscrittura delle parti comiche, probabilmente istigata dai buffi Paganini) La scuola moderna, poi commissionò per il carnevale 1749 allo stesso poeta e al maestro Vincenzo Ciampi i primi esemplari del genere comico creati per Venezia: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno e l’insolito intermezzo La favola dei tre gobbi, inserito in un’Anagilda recuperata dal repertorio degli anni Trenta.

Dopo il successo dell’ennesimo titolo goldoniano (questa volta con note di B. Galuppi), cioè l’Arcadia in Brenta, portato nel settembre 1749 a Crema e poi, in autunno, di nuovo a Venezia, Angelo fu il committente di alcuni dei primi fortunati titoli del nuovo repertorio comico musicale veneziano, come Il negligente. Fatto costruire a sue spese un botteghino fuori del teatro di S. Moisè, poi di sua proprietà per diversi anni, forte dei successi ottenuti il 20 febbr. 1750 rinnovò per sei anni il contratto con i Giustinian (Venezia, Archivio privato Giustinian Recanati Tacoli). Si crearono sotto il suo impulso nuovi drammi giocosi goldoniani come Il mondo della luna, Arcifanfano re de’ matti e Il paese della cuccagna. Il carattere sperimentale di Arcifanfano (poco gradito, almeno inizialmente, dal pubblico) e l’insuccesso del Paese della cuccagna (Ascensione del 1750) determinarono forse l’interruzione dei rapporti di committenza con Goldoni.

Di Angelo e non Pietro (come afferma Soldini, poi ripreso da Selfridge-Field, p. 536), scrive G. Gozzi il 4 genn. 1752 parlando del proprio dramma comico per musica L’isola d’amore, dato al S. Moisè a carnevale, riferendo di aver «a che fare con un certo Mingotto che si lascerebbe piuttosto cavare un occhio che un libro». Certo è che le successive opere date nella sala diretta da Angelo ebbero esiti alterni (anche per la concorrenza di teatri come il S. Samuele, gestito per interposta persona dai Grimani, per i quali era tornato a lavorare Goldoni), tanto che il 30 maggio 1752 Angelo «disposto […] d’intraprendere in stati alieni e lontani viaggi che possono per le di lui imprese trattenerlo pur lontano da questa città molto tempo e pensando all’impegno dell’affittanza contratta» sublocò il teatro impegnandosi con i Giustinian a coprire eventuali insolvenze del subentrante (Venezia, Archivio privato Giustinian Recanati Tacoli). Affittò quindi a Zuanne Fiorini (per le stagioni d’autunno 1752 e carnevale del 1753) ma questi chiuse ben presto la sala già dopo il fiasco della prima opera d’autunno (Antigono), procurando probabilmente perdite ad Angelo stesso (Milano, Bibl. nazionale Braidense, Raccolta drammatica, 6007, pp. 467 s.). Tornato nel 1753 sublocò poi il S. Moisè il 29 marzo allo «specchiaro» Antonio Codognato (per le stagioni dell’Ascensione e autunno 1753 e carnevale 1754), riservandosi un palco a teatro e ingresso libero per quattro persone a ogni recita.

Non estraneo alla decisione di Angelo di lasciare Venezia fu probabilmente il nuovo obbligo, entrato in vigore in quegli anni, di versare un deposito cauzionale preventivo di garanzia di 3000 ducati per chi volesse intraprendere stagioni d’opera. Anche dopo che vennero sciolti a ogni evidenza gli obblighi di Angelo verso i Giustinian, va notato che gli saranno comunque dovuti 50 ducati dai successivi locatari della sala per l’affitto del botteghino di cui gli venne riconosciuta la proprietà.

Intanto Pietro, che talora s’avvalse di partiture evidentemente inviate dal fratello (nel 1751 a Lipsia fece mettere in scena I tre gobbi di Goldoni e Ciampi) restrinse il suo giro tra Copenaghen (dove Scalabrini nel 1748 era stato nominato Kapellmeister), Lipsia e le piazze anseatiche (comprese Schleswig nel 1754, e Lubecca). Mentre ad Amburgo nel 1753 le cose andavano male, Locatelli si accaparrò prima piazze come Dresda e Praga, poi anche Lipsia (dopo il 1751) e, dal 1755, anche Amburgo. Chiamato a collaborare dal 1753 un nuovo promettente maestro, il futuro grande Giuseppe Sarti, nel febbraio 1754 Pietro ottenne un contratto decennale con la corte danese. A Copenaghen però il pubblico scarseggiava e Pietro nel 1756 scrisse una supplica al sovrano per pregare di liberarlo da un impegno che non era più in grado di onorare (nel 1756-57 ormai si davano solo pochi intermezzi in italiano nella capitale danese).

Ridotto in miseria, Pietro morì a Copenaghen il 28 apr. 1759 (Copenaghen, Archivio nazionale).

Angelo, lasciata Venezia, presentò un Eroe cinese ad Amburgo nell’estate del 1754, poi non si hanno più sue notizie fino al dicembre 1756, quando siglò un contratto che prevedeva un compenso di 1500 ducati d’oro con la corte del principe elettore di Colonia per rappresentare in teatro delle opere buffe per tre mesi. Una fitta corrispondenza di Angelo con l’intendente della corte di Bonn Caspar von Belderbusch (26 lettere, conservate a Burg Heimerzheim, Archivio privato del barone von Böselager), protratta fino al 1763, consente di ricostruire con una certa precisione, se non la carriera, almeno gli spostamenti di Angelo fino a quella data e individua la figlia Marina come sua agente a Venezia.

Da quest’epistolario si evince che il contratto fu posto in essere anche per l’importante mediazione di Gabriel Cornet, un mercante francese, ministro residente del principe elettore di Colonia a Venezia ben noto per la sua corrispondenza con Goldoni (Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Mss., Gradenigo, 67; Gradenigo Dolfin, 191). Angelo, fallita la ricerca di personale condotta a Utrecht, Leida e Amsterdam nel dicembre 1756, nel gennaio 1757 da Norimberga assicurò di essere infine riuscito a riunire una compagnia adeguata e da marzo propose a Bonn una versione ridotta a cinque personaggi dell’Arcadia in Brenta, Il povero superbo, e gli intermezzi La serva padrona, Il giocatore e Il filosofo convinto in amore, nonché l’ennesima ripresa dell’Anagilda.

Il 5 giugno 1758 Angelo scrisse da Monaco a Belderbusch, affermando che si ritrovava «da sei mesi in questa città senza impiego alcuno con molti debiti constretto a restarvi a forza non essendo li pochi miei effetti sufficienti a pagare non meno che a fare il viaggio di ritorno in Italia» (Burg Heimerzheim, Archivio Böselager).

Nell’autunno 1758 riunì una nuova compagnia con cui propose anche nel 1759 a Vienna e Presburgo versioni ridotte a cinque personaggi del Filosofo di campagna e dell’Arcadia in Brenta di Goldoni e Galuppi, nonché riprese dell’intermezzo La favola dei tre gobbi che divenne Madama Vezzosa. Tra settembre 1759 e l’estate del 1760 fu a Praga, subaffittando il Kotzentheater dall’impresario G.A. Franceschini. In questo periodo Angelo, oltre al repertorio comico goldoniano (anche con titoli quali Il mercato di Malmantile di D. Fischietti e la Conversazione di G. Scolari), ripropose opere serie metastasiane come La Semiramide riconosciuta con musica di Hasse (di cui firma la dedica) o l’Olimpiade con musica di G. Carcani.

Nell’autunno 1762 Angelo ricomparve a Venezia, dove subaffittò dai comici il teatro di S. Samuele per far rappresentare, in prima per Venezia, La buona figliola maritata di Goldoni e N. Piccinni (Milano, Bibl. nazionale Braidense, Raccolta drammatica, 6007, pp. 526-528). Si spostò poi nel carnevale 1763 a Lubiana, dove firmò la dedica del Mercato di Malmantile «allorché […] incaminato per Grätz». Nell’estate 1763 era prima a Monaco poi a Salisburgo e, in settembre, a Vienna, dove prese accordi con la corte del Palatinato, per la quale fece inscenare opere nel 1764 e 1765 a Bonn e Münster (La calamità de’ cuori, Il filosofo di campagna, L’amante di tutte, La pastorella al soglio, ma anche titoli più vecchi come Orazio e I tre cicisbei ridicoli) non prima di una puntata a Francoforte nel dicembre 1763.

Nel 1766, in estate, fu a Bruxelles, dove tentò con poco successo di far rappresentare la versione ridotta del Filosofo di campagna già data a Vienna e Presburgo nel 1759 e la solita Favola dei tre gobbi. Dopo poche date gli fu negato l’uso della sala da parte del direttore del teatro, un certo Gamond, che voleva far entrare in scena un’altra compagnia. Da Liebrecht, che consultò gli archivi della capitale belga, sappiamo che Angelo, quasi ridotto in miseria, intentò un processo a Gamond per il mancato rispetto del contratto.

Non si conoscono il luogo e la data di morte di Angelo.

L’informazione riportata da vari repertori che indica come termine post quem il 1767 (che Schmidl, poi ripreso da altri repertori, trasforma per refuso in 1776) per la morte di Angelo deriva da un errore di lettura di Thayer, poi seguito da Müller (autore della monografia tuttora fondamentale sui M.), che trascrive scorrettamente la data del libretto di Anagilda data a Bonn nel 1757 e non nel 1767.

Le ultime notizie su Angelo derivano dalla citata lettera in cui chiede al duca di Württemberg di essere assunto come direttore delle opere italiane dopo la partenza di N. Jommelli e G. Martinelli (quindi dopo il 1768-69).

Il testo è fondamentale perché in esso Angelo, fornendo il proprio curriculum, traccia in pratica in poche righe la propria autobiografia affermando «che è stato impresario e direttore d’opere serie e buffe italiane in Venezia sua patria per il corso di venti anni ed il primo introduttore delle opere buffe in Italia, che in appresso è stato chiamato con la sua compagnia al servitio di diverse corti, come di Vienna, di Dresda, di Copenhagen e di Bohna sotto Clemente Augusto elettore di Colonia di felice memoria e per ultimo di Massimiliano Augusto elettore di Colonia regnante». La missiva si conclude con l’offerta del proprio repertorio attuale, cioè una «scielta di dodeci opere buffe de’ più celebri compositori in gran parte composte dal maestro Galuppi detto il Buranello, dal maestro Piccinni e dal maestro Latilla come in poesia dal dottor Carlo Goldoni», un repertorio di sicuro poco appetibile per la corte di Stoccarda, abituata alle grandi opere del «supremo maestro» (come Angelo definisce Jommelli).

L’attività dei M. fu di certo di assoluta importanza nella diffusione della cultura musicale melodrammatica italiana nei paesi compresi tra Austria e Danimarca per oltre un trentennio. Va ricordato che collaborando con loro si formarono importanti impresari come E. Bambini, G.B. Locatelli e P. Bondini. Facendo costruire in svariate occasioni nuovi teatri in piazze d’Oltralpe i M. crearono di fatto modi e occasioni di fruizione spettacolare che alimentarono proponendo oltre a rari lavori composti ex novo soprattutto opere serie, prima di A. Salvi e A. Zeno, poi per lo più metastasiane, accuratamente adattate grazie a calibrati «impasticciamenti» (operati da musicisti drammaturghi di prim’ordine) mirati a sfruttare al meglio le doti dei cast impegnati. Il successo riscosso per anni da questo tipo di drammi per musica fatti allestire dai M. la dice lunga sull’efficacia spettacolare e la qualità di tali testi, facendo giustizia dei pregiudizi che per anni hanno accompagnato i pasticci. Alcune partiture dei melodrammi seri fatti rappresentare dai M. negli anni Quaranta sono state individuate da Strohm (2004) presso la Biblioteca Estense universitaria di Modena in un fondo proveniente dalla biblioteca del principe elettore di Colonia. Appare azzardato riferire al soggiorno amburghese dello stesso nell’estate del 1744 l’acquisto di tali partiture, attestate nei fondi di Bonn prima del 1766 (Brandeburg), in quanto molte di esse presentano modifiche attestate come successive al 1744.

Verificata la difficoltà economica di sostenere dopo la metà degli anni Quaranta il repertorio serio per gli alti costi di produzione e la difficoltà di rinnovarsi dello stesso, Angelo seppe propiziare con intelligenza la creazione e diffusione del nuovo repertorio comico creato a Venezia (più vicino ai nuovi gusti del pubblico e meno dispendioso da produrre), non a caso autodefinendosi, con tutti i limiti critici del caso ma, in fondo, non senza qualche ragione, come «il primo introduttore delle opere buffe in Italia». Da rilevare ancora una volta la notevole capacità di Angelo di proporre versioni «ridotte» di alcune opere, con testi modificati in modo tale da cercare di sfruttare, nonostante tutto, le potenzialità drammaturgiche musicali della princeps, come nel caso della declinazione diffusa a Vienna, Presburgo e Bruxelles del Filosofo di campagna di Goldoni e Galuppi (Polin, 1995). La forte concorrenza di impresari come Locatelli, agguerriti nel proporre i nuovi drammi comici veneziani nelle piazze una volta appannaggio dei M., fatti contingenti come la guerra dei Sette anni o il mutare delle mode del pubblico in una piazza relativamente piccola come Copenaghen (che all’epoca non contava più di 60.000 abitanti), la difficoltà di reclutare e mantenere nel cast cantanti che sovente lasciavano la compagnia aspirando, se non erano grandi stelle, a giungere a un’occupazione stabile in qualche corte, l’incapacità (o l’impossibilità) di rinnovare tempestivamente il repertorio, sono alcune delle cause individuabili nel declino della fortuna di questi impresari, classificabili per idee e iniziative tra i primi veri imprenditori europei del genere spettacolare operistico.

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G. Polin