MINEROSINTESI

Enciclopedia Italiana (1934)

MINEROSINTESI (o mineralogia sintetica)

Angelo BIANCHI

Concerne la produzione artificiale, volontaria o accidentale, di corpi uguali ai minerali, o anche di corpi che, pur non esistendo in natura, presentano con i minerali tali caratteri di analogia e per così dire di parentela, che la loro conoscenza contribuisce direttamente o indirettamente alla conoscenza dei minerali naturali. Le sintesi mineralogiche risultanti da processi posti in opera appunto per tale scopo, si dicono sintesi razionali. Talora invece accade che si verifichino delle sintesi mineralogiche per effetto di azioni indirizzate a tutt'altro fine; queste sintesi vengono dette accidentali. Per esempio, nelle scorie dei forni adoperati in metallurgia furono trovati numerosi minerali sintetici, come l'olivina, il diopside, l'augite, la melilite, taluni feldspati, ecc.

I principali scopi delle sintesi razionali sono i seguenti: 1. ottenere tipi di composizione semplice non conosciuta in natura, ai quali possano venire utilmente paragonati i tipi complessi della stessa famiglia esistenti come minerali; 2. ottenere nuovi termini di serie naturali incomplete di composti; 3. ottenere cristalli di specie minerali che in natura non si presentano ben cristallizzate, o soltanto raramente. Inoltre la minerosintesi costituisce l'unica verifica sperimentale possibile delle ipotesi sull'origine dei minerali, e ha reso in questo campo utilissimi servizî.

Metodi. - Si possono distinguere in tre gruppi: 1. per via secca; 2. per via mista (quelli nei quali interviene l'acqua liquida a temperatura superiore a 100°, e quindi a pressione superiore all'ordinaria); 3. per via umida (quelli nei quali la sintesi ha luogo in presenza di acqua liquida a pressione normale, e per conseguenza a una temperatura non superiore ai 100°).

Petrosintesi. - La petrosintesi concerne la riproduzione artificiale delle rocce. Essendo queste costituite da minerali, i processi petrosintetici sono anche processi minerosintetici.

Furono riprodotte artificialmente parecchie rocce eruttive: basalti, andesiti, leucititi, nefeliniti, ecc. Il metodo di preparazione è generalmente quello di fusione con ricottura. Si fonde in un crogiolo una miscela di sostanze tali da ottenere una massa della composizione della roccia che si vuol riprodurre. Si mantiene poi per un certo tempo (qualche giorno) la massa a una temperatura poco diversa da quella di rammollimento (ricottura), onde facilitarne la cristallizzazione, e infine si lascia raffreddare. L'aggiunta preventiva di piccole quantità di particolari sostanze, ad es., acido volframico, facilita la cristallizzazione. Vennero preparati artificialmente, con metodi che sarebbe lungo descrivere, anche prodotti analoghi alle meteoriti.

Cenni storici. - Già negli scritti degli alchimisti si trovano indicati procedimenti, talora assolutamente fantastici, per la riproduzione dei minerali. Le prime ricerche razionali di qualche importanza relative alla produzione di minerali o di rocce si ebbero verso la fine del sec. XVIII con le esperienze di James Hall sulla fusione delle lave. Questo sperimentatore dimostrò che lasciando raffreddare rapidamente il prodotto della fusione di dette rocce non si hanno che sostanze vetrose mentre per raffreddamento lento si originano anche prodotti cristallizzati; a J. Hall è dovuta anche la sintesi del marmo saccaroide.

In seguito, altri studiosi si occuparono delle sintesi mineralogiche. Mentre alcuni scienziati, specialmente tedeschi, rivolgevano la loro attenzione ai minerali accidentalmente prodotti nei forni di vetrerie e nelle scorie delle industrie metallurgiche, altri, specialmente francesi, si occupavano della riproduzione razionale di minerali e rocce. I primi metodi adoperati furono quelli per semplice fusione ignea, ma non diedero in principio che scarsi risultati. Notevoli progressi vennero realizzati aggiungendo alle sostanze da cui si volevano ottenere dei minerali sintetici per fusione, altre sostanze le quali, pur non prendendo parte in generale alla composizione di detti minerali sintetici, ne facilitavano grandemente la cristallizzazione. Tali sostanze vengono chiamate fondenti o mineralizzatori. Le prime importanti sintesi con questo metodo sono dovute a Ebelmen (1851). Egli adoperava come mineralizzatori l'acido fosforico, i fosfati alcalini, l'acido borico e il borace; altri, in seguito, si servirono per lo stesso scopo di tungstati e vanadati alcalini (Hautefeuille, 1878), di cloruri e fluoruri alcalini, ecc. La fusione in presenza di mineralizzatori permise di ottenere numerosi minerali sintetici: il quarzo, la tridimite, il corindone, il rutilo, gli spinelli, le apatiti, le wagneriti, la baritina, la celestina, la calcite, la stronzianite, la witherite, la perowskite, l'ortose, l'albite, la nefelina, la leucite, ecc.

Come mineralizzatori vennero adoperate in seguito anche sostanze gassose. H. Sainte-Claire Deville dimostrò che facendo passare ad alta temperatura una corrente di acido cloridrico gassoso su certi corpi amorfi, se ne ottiene la cristallizzazione. Così l'acido stannico precipitato si trasforma in cassiterite, l'acido titanico amorfo in rutilo, la magnesia calcinata in periclasio. Come mineralizzatore venne adoperato anche l'acido fluoridrico.

Contemporaneamente alle ricerche di Ebelmen si ebbero in questo periodo le esperienze di A. Sénarmont (1851), che costituirono una luminosa conferma sperimentale delle ipotesi emesse poco prima da Élie de Beaumont (1847) sulla genesi dei filoni mineralizzati. Il metodo di Sénarmont consiste essenzialmente nel riscaldare a qualche centinaio di gradi, in presenza di acqua e sotto pressione, le sostanze dalle quali si vogliono ottenere dei minerali sintetici. A queste venivano talvolta aggiunti dei mineralizzatori, come bicarbonato sodico, acido solfidrico, solfuri alcalini, ecc. Il Sénarmont adoperava come recipienti per le sintesi tubi di vetro saldati alla fiamma. Questi venivano introdotti in tubi di ferro contenenti acqua, i quali poi venivano chiusi alla loro volta ermeticamente. Con questo metodo il Sénarmont ottenne molti minerali di origine filoniana: il quarzo, la baritina, la fluorite, il realgar, l'orpimento, l'antimonite, la galena, la blenda, l'arsenopirite, ecc. In seguito altri sperimentatori (come G. A. Daubrée, Bourgeois, C. Friedel e Sarasin) ottennero, sempre con metodi per via mista e adoperando dispositivi più o meno perfezionati, la celestina, l'anglesite, la calcite, il corindone, il topazio, ecc., e inoltre qualche associazione mineralogica interessante, come l'associazione quarzo-ortose.

Il campo della fusione ignea fu considerevolmente ampliato dalle ricerche di F. Fouqué e A. M. Lévy (1878-1881), che fecero epoca nella storia della minerosintesi. Questi scienziati ottennero, per semplice fusione seguita da ricottura, una serie di rocce eruttive: andesiti, labradoriti, nefeliniti, leucititi, ofiti, ecc., e inoltre numerosi minerali, specialmente silicati. Le loro esperienze sono di fondamentale importanza per la petrogenesi. In tempi recenti, sono da ricordare le ricerche di C. Doelter e dei suoi allievi, e le esperienze di G. Spezia sul quarzo.

Applicazioni. - La sola applicazione industriale ricevuta finora da processi minerosintetici consiste nella produzione artificiale delle gemme di corindone. Questo minerale, che è incoloro, se puro, si trova talora in natura variamente colorato, e le varietà colorate, se limpide e trasparenti, vengono lavorate per produrre delle gemme, che assumono nomi diversi a seconda della colorazione. Si hanno così: il rubino, lo zaffiro, l'ametista orientale, il topazio orientale.

Queste gemme vengono ottenute artificialmente fondendo ad altissima temperatura dell'allumina con piccole quantità di ossidi metallici, che servono per impartire al prodotto la colorazione voluta. Ad esempio, il sesquiossido di cromo viene adoperato per ottenere la colorazione rossa del rubino. Le gemme di corindone vengono prodotte artificialmente in molte località; in Italia, una fabbrica di pietre sintetiche era a Terni. Oltre alle gemme di corindone, furono ottenute artificialmente molte altre specie di pietre preziose fra cui il diamante; però tali sintesi hanno soltanto un valore teorico non avendo ricevuto finora applicazioni industriali (v. diamante; pietre preziose).

Bibl.: Il Handbuch der Mineralchemie diretto da C. Doelter, Dresda e Lipsia 1912 segg., comprende per ogni minerae le sintesi che ne furono realizzate con i diversi metodi. Inoltre i seguenti: C. W. Fuchs, Die künstlich dargestellten Mineralien, Haarlem 1872; F. Fouqué e A. M. Lévy, Synthèse des minéraux et des roches, Parigi 1882; S. Meunier, Les méthodes de synthèse en minéralogie, Parigi 1891; L. Colomba, Mineralogia e litologia sintetiche, Torino 1913; E. Dittler, Mineralsyntetisches Praktikum, Dresda 1914; W. Eitel, Mineralsynthese, Handbuch der Arbeitsmethoden in der anorganischen Chemie, IV, Berlino 1926.