Minerali

Universo del Corpo (2000)

Minerali

Anna Maria Paolucci

Nella scienza dell’alimentazione, i minerali sono nutrienti di natura inorganica, tutti essenziali per l’organismo. Alcuni di essi, come calcio, fosforo, potassio, sodio, cloro e magnesio, si trovano nel corpo umano in concentrazioni superiori allo 0,5 ‰ e prendono il nome di macroelementi; altri invece, come ferro, iodio, selenio, sono presenti in quantità minore e vengono chiamati microelementi, o elementi traccia od oligoelementi.

1. Caratteristiche generali

È difficile classificare i minerali in base ai loro ruoli metabolici, sia perché questi sono svariati e piuttosto specifici, sia perché molti minerali hanno funzioni multiple, come per es. il calcio, che svolge attività sia strutturali sia regolatrici. Alcuni minerali, come lo zinco, sono essenziali per l’attività di numerosissimi enzimi; altri, come il ferro, hanno funzioni di trasporto dell’ossigeno e di elettroni; altri ancora, come il sodio, il cloro e il potassio, servono al mantenimento della normale composizione dei fluidi intra- ed extracellulari e della pressione osmotica, oppure, come lo iodio, sono determinanti per la struttura e la funzionalità di specifici ormoni.

Una dieta sufficientemente variata assicura un apporto di minerali generalmente adeguato al fabbisogno individuale. Carenze si manifestano invece con diete marginali, o in particolari condizioni fisiologiche che comportano un aumentato fabbisogno di determinati minerali, per es. di ferro nelle donne in età riproduttiva. Fenomeni di carenza, o, viceversa, di tossicosi, possono verificarsi presso popolazioni che si alimentano esclusivamente di cibi prodotti su terreni poveri o troppo ricchi di un determinato minerale. È il caso del gozzo, frequente in aree dove il terreno è povero di iodio, oppure dell’intossicazione da selenio, in zone il cui suolo contiene quantità eccessive di questo elemento. Sintomi di tossicosi possono aversi anche in persone che, pur seguendo una dieta adeguata, assumono senza motivo supplementi minerali sotto forma di preparati farmaceutici o di erboristeria. Nelle parti dedicate ai singoli minerali verranno indicate le quantità di assunzione giornaliera raccomandate dai vari standard nutrizionali: italiani, europei, statunitensi. È opportuno però notare che tali quantità, dovendo essere riferite alla totalità degli individui di una popolazione, sono superiori ai fabbisogni medi per tener conto di quella frangia di popolazione i cui fabbisogni sono appunto superiori alla media.

Fra i minerali hanno un ruolo di particolare importanza per l’organismo umano il calcio, il ferro, il fluoro, il fosforo, lo iodio. Altri macro- e microelementi di grande interesse nutrizionale sono quelli di seguito trattati.

2. Magnesio

Il corpo di un uomo adulto del peso di 70 kg contiene dai 20 ai 28 g di magnesio (Mg): il 60-65% è localizzato nello scheletro, circa il 27% nei muscoli, il 6-7% in altre cellule e l’1% nei liquidi extracellulari. Nel plasma, il magnesio è per circa il 55% in forma libera, per il 13% complessato con citrato, fosfato e altri ioni, per il 32% è legato a proteine.

Tutti gli alimenti contengono magnesio, anche se in quantità differenti. Le concentrazioni più elevate si trovano nel nocciolame, nei legumi, nei cereali integrali. I vegetali verdi sono un’altra buona fonte, dato che il magnesio è associato alla clorofilla. Il pesce, le carni e il latte sono invece fonti piuttosto povere.

Il magnesio è assorbito nella parte prossimale dell’intestino tenue attraverso due diversi sistemi di trasporto: uno agisce a basse concentrazioni di magnesio ed è mediato da un trasportatore facilmente saturabile; l’altro per diffusione semplice ed è attivo a concentrazioni di magnesio più elevate. L’efficienza dell’assorbimento è del 50-70%, ma essa viene fortemente ridotta nelle sindromi di malassorbimento, soprattutto in quelle che causano steatorrea. L’omeostasi del magnesio è poco conosciuta e non sembra essere sotto controllo ormonale, anche se l’ormone paratiroideo risponde a cambiamenti acuti della concentrazione extracellulare di magnesio allo stesso modo con cui risponde a variazioni della calcemia. Per opinione corrente, i livelli plasmatici di magnesio sono regolati essenzialmente dall’escrezione renale.

Numerosi processi biochimici e fisiologici richiedono magnesio, o sono da esso modulati. Il magnesio è essenziale per la mineralizzazione e lo sviluppo del sistema scheletrico, per il mantenimento del potenziale elettrico di membrana di nervi e muscoli e per la trasmissione di impulsi attraverso la placca neuromuscolare. Esso è inoltre necessario per l’attività di oltre 300 enzimi; svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo cellulare e nella sintesi delle proteine ed è importante anche per il mantenimento dell’omeostasi del calcio e del potassio.

Manifestazioni di carenza di magnesio sono assai rare in persone sane che seguano una dieta variata. Carenze sistemiche possono verificarsi in soggetti con sindromi di malassorbimento intestinale, in seguito a un uso prolungato di diuretici con perdite eccessive di fluidi e di elettroliti, in casi di disfunzione renale con difetti nel riassorbimento di cationi e in altri casi patologici. Carenze dovute a un aumento del fabbisogno possono manifestarsi in individui in fase di recupero da forme di malnutrizione. In questi casi si può avere un alterato metabolismo del calcio, del sodio e del potassio, e ciò a sua volta si riflette sulla funzionalità dei muscoli scheletrici e del muscolo cardiaco.

Riguardo all’effettivo bisogno fisiologico di magnesio esistono ancora incertezze, anche per le capacità adattative dell’organismo che, con il variare degli introiti di magnesio, modifica l’efficienza dell’assorbimento intestinale e dell’escrezione renale. Le raccomandazioni nutrizionali europee si limitano a suggerire un intervallo di valori tra 150 e 500 mg al giorno, desunti da osservazioni sugli introiti effettivi di gruppi di popolazione sana, specificando che tali valori coprono anche gli aumentati bisogni durante la gravidanza e l’allattamento.

Non si hanno prove di danni conseguenti a forti ingestioni di magnesio in soggetti sani, ma nel caso di una funzione renale alterata, con ritenzione di magnesio, si può verificare ipermagnesemia, accompagnata da nausea, vomito e abbassamento di pressione. Se la situazione peggiora, si manifestano altri sintomi, come, per es., bradicardia, vasodilatazione cutanea, modificazioni elettrocardiografiche e depressione del sistema nervoso centrale. Nelle forme più gravi si possono rilevare depressione respiratoria, coma e arresto cardiaco. La maggior parte dei casi di ipermagnesemia si verifica in seguito ad assunzione terapeutica di farmaci contenenti magnesio. Gli antiacidi e i lassativi, che contengono basse quantità di tale minerale, sono invece considerati sicuri.

3. Sodio

Il sodio (Na) è il principale catione dei liquidi extracellulari. Il corpo di un uomo adulto di 70 kg ne contiene in media 92 g: 11,5 g nel liquido intracellulare, 34,5 g nelle ossa e circa 46 g nel liquido extracellulare. Oltre al sodio naturalmente contenuto negli alimenti, la fonte di gran lunga più abbondante è rappresentata dal sale da cucina (cloruro di sodio, in cui questo minerale è presente in ragione del 39% in peso) che viene aggiunto agli alimenti e da quello contenuto negli insaccati, nei formaggi stagionati e in altri alimenti trasformati a livello industriale e casalingo. Seppure in minore quantità, il sodio si trova anche negli esaltatori di sapore, come il monoglutammato di sodio, nelle acque, nelle bevande, nel bicarbonato di sodio. Altra fonte è costituita dai preparati da cucina, come i dadi da brodo.

L’assorbimento avviene nella parte distale dell’intestino tenue e nel colon. Anche se vi sono grandi fluttuazioni degli introiti di sodio, la sua concentrazione nel liquido extracellulare è mantenuta costante attraverso l’azione principale dell’aldosterone (ormone antidiuretico) sui tubuli renali. Ogni giorno giungono nel filtrato glomerulare 575 mg di sodio, che vengono quasi tutti riassorbiti. Se l’introito è alto, il livello di aldosterone diminuisce e l’eliminazione di sodio con le urine aumenta; l’inverso accade in presenza di bassi introiti del minerale.

L’omeostasi è strettamente correlata con il controllo del volume del liquido extracellulare. Quando l’introduzione di sodio aumenta, viene trattenuta una maggior quantità di acqua e si determina un incremento del volume del liquido extracellulare; l’inverso avviene quando l’introito diminuisce. Anche se il rene conserva il sodio in modo molto efficiente, parte di esso viene disperso attraverso le feci e il sudore. Il ruolo metabolico del sodio consiste nel regolare il volume del liquido extracellulare, la concentrazione dei fluidi corporei, l’equilibrio acido-basico e il potenziale di membrana delle cellule. Il sodio è coinvolto, inoltre, nel meccanismo del trasporto attivo delle molecole attraverso la membrana cellulare, nel corso del quale esso viene pompato fuori della cellula e scambiato con il potassio (pompa sodio-potassio); questo processo comporta l’utilizzazione di una notevole frazione dell’energia che è richiesta per i processi metabolici di base (v. metabolismo).

È difficile determinare il bisogno fisiologico di sodio, considerato l’efficace sistema di adattamento dell’organismo a introiti che possono variare notevolmente da una popolazione all’altra, culminando nei paesi industrializzati in cui, per l’alto consumo di alimenti trasformati e conservati, si verificano i massimi introiti (4 g di sodio al giorno, corrispondenti a 10 g di sale da cucina). I bisogni sono stati stimati in adulti ambientati in clima temperato, calcolando le perdite obbligate attraverso l’urina, le feci e la pelle. Si è così dedotto che il fabbisogno minimo degli adulti, in condizioni di adattamento massimo e senza sudorazione attiva, sia pari a 115 mg al giorno. Tenendo poi conto delle notevoli variazioni nel grado di attività fisica e di esposizione climatica, esso è stato innalzato a 575 mg al giorno. Poiché non si conoscono vantaggi derivanti dal consumo di alte quantità di sodio, ma anzi svantaggi in coloro che soffrono di ipertensione, le RDA (Recommended dietary allowances) statunitensi propongono un introito compreso tra 500 mg e 2400 mg al giorno equivalenti a 6000 mg di sale da cucina. I LARN (Livelli di assunzione raccomandati di energie e nutrienti per la popolazione italiana) e le RDA europee propongono invece un minimo di 575 mg e un massimo di 3500 mg al giorno, corrispondenti all’assunzione di 1500-8800 mg di sale. Durante la gravidanza il fabbisogno di sodio aumenta per l’espansione del fluido extracellulare materno, per le necessità del feto e per il liquido amniotico. Un aumento dei bisogni si ha anche durante l’allattamento, poiché nel latte passano 180 mg di sodio per litro. Si considera, tuttavia, che in queste condizioni non sia necessario incrementare le dosi abituali, perché attraverso i meccanismi fisiologici di controllo dell’escrezione renale si avrà una maggiore ritenzione del minerale.

Non si conoscono manifestazioni da carenza di sodio, neppure in soggetti che ne introducono abitualmente basse quantità. Le stesse sudorazioni profuse non comportano, di norma, un aumento nel bisogno di sodio. L’organismo può risultarne impoverito in condizioni estreme di sudorazione forte e persistente, oppure quando, in seguito a traumi, diarree croniche o malattie renali, non è più capace di trattenerlo. In questo caso, il problema è di natura medica e non può essere risolto per via nutrizionale. Introiti eccessivi di sodio portano invece a un aumento dello spazio extracellulare, perché l’acqua viene drenata dalle cellule al fine di riequilibrare la concentrazione di questo minerale. Alla lunga, esso può produrre edema e ipertensione. Le forme acute di tossicità non destano però preoccupazione in quanto, se viene contemporaneamente consumata più acqua, il rene può eliminare il sodio in eccesso.

L’esistenza di un rapporto tra alti introiti di sodio e ipertensione arteriosa è argomento controverso. Le RDA statunitensi si limitano ad affermare che consumi abituali di elevate quantità di sodio possono essere correlati con l’ipertensione in individui geneticamente suscettibili. Secondo le raccomandazioni europee, oltre a un eccesso di sodio, nella patogenesi dell’ipertensione sono coinvolti anche uno scarso introito di potassio, un basso livello di attività fisica, lo stress mentale, il consumo di alcol, il fumo e un indice di massa corporea elevato. Tuttavia, anche dopo aver considerato questi fattori, rimane, secondo gli estensori del rapporto, una relazione tra escrezione urinaria di sodio (ritenuta un indicatore dell’introito) e aumento della pressione sanguigna con l’età. Inoltre, una nuova analisi dei risultati di vecchi studi epidemiologici dimostrerebbe un’associazione tra consumo di sale e aumento della pressione sistolica e diastolica. Dall’insieme delle ricerche effettuate, è possibile dedurre che una riduzione nel consumo di sale avrebbe un apprezzabile effetto nel limitare la mortalità per malattie ischemiche e ictus. Altre fonti, pur esprimendo alcuni dubbi motivati sul fatto che il sodio di per sé stesso possa avere un ruolo nella patogenesi dell’ipertensione, concludono che, non essendo conosciuto alcun rischio conseguente a una diminuzione dell’introito di sale, questa potrebbe giovare a quel sottogruppo di popolazione che risulta geneticamente suscettibile all’ipertensione (v. sale).

4. Potassio

Il potassio (K) è il principale catione intracellulare. Il corpo di un maschio adulto di 70 kg ne contiene 117-147 g, di cui il 95% presente all’interno delle cellule a una concentrazione 30 volte superiore a quella del liquido interstiziale e del plasma. Il potassio è ampiamente distribuito negli alimenti, in quanto costituente essenziale di tutti i tessuti viventi. Le fonti più ricche sono la frutta e i vegetali freschi. Gli alimenti trasformati risultano invece alquanto sbilanciati in favore del sodio, aggiunto in forma di sale come conservante. Gli introiti di potassio dipendono quindi dalle scelte alimentari: coloro che consumano forti quantità di vegetali e frutta possono introdurne fino a 8-11 g al giorno, mentre con diete in cui prevalgono i prodotti animali l’introito si aggira intorno ai 2,5-3,5 g al giorno.

Il potassio viene assorbito con un’efficienza che arriva fino al 90% della quantità ingerita. Assunzioni maggiori o minori rispetto alle dosi abituali non si riflettono sulla concentrazione plasmatica, perché il rene può regolare molto bene l’escrezione urinaria del minerale tramite l’intervento dell’aldosterone e di altri mineralcorticoidi. Le perdite attraverso le secrezioni intestinali e il sudore sono minime. La differenza di concentrazione del potassio tra l’interno e l’esterno delle cellule è resa possibile dalla stessa pompa sodio-potassio che espelle il sodio dalle cellule. Questo meccanismo, che richiede utilizzo di energia ed è fondamentale per l’assunzione intracellulare di molecole, superando i gradienti elettrochimici e di concentrazione, sta alla base di importanti processi fisiologici, quali, per es., la trasmissione dell’impulso nervoso, il controllo della contrazione muscolare, il mantenimento di una normale pressione sanguigna.

È assai poco probabile che possano verificarsi carenze di potassio di origine alimentare, considerata la sua generalizzata presenza negli alimenti. Delle perdite possono tuttavia aver luogo attraverso il tratto gastrointestinale, in seguito a vomito prolungato, diarrea cronica e abuso di lassativi, o anche per via renale, in seguito a uso di diuretici. Alcune malattie renali croniche o certi disturbi metabolici, come l’acidosi diabetica, possono determinare gravi perdite. La carenza di potassio altera i fenomeni elettrofisiologici delle membrane cellulari, provocando debolezza nei muscoli scheletrici e gravi effetti sul muscolo cardiaco, come aritmia e arresto cardiaco. A livello del sistema nervoso centrale, la carenza può produrre depressione e confusione mentale.

Il fabbisogno di potassio viene valutato tenendo conto delle perdite fecali e di quelle tegumentali, che ammontano a circa 600-800 mg al giorno. Tuttavia, allo scopo di evitare riduzioni dei depositi, e in considerazione del fatto che il potassio si conserva meno bene del sodio, si valuta il bisogno minimo pari a 1600-2000 mg al giorno. I LARN propongono un introito di 3200 mg al giorno, quantità in grado di coprire il fabbisogno anche durante la gravidanza e l’allattamento. Maggiore attenzione dovrebbe essere invece posta nei riguardi dell’uso indiscriminato di sali di potassio, ritenuti protettivi nei riguardi dell’ipertensione, poiché in soggetti con insufficienza renale non diagnosticata si può verificare una ritenzione anormale del minerale, con conseguenti sintomi tossici. L’iperpotassiemia acuta può essere fatale perché provoca arresto cardiaco. Per alcuni individui può essere pericolosa anche un’ingestione abituale di 5,9 g al giorno: è pertanto consigliabile non superare questa dose, tanto più che quantità maggiori non sarebbero di alcun beneficio.

5. Cloro

Il cloro (Cl) è il principale anione dei liquidi extracellulari. In un uomo adulto di 70 kg la quantità totale di cloro ammonta a 84 g, il 70% nei liquidi extracellulari e il rimanente nello spazio intracellulare, nel tessuto connettivo e nelle ossa. Viene assunto quasi esclusivamente sotto forma di cloruro di sodio e pertanto le fonti alimentari sono le stesse del sodio. Il cloro è assorbito passivamente nella parte prossimale dell’intestino tenue, seguendo il gradiente elettrochimico creato dagli elettroliti di tipo cationico, come sodio e potassio. È essenziale per il mantenimento del bilancio idrico, della pressione osmotica e dell’equilibrio acido-base; è inoltre un componente del succo gastrico. Normalmente non si verificano carenze alimentari di cloro. Poiché le perdite di cloro, così come la sua assunzione con gli alimenti, tendono ad andare in parallelo con quelle di sodio, le condizioni che provocano riduzioni di sodio, quali sudorazione forte e continuata, vomito, diarrea cronica, malattie renali, determinano anche un’alcalosi metabolica ipocloremica. Per lo stesso motivo, in assenza di informazioni specifiche sul fabbisogno giornaliero, si ritiene che questo debba essere in proporzione con il fabbisogno del sodio: per questa ragione i LARN prevedono un’assunzione compresa tra 900 e 5300 mg, corrispondenti a 1500-8800 mg di sale da cucina.

Come causa alimentare di tossicità, si conosce solo l’ipercloremia provocata dalla disidratazione per carenza di acqua. Vi sono tuttavia evidenze che l’assunzione di acque di acquedotto, clorate a scopo di disinfezione, costituisca un fattore di rischio per alcuni tumori, sebbene non sia dannoso il cloro di per sé, ma piuttosto risulti nociva la sua interazione con alcune sostanze organiche presenti nell’acqua stessa.

6. Zinco

L’importanza vitale dello zinco (Zn) per la specie umana è stata documentata negli anni Sessanta del 20° secolo, quando fu osservata una depressione nella crescita e nella maturazione sessuale di ragazzi iraniani ed egiziani, le cui diete, a base di frumento, erano sostanzialmente prive di zinco. I sintomi regredirono in seguito a somministrazione di questo minerale, il cui ruolo essenziale era del resto già noto in campo animale. Il corpo umano adulto contiene circa 2 g di zinco distribuito in tutte le cellule corporee, anche se maggiormente presente in certi tessuti rispetto ad altri. Le concentrazioni medie variano tra 10 e 100 μg per grammo di tessuto fresco, con valori più elevati nelle ossa, nella prostata e nella membrana corioidea dell’occhio. Data la preponderanza di muscoli e ossa, il 90% dello zinco è localizzato in questi due tessuti. Nei tessuti molli, quali muscoli, cervello, polmoni, cuore, le concentrazioni sono relativamente stabili. Altri tessuti, come ossa, testicoli, capelli e sangue, tendono invece a riflettere gli introiti alimentari. Lo zinco si ottiene principalmente da prodotti animali: carne, fegato, uova, pesci e frutti di mare, in particolare le ostriche. I cereali ne contengono poco e in quantità scarsamente assorbibile, soprattutto se sono di tipo integrale.

Lo zinco è assorbito rapidamente lungo tutto l’intestino, probabilmente con due diversi meccanismi, di cui uno mediato da un trasportatore. L’assorbimento e l’escrezione urinaria appaiono omeostaticamente regolati, con un bilancio tra entrate e uscite che può essere realizzato a differenti livelli di assunzione alimentare. La regolazione omeostatica dell’assorbimento sembra essere correlata con la presenza nelle cellule intestinali di una proteina, la metallotioneina, la cui sintesi viene indotta nel momento in cui gli introiti di zinco e di altri cationi (per es. il rame) sono molto elevati. La metallotioneina lega lo zinco, tamponando gli effetti di un suo eccessivo rilascio nella circolazione. Piccole quantità di zinco vengono assorbite con maggiore efficienza rispetto a dosi elevate, ma l’assorbimento dipende anche dalla composizione globale del pasto, potendo variare dal 2,4% al 38,2% della quantità introdotta. Ostacolano l’assorbimento la fibra, soprattutto la crusca, e i fitati; lo favoriscono invece il pane bianco, le carni, il latte.

Lo zinco ha funzioni strutturali e funzioni regolatrici o catalitiche in almeno 60 metalloenzimi delle principali vie metaboliche. Esso serve anche a stabilizzare la configurazione di certe proteine non enzimatiche, come i granuli presecretori dell’insulina e alcune proteine coinvolte nella trascrizione genica nei Mammiferi, dove si lega a residui degli aminoacidi cisteina e istidina. Inoltre, lo zinco facilita il legame tra ormoni e recettori sia nella membrana sia nel nucleo. Considerati i suoi molteplici ruoli, anche se non tutti conosciuti nel dettaglio, è possibile affermare che lo zinco partecipa ai processi di espressione genica e al meccanismo d’azione e di controllo delle principali vie metaboliche che interessano le proteine, i carboidrati, gli acidi nucleici e i lipidi.

Le manifestazioni cliniche della carenza grave di zinco comprendono arresto dell’accrescimento, depressione della funzione immunitaria, anoressia, dermatiti, alterazione della funzione riproduttiva, anomalie scheletriche, diarrea e alopecia. Carenze di questa gravità, peraltro rare, sono associate a stili alimentari aberranti o a malattie, soprattutto epatiche o gastrointestinali, accompagnate da malassorbimento del minerale. Le forme più lievi di carenza possono indurre una diminuzione della risposta immunitaria, un minore accrescimento nei bambini, un ritardo nella cicatrizzazione delle ferite e un’attenuazione della capacità di percepire gli odori e i sapori.

Riguardo allo zinco i LARN ripropongono sostanzialmente le raccomandazioni europee, consigliando una quantità giornaliera di 10 mg per gli adulti maschi e 7 mg per le femmine, con un aumento di 4-5 mg nel periodo dell’allattamento. L’ingestione eccessiva di zinco, come solfato, induce fenomeni di tossicità acuta che si presentano sotto forma di irritazioni gastrointestinali e vomito. Altri fenomeni di tossicità acuta si sono manifestati a seguito di assunzione di acqua conservata in recipienti galvanizzati. Ingestioni di zinco in quantità 10 o 30 volte più alte dei livelli raccomandati, per periodi di mesi, hanno invece interferito con il metabolismo del rame, determinando in conseguenza ipocupremia, anemia microcitica e neutropenia. È stata avanzata l’ipotesi che lo zinco, in quantità superiori a quelle fisiologiche, possa agire anche sul metabolismo del ferro; per questo motivo si ritiene prudente non superare, negli adulti, una quantità di 30 mg/giorno.

7. Rame

Il contenuto totale di rame (Cu) nell’organismo umano è di 50-120 mg (così ripartito: il 40% nei muscoli, il 10% nel cervello e il 15% nel fegato). Nel plasma, il 90-95% del rame è legato alla ceruloplasmina e la restante parte ad altre proteine (albumina, transcupreina) e agli aminoacidi liberi. Le fonti più ricche sono costituite da alimenti quali fegato, cuore e reni, pesci e frutti di mare, nocciolame e legumi secchi. Il latte umano contiene circa 0,3 mg di rame per litro, quello vaccino invece 0,09 mg.

L’assorbimento avviene con un’efficienza che varia dal 35% al 70% della quantità ingerita, ed è influenzato negativamente da alcuni nutrienti, come il fruttosio, l’acido ascorbico e lo zinco. Quest’ultimo, se introdotto in eccesso, rende più gravi i sintomi di eventuali carenze di rame, mentre se è presente in bassa quantità ne fa aumentare l’assorbimento e l’utilizzazione. Oltre al rame alimentare, giungono quotidianamente nell’intestino 0,5-1,5 mg di rame veicolati dalla bile; la quantità è variabile e si ritiene che l’omeostasi sia assicurata tramite l’escrezione biliare. Anche la metallotioneina, una proteina delle cellule intestinali, potrebbe partecipare al controllo omeostatico, legando il rame introdotto in eccesso e impedendo che ne vengano assorbite quantità che potrebbero risultare tossiche.

Il rame, come il ferro, può esistere in due stati di ossidazione. Questo lo rende essenziale per l’attività di enzimi che sono deputati al trasferimento di elettroni da un substrato all’altro, quali: la citocromossidasi, preposta al trasferimento di elettroni nell’ultima parte della catena respiratoria; la superossidodismutasi Cu/Zn dipendente, che ha il ruolo di decomporre il radicale libero superossido; la DOPAossidasi, interessata al metabolismo di dopamina ed epinefrina; la lisilossidasi, importante per la formazione di legami incrociati nel collagene del tessuto connettivo, e altri ancora. Come parte essenziale di questi enzimi, il rame risulta implicato nel metabolismo energetico della cellula, nella produzione di tessuto connettivale e nella sintesi di peptidi neuroattivi, come le catecolamine e le encefaline.

Gli stati di carenza sono correlati con la perdita di attività di specifici enzimi. Specialmente in bambini prematuri, o in lattanti normali alimentati con latte vaccino non modificato, sono state osservate diminuzioni nel numero di globuli bianchi, anomalie scheletriche, maggiore suscettibilità alle malattie respiratorie e ad altre infezioni. Negli adulti, a eccezione di quelli sottoposti ad alimentazione parenterale totale, è più difficile osservare manifestazioni da carenza di rame. Da alcuni studi sperimentali è emersa una possibile associazione tra bassi introiti di rame e una funzionalità cardiaca alterata, con disritmie probabilmente legate a un metabolismo difettoso delle catecolamine e delle encefaline. Secondo le RDA europee, tuttavia, appare prematuro collegare bassi introiti di rame con le malattie cardiovascolari.

Esistono pochi dati su cui basarsi per stabilire il fabbisogno di rame. Alcuni studi suggeriscono che il bilancio può essere realizzato con circa 1,2 mg di rame al giorno. Altre indagini, con diete sperimentali che fornivano 0,79 mg al giorno, non hanno evidenziato segni di carenza. Questi risultati suggeriscono che un introito quotidiano di 0,8 mg può considerarsi adeguato, anche se i bisogni potrebbero essere in realtà inferiori. I LARN propongono, per la popolazione adulta, un introito variabile da 0,8 a 1,2 mg al giorno. Per la gravidanza non vengono proposti supplementi, nell’assunto che la madre possa adattare il suo metabolismo ai maggiori bisogni di questo periodo, mentre per l’allattamento è stabilito un aumento giornaliero di 0,33 mg, in considerazione del rame trasferito nel latte. Per i bambini e gli adolescenti le quantità previste sono calcolate sulla base del contenuto in rame dei tessuti e di un’efficienza di assorbimento pari al 50%. I relativi valori partono da 0,3 mg al giorno tra i 6 e i 12 mesi di vita, per aumentare gradualmente negli anni successivi, fino ad arrivare ai valori degli adulti.

Forme di tossicità acuta si sono osservate in caso di ingestione accidentale di composti a base di rame o di cibi e bevande acide conservate in recipienti realizzati con tale elemento. I sintomi consistono in dolori epigastrici, nausea, vomito e diarrea, che di solito precedono la comparsa di danni più gravi come coma, oliguria, necrosi epatica, collasso vascolare e morte. Patologie da ingestione cronica sono state osservate in pazienti sottoposti a dialisi con tubi di rame, oppure in agricoltori che facevano un uso continuato e non controllato di solfato di rame come pesticida. Non si sa tuttavia con certezza quale sia la quantità di rame capace di produrre effetti tossici.

8. Selenio

La funzione essenziale del selenio (Se) è stata riconosciuta quando si è scoperta la sua presenza nel sito attivo della glutationeperossidasi, un enzima che fa parte del sistema di difesa antiossidativo della cellula. La quantità totale di selenio nell’organismo può variare da 3 a 30 mg. Tale variabilità è dovuta, come per lo iodio, alla composizione geochimica del suolo sul quale sono prodotti gli alimenti. Le prime dimostrazioni dirette dell’importanza nutrizionale del selenio si ebbero nel 1979, quando alcuni ricercatori cinesi ipotizzarono un legame diretto tra una cardiomiopatia (malattia di Keshan), che colpiva soprattutto i bambini e le donne in età fertile, e il basso contenuto di selenio nel terreno della regione e nel plasma sanguigno degli abitanti; al contrario, sempre in Cina, in zone ad alto contenuto di selenio nel suolo la popolazione manifestava sintomi di tossicità.

Pesci e frutti di mare, reni e fegato sono gli alimenti più ricchi di selenio, seguiti dalle altre carni. Il contenuto nei vegetali dipende strettamente dalla quantità presente nel terreno di coltivazione. Anche le acque possono contribuire a fornirne una certa quota. La maggior parte del selenio contenuto negli alimenti si trova legato agli aminoacidi metionina e cisteina, dove prende il posto normalmente occupato dallo zolfo. I selenoaminoacidi vengono probabilmente assorbiti con meccanismi attivi di cotrasporto con il sodio, analogamente a quanto avviene per le controparti solforate. Anche le forme inorganiche di selenio vengono comunque assorbite in modo molto efficiente. La selenometionina si comporta metabolicamente come la normale metionina solforata: viene incorporata nelle proteine come tale e preservata in questa forma nel pool della metionina libera. Il selenio viene messo a disposizione solamente se l’organismo contiene quantità sufficienti di metionina, perché altrimenti vengono privilegiate le utilizzazioni metaboliche di quest’ultima. Al contrario, il selenio della cisteina è messo a disposizione del pool biologicamente attivo di tale minerale. L’omeostasi del selenio è assicurata essenzialmente da adattamenti nell’escrezione urinaria.

Come componente del corredo di difesa antiossidativa cellulare, il selenio può, in alcuni casi, alleviare i sintomi di carenza della vitamina E, che rappresenta l’antiossidante per eccellenza. Dal momento che il selenio associato alla glutationeperossidasi è meno del 2% di quello presente nell’organismo umano, si ipotizza che esistano, per questo nutriente, altri ruoli non ancora identificati. In anni recenti si è in scoperta la presenza del selenio in alcune proteine plasmatiche (selenoproteina P) e, in animali da laboratorio, in un enzima (5’-deiodinasi) interessato al metabolismo dell’ormone tiroideo.

I sintomi clinici più evidenti di carenza, regredibili dopo somministrazione di selenio, sono quelli cardiomiopatici della malattia di Keshan, cui probabilmente contribuiscono anche fattori non nutrizionali, come per es. un virus cardiotossico. Manifestazioni analoghe sono state osservate anche in pazienti sottoposti a nutrizione parenterale con soluzioni prive di selenio. Sono state documentate, inoltre, anche forme meno gravi, come miopatie scheletriche, macrocitosi e decolorazione della pelle e dei capelli.

A partire da introiti noti di selenio, il fabbisogno viene determinato misurando il suo livello in vari tessuti ed escreti, oppure l’attività della glutationeperossidasi. Negli abitanti della Nuova Zelanda e della Finlandia, dove il selenio nel suolo è scarso e gli introiti medi sono di 15-40 μg al giorno, non sono stati riscontrati sintomi associabili a carenza, anche se l’attività della glutationeperossidasi è inferiore al suo valore massimo. In Cina, la malattia di Keshan si manifesta in quelle popolazioni che introducono meno di 12 μg di selenio al giorno e non in quelle che ne assumono 19 μg. Queste osservazioni e le concomitanti misure metaboliche hanno portato a ritenere che il bisogno fisiologico medio possa essere coperto con circa 0,7 μg di selenio al giorno per chilogrammo di peso corporeo. I LARN suggeriscono un apporto giornaliero di 55 μg negli adulti di entrambi i sessi. Per la gravidanza non vengono proposti supplementi, mentre per il periodo dell’allattamento è consigliato un incremento di 15 μg al giorno. Non esistendo dati sui bambini, i relativi livelli di assunzione sono stati formulati per estrapolazione da quelli degli adulti, sulla base del peso corporeo.

Il selenio può essere tossico. Quando è assunto in quantità intorno ai 700 μg al giorno, esso viene trasformato in un composto volatile dimetilato (CH3)2 Se, che viene eliminato con l’aria espirata, alla quale conferisce un odore agliaceo. Introiti di 3000-6000 μg al giorno provocano una grave forma di selenosi, caratterizzata da dermatiti eritematose e bolliformi, unghie distrofiche, alopecia e anormalità neurologiche, quali parestesia, paralisi ed emiplegia. Poiché assunzioni elevate di selenio non producono alcun beneficio, le RDA europee fissano come introito massimo di sicurezza una quantità di 450 μg al giorno.

bibliografia

LARN: Livelli di assunzione raccomandati di energia e nutrienti per la popolazione italiana, Revisione 1996, a cura della Società italiana di nutrizione umana, Roma 1997.

Nutrient and energy intakes for the European Community, Reports of the Scientific committee for food, Luxembourg, Office for official publications of the European Communities, 1993.

Recommended dietary allowances (RDA), Washington, National Academy Press, 198910.

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