MILLE E UNA NOTTE

Enciclopedia Italiana (1934)

MILLE E UNA NOTTE (in arabo Alf lailah wa lailah)

Francesco Gabrieli

Celebre raccolta novellistica in arabo, resa nota in Europa attraverso una libera traduzione francese al principio del sec. XVIII, e pubblicata nel testo, o più esattamente in alcune redazioni del testo fissate soprattutto in Egitto sulla fine del Settecento, nella prima metà del sec. XIX.

La forma dell'opera, in quella che si può chiamare l'attuale vulgata delle edizioni moderne, e della stessa prima traduzione francese, è quella di una storia generale, che serve di cornice e di occasione alle centinaia di racconti minori, spesso inseriti gli uni negli altri, che in essa sono contenuti: la storia-cornice narra dei due re fratelli Shahriyār e Shāhzamān, che vengono per caso a scoprire infedeli le loro mogli; e, messisi in viaggio per vedere se altri avesse avuto, in condizioni pari o peggiori delle loro, tale disgrazia, hanno modo di sperimentare un tal colmo di perfidia e d'astuzia femminile da esserne insieme confermati e rassegnati nella più convinta misoginia. Da allora re Shahriyār obbliga ogni giorno una fanciulla dei suoi sudditi a passare la notte con lui, uccidendola all'indomani, sino a che il visir incaricato di fornirgli la vittima non trova più altri che la sua stessa figliuola, la bella e saggia Shahrazād; questa, ottenuto dal re di potergli raccontare una novella, in presenza della sorella Dīnāzād, sa così abilmente sospendere la narrazione a un punto interessante da indurre il re a prorogare alla notte seguente la sua morte per il piacere di udire il seguito; naturalmente la notte dopo la storia non è finita, o una nuova si è inserita nella prima, e così per "mille e una notte" Shahrazād intrattiene il re con i suoi racconti, sino a quando, presentandogli i tre figli che nel frattempo le erano nati da lui, ne ottiene definitiva grazia, e resta sua sposa felice.

In questa trama generale dunque, che non è se non la tenuissima artificiosa cornice, si svolgono le centinaia di novelle che costituiscono il nucleo dell'opera, dalla brevissima storiella di due o tre pagine alle grandi narrazioni, con molte altre minori intercalate, e ai veri e proprî "romanzi" di avventure, cavalleresche e di viaggi, che nell'opera generale sono stati, come vedremo, inseriti.

Sulla paternità, l'origine, la storia della raccolta e degli elementi che la compongono, si è moltissimo discusso, dacché A. Galland, con la sua spigliata, ma assai libera e abbreviata traduzione francese di parte dell'opera, la introdusse in Europa ai primi del Settecento, sino ai nostri giorni. La pubblicazione del testo, o meglio dei testi arabi delle Mille e una notte (v. appresso: Edizioni) complicò subito i problemi, giacché né i varî testi coincidevano in tutto fra loro, né alcuno coincideva in tutto con la versione del Galland, e questa d'altra parte presentava racconti che non si ritrovavano negli originali, sì da far sospettare sulla scrupolosità del Galland stesso. A poco a poco, scoperte in nuovi manoscritti indipendenti dalle Mille e una notte storie che nelle edizioni arabe non si ritrovavano (ad es. quella famosa di Aladino e della lampada meravigliosa), confrontando tra loro le varie edizioni e studiando la larghissima, per quanto nel complesso abbastanza recente tradizione manoscritta, si è venuti, soprattutto per merito dello Zotenberg e del Macdonald, a queste conclusioni. L'opera del Galland fu traduzione, adattata al gusto francese del suo tempo, di materiali arabi disparati, la cui prima parte è un manoscritto fornitogli di Siria, ma di origine egiziana (ora alla Bibliothèque Nationale di Parigi), con 281 notti, e che resta il più antico e tra i migliori di quanti possediamo; il resto della sua traduzione si fonda su materiali orali e scritti che il Galland ebbe da un maronita, tale Ḥannā, condotto in Francia ai primi del Settecento dal viaggiatore P. Loucas. Le edizioni principi del testo arabo, e cioè quella di Būlāq del 1251/1835 e la cosiddetta seconda calcuttense del 1839-42 ad essa strettamente affine anche nella divisione delle notti (dalle quali derivano quasi tutte le moderne traduzioni), si fondano essenzialmente su manoscritti egiziani, più recenti e completi, ma assai vicini a quello utilizzato dal Galland. Abbiamo quindi dinnanzi, come linea principale, una recensione egiziana delle Mille e una notte, base diretta delle edizioni orientali, e dovuta a una compilazione definitiva del Settecento; questa però a sua volta si rivela già assai vicina, per la parte comune, al ms. siriano del Galland, non più recente del sec. XVI, ma la cui redazione sostanziale non sarebbe più antica della fine del sec. XIV.

Questo sarebbe il punto più alto, secondo il Macdonald, a cui possiamo risalire nella storia delle Mille e una notte quali oggi noi conosciamo; esse sarebbero cioè, nella loro vulgata attuale, una compilazione sorta in Egitto attorno al 1400, per opera di un anonimo, che nella cornice generale suaccennata avrebbe disposto e accomodato tutto o gran parte del materiale narrativo corrente in Egitto a quel tempo.

Con ciò naturalmente non sono risolti i problemi sull'origine prima sia della novella-cornice sia del materiale contenuto. Non solo i nomi di forma persiana nella storia generale e in altre storie, e le concezioni morali, le credenze popolari, i motivi favolistici iranici e indiani tuttora rintracciabili nella raccolta, additano, almeno a parti di essa, e innanzi tutto alla novella-cornice, una ben più alta antichità, e un'origine extraislamica ed extrasemitica, ma l'espressa per quanto laconica testimonianza di scrittori arabi del sec. X d. C. (il geografo e storico al-Mas‛ūdī e l'autore del Fihrist, v.) attestano l'esistenza in quell'epoca di un'opera persiana intitolata Hazār afsāneh (mille "racconti" o "favole") tradotta dal pehlevico in arabo, e detta appunto in arabo "Mille notti" (o, secondo un'altra lettura, "Mille e una notte"; questi ultimi particolari solo in alMas‛ūdī). Che si tratti senz'altro della nostra raccolta è naturalmente impossibile, e difficile è anche affermare con certezza la pertinenza di una qualsiasi parte di questa (salvo la cornice) a quel libro persiano: ma che esso sia stato un'opera narrativa assai affine alla nostra, e, quel che i citati scrittori anche esplicitamente dicono, raccolta in una storia-cornice che nelle linee generali appare proprio quella in questione, è ormai indubbio.

I precisi rapporti tra la perduta versione araba del sec. X dell'originale iranico del Hazār afsāneh (a sua volta con indubbie fonti indiane) e le Mille e una notte raggiungibili nel sec. XIV in Egitto restano dunque assai oscuri, e oscura quella che possiamo chiamare la preistoria dell'opera in questi secoli e nel mondo musulmano (un cenno fugacissimo all'esistenza in Egitto delle Mille e una notte sembra accertato per il sec. XII). Ciononostante alcuni critici, e soprattutto il Müller e l'Oestrup, hanno tentato una classificazione dei varî strati del materiale dall'esame interno dei racconti, giungendo a distinguere: a) un primitivo fondo ario, indoiranico, cui apparterrebbero (oltre alla novella cornice, di carattere e funzione tipicamente indiana), molte fra le più riuscite novelle, come Il pescatore e il genio, il Cavallo magico, Ḥasan di al-Baṣrah, Qamar az-Zamān e la principessa Budūr, Ardashīr e Ḥayāt an-nusūs, ecc.; b) un secondo gruppo di novelle, le cosiddette "novelle borghesi", gravitanti attorno alla figura del califfo Hārūn ar-Rashīd e alla società di Baghdād e di alBaṣrah sotto gli ‛Abbāsidi, presumibile epoca della loro composizione; c) il gruppo più recente di vere e proprie novelle egiziane, or brevi or lunghe, di tipo più schiettamente popolare, superstizioso e avventuroso (è stato riaccostato al genere "picaresco"), in cui a sua volta si è voluto distinguere il sopravvivere di antichissima tradizione narrativa e folkloristica egizia, e le innovazioni di origine giudeo-egiziana; d) infine i casi, abbastanza numerosi, di vere e proprie opere narrative indipendenti, di notevole ampiezza, e di origine e carattere diverso, che sono state a un certo punto incorporate nella raccolta, nella quale bastava allungare le singole notti per rendere possibili sempre nuove inserzioni; tali il famoso romanzo cavalleresco di ‛Omar an-Numān; il ciclo dei Viaggi di Sindbād il marinaio, interessante riflesso della floridezza commerciale e dell'attività marinara ed esploratrice arabo-musulmana nel sec. X, contaminato e deformato con prodotti di paradossografia popolare; la notissima Storia dei sette vizir, di origine indiana, e che ha una propria tradizione di redazioni e rifacimenti in varie lingue; quella della Saggia fanciulla Tawaddud, divenuta specialmente popolare in Spagna, ecc. Alcune di queste narrazioni si trovano solo in questo o quel manoscritto; ma piò spesso sono del tutto indipendenti, confermando così la loro origine estranea al nucleo primitivo dell'opera.

Nonostante l'assai disparata antichità e provenienza del materiale novellistico confluito nelle Mille e una notte, quest'opera, attraverso la sua lunga benché non chiara fortuna prima della fissazione definitiva, ha assunto un aspetto abbastanza unitario che attenua la disparità iniziale.

Formalmente, tale aspetto è dato dalla cornice su delineata, con la sua ripartizione in notti e dalla lingua, che nelle Mille e una notte, quale ora noi leggiamo, è semplice e piana nella sintassi, ma nel lessico tradisce un accostamento al volgare egiziano, naturalmente più accentuato nelle parti nate in ambiente egiziano stesso (sono quelle che più servono per le ricostruzioni storiche e storicoantiquarie dei luoghi e degli ambienti descritti); spiritualmente, l'unità delle Mille e una notte attuali sta nella loro islamizzazione nello spirito religioso, etico e di sapienza popolare, di livello in complesso non molto elevato, che si è diffuso su tutta l'opera, e ha impregnato anche le parti originariamente di tutt'altro spirito, come quelle dello stesso fondo ariano. Sotto questo riguardo le Mille e una notte, con l'ampio posto dato all'elemento superstizioso e soprannaturale, cui fa riscontro, in plastica se pur talora volgare vivacità, quello della furberia e accortezza umana, con qualche concessione anche all'elemento osceno (del resto puramente incidentale), col tono fatalistico spesso eloquentemente ribadito, sono un prezioso specchio della vita spirituale e intellettuale degli strati popolari della società musulmana medievale, specie d'Egitto; e non sarà inutile avvertire che questo stesso carattere popolare di contenuto e di lingua le ha fatte disprezzare dalla classe dei letterati arabi, come genere di trattenimenti per il volgo.

Il valore artistico, pur notevole in alcune parti, è insomma assai inferiore a quello culturale della famosissima raccolta. Essa, si può dire, in Occidente ha goduto, dalla sua introduzione ai nostri giorni, di fortuna forse superiore a quella avuta nell'Oriente stesso; a partire dai rifacimenti e imitazioni dell'epoca romantica (si pensi alle novelle di G. Hauff) sino alla persistente fortuna dell'opera, attraverso le più deteriorate ritraduzioni e raffazzonature, negl'infimi strati della letteratura popolare. Con curiosa ma spiegabile deformazione, l'immagine esterna, unilaterale e spesso stilizzata che dell'Oriente ci offrono le novelle delle Mille e una notte (talora addirittura d'un mondo fantastico, volutamente del tutto diverso da quello reale del narratore) è quella attraverso cui l'Occidente stesso ha più conosciuto e talvolta conosce tuttora il mondo orientale musulmano.

Ediz. e trad. principali (per una rassegna completa fino al 1900 circa, v. l'opera dello Chauvin citata in bibliografia): prima edizione di Calcutta 1814-1818. voll. 2 (incompleta, comprende solo le prime 200 notti); ed. di Breslavia, 1826-1838, a cura di M. Habicht, completata da H. L. Fleischer 1842-43, voll. 12 (nonostante che nel titolo si dica fondata su un ms. tunisino, è in realtà basata su mss. varî, per buona parte egiziani, con procedimenti così eclettici da essere stata giudicata, più che un'edizione, una nuova compilazione sul materiale novellistico delle Mille e una notte); ed. principe della redazione egiziana, Būlāq 1251 eg., 1835 d. C., voll. 2 (è il testo migliore); seconda edizione di Calcutta, 1839-1842, voll. 4 a cura di W. H. Macnaghten, parallela a quella di Būlāq, anch'essa su mss. egiziani, contaminata con quella di Breslavia e con la prima di Calcutta; ed. di Būlāq 1279/1862, voll. 4, più diffusa ma inferiore alla prima di Būlāq (da essa derivano le numerose ristampe cairine, p. es. 1297, 1302, 1305-06, 1344 eg. ecc.); ed. di Beirūt, 18881892, voll. 5, a cura di A. Salḥānī (espurgata, con appendice d'altri racconti; 3ª ed. della medesima, Beirut 1929-1930). Dei testi mancanti nelle ediz. citate, quello del racconto di Aladino fu pubblicato da H. Zotenberg, Parigi 1888 (i recenti dubbî del Littmann, che lo giudica una ritraduzione dal francese, non sono stati dimostrati); quello della storia di ‛Ali Bābā e dei 40 ladri, da D. B. Macdonald, in Journal of the Royal Asiatic Society, 1910, 1913; quello di Sūl e Shumūl, da C. F. Seybold, Lipsia 1902. Dei viaggi di Sindbād, frequentemente estratti dal corpo dell'opera e stampati a parte, v. la 3ª ed. (scolastica) di L. Machuel, Algeri 1920.

Traduzione di A. Galland: 1ª ed., Parigi 1704-1717, voll. 12 (gli ultimi due postumi), con numerosissime ristampe, riedizioni e ritraduzioni; nuova trad. francese, assai mediocre e indulgente alle oscenità, di J.-C. Mardrus, Parigi 1899-1927, voll. 16 (non segue nessun testo definito). Trad. tedesca di G. Weil, Stoccarda-Pforzheim 1838-41, voll. 4 (parte sulla ed. di Breslavia, parte su un ms. di Gotha); di M. Henning, Lipsia s. a. (ma 1895-1899), 24 volumetti (sul testo di Būlāq, con omissione di parte dei versi, e con aggiunta, negli ultimi 7 volumetti, delle novelle estranee alle edizioni arabe); di E. Littmann, Lipsia 1921-1928, voll. 6 (sulla seconda ed. di Calcutta con aggiunte; è la migliore versione moderna). Trad. inglese (incompleta) di E. W. Lane, Londra 1839-41, voll. 3 (sul testo di Būlāq; nuova ed. con aggiunte e correzioni, Londra 1859, spesso riedita; il pregevole commento alla versione, del Lane stesso, fu riedito a parte, postumo, col titolo Arabian Society in the Middle Ages, Londra 1883); trad. complete per circolazione privata di J. Payne, Londra 1882-84, voll. 9 (dalla seconda ed. di Calcutta), e di R.F. Burton, Benares, Londra 1885, voll. 10 (è la più famosa versione inglese, dalla seconda ed. di Calcutta, cui il Burton fece seguire 6 voll. di supplementi, Benares 1886-88, con versioni da altri testi; ristampata con alcuni tagli a Londra 1894, voll. 12; ed espurgata, ma conservante le note originali, Londra 1886-87, voll. 6, senza i supplementi). Trad. russa di M. Sallier, pubbl. da I. Kračkovsky, in corso di ediz., Mosca 1930 e segg. (avrà 8 voll.). Non esiste alcuna diretta versione italiana.

Bibl.: V. Chauvin, Bibliographie des ouvrages arabes, ecc., IV-VII: Les mille et une nuits, Liegi-Lipsia 1900-1903; S. De Sacy, recherches sur l'histoire du recueil des contes intitulés mille et une nuits, Parigi 1829; id., in Mém. de l'Acad. des Inscriptions, X (1833); H. Zotenberg, Notices sur quelques manuscrits des Mille et une Nuits et la trad. de Galland, in Not. et Extr. des Man., XXVIII (1887), pp. 167-320; M. J. De Goeje, De arabische nachtvertellingen, in De Gids, III (1886), p. 365 segg. (riafferma l'origine iranica della storia-cornice, raccostandola alla storia di Ester; ma cfr. E. Cosquin, Le prologue-cadre des Mille et une Nuits, in Revue Biblique, 1909, che ne dimostra invece l'origine indiana); A. Müller, Zu den Märchen der Tausend und einen Nacht, in Bezzenberger Beiträge, XXII, pp. 222-244, e J. Oestrup, Studier over tusind og en nat, Copenaghen 1891, trad. in russo da T. Lange, Mosca 1905, e in tedesco da O. Rescher, Stoccarda 1925, con aggiornamenti e supplementi (analisi e scomposizione in gruppi del materiale novellistico); V. Chauvin, la récension égyptienne des Mille et une nuits, Bruxelles 1899; R. Basset, Notes sur les 1001 Nuits, in Revue des tradit. populaires, XIII, pp. 37-87 e 303-08; O. Rescher, Studien über den Inhalt der 1001 Nacht, in Der Islam, IX (1919), pp. 1-94; E. Littmann, Tausendundeine Nacht in der arabischen Literatur, Tubinga 1923; D. B. MacDonald, A preliminary classification of some manuscripts of the Arabian Nights, in A Volume of Oriental Studies pres. to E.G. Browne, Cambridge 1922, pp. 304-321; id., Earlier history of the Arabian Nights, in Journal of the Royal Asiatic Society, 1924, pp. 353-397; R. Paret, Der Ritter-Roman von Umar an-Numān u. seine Stellung zur Samml. von Tausendundeine Nacht, Tubinga 1927.