MILETO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

Vedi MILETO dell'anno: 1963 - 1963 - 1995

MILETO (v. vol. V, p. 9)

W. MÜLLER-WIENER
P. Schneider

Agli scavi tedeschi degli anni 1955-1969, incentrati sulle prime fasi storiche della città, ha fatto seguito lo studio sia degli edifici tardoantichi e bizantini di M. sia di altri complessi, tra cui quello del Kalabaktepe, i santuari ellenistici e gli heròa, dai quali si sono ottenuti nuovi dati sulle necropoli e sulla topografia di Mileto.

La collina Kalabaktepe posta a S della città arcaica fu occupata da insediamenti a partire dalla fine dell'VIII sec. a.C. Tuttavia non va riconosciuta come acropoli della città di M., ma piuttosto come zona di abitazioni, botteghe e santuarî, distrutta nel 494 a.C. Nel corso del V sec. a.C., l'originario avvallamento che si estendeva a E della collina fu appianato e trasformato in una terrazza pianeggiante, dove si riprese a costruire. Tuttavia già alla fine del secolo queste nuove costruzioni furono abbandonate per altre zone residenziali nei pressi del porto. Allo stesso modo, in un'epoca non ancora definita, la spianata in alto sulla collina, ugualmente abitata in epoche remote, fu colmata nel suo lato orientale con fitti strati di frammenti grezzi di pietra e quindi livellata. Numerosi reperti ceramici - soprattutto di produzione locale, decorati con fregi di animali e vasellame dello stile di Fikellura - provenienti dalle nuove tombe fanno intuire il ruolo guida che ebbe M. nello sviluppo di questi generi artistici.

Il numero dei santuari di M. a noi noti è ancora ridotto, sebbene se ne possa supporre una notevole quantità dai frammenti di dodici altari arcaici piuttosto grandi e dalle fonti letterarie. Comunque in base ai nuovi scavi, accanto al Tempio di Atena, che forse non fii mai completato, e al Delphìnion, se ne possono contare altri cinque: il più antico è quello di Dioniso, a O dell'area del mercato settentrionale; segue poi un tempio ionico in antis (11,2 x 19,3 m) degli inizî del III sec. a.C., eretto al di sopra di altri quattro più piccoli. Qui il culto dovette iniziare nella seconda metà del VI sec. a.C.; dopo la metà del V fu eretto un piccolo naòs con eschàra, e in seguito, fra V e IV sec., due templi più piccoli con vani attigui, all'interno del muro del témenos.

Tra la fine del III e gli inizî del II sec. a.C. fu costruito all'estrema punta della penisola un grande tempio prostilo ionico (base della krepìs: 11,76 x 22,57 m) in una zona circondata da muri di terrazzamento, probabilmente dedicato a Demetra. Della costruzione rivolta a E, con profondo pronao, resta solamente il riempimento in pòros del crepidoma; tutta la parte superiore dell'edificio, in marmo, è stata asportata in un'epoca non ancora precisata. Fuori del tempio, lungo il suo asse, sorgeva un piccolo altare di ceneri; accanto vennero ritrovati resti di costruzioni minori e un thesauròs, che venne demolito come il tempio. In svariati bòthroi vicino al muro del períbolo sono state rinvenute numerose hydrìai miniaturistiche del III-II sec. a.C., nonché c.a 350 pezzi di piccola plastica fittile (in maggior parte hydrophòrai, ma anche danzatrici e alcune figure di maialini). Non è stato possibile accertare con sicurezza se una grotta immediatamente a S del tempio appartenesse originariamente al témenos.

Un terzo recinto sacro di epoca tardo-ellenistica è venuto alla luce sotto la basilica dietro al ninfeo: verso la fine del II sec. a.C., al di sopra di costruzioni preesistenti adibite ad abitazione (fase I), fu aggiunto un cortile porticato con ingresso sul lato O e un tempio prostilo dorico rivolto a E (fase II), le cui misure corrispondono a quelle del Tempio di Atena Lindìa. Dell'edificio III, di età imperiale, sono rimaste solamente massicce fondazioni in conglomerato, mentre dell'edificio IV, eretto ai primi del III sec. d.C., si conservano le fondazioni di una sala absidata a tre navate e il pròpylon riutilizzato nella basilica di epoca posteriore (inizî del V sec.). Il ritrovamento, nelle rovine dell'edificio IV, della mano destra di una grande statua bronzea maschile alta c.a 2,5 m, nonché le strutture degli edifici, inducono a pensare che tale complesso svolgesse una funzione di rappresentanza per la città o per lo stato. La serie di costruzioni funerarie monumentali (heròa) poste dentro la città comincia tra la fine del II e gli inizî del I sec. a.C. con il complesso dell’Heròon I sito vicino al pendio ove sorge il teatro: esso consiste di una camera sepolcrale a volta ricavata in ima formazione massiccia di pòros con forma a tumulo, di alcuni vani che circondano a U la camera suddetta e di un atrio ionico posto al di sopra, con ambienti per banchetto (?); tuttavia una costruzione pianificata sul massiccio di pòros non è mai stata completata. Resti dell'atrio, crollato forse nella prima età imperiale, furono riutilizzati in un edificio di abitazione del I sec. d.C., eretto sopra il complesso sepolcrale.

La seconda costruzione di questo gruppo (Heròon II) sorge su una punta a O del porto presso il teatro: si tratta di un piccolo tempio in antis della prima metà del II sec. d.C., eretto su un alto podio con scalinata frontale e ambiente sepolcrale coperto a volta; dopo la distruzione dell'edificio soprastante esso fu riutilizzato nel Medioevo come torre di guardia.

Al centro della città si trova il terzo edificio (Heròon III), costruito sopra molti altri già preesistenti, e i cui inizî risalgono alla seconda metà del VI sec. come altre costruzioni in quest'area. Stando ai frammenti ceramici rinvenuti, esso doveva avere funzioni analoghe al precedente; non si può tuttavia determinare con precisione la loro forma architettonica. Il complesso ancor oggi visibile - un cortile a peristilio con vani aggiunti a Ν e S, e una costruzione funeraria (forse anticamente coperta a botte?) nel cortile - fu costruito nella prima metà del III sec. d.C.

La necropoli sulla Via Sacra era nota già da tempo, così come l'ubicazione della necropoli ellenistica sul pendio del Degirmentepe, sito a O di Mileto. Sono state invece rinvenute in quella zona numerose tombe a camera ricavate nella roccia, con copertura a volta e fornite di brevi dròmoi, contenenti fino a 10 loculi, con ricco materiale (bicchieri, tavolette di ceramica con rilievi, vasellame). La necropoli arcaica si dovrebbe localizzare sotto il nuovo villaggio di Yeni Balat, dove recentemente sono stati trovati numerosi grandi sarcofagi in marmo, calcare e arenaria, alcuni dei quali vuoti o con oggetti insignificanti.

Bibl.: G. Kleiner, Die Ruinen von Milet, Berlino 1968; W. Müller-Wiener (ed.), Milet 1899-1980. Ergebnisse, Probleme und Perspektiven einer Ausgrabung. Kolloquium Frankfurt am Main 1980 (IstMitt, Suppl. 31), Tubinga 1986. - Preistoria: W. Schiering, Zu den Beziehungen zwischen der ältesten Siedlung von Milet und Kreta, ibid., pp. 11-15; W. Voigtländer, Milets Beziehungen zur Argolis in späthelladischer Zeit, ibid., pp. 16-34. V. inoltre: H. Güterbock, M. Mellink, The Hittites and the Aegean World, in AJA, LXXXVII, 1983, pp. 133-141.

Edifici: Κ. Tuchelt, Bemerkungen zu den Capito-Thermen in Milet, in Mansel'e armagan-Mélanges Mansel, Ankara 1974, pp. 147-169; Η. Philipp, Archaische Gräber in Ostionien, in IstMitt, XXXI, 1981, pp. 149-166; V. M. Strocka, Das Markttor von Milet, in 128. BWPr, 1981, pp. 3-61; W. Müller-Wiener, Milet 1976-1986, in AW, XIX, 1988, pp. 31-42. - Sculture: G. Heres, Greifenprotomen aus Milet, in Klio, LII, 1970, pp. 149-161; U. Sinn, Ein Elfenbeinkopf aus dem Heraion von Samos. Zur ostionischen Plastik im 3. Viertel des 6. Jhs. v. Chr., in AM, XCVII, 1982, pp. 35-55; V. von Graeve, Archaische Plastik in Milet, in Miijb, XXXIV, 1983, pp. 7-24; F. Isik, Ein wiedergefundener Girlandensarkophag in Milet, in IstMitt, XXXVI, 1986, pp. 161-181.

Dintorni: W. Radt, Pidasa bei Milet, in IstMitt, XXIII-XXIV, 1973-1974, pp. 169-174; H. von Aulock, Eine neue kleinasiatische Münzstätte: Pedassa bei Milet in JNG, XXV, 1975, pp. 123-128; A. Peschlow-Bindokat, Ioniapolis, zur Topographie einer milesischen Hafenstadt, in IstMitt, XXVII-XXVIII, 1977-1978, pp. 131-136; ead., Die Steinbrüche von Milet und Herakleia am Latomos, in Jdl, XCVI, 1981, pp. 157-235.

Per i rapporti di scavo: IstMitt, XXIII-XXXVII, 1973-1987.

(W. Müller-Wiener)

Santuario di Didyma. - Stando a quanto scrissero Erodoto (ι, 157) e Pausania (VII, 2, 6), l'originario santuario edificato dalla popolazione caria autoctona presso la fonte risale a epoca più antica di quella della colonizzazione ionica della costa occidentale dell'Asia Minore, avvenuta nei secc. XI-X a.C.

Esso è sito a c.a 20 km a S della città greca di M., sul pianoro calcareo di una penisola. Secondo la leggenda, in tale luogo un pastore dal nome cario Branchos ricevette da Apollo il dono della profezia e divenne il mitico fondatore dell'oracolo della fonte (Konon, 33; Strab., IX, 421), i cui sacerdoti furono detti Branchidi. Inoltre sono attestati sin dall'età arcaica i culti di Zeus, Latona, Artemide ed Ecate; grandi offerte votive fecero il faraone egiziano Necho nel 608 a.C. (Herodot., 11, 159) e il re lidio Creso nella prima metà del VI sec. a.C. (ibid., 1, 92), secolo in cui Didyma divenne il santuario oracolare più importante dell'Oriente greco. Furono così costruiti il tempio arcaico di Apollo (tempio II) e la via delle processioni da M. a Didyma, che serviva da collegamento tra il Santuario di Apollo Delphìnios, eretto nel Porto dei Leoni, e quello di Apollo Didimeo. Didyma venne saccheggiata sotto il re persiano Dario nel 494 a.C. (Herodot., VI, 3) o, più probabilmente, soltanto sotto Serse nel 479 a.C. (Strab., XIV, 1, 5 e Paus., vin, 46, 3). Con la liberazione di M. dal dominio persiano, grazie ad Alessandro Magno (334 a.C.), Didyma passò sotto il controllo di quella città, dopo l'esclusione dei sacerdoti Branchidi di origine caria.

Il tempio arcaico di Apollo fu demolito e si iniziò la costruzione del nuovo edificio ellenistico (tempio III) che nel 277-276 a.C. fu saccheggiato dai Galati. Nel II sec. a.C. il santuario venne ampliato, come testimoniano le iscrizioni: furono costruiti il mercato (empòriorn), una sede di raccolta e documentazione degli oracoli (chresmogràphion), edifici per le assemblee (pritaneo e presbytikòn) e un recinto sacro ad Afrodite. Nel I sec. a.C. fu ancora una volta saccheggiato dai pirati (Plut., Pomp., 24); allo stesso secolo si datano le prime testimonianze di un insediamento abitativo (Strab., XIV, 1, 5). Dal II sec. d.C. si hanno iscrizioni che documentano la costruzione di nuove condutture d'acqua, pozzi e fontane, l'erezione di un mercato (màkellon) e di un portico (basilikè). Probabilmente temendo le minacciose incursioni dei Goti, attorno al 250 d.C. il Santuario di Apollo fu fortificato con la costruzione di mura sulla fronte della peristasi. Nel 362 d.C. sotto Giuliano l'Apostata i luoghi di culto cristiani a Didyma vennero distrutti e la Via Sacra fu rinnovata. Alla fine del IV sec. d.C. il Santuario di Artemide e gli edifici lungo la Via Sacra furono abbattuti forse a seguito di un terremoto; successivamente sulle rovine furono eretti una serie di edifici a piccoli ambienti. Nei secc. V-VI d.C. fu realizzata la basilica a tre navate sopraelevata nel cortile precedentemente riservato al culto nel Tempio di Apollo e vennero presi provvedimenti per la ricostruzione della Via Sacra. Seguirono distruzioni per un terremoto nella prima metà del VII sec. d.C. e nel X un ampliamento del «castello del tempio» tramite una rocca antistante. Sculture architettoniche dal IX al XII sec. indicano l'esistenza di grandi complessi religiosi (che finora non è stato possibile localizzare) di età medioevale, epoca in cui Didyma fu sede vescovile.

Il Santuario di Apollo. - «Sekòs I» (dal 700 a.C. circa fino alla prima metà del VI sec. a.C.). - Due fondazioni parallele di pòros relative alle mura di cinta, le quali circondano una dorsale di roccia estesa da NO a SE, sono i più antichi resti struttivi databili all'interno del santuario. L'ampiezza complessiva di questo recinto, che comprende i sacri luoghi della fonte e dell'alloro, assomma a m 10,4, mentre la lunghezza conservata è di 21 m. Resti di mura in quest'area possono essere attribuiti al bacino della sorgente e al pozzo, entrambi relativi all'oracolo.

Circa 25 m a S del «Sekòs I» e allineate parallelamente alle mura del suo cortile sono conservati le fondazioni e alcuni blocchi di ortostati (c.a 600 a.C.) di una «stoà di SO».

A NE del bacino della fonte relativa al Santuario di Apollo si trovano gli strati più bassi in pietra di un edificio a pianta circolare (VI sec. a.C.) dal diametro esterno di 7,90 m e due ingressi contrapposti. È possibile che si tratti dell'altare rotondo di un culto eroico, che secondo Pausania (V, 13, 11) fu eretto a Didyma da Ercole Tebano con il sangue degli animali sacrificati. Tale complesso è circondato da un'area sacra, cinta verso il pendio da un muro di terrazzamento circolare. I due spezzoni meridionali sono di epoca arcaica (VII-VI sec. a.C.), mentre altri tre a E e a Ν furono aggiunti durante la costruzione del «tempio III» di epoca ellenistica. Cinque scalinate conducono alla «terrazza delle offerte votive», dove poggiano le fondazioni di due lunghe costruzioni porticate (?) arcaiche, parzialmente ricoperte da basi di offerte votive erette in età ellenistica e forse romana.

«Tempio II (dalla prima metà del VI sec. a.C. fino agli inizî del V sec. a.C.). - Un'area di culto, la cui monumentalità è accresciuta dalla doppia peristasi, racchiude la struttura più antica del «Sekòs I» per 19,5 m di ampiezza complessiva e una lunghezza conservata di 34,5 m. Sono state conservate le fondazioni delle mura del sekòs distinte da larghi pilastri disposti sul lato interno. Il loro coronamento superiore può essere ravvisato in un doppio kỳma ionico di pòros, la cui forma antica, con modanatura dal profilo aggettante, consente di datare il completamento dei muri del sekòs alla metà del VI sec. a.C. Resti delle parti orientali dell'edificio e della doppia peristasi in marmo, che circondava l'edificio interno in pòros, non hanno potuto finora essere accertati in situ, si presume che la larghezza fosse di 42 m, la lunghezza di 75 m. Sicuramente alla peristasi sono da riferire: columnae caelatae con rilievi di kòrai (540-520 a.C.); basi con toro decorato; capitelli ionici; architrave con rilievi figurati (gorgoni d'angolo fiancheggiate da leoni), kỳma ionico, tegole piane e kalyptères dalla forma segmentale.

All'interno del recinto due avanzi di muro sono attribuibili al «naìskos I», l'edificio al di sopra della fonte oracolare, che nella ricostruzione assume la forma di un piccolo tempio in antis. Frammenti di una sima a foglie doriche e attribuiti al tetto fittile del tempio permettono di datare tale edificio tra il 575 e il 550 a.C.

«Tempio III. - È il tempio di stile ellenistico dedicato ad Apollo, e uno dei più significativi grandi monumenti dell'antichità; secondo Vitruvio (VII, praef., 16) fu progettato dagli architetti Paionios di Efeso e Dafni di Mileto. I lavori di sbancamento si iniziarono forse subito dopo il 334 a.C., poi attorno al 300 e nel 288-287 a.C. le donazioni del re Seleuco Nicatore sostennero l'ambizioso progetto edilizio milesio a Didyma. Le dimensioni colossali di 118 m di lunghezza e 60 m di larghezza trasformano il cortile originario in un edificio gigantesco. Muri di enormi blocchi squadrati, strutturati da pilastri sopra uno zoccolo liscio di 5 m di altezza, cingono l’àdyton sino a un'altezza di oltre 25 m.

Sul vecchio luogo della fonte oracolare nella parte orientale di questo recinto si sono conservati i resti architettonici del «naìskos II», l'edificio che cingeva la sorgente in età ellenistica. Dalle sue fondazioni in pietra calcarea, nonché da numerosi blocchi dei muri in alzato, da frammenti di architrave, frontone, sima e tegole è possibile ricostruire quasi interamente il piccolo edificio in marmo con quattro colonne ioniche sulla fronte. La datazione si colloca intorno alla metà del III sec. a.C. (A. von Gerkan, in Ögh, XXXII, 1940, p. 127 ss).

Il muro E del cortile dell’àdyton è trasformato da due semicolonne corinzie in una pseudofacciata monumentale, che si innalza su una scalinata a forma di tribuna larga 15 m come su di un podio. Dal gradino più alto dello scalone tre porte (trìthyron) si aprono sulla «sala delle due colonne», un ambiente alto più di 20 m e disposto di traverso rispetto all'asse del tempio con due colonne corinzie isolate. Dai lati corti strette scale con rampe distinte per la salita e la discesa (labỳrinthoi) portano a un'ipotizzabile terrazza di culto, posta sopra il lato orientale dell'edificio. La «sala delle due colonne» si apre verso E attraverso un portale alto più di 14 m sul dodekàstylos, un pronao molto profondo con dodici colonne ioniche. La soglia (alt. 1,4 m) di questa monumentale «porta di apparizione» è invalicabile. Due strette rampe, coperte a botte, scendono obliquamente dagli angoli interni del pronao fin dentro l’àdyton.

Delle 108 colonne ioniche previste per la peristasi, che dovevano avvolgere in doppio giro le imponenti e lisce mura marmoree del tempio, fu eretta solo la metà circa. «Per la sua grandezza il tempio rimase senza tetto» (Strab., XIV, Ι, 5). Non fu mai completata nemmeno la sottostruttura a 7 gradini, che solleva il piano dello stilobate della peristasi al livello della fonte. I suoi gradini sul lato S furono utilizzati come file di posti a sedere rivolti verso il limitrofo stadio.

Sulle superfici levigate dei blocchi, soprattutto delle mura che fungevano da zoccolo nel cortile dell’àdyton, sono stati ritrovati incisi in grande quantità disegni che, assieme all'eccellente stato di conservazione del tempio e alle numerose iscrizioni conservate, forniscono nuove conoscenze sulla progettazione e l'esecuzione dell'architettura antica.

La Via Sacra all'interno del santuario. - Punto di partenza degli scavi più recenti (dal 1975 in poi) fu la Via Sacra, la quale raggiunge a NO di Didyma il dorso collinare meridionale della penisola e, dopo una deviazione per passare in una sella, conduce al Santuario di Apollo sul lato S del pianoro. Solo dal VI sec. a.C. la via è attestata come tracciato di strada appositamente costruito, largo circa 6 m. Nel II-I sec. a.C. fu trasformata in Via Colonnata con l'erezione di porticati su entrambi i lati; nel 100-101 d.C. venne pavimentata con lastre di pietra calcarea, grazie a una donazione di Traiano.

Il Santuario di Artemide. - Nella zona già scavata la strada passa sul lato orientale di una dorsale di roccia formata da sedimenti silicei, una propaggine nordoccidentale del pianoro su cui si trova Didyma. Come l’àdyton del Santuario di Apollo, anche qui i resti architettonici più antichi, del VII-VI sec. a.C., sono alcuni bacini e pozzi scavati nella roccia. Essi servivano alla raccolta di sorgenti di acqua dolce, che evidentemente erano essenziali per la fondazione di un «recinto di sorgenti». In esso fu riconosciuto il Santuario di Artemide, attestato epigraficamente a Didyma dal VI sec. a.C., le cui sacerdotesse nelle iscrizioni vengono chiamate Hydrophòrai.

La zona intorno al bacino meridionale era circondata da mura di recinzione. L'impianto del bacino occidentale consisteva di due vasche scavate nella roccia collegate fra loro. Ai resti più antichi appartiene un piccolo muro rettangolare incassato nel suolo, che probabilmente fungeva da deposito cinerario. Un muro di períbolo delimitava a E l'area della dorsale di roccia. Ancora in età arcaica l'acqua che sgorgava nel bacino meridionale veniva portata artificialmente verso il lato Ν della dorsale e raccolta nuovamente nel bacino settentrionale, al di sopra del quale si deve ipotizzare la presenza di un edificio relativo alla sorgente.

Nei secc. III-II a.C., il lato Ν della dorsale venne ampliato artificialmente con terrazzamenti e presso il vecchio edificio della sorgente fu costruito un «altare-tèmenos», fornito di pareti a massi squadrati di calcare. La via della processione, che gli passava accanto e da cui era accessibile il cortile di culto, fu spostata verso E per la costruzione di una canalizzazione e della conduttura dell'acqua corrente.

Altri ampliamenti del II-I sec. a.C. sono costituiti da due complessi edilizi, la «casa sul pendio» e la «casa N», separati da una più antica «Via della Porta» che si diparte dalla Via Sacra. In quel periodo, a seguito di un'ampia diffusione delle pratiche di culto, i bacini d'acqua sulla dorsale di roccia dovettero essere rimpiazzati da fontane a pozzo molto profonde, probabilmente perché il livello della falda si era abbassato. In questi pozzi si trovavano recipienti con anse a staffa, che per la loro forma e la loro deposizione in grandi quantità vanno interpretati come recipienti cultuali in relazione con le hydrophòrai del culto di Artemide. I pozzi forniscono ancor oggi la poca acqua dolce alla penisola carsica. Sempre in relazione a esigenze di culto sono attestati grandi ammassi di ossa di animali.

Nel II sec. d.C. il santuario fu profondamente ristrutturato. Una «stoà di períbolo» circonda la vecchia zona della dorsale di roccia con una serie di n stanze disposte lungo il lato che affaccia sulla Via Sacra e con un'ala piccola, conducendo all'«edificio occidentale». In tale complesso edilizio, scavato solo in parte, e rifornito di acqua da una galleria sotterranea, è probabile che si celi una nuova e monumentale versione di età romana del Santuario di Artemide. Una calcara testimonia la distruzione e la rimozione delle strutture del recinto verso la fine del IV sec. d.C. La ricostruzione della stoà nel V-VI sec. come portico ad arcate è in relazione al restauro dell'«edificio occidentale», che le iscrizioni ci dicono servisse in epoca protobizantina come sede dello stratega di Didyma.

Témenos sulla Via Sacra da Mileto a Didyma. - La via seguita dalle processioni verso Didyma, lunga 20 km, passa c.a 10 km a S di M. sul pianoro settentrionale della penisola, che viene chiamato Akron in un ordinamento del culto risalente all'età arcaica. Qui la via presenta un tracciato largo da 6 a 7 m, ancora oggi visibile per lunghi tratti sul terreno. All'estremità meridionale dell’Akron, in un punto da cui quasi a metà del percorso si poteva avere una prima visione di Didyma guardando verso S, nel 1985-1986 venne scavata un'area arcaica le cui mura di cinta al di sopra della strada racchiudono una superficie di m 90 x 40.

Nella zona NE un luogo di culto costruito artificialmente a terrazze è chiuso verso il pendio da una base semicircolare larga m 16. Su questa base si può ipotizzare che troneggiasse un gruppo di statue sedute del noto tipo didimeo-milesio. Un altro gruppo di statue, composto da sei sfingi alate, poggiava sul muro di sostegno in blocchi squadrati di calcare, lungo 27 m, che chiudeva la terrazza dalla parte della strada. Fra la base semicircolare e il muro con le sfingi, l'«edificio orientale» delimita il lato Ν del luogo di culto, nel cui interno si apre un vasto ambiente rettangolare con una grande porta a due battenti. Il tetto di tegole fittili di questa costruzione (12,3 x 6,7 m) è stato ricostruito fin nei minimi dettagli della sua progettazione metrologica grazie al buono stato di conservazione dei reperti.

A O dello sperone di roccia, oltre il terrazzamento, sono i resti di un edificio in antis (9,5 x 5,3 m). La sua dislocazione verso S è evidentemente finalizzata a consentire la visione di Didyma da lontano.

L'interpretazione dei varí ritrovamenti architettonici e scultorei porta a vedere nel complesso un témenos, eretto verosimilmente attorno al 530 a.C. per un culto milesio gentilizio. La localizzazione topografica esposta, lungo il percorso delle processioni, fa supporre che la sua fondazione sia da porre in stretta relazione con la costruzione della Via Sacra.

Bibl.: W. Müller-Wiener, Mittelalterliche Befestigungen im südlichen Ionien, in IstMitt, XI, 1961, pp. 38-42; G. Gruben, Das archaische Didymaion, in Jdl, LXXVIII, 1963, pp. 78-177; R. Naumann, K. Tuchelt, Die Ausgrabung im Südwesten des Tempels von Didyma 1962, in IstMitt-, XIII-XIV, 1963-1964, pp. 15-62; Κ. Tuchelt, Zeus und Leto in Didyma? Votivfragment eines thronenden Götterpaares, ibid., pp. 57-62; H. Drerup, R. Naumann, K. Tuchelt, Bericht über die Ausgrabungen in Didyma 1962, in AA, 1964, pp. 333-383; W. Hahland, Didyma im 5. Jahrhundert v. Chr., in Jdl, LXXIX, 1964, pp. 142-240; Å. Åkerström, Die architektonischen Terrakotten Kleinasiens, Lund 1966, pp. 108-114, 204 ss.; K. Tuchelt, Skylla. Zu einem neugefundenen Tonmodel aus Didyma, in IstMitt, XVII, 1967, pp. 173-189; Κ. Tuchelt, Die archaischen Skulpturen von Didyma (Istanbuler Forschungen, XXVII), Berlino 1970; W. Günther, Das Orakel von Didyma in hellenistischer Zeit (IstMitt, Suppl. 4), Tubinga 1971; B. Fehr, Zur Geschichte des Apollonheiligtums von Didyma, in MarbWPr, 1971-72, pp. 14-59; Κ. Tuchelt, Weihrelief an die Musen, in AA, 1972, pp. 87-105; W. Voigtländer, Quellhaus und Naiskos im Didymaion nach den Perserkriegen, in IstMitt, XXII, 1972, pp. 93-112; Κ. Tuchelt, Vorarbeiten zu einer Topographie von Didyma (IstMitt, Suppl. 9), Tubinga 1973; id., Didyma. Bericht über die Arbeiten 1972/73, in IstMitt, XXIII-XXIV, 1973-1974, pp. 139-168; U. Peschlow, Byzantinische Plastik in Didyma, ibid., XXV, 1975, pp. 211-257; W. Voigtländer, Der jüngste Apollontempel von Didyma (IstMitt, Suppl. 14), Tubinga 1975; K. Tuchelt, Tempel-Heiligtum-Siedlung. Probleme zur Topographie von Didyma, in Neue Forschungen in griechischen Heiligtümern, Tubinga 1976, pp. 207-217; id., Probleme zur Topographie von Didyma im Licht der archäologischen und inschriftlichen Überlieferung, in The Proceedings of the Xth International Congress of Classical Archaeology, Ankara-Izmir 1973, Ankara 1978, pp. 575-582; K. Tuchelt e altri, Didyma. Bericht über die Arbeiten 1975-1979, in IstMitt, XXX, 1980, pp. 99-189; L. Haselberger, Werkzeichnungen am jüngeren Didymeion, ibid., pp. 191-215; id., Bericht über die Arbeit am jüngeren Apollontempel von Didyma, ibid., XXXIII, 1983, pp. 90-123; J. Boessneck, A. von den Driesch, Tierknochenfunde aus Didyma, in AA, 1983, pp. 611-672; L. Haselberger, Die Werkzeichnung des Naiskos im Apollontempel von Didyma, in Bauplanung und Bautheorie der Antike, Berlino 1984, pp. 111-119; Κ. Tuchelt e altri, Didyma. Bericht über die Arbeiten der Jahre 1980-1983, in IstMitt, XXXIV, 1984, pp. 193-344; Ρ· Schneider, Untersuchungen an der Terrassenmauer im Apollon-Bezirk von Didyma, ibid., pp. 326-343; Κ. Tuchelt, Fragen zum Naiskos von Didyma, in AA, 1986, pp. 33-50; id., Einige Überlegungen zum Kanachos-Apollon von Didyma, in Jdl, CI, 1986, pp. 75-84; P. Schneider, Zur Topographie der Heiligen Strafie von Milet nach Didyma, in AA, 1987, pp. 101-129; Κ. Tuchelt, Die Perserzerstörung von Branchidai-Didyma und ihre Folgen archäologisch betrachtet, ibid., 1988, pp. 427-438; S. Pülz, Untersuchungen zur kaiserzeitlichen Bauornamentik von Didyma, Tubinga 1989; K. Tuchelt e altri, Didyma. Bericht über die Ausgrabungen 1985 und 1986 an der Heiligen Strafie von Milet nach Didyma, in AA, 1989, pp. 143-217; P. Schneider, Didyma. Die Prozessionsstrafie innerhalb des Heiligtums, in Bericht über die 35. Tagung für Ausgrabungswissenschaft und Bauforschung, Lüneburg 1988, Karlsruhe 1990, pp. 22-33; id., New Information from the Discovery of an Archaic Tiled Roof in Ionia, in Hesperia, LIX, 1990, pp. 211-222; K. Tuchelt, Drei Heiligtümer von Didyma und ihre Grundzüge, in RA, 1991, pp. 85-98; L. Haselberger, Aspekte der Bauzeichnungen von Didyma, ibid., pp. 99-113; L. Haselberger, H. Seybold, Seilkurve oder Ellypse? Zur Herstellung antiker Kurvaturen nach dem Zeugnis der didymeischen Kurvenkonstruktionen, in AA, 1991, pp. 165-188; Κ. Tuchelt, Branchidai-Didyma. Geschichte, Ausgrabung und Wiederentdeckung eines antiken Heiligtums, 1765 bis 1990, in AW, XXII, n. speciale, 1991, pp. 1-54; id., Notizen über Ausgrabung und Denkmalpflege in Didyma, ibid., XXV, 1994, pp. 2-31.

(P. Schneider)

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata