MICROSCOPIO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

MICROSCOPIO (XXIII, p. 221)

Vasco RONCHI
Carlo CASTAGNOLI

Mentre l'avvento della microscopia elettronica e protonica (v. appresso) portava a prevedere per il microscopio ottico una utilizzazione modellata esclusivamente su quanto era stato ottenuto fino ad ora, l'attenzione dei tecnici e dei teorici è stata riconcentrata su questo strumento per effetto di due novità: la prima, in ordine di tempo, è stata l'introduzione della microscopia a contrasto di fase, per opera dell'olandese Zernicke; la seconda, più recente, è stata la demolizione della teoria del potere risolutivo del microscopio, costruita sulle direttive classiche di lord Rayleigh e di E. Abbe, e la sostituzione ad essa di principî del tutto diversi dai precedenti, in conseguenza delle ricerche della scuola di Arcetri.

La nuova teoria del potere risolutivo. - La teoria classica sul potere risolutivo del microscopio può essere così riassunta.

Il preparato si può considerare o come un insieme di punti luminosi e oscuri, o come un complesso di strutture periodiche (cioè reticolari) di frequenza diversa. Lord Rayleigh ha preso in considerazione la prima rappresentazione e ne ha considerato l'immagine aerea data dall'obiettivo nel piano coniugato di quello dell'oggetto. Qui, l'immagine di un punto luminoso, in conseguenza dei fenomeni di diffrazione è una figura caratteristica, costituita di un dischetto circondato da anelli concentrici di intensità degradante; figura che oggi è denominata centrica. Il raggio del dischetto (e non vale la pena di occuparsi degli anelli, data la loro lieve luminosità) è visto dal punto nodale posteriore dell'obiettivo sotto l'angolo 1,22 λ/D (D = diametro utile dell'obiettivo). Dato che il preparato è costituito da più punti luminosi, nel piano immagine si hanno altrettante centriche, più o meno sovrapposte, e la facoltà di decidere, osservando l'immagine, se nell'oggetto due punti erano distinti o contigui, è riportata necessariamente alla possibilità di decidere se due centriche sono separate o no.

A questo punto interviene la regola di lord Rayleigh: "due centriche si cominciano a vedere separate, quando la distanza fra i loro centri è uguale al raggio del loro dischetto". Ne segue immediatamente che vi è un limite nella finezza dei particolari dell'immagine aerea, espresso angolarmente proprio da 1,22 /D e linearmente da 1,22 λ/2 sen α(α = semiapertura angolare dell'obiettivo, dalla parte dell'oggetto). Questo limite è stato preso come misura del potere risolutivo dello strumento, e in realtà in esso non interviene per niente l'osservatore. Ciò ingenerò appunto la convinzione che all'osservatore altro non restasse che cercare di vedere quello che poteva nell'immagine aerea, fino al limite suddetto. Questa regola era certamente molto seducente per la sua semplicità: lo strumento vi compariva per un parametro solo, quale è la sua apertura, e l'oggetto vi interviene soltanto per la lunghezza d'onda λ della radiazione che invia all'obiettivo.

Mediante un ragionamento del tutto diverso l'Abbe giunse alla stessa conclusione concettuale e quantitativa: egli considerò l'oggetto come costituito da una struttura reticolare di una frequenza determinata e prese in esame le onde diffratte in cui tale struttura scompone un'onda illuminante inviata dal condensatore sul preparato. Ciascuna di tali onde, quando penetra nell'obiettivo, viene resa convergente in un punto detto immagine primaria (della sorgente) e quindi diverge, sovrapponendosi almeno in parte sulle onde diffratte contigue. Dove si sovrappongono due onde si formano delle frange di interferenza, che sono proprio parallele e proporzionate alla trama del reticolo oggetto; anzi nel piano coniugato di questo rispetto all'obiettivo queste frange sono localizzate, nel senso che hanno una posizione e un periodo indipendente dalla posizione della sorgente luminosa e costituiscono precisamente ciò che si chiama l'immagine del reticolo oggetto. Ma siccome, più alta è la frequenza di questo, più le onde diffratte risultano divaricate, può anche darsi che, per una frequenza assai elevata, rispetto alla apertura angolare α dell'obiettivo entro questo non possano entrare contemporaneamente neppure due sole delle onde diffratte, e siccome allora frange di interferenza non se ne possono formare, non si ha più l'immagine del reticolo oggetto, ossia il microscopio non risolve più una struttura reticolare così fina. Mettendo in termini algebrici la condizione limite per cui questo avviene, si trova una formula che differisce da quella di lord Rayleigh per un coefficiente numerico molto prossimo ad 1. I notevoli perfezionamenti realizzati nella tecnica del microscopio seguendo le direttive di questa teoria, nonché le sorprendenti esperienze sulle immagini false, sembravano dimostrazioni inoppugnabili della rettitudine della teoria stessa.

Come conseguenza di un cospicuo gruppo di ricerche da cui risultava che le idee dell'Abbe e di lord Rayleigh portavano a risultati non troppo concordi coi dati dell'esperienza, si fu portati a ricercare su quali elementi quest'ultimo si era basato per enunciare la sua regola. L'indagine ha portato alla conclusione che nessuna considerazione teorica, ma solo poche misure, e neppure tutte probative e concordi, avevano suggerito a lord Rayleigh tale enunciato. La critica si è rivolta allora contro le conseguenze che erano state dedotte dalla regola di lord Rayleigh, facendola salire al rango di regola fondamentale dell'ottica. Si è costatato immediatamente non esser vero che esista un limite di risoluzione indipendente da tutto fuorché da λ e da D; non solo, ma si è arrivati alla conclusione che addirittura non ha senso parlare della risoluzione dell'immagine aerea data dall'obiettivo.

Infatti per decidere se in questa immagine certi particolari sono separati o no, occorre trovare un mezzo per accertarsene. Orbene di mezzi capaci di far questo se ne conoscono due soli: l'osservazione ad occhio e la fotografia (un terzo mezzo sarebbe l'analisi come si esegue negli apparati televisivi, ma a tutt'oggi esso è grossolano, rispetto ai precedenti, che non merita di esser preso in considerazione); ma si deve notare che nel primo caso è indispensabile proiettare l'immagine sulla retina (attraverso l'oculare e il sistema ottico dell'occhio), e nel secondo caso la proiezione avviene sopra uno strato di emulsione fotosensibile. Ciascuno di questi strati, retineo o fotografico, ha un suo potere risolutivo e il risultato della prova è sempre una combinazione della struttura dell'immagine con la facoltà di risoluzione dello strato rivelatore. Andando a fondo in questa direzione, si arriva a concludere che non esiste un potere risolutivo dello strumento ottico indipendentemente dal mezzo di rivelazione, ma il potere risolutivo è una facoltà essenzialmente propria del mezzo di rivelazione (retina o emulsione fotosensibile).

Questo mutamento di rotta ha fatto sviluppare intensamente le indagini sul potere risolutivo degli strati rivelatori di radiazione. È risultato che il potere risolutivo tanto della retina, quanto delle emulsioni fotosensibili, non è una costante, ma, mentre risente pochissimo della struttura cellulare della prima e della struttura granulare delle seconde, dipende essenzialmente dagli elementi fotometrici e radiometrici in gioco e dal tempo concesso all'operazione; e i diagrammi che esprimono questa dipendenza sono dello stesso identico tipo, tanto per l'osservazione ad occhio, quanto per la fotografia. Da tutto il quadro del comportamento del potere risolutivo in funzione dei numerosi fattori che influiscono su di esso si arrivava alla conclusione profondamente nuova, che la risoluzione ottica non è un fenomeno formale, come portavano a credere le teorie di lord Rayleigh e di Abbe, ma è un processo energetico, governato cioè dalle leggi che segue l'assorbimento dell'energia da parte della materia.

In altri termini, non è più giustificato parlare di potere risolutivo di un microscopio: si deve parlare del potere risolutivo di un occhio che osserva attraverso a un microscopio o di una lastra fotografica impressionata per il tramite di un microscopio. Più propriamente si può parlare di potere risolutivo del sistema microscopio + occhio, o del sistema microscopio + emulsione fotosensibile. Non solo, ma anche per queste combinazioni il potere risolutivo è una funzione governata dalle condizioni fotometriche ed energetiche della sorgente di radiazione, e dalle condizioni ricettive dello strato rivelatore (in particolare nelle operazioni ad occhio hanno molta importanza le condizioni di stanchezza e le qualità psicologiche dell'osservatore, e per le emulsioni fotosensibili, i trattamenti di sviluppo e fissaggio), oltre alle condizioni di rendimento fotometrico e ottico dello strumento ottico impiegato.

Sulle nuove direttive fervono i lavori per dare all'ottica strumentale un nuovo assestamento, più razionale e più completo.

La microscopia in contrasto di fase. - Prendendo le mosse da quanto è già stato detto (v. microscopio, XXIII, p. 221 segg.), a proposito della teoria di Abbe, consideriamo ancora come oggetto un reticolo a frequenza costante, ma non un reticolo di assorbimento, costituito cioè di tratti trasparenti e opachi alternati, bensì un reticolo di fase, costituito di un sottile strato di sostanza trasparente, come gelatina, a tratti di spessore maggiore alternati con tratti di spessore minore.

Un reticolo siffatto dà onde diffratte proprio come un reticolo di assorbimento, e se queste penetrano in un obiettivo ne derivano le immagini primarie, con formazione di frange di interferenza nel piano coniugato di quello del reticolo rispetto all'obiettivo. Chi osservi tutta questa successione lungo il percorso delle onde luminose, ne può accertare indubbiamente la presenza, salvo che nel piano coniugato, dove le frange scompaiono; è ben noto infatti che l'immagine di uno strato, sia pure di spessore variabile, ma uniformemente trasparente, è una superficie uniformemente illuminata.

La ragione per cui, pur essendovi, ed evidentissime, le immagini primarie, nel piano immagine non si vedono le frange, è stata subito riportata a una questione di fase. Siccome ogni coppia di immagini primarie dà un sistema di frange, e siccome la posizione dei massimi e dei minimi di queste dipende dalla differenza di fase delle immagini primarie che le generano, dipende dal come sono distribuite le fasi di tutte le immagini primarie attive l'ottenere alla fine un complesso di sistemi di frange ben ordinato e visibile o confuso e invisibile. La differenza fra i reticoli di assorbimento e quelli di fase sta dunque soltanto in questo: che i primi danno immagini primarie con fasi atte a dare un complesso di sistemi di frange ordinato, e i secondi invece il contrario.

Lo Zernicke ha avuto l'idea di alterare la fase di una delle immagini primarie, introducendo, sul cammino delle onde diffratte da un reticolo di fase, spessori diversamente ritardatori. Immediatamente nel piano coniugato è apparso il complesso di sistemi di frange che costituisce l'immagine del reticolo. Questa, che nel concetto dell'Abbe si sarebbe dovuta dire un'immagine falsa, ora acquista un valore particolare: permette di mettere in evidenza la variazione di spessore di uno strato sottilissimo di gelatina altrimenti invisibile.

Questa procedura è stata utilizzata per la microscopia senza colorazione. È noto che nella maggior parte dei preparati microscopici, allo stato naturale, le differenze di assorbimento sono così tenui che non permettono di distinguere tutto quello che invece la potenza risolutiva del microscopio, geometricamente parlando, dovrebbe ancora rivelare. Allo scopo di introdurre nel preparato una qualche differenziazione fra i varî elementi, per renderli visibili, si ricorre alla colorazione, utilizzando l'assorbimento selettivo di certe sostanze coloranti. Ciò per altro implica la morte di tutto quello che di vivente era nel preparato stesso.

D'altra parte la diversa composizione fisica e chimica dei varî elementi pur non agendo sull'assorbimento (dal momento che il preparato appare uniformemente trasparente) porta però a un differente cammino ottico per la radiazione illuminante che li attraversa, e quindi questa, all'uscita, presenta delle differenze di fase.

La disposizione opportuna di spessori diversamente ritardatori, come ha permesso di rivelare un reticolo di fase, così permette di rivelare queste nuove differenze di fase: nel piano coniugato del preparato rispetto all'obiettivo, in loro corrispondenza compaiono delle differenze di luminosità, come se nel preparato vi fossero delle differenze di assorbimento.

Questa nuova struttura del microscopio facilita molto l'osservazione dei preparati viventi.

La disposizione che secondo l'esperienza eseguita durante un decennio ha dato i migliori risultati, comporta una sorgente illuminante anulare; e nel piano focale posteriore dell'obiettivo, una lamina a facce piane e parallele, che nella sola parte centrale porta una sopraelevazione a forma di dischetto, di una sostanza trasparente e di uno spessore così piccolo da arrecare una differenza di fase di tre quarti di periodo.

Microscopio elettronico.

Un insieme di più lenti elettrostatiche o magnetiche aventi funzioni analoghe a quelle ottiche di un ordinario microscopio da proiezione costituisce il microscopio elettronico elettrostatico o magnetico, costruito per la prima volta da von Borries e Ruska nel 1931-32.

La relazione di E. Abbe:

dà un limite superiore al potere risolutivo (e quindi all'ingrandimento massimo utile) d'un microscopio ottico. Con un obiettivo ad immersione, con sen α ⊄ 1 (in modo da avere il valor massimo teoricamente possibile dell'apertura numerica n sen α) e usando luce violetta dell'estremo spettro visibile, si avrebbe d ⊄ 0,1 7μ, cioè un ingrandimeuto di 3000 diametri. La meccanica ondulatoria permette di superare tale limite. Dalla formula di L. de Broglie, infatti, si vede che ad un elettrone accelerato, per es., da 100.000 volts è associata una lunghezza d'onda λ = 0,019 Å, centomila volte minore di quella media dello spettro visibile. L'uso di lenti elettroniche, per quanto limitato dalla forte aberrazione di sfericità, permette quindi di raggiungere ingrandimenti di 40-80.000 diametri.

Nella fig. 4 è mostrata l'analogia tra il cammino dei raggi luminosi in un microscopio ottico e in un microscopio elettronico.

Descriviamo il microscopio elettronico magnetico rappresentato nella fig. 5. Esso consta di una sorgente di elettroni, costituita da un filamento riscaldato. Attorno ad esso v'è un elettrodo di Wehnelt, che concentra gli elettroni prodotti per effetto termoionico in un sottile pennello. Questo passa poi attraverso un diaframma a circa 100.000 volts rispetto il catodo (anodo). Gli elettroni così accelerati vengono concentrati sull'oggetto da una lente magnetica detta condensatore. La prima immagirie reale dell'oggetto viene formata da una lente ad immersione a distanza focale molto breve, che per questa sua funzione viene detta obiettivo. Il proiettore è una lente analoga all'oculare del microscopio ottico: ingrandisce la prima immagine e fornisce quella definitiva, osservabile su uno schermo fluorescente. Al di sotto di questo si trova la camera fotografica, separabile dal resto dell'apparecchio, in modo da permettere il cambio delle lastre (o film) senza alterare in modo sensibile il vuoto dell'ordine di 10-5 tor, che è mantenuto in tutto lo strumento da un normale gruppo di pompe. L'alta tensione viene fornita da un generatore opportunamente stabilizzato, in quanto ogni variazione di tensione dà luogo ad una variazione di velocità degli elettroni e quindi ad una aberrazione cromatica. Anche le tensioni delle lenti devono essere stabilizzate al massimo. Le lenti sono a piccola apertura per ridurre l'aberrazione di sfericità: ne consegue una forte profondità di fuoco, che, se favorisce la messa a fuoco, rende però impossibile la tecnica ordinaria della osservazione di sezioni ottiche a profondità variabile per la ricostruzione spaziale dell'oggetto. Per ovviare a tale inconveniente si ricorre alla tecnica delle ombre, consistente nel far cadere sui preparati, sotto angoli d'incidenza piuttosto piccoli, dei raggi molecolari provenienti da un metallo (cromo, oro, argento) che si fa evaporare nel vuoto. Si ottengono così effetti d'ombra che permettono di giudicare dello spessore degli oggetti in esame e rivelano particolari altrimenti inosservabili (vedi fig. 3): Il porta-oggetti è costituito da una piccola blenda circolare di platino con un foro centrale del diametro di 50 μ sul quale è distesa una sottilissima membrana di una sostanza colloidale. Su questa viene depositato il preparato e osservato per trasparenza. Esistono anche microscopî a riflessione, soprattutto per studî metallografici.

Il microscopio elettronico ha trovato larghe applicazioni in fisica, metallografia, chimica dei colloidi, ma è soprattutto in biologia e batteriologia che ha dato risultati della più grande importanza.

Microscopio protonico. - Si è pensato di sostituire, nel microscopio elettronico, agli elettroni i protoni. Avendo questi una massa 1840 volte maggiore di quella elettronica, dalla formula di de Broglie:

segue che la lunghezza d'onda che li accompagna è 40 volte minore di quella elettronica. La formula d'Abbe dà allora per un microscopio protonico un potere separatore di qualche Åmstrong (naturalmente con aperture numeriche piccolissime, che non introducono questa volta aberrazioni di diffrazione sensibili). Tutto questo lascia prevedere ingrandimenti di circa un milione di diametri. Sono necessarie lenti elettrostatiche, non dipendendo la loro distanza focale dalla massa della particella, al contrario di quanto accade per le lenti magnetiche. Le aberrazioni cromatiche sono però molto forti, soprattutto per la perdita di energia dei protoni attraverso i preparati. Il primo microscopio protonico è in fase di messa a punto presso il Collège de France a Parigi.

Bibl.: M. von Ardenne, Elektronen-Übermikroscopie, Berlino 1940; L. de Broglie, Optique électronique, Parigi 1946.

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