MICROSCOPIO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

MICROSCOPIO

Ugo Valdrè
Adriano Alippi

(XXIII, p. 221; App. II, II, p. 309; III, II, p. 109)

Microscopia ottica. − La microscopia ottica sta attraversando un periodo di grande sviluppo, dopo una stasi durata circa mezzo secolo, in seguito essenzialmente allo sfruttamento di due idee: la formazione delle immagini per scansione e l'ottica confocale.

Microscopio ottico a scansione confocale (SOM). − Nella fig. 1A è mostrato lo schema di un m. a scansione confocale per osservazioni in luce trasmessa. L'intensa sorgente s resa puntiforme dal diaframma d1 viene focheggiata dalla lente l1 in un piccolo elemento di volume (chiamato voxel) del preparato p; la luce emessa dal voxel viene raccolta dalla seconda lente l2 che la concentra in una regione ove è posto il rivelatore di luce r che è dotato di un diaframma d2. Le due lenti l1 ed l2 svolgono quindi un identico ruolo. L'immagine viene prodotta sequenzialmente in scansione (v. oltre, Microscopia elettronica), come avviene in un televisore o in una telefoto; il moto di scansione può essere fornito al fascio o al campione. Il segnale prodotto dal rivelatore (un fototubo o un fotodiodo) viene inviato a un tubo televisivo dove modula in intensità il fascio di elettroni; questo viene fatto scorrere in sincronismo col moto di scansione del m. e produce un'immagine ingrandita sullo schermo TV. L'immagine viene considerata come la somma di elementi d'immagine (denominati pixel) i quali ricordano le tessere di un mosaico o la tecnica del puntinismo dei pittori neo-impressionisti.

In fig. 1B è mostrato lo schema di uno strumento a luce riflessa ove viene usata una sola lente. Il diaframma d1 rende puntiforme la sorgente s, la lente l forma l'immagine di s sul piano dell'oggetto (riflettente) e il diaframma d2, coniugato di d1, rende puntiforme il rivelatore r. Lo specchio semitrasparente m separa i percorsi di andata e di ritorno della luce.

Il principio su cui si basa un sistema confocale (introdotto da M. Minsky nel 1955) consiste quindi nell'usare una sorgente puntiforme in modo da illuminare un voxel e da convogliare la luce (o, più in generale, il segnale) proveniente dalla regione del voxel su di un rivelatore puntiforme. Il pregio caratteristico della confocalità risiede nella produzione di immagini a forte contrasto che mostrano dettagli fini non altrimenti visibili. Nella fig. 1A i raggi disegnati in bianco indicano che la radiazione diffusa dalle regioni del preparato diverse dal voxel viene dispersa e praticamente non giunge sul rivelatore.

Il SOM (Scanning Optical Microscope) confocale presenta inoltre i seguenti vantaggi:

a) Consente di eseguire il ''sezionamento'' ottico del campione: possono venire osservati a fuoco sottili strati (spessore ∼0,5 μm) a profondità diverse, dai quali è possibile procedere alla ricostruzione della struttura tridimensionale dell'oggetto. La fig. 2 mostra il notevole contrasto ottenibile nell'immagine confocale rispetto a quella normale, mentre in fig. 3 sono presentate due immagini in luce riflessa di un preparato inclinato rispetto all'asse del m., ottenute per scansione ordinaria (A) e confocale (B).

b) La risoluzione è migliorata per un fattore 1,4.

c) L'ottica può essere corretta solo per l'aberrazione sferica (se l'illuminazione è monocromatica) perché il compito delle lenti è di formare l'immagine di un singolo punto situato sul loro asse, a differenza dei m. ordinari ove occorre correggere coma, astigmatismo e curvatura e distorsione del campo.

d) Raccolta e visualizzazione simultanea di segnali diversi ed elaborazione elettronica dei segnali (per es. per variare il contrasto o quantificarlo).

La fig. 4 mostra uno strumento versatile che può essere usato sia come m. normale, sia come m. confocale in riflessione, in luce di fluorescenza o in luce polarizzata; il passaggio da normale a confocale e viceversa è ottenuto automaticamente, digitando la tastiera. Preparati non solidi e/o l'inerzia del tavolino limitano la velocità di scansione, che può tuttavia essere aumentata facendo basculare l'illuminazione; in tal caso occorre adottare un'ottica corretta per aberrazioni plurime.

Il tempo di formazione di un'immagine costituita da pixel in successione temporale (dell'ordine di diversi secondi) è ovviamente molto più lungo, a parità di altre condizioni, del tempo necessario per registrare un'immagine nel caso dei m. ordinari dove tutti gli elementi dell'immagine sono prodotti simultaneamente. Ciò impedisce l'osservazione di eventi dinamici e di materiale vivente, a meno di non usare sorgenti molto intense, che però possono danneggiare preparati sensibili. Questi inconvenienti sono superati dal m. tandem (v. oltre).

Microscopio a scansione tandem confocale. - La fig. 5 mostra lo schema di principio dello strumento, introdotto da M. Petran e M. Hadravsky nel 1965 per ridurre il tempo di acquisizione del m. confocale, e sviluppato commercialmente solo alla fine degli anni Ottanta.

L'elemento innovativo è un disco di Nipkov d sul quale sono praticati migliaia di fori (diaframmi) disposti su molte spirali di Archimede. A ogni foro del disco dal lato della sorgente s corrisponde un foro dal lato del rivelatore r. La luce di una sorgente intensa viene concentrata sul lato illuminazione del disco; da qui, molti fasci di luce giungono, attraverso gli specchi m, sull'obiettivo o. Questo forma un'immagine dei fori del disco d a livello del preparato p o al suo interno. La luce di fluorescenza e/o riflessa dal preparato è raccolta dall'obiettivo e, dopo ulteriori riflessioni (fra cui una sullo specchio semiargentato n), viene focheggiata sui corrispondenti fori del lato osservazione del disco d, ove si trovano l'oculare e il rivelatore. Facendo ruotare il disco (a frequenze dell'ordine delle centinaia di Hz) si può osservare direttamente con l'occhio, o fotografare, o riprendere con una telecamera l'immagine del preparato, che gode del vantaggio della confocalità. La velocità di scansione è superiore a quella televisiva, per cui l'immagine può essere ripresa e presentata in tempo reale.

Altri sviluppi nel campo della strumentazione di microscopia ottica riguardano: il m. a scansione a onde evanescenti, che ha raggiunto una risoluzione di 50 nm aggirando il limite fornito dalla relazione di Abbe; il m. che fornisce immagini solo di oggetti o parti di essi in movimento e sopprime il fondo immobile; la componentistica, che annovera nuovi materiali a gradiente d'indice di rifrazione, correttori di aberrazioni, calcolatori per l'elaborazione delle immagini.

Microscopia elettronica. - Un enorme progresso è stato compiuto nel campo della microscopia corpuscolare. Esso riguarda: la strumentazione, ora molto diversificata e basata su nuove idee; la risoluzione che ha raggiunto il livello atomico; le teorie del contrasto che consentono d'interpretare e prevedere, anche quantitativamente, i dettagli delle immagini; la grande varietà di informazioni ricavabili che possono essere di tipo strutturale, topografico, fisico e composizionale (cioè riconoscimento e quantificazione degli elementi chimici presenti); i metodi di preparazione dei campioni sia per studi di biomedicina sia per le scienze dei materiali e della terra; l'uso dell'elettronica digitale computerizzata per il funzionamento e il controllo delle apparecchiature e per l'elaborazione delle immagini e dei dati; la disponibilità di una vasta gamma di accessori.

Accanto al m. elettronico tradizionale o m. a trasmissione (TEM) sono stati realizzati altri strumenti basati su nuovi principi e mirati a scopi diversi, che possono raggrupparsi nelle seguenti categorie: m. elettronici a scansione (SEM) per osservazioni topografiche, microsonde per analisi chimiche, m. ionici a emissione di campo per osservare singoli atomi e riconoscerne la specie, vari tipi di m. a stilo o profilometri. Dalla combinazione di TEM, SEM e microsonde sono nati degli strumenti polivalenti che hanno dato origine alla microscopia elettronica (o ionica) analitica. Sono inoltre sorti strumenti specifici, fermo restando lo strumento di base, a seconda di diverse varianti: radiazione usata (elettroni, ioni, fotoni), tipo di sorgente (termoelettronica o di campo), tensione di accelerazione, molto più alta o molto più bassa di quelle tradizionali (100 kV per i TEM, 30÷40 kV per i SEM).

Si considerano ad alta tensione i TEM operanti da 500 kV in su (il valore massimo è attualmente di 3 MV) progettati per lo studio delle proprietà di volume in campioni spessi o per alta risoluzione. Esiste ora la possibilità di studiare, con opportuni strumenti e metodologie, la superficie, l'interno e la regione subsuperficiale dei preparati, e anche strutture in essi sepolte. Le applicazioni si sono ovviamente estese e coprono tutte le scienze, comprese quelle forensiche, artistiche, archeologiche e alimentari, nonché i campi della tecnologia e dei controlli di produzione.

Generalità. - Le lenti elettroniche dei m. corpuscolari sono ora quasi esclusivamente di tipo elettromagnetico avendo proprietà ottiche superiori a quelle di tipo elettrostatico; inoltre sono utilizzabili con alte tensioni di accelerazione. Sono state migliorate con i correttori di astigmatismo, con la riduzione delle costanti di aberrazione sferica e cromatica e con la migliore stabilità della corrente di alimentazione. Esse restano comunque nettamente inferiori a quelle ottiche a causa della forte aberrazione sferica che viene resa tollerabile solo diaframmando la lente. Le aperture numeriche delle lenti di vetro sono almeno 100 volte maggiori di quelle elettroniche. I TEM moderni montano da 5 a 9 lenti, sia perché vengono usati anche come diffrattometri e microsonde, sia per ottenere forti ingrandimenti (intorno al milione di volte) necessari per sfruttare l'alto potere separatore.

Diffrattogrammi elettronici possono essere ottenuti da regioni delle dimensioni del nm (nanodiffrazione), contro i 0,5 μm delle tecniche tradizionali. Nuovi metodi di diffrazione elettronica sono stati elaborati, quali quelli a fasci convergenti che forniscono informazioni sulla struttura cristallina (cella unitaria, simmetria, posizioni atomiche) e su diverse proprietà del campione (spessore, tensioni interne, difetti) relative a regioni sulla scala dei nm.

Sono state sviluppate sorgenti di elettroni ad alta brillanza (intensità di corrente elettronica per unità di area e di angolo solido) del tipo a cristallo di esaboruro di lantanio a riscaldamento indiretto e sorgenti di elettroni e di ioni a effetto di campo, nelle quali l'emissione è ottenuta applicando a una punta di tungsteno (o a un metallo liquido, v. oltre: m. elettronico a scansione SEM) un forte campo elettrico in ultra alto vuoto. Le loro brillanze sono maggiori per un fattore 10 (LaB6) e 103÷104 (emissione di campo) rispetto a quelle tradizionali a filamento di tungsteno. Lo sviluppo di sorgenti ad alta brillanza si è reso indispensabile per ottenere in tempi ragionevoli immagini ad alta risoluzione (specie per il m. a scansione in trasmissione, indicato con la sigla STEM) e/o per registrare immagini a basso contrasto. L'applicazione dell'olografia elettronica richiede inoltre che le sorgenti siano molto coerenti. Va notato che le dosi di radiazione necessarie per registrare un'immagine sono in generale tali da porre un limite alla risoluzione ottenibile da strutture biologiche e organiche che potrebbero risultare alterate o addirittura distrutte. Con i preparati biologici di maggiore stabilità, rappresentati da cristalli bidimensionali naturali o sintetici, si è giunti in alcuni casi a 0,3÷0,8 nm (il primo dato si riferisce alla membrana citoplasmatica dell'Halobacterium halobium), contro 0,15 nm nel caso di preparati inorganici per i quali il limite alla risoluzione è di origine strumentale.

Il vuoto nella colonna dei m. convenzionali è stato migliorato a 10−5÷10−7 Torr (∼10−3 e 10−5 Pa), mentre in strumenti progettati per lo studio di superfici la pressione può scendere a 10−9÷10−11 Torr (ultra alto vuoto).

L'elettronica attualmente usata è quella digitale, e molte operazioni (messa a fuoco, correzione dell'astigmatismo, sequenze di fotografie o di analisi, elaborazione delle immagini, ecc.) sono ora delegate ai calcolatori. Si possono osservare e registrare eventi dinamici mentre il preparato, montato su appositi portaoggetti, subisce trattamenti diversi: termici (riscaldamento o raffreddamento), meccanici (deformazioni), chimici (per es., ossidazione), geometrici (inclinazione rispetto al fascio per riprese di stereoimmagini, o per tomografia, o per esperimenti di contrasto di diffrazione), ecc.

I metodi di preparazione dei campioni variano secondo lo strumento; le difficoltà maggiori s'incontrano nell'uso dei m. a trasmissione, a causa del piccolo spessore che il campione deve avere (da ∼5 a ∼500 nm). Tuttavia i progressi nelle tecniche preparative consentono ora l'osservazione in trasparenza praticamente di ogni materiale solido (e, in certe condizioni, anche liquido): metalli, leghe, semiconduttori, minerali, fibre, per non citare il materiale organico e biologico. In questo campo le principali innovazioni sono le criotecniche, la colorazione negativa e la marcatura con oro colloidale.

Nel caso di metalli, semiconduttori, ceramici e minerali, il metodo di preparazione comporta di solito un trattamento preliminare che riduce le dimensioni del campione alla forma di un disco piano o biconcavo di 3 mm di diametro, adatto per il montaggio nei portaoggetti e facilitante l'operazione di assottigliamento finale (politura). Gli apparecchi da usare vengono scelti in base alla natura del provino e possono essere macchine a elettroerosione (per materiali conduttori elettrici), trapani a ultrasuoni (per materiali ceramici, vetri, semiconduttori), lappatrici meccaniche, celle per attacco chimico (per tutti i materiali) o elettrolitico. La politura finale, che di solito porta alla perforazione del disco, viene condotta o chimicamente o elettronicamente o mediante bombardamento con fasci di ioni argon (o atomi neutri per gli isolanti). Una fascia lungo il bordo del foro così prodotto è di solito trasparente, su una profondità di ∼0,1 mm, agli elettroni accelerati da una differenza di potenziale di 100 kV, il potenziale di accelerazione massimo del maggior numero di TEM.

Microscopio elettronico a trasmissione (TEM: Transmission Electron Microscope). Ricalca lo schema del m. ottico classico e utilizza la radiazione trasmessa dal preparato (fig. 6). Si noti che nei m. ottici la risoluzione d è limitata dai soli fenomeni di diffrazione, ed è data all'incirca dal valore della lunghezza d'onda della luce usata.

Nei m. elettronici la risoluzione è legata sia al raggio rd della figura di diffrazione di Airy (rd=kλ/α, con α apertura angolare dell'obiettivo, λ lunghezza d'onda degli elettroni, k=0,61 e 0,77 per i casi limite d'illuminazione coerente e incoerente rispettivamente), sia alle aberrazioni geometriche e a quella cromatica. Fra tutte prevale quella sferica il cui raggio di minima confusione rs nello spazio oggetto vale: rs=Cs·α3 (Cs è la costante di aberrazione sferica dell'obiettivo). Poiché questi due contributi dipendono in ragione inversa dall'apertura, si può ricavare il valore ottimale di α che minimizza d=rd+rs. Risulta dmin=k(Cs·λ3)1/4. Con λ=0,0037 nm (corrispondente a 100 kV di potenziale acceleratore) e Cs=1 mm, risulta d=0,3 nm (valore circa 100 volte maggiore di λ); per V=4·105 Volt e Cs=1 è d=0,18 nm.

La risoluzione fornita da un m. può essere utilizzata solo se l'immagine presenta un sufficiente contrasto C; dev'essere (criterio di Rose): C=(I1I0)/I0>5%, dove I1 rappresenta l'intensità di un dettaglio rispetto al fondo d'intensità I0. I tipi di contrasto si distinguono in contrasto d'ampiezza e di fase. Il contrasto d'ampiezza, dovuto alla diffusione elastica incoerente degli elettroni fuori dal foro del diaframma dell'obiettivo, è il tipico meccanismo operante nelle immagini di preparati biologici e di repliche (materiali non cristallini) ed è legato al numero atomico e allo spessore del preparato (fig. 6). Questo tipo di contrasto, il primo a essere usato, ha dominato nelle immagini ottenute nei primi due decenni successivi alla nascita della microscopia elettronica. Ora vengono largamente sfruttati anche il contrasto coerente d'ampiezza (detto di diffrazione) e il contrasto di fase.

Il contrasto di diffrazione è legato alle riflessioni di Bragg che si formano nei preparati cristallini (fig. 7). Sia a il fascio incidente sul preparato cristallino p; se un diaframma d posto nel piano focale posteriore f dell'obiettivo l (ove si forma il diagramma di diffrazione) consente al solo fascio diretto di proseguire, si ha sul piano i l'immagine in campo chiaro; le zone che originano fasci diffratti intercettati dal diaframma appaiono quindi scure. Posizionando il diaframma m in corrispondenza di f, in modo da lasciar passare uno solo dei fasci diffratti, si hanno immagini in campo scuro; b indica uno dei raggi diffratti con angolo di Bragg ϑ. Questo metodo consente di distinguere cristalliti con diversa orientazione e di osservare i difetti reticolari (per es. dislocazioni, precipitati fini, ecc.) eventualmente presenti all'interno dei cristalli, in quanto alterano localmente le condizioni di diffrazione. Si può quantificare e prevedere con ottima accuratezza l'aspetto della figura di contrasto con cui si presentano i vari tipi di difetti risolvendo l'equazione di Schrödinger nella quale il potenziale periodico del cristallo viene introdotto opportunamente modificato per tener conto della distorsione del reticolo prodotta dalle varie imperfezioni. È inoltre possibile ricavare dati strutturali o parametri caratterizzanti i difetti stessi (per es. il vettore di Burgers). Va notato che queste figure di contrasto non sono copie fedeli dell'oggetto in senso tradizionale. Se col diaframma dell'obiettivo si seleziona il fascio diretto e uno o più fasci diffratti, si ottengono frange d'interferenza (frange reticolari) che corrispondono alle spaziature fra i piani reticolari originanti i fasci diffratti selezionati.

Il contrasto di fase è prodotto da preparati che modificano la sola fase dell'onda incidente. Si suole distinguere col nome di microscopia di Lorentz l'uso di metodi che consentono l'osservazione di oggetti di fase costituiti da campi elettrici o magnetici estesi in seno al preparato (per es. in corrispondenza di giunzioni p-n o di pareti di domini magnetici) dal contrasto di fase ad alta risoluzione. La presenza di questi campi viene rivelata o formando immagini con l'obiettivo focheggiato sopra o sotto il campione (metodo del fuori fuoco o di Fresnel), oppure spostando fuori asse il diaframma dell'obiettivo.

Il metodo del contrasto di fase ad alta risoluzione viene usato per ottenere ''immagini di struttura'' nelle quali i dettagli corrispondono direttamente alle caratteristiche del preparato, cioè le aree scure rappresentano regioni ad alto potenziale (o dove sono molti atomi) mentre le aree chiare corrispondono a pochi o a nessun atomo. Un'immagine di struttura corrisponde a una mappa della proiezione del potenziale del preparato, visto con la risoluzione del m., in un piano perpendicolare al fascio. L'applicazione di questo metodo in microscopia elettronica richiede l'uso di preparati sottili, tali cioè da non modificare apprezzabilmente l'ampiezza dell'onda incidente, e richiede l'uso di portaoggetti capaci di orientare il preparato.

Il metodo si basa sulle proprietà ottiche delle lenti (obiettivo), la cui capacità di formare immagini risolte e contrastate viene ora descritta con la funzione di trasferimento del contrasto (CTF). Essa dipende dalle aberrazioni di cui è affetta la lente e non dalla particolare struttura del preparato. Il contrasto è a sua volta direttamente legato alla CTF. Nel caso d'illuminazione coerente, di sola aberrazione sferica e di errore di messa a fuoco (distanza Δz di cui risulta fuori fuoco il preparato) la CTF è data da: sen[( π/2λ)(Cs·α4−2·Δz·α2)], dove Δz è il parametro libero su cui si può agire. Questa funzione presenta un minimo molto piatto per α=(Δz/Cs)1/2 che vale −1 se si sceglie Αz=(Csλ)1/2, poi oscilla sempre più rapidamente invertendo il segno del contrasto. La fig. 8 illustra un tipico andamento della CTF in funzione della frequenza spaziale q, definita come l'inverso della periodicità spaziale d=λ/α. Il valore Δz=(Csλ)1/2 per cui si ha massimo contrasto viene chiamato fuoco di Scherzer. Attorno ai valori di q per i quali la CTF si annulla si hanno vuoti di trasferimento di contrasto, cioè in questi intervalli nessuna informazione relativa al preparato raggiunge l'immagine. Il primo zero della CTF (con α≠0) si ha per d=0,71(Cs·λ3)1/4; questa espressione, simile alla (1), viene usata per indicare la risoluzione punto-punto o strutturale del microscopio. La larga banda della CTF è assente quando l'immagine è a fuoco (Δz=0). Se l'illuminazione è incoerente, la CTF è contenuta in un inviluppo che è legato alla divergenza del fascio e all'aberrazione cromatica della sorgente di radiazione. La CTF indica che l'obiettivo di un m. si comporta come un filtro per le periodicità spaziali d presenti nel preparato: certe strutture vengono riprodotte con forte contrasto, altre con debole contrasto, altre ancora sono completamente assenti, oppure hanno un contrasto invertito. L'interpretazione delle immagini a risoluzione atomica non può essere fatta direttamente, bensì s'ipotizza un modello della struttura atomica, s'introducono le caratteristiche del modello in un calcolatore, si simula il funzionamento del m. e se ne ricava un'immagine che viene confrontata con quella sperimentale. Il modello viene modificato finché non si raggiunge l'accordo fra l'immagine calcolata e quella sperimentale. La fig. 9 mostra un'immagine ad alta risoluzione. Sono in corso studi promettenti per migliorare la risoluzione mediante il metodo dell'oleografia proposto da D. Gabor nel 1949.

Microsonde. - Sono strumenti nei quali un fascio collimato di particelle (fotoni, elettroni o ioni) viene fatto incidere sul campione, e la radiazione caratteristica originata (luce, raggi X, elettroni Auger, ioni, atomi eccitati, ecc.) viene usata per ottenere un'analisi chimica da una piccola frazione di materiale, spazialmente correlato alle zone circostanti. Il tipo di microsonda da usare è dettato dalle informazioni che si vogliono ottenere; le microsonde automatiche eseguono le analisi su punti prestabiliti e forniscono i risultati già elaborati. Il primo strumento dedicato alla microanalisi è stato costruito a Parigi da R. Castaing e A. Guinier, nel 1950.

Il preparato è solitamente osservato con un m. ottico, per cui la risoluzione spaziale è scarsa (dal μm al mm), ma la precisione analitica è alta e, in certi casi, è possibile rivelare e quantificare la composizione isotopica. Per es. un impulso di un intenso fascio laser può far evaporare 1 μm3 di materiale, una parte del quale (vicino all'1/1000) è ionizzato e viene qualitativamente analizzato con uno spettrometro di massa con un limite di rivelabilità per singolo impulso dell'ordine del ppm (una parte per milione) in un tempo di 100 μs.

Microscopio elettronico a scansione (SEM: Scanning Electron Microscope). − Questo tipo di m. trae origine dall'interesse a osservare superfici con una risoluzione migliore di quella dei m. ottici; il capostipite degli strumenti odierni è stato realizzato a Cambridge (GB) da D. McMullan e C. W. Oatley nel 1952. L'immagine è formata sequenzialmente per punti, a differenza della formazione simultanea con fascio stazionario tipica delle microscopie ottiche ed elettroniche tradizionali.

Un fascio di elettroni viene focheggiato mediante alcune lenti condensatrici (fig. 10) su di una piccola area del preparato p e fatto scorrere su di esso secondo linee parallele ravvicinate, come avviene per il pennello elettronico di un tubo televisivo. L'impatto del fascio col preparato dà luogo, fra l'altro, all'uscita di elettroni di varia energia dalla superficie investita. Vengono chiamati elettroni secondari quelli che fuoriescono con energia 〈50 eV (la definizione è arbitraria ma giustificata dalla presenza di un picco nella distribuzione energetica al disotto dei 50 eV). Questi elettroni provengono da una profondità di circa 5 nm per i metalli e di circa 50 nm per gli isolanti. Gli elettroni secondari vengono attirati da un predisposto campo elettrico verso un rivelatore a scintillazione e il segnale da questo prodotto viene inviato a una griglia che modula l'intensità di un tubo a raggi catodici (tubo televisivo). Se il moto di scansione del fascio (primario) sul campione viene reso sincrono (mediante l'uso di un unico generatore di scansione) col moto del pennello di elettroni del visualizzatore, si produce su questo un'immagine ove le zone più luminose corrispondono alle regioni del preparato emettenti un maggior numero di elettroni secondari. L'ingrandimento è dato, come in un pantografo meccanico, semplicemente dal rapporto fra la larghezza della video immagine sullo schermo e la lunghezza del corrispondente tratto percorso dal fascio primario sul preparato.

Questo metodo di formazione delle immagini presenta i seguenti vantaggi. Qualunque segnale rivelabile prodotto dall'interazione del fascio col campione può essere usato per formare un'immagine che può fornire, a seconda dei casi, informazioni topografiche, elettroniche, composizionali, ecc. Risultano disponibili oltre una decina di segnali, dei quali alcuni sono indicati in fig. 11. Questi segnali possono essere raccolti simultaneamente da opportuni rivelatori e inviati ad altrettanti visualizzatori, possono essere elaborati elettronicamente (per aumentare il contrasto, per combinarli fra loro, ecc.) ed essere quantificati. Di particolare interesse è l'emissione X, che viene utilizzata per rivelare e quantificare gli elementi presenti nella zona di provenienza (volume d'interazione). I rivelatori usati sono di solito a stato solido (cristallo di Si drogato con Li) a dispersione d'energia (EDS) e, sebbene presentino una scarsa risoluzione energetica (∼150 eV, corrispondenti a Δλ=0,1 nm), hanno il grande vantaggio su quelli a reticolo di diffrazione di permettere l'analisi simultanea su 1000÷2000 canali in tempi dell'ordine della decina di secondi.

I campioni per la microscopia a scansione sono di regola spessi, possono avere anche grandi dimensioni (20 × 20 cm) e sono di solito di facile preparazione. Il SEM gode di una notevole profondità di fuoco (da qualche μm a una decina di mm, grazie alle piccole aperture delle lenti magnetiche usate per formare la sonda) la quale, a seconda degli ingrandimenti e dei diaframmi usati, può essere da 10 a 1000 volte maggiore di quella dei m. ottici convenzionali. L'immagine risulta quindi a fuoco anche se i campioni non sono lisci, e mostra un aspetto tridimensionale, come se il preparato fosse illuminato da una sorgente di luce posta in luogo del rivelatore e venisse osservato dal lato della sorgente di elettroni.

Il diametro minimo del fascio, che praticamente indica la miglior risoluzione ottenibile, è di circa 5 nm; con sorgenti a emissione di campo si giunge a 1,5 nm. Le tensioni di accelerazione usate vanno da qualche centinaio di volt a 50 kV.

Una versione del SEM, detta ambientale, è costituita da camere a pompaggio differenziale separate da diaframmi di piccola apertura. La pressione nella camera del cannone elettronico è di ∼10−6 Torr mentre nella camera del preparato può salire fino a 30 Torr. Questo strumento può essere usato per osservare preparati idratati o per seguire reazioni chimiche. La risoluzione è di 10 nm a 5 Torr con elettroni accelerati da una differenza di potenziale di 20 kV.

Importante per l'analisi composizionale delle superfici è il segnale dovuto all'emissione di elettroni Auger. Viene sfruttato in strumenti appositamente progettati (m. a scansione a elettroni Auger: SAM, Scanning Auger Microscope), compatibili con l'ultra alto vuoto. Sono stati costruiti prototipi di strumenti a scansione ove la sonda è formata da un fascio di ioni (microscopi ionici a scansione: SIM, Scanning Ion Microscope), i quali possono essere di varia natura e sono prodotti da sorgenti a metallo liquido per effetto di campo. I SIM sono usati come strumenti analitici di grande sensibilità, specie per elementi leggeri, e per impiantazione ionica. La risoluzione è di 20 nm.

Microscopio elettronico a scansione in trasmissione (STEM: Scanning Transmission Electron Microscope). − Lo STEM usa lo stesso principio di formazione dell'immagine del SEM e gode quindi delle stesse prerogative, ma utilizza prevalentemente i segnali trasmessi; di conseguenza la tensione di accelerazione è alta (100 kV) per avere sufficiente penetrazione. È stato introdotto da A. V. Crewe dell'E. Fermi Institute di Chicago nel 1968. La risoluzione è data praticamente dal diametro d della sonda, il cui valore minimo è ∼0,5 nm. Poiché al diminuire di d cala l'intensità I della corrente elettrica che può essere convogliata, queste risoluzioni si ottengono in tempi ragionevoli (∼10 s) solo usando sorgenti a emissione di campo le cui brillanze sono ∼5,10n,8 A/cm−2/sr−1.

Parte integrante di uno STEM è lo spettrometro a elettroni (EELS, Electron Energy Losses Spectrometer), che rivela la perdita di energia da essi sofferta nell'attraversare il preparato con risoluzione 〈1 eV. Esso consente di rivelare e quantificare elementi chimici attraverso i bordi di assorbimento dello spettro di perdita di energia; spesso viene integrato dallo spettrometro EDS e, talvolta, da quello Auger (v. sopra Microscopio elettronico a scansione: SEM).

Altra caratteristica tipica dello STEM è la presenza di due rivelatori a stato solido. Uno, di forma anulare, è disposto attorno all'asse ottico per formare immagini in campo scuro (ADF), e l'altro, costituito da un disco posto all'uscita dello spettrometro, fornisce le immagini in campo chiaro (BF). Il rivelatore ADF raccoglie elettroni diffusi elasticamente, i quali presentano una distribuzione angolare caratterizzata da un angolo di 50÷100 mrad. Il rivelatore assiale raccoglie prevalentemente elettroni che hanno perso energia, la cui distribuzione angolare è caratterizzata da un angolo intorno al mrad. Il rapporto fra il numero di elettroni raccolti da due rivelatori ADF e BF è proporzionale al numero atomico Z della regione del preparato con cui gli elettroni hanno interagito (contrasto Z). Una mappa di pixel rappresentanti tale rapporto consente di rivelare la presenza di singoli atomi pesanti (dall'Ag in avanti).

La differenza operativa fra TEM e STEM sta nel fatto che il TEM viene solitamente usato con illuminazione quasi parallela (coerente), mentre lo STEM con fascio convergente. Esistono strumenti ibridi che possono essere utilizzati in entrambe le modalità TEM e STEM (figg. 6 e 12). Lo STEM ha trovato la sua collocazione specialmente come strumento per analisi chimiche ad alta risoluzione spaziale, su aree del nm2 e con masse minime rivelabili tra 10−20 e 10−21 g e come nanodiffrattometro. Può anche essere usato per microscrittura elettronica, sia con apporto (contaminazione) sia con rimozione (microincisione) di materiale (fig. 13).

Microscopio ionico a effetto di campo (FIM: Field effect Ion Microscope). − Il FIM è uno strumento a proiezione (senza lenti), molto semplice, introdotto da A. Müller nel 1951 e sviluppato nell'ultimo decennio a Cambridge e Oxford come sonda atomica.

Un recipiente a ultra alto vuoto contiene una punta conduttrice (che costituisce il preparato) di raggio r〈50 nm posizionata lungo l'asse di un elettrodo piano circolare, che funge anche da schermo fluorescente. La distanza d fra punta e schermo è 10÷20 cm. Entro al recipiente viene introdotto un gas, solitamente elio alla pressione di qualche mTorr. La differenza di potenziale (da 5 a 30 kV) applicata fra i due elettrodi crea un forte campo elettrico (−100 MV·cm−1) in prossimità della punta (elettrodo positivo), tale da polarizzare gli atomi limitrofi di elio; essi vengono attirati sulla punta ove si termalizzano alla sua temperatura e, successivamente, si ionizzano per effetto tunnel. Ogni ione elio così prodotto viene respinto dalla punta e proiettato sullo schermo fluorescente ove dà luogo a una scintillazione. Una somma di tali eventi origina una figura a piccole macchie luminose, ciascuna delle quali corrisponde all'atomo della punta sul quale ha avuto luogo la ionizzazione del gas. Per aumentare la risoluzione (limitata dalla componente tangenziale della velocità con cui gli ioni He lasciano la punta) si raffredda la punta alla temperatura dell'elio liquido (4 K); in questo caso, con gas He e r =10 nm si sono raggiunti 0,2 nm. L'ingrandimento, dato da d/r, è dell'ordine di 107x.

Se si applica alla punta di un FIM in ultra alto vuoto un impulso di tensione di altezza opportuna si può ottenere l'evaporazione degli atomi della punta. Gli atomi (ioni) strappati vengono singolarmente analizzati da uno spettrometro di massa a tempo di volo per identificarne la specie, e un rivelatore sensibile alla posizione d'arrivo dello ione fornisce la mappa della distribuzione dei singoli atomi sulla punta. Strumenti di questo tipo vengono indicati con le sigle APFIM (Atomic Probe Field effect Ion Microscope, m. ionico di campo a sonda atomica) e POSAP (POsition Sensible Atomic Probe, sonda atomica sensibile alla posizione). I m. a effetto di campo consentono l'osservazione di difetti reticolari su scala atomica (inclusioni, atomi adsorbiti, vacanze, ecc.), nonché l'identificazione dei singoli atomi e l'esame di molecole depositate sulla punta. Le limitazioni principali sono costituite dalla necessità di avere preparati conduttori e di doverli ridurre a forma di punta.

Microscopio a scansione a effetto tunnel (STM: Scanning Tunnel Microscope). − Lo STM è uno strumento privo di lenti, del tipo a stilo, che usa elettroni di bassa energia (〈1 eV) per studiare le proprietà topografiche ed elettroniche di superfici conduttrici in spazio reale, con risoluzioni laterali di qualche decimo di nm e, in altezza, intorno al pm. Può funzionare in ultra alto vuoto, in atmosfera e col preparato immerso in un liquido. È stato inventato da G. Binnig e H. Rohrer all'IBM di Zurigo nel 1981.

L'STM si basa sull'effetto tunnel che ha luogo fra due materiali conduttori (per es. il campione c e una punta p di tungsteno, o Pt/Ir nel funzionamento in aria) ai quali è applicata una differenza di potenziale V quando i loro atomi si trovano a distanze dell'ordine del nm (fig. 14). L'intensità della corrente I di elettroni da, o verso, la punta (a seconda della polarità) posta alla distanza s dal campione è data da I α ϱ(V/s)exp(−A1/2s), dove  e ϱ sono la funzione di lavoro e la densità locale di carica elettronica del materiale costituente la superficie del campione, e A una costante. Alla punta si fornisce un moto di scansione in un piano (x,y) parallelo alla superficie media del campione, il quale viene esplorato dall'atomo di p a esso più prossimo. Contemporaneamente viene rivelata e mantenuta costante la corrente di tunnel I mediante un servomeccanismo. Se  è costante (ma in ogni caso la sua distribuzione spaziale è determinabile con l'STM stesso) e il preparato presenta una superficie irregolare, imporre la costanza di I, data la sua critica dipendenza da s, richiede che la punta resti a distanza costante da c. Ciò si ottiene con un circuito di reazione r agente sull'elemento piezoelettrico e che comanda il moto della punta in direzione (z) perpendicolare alla superficie di c; la tensione Ve da applicare a e perché I resti costante è quindi proporzionale ai rilievi (anche di altezza atomica) della superficie. Se i preparati hanno superfici piane e quasi perfette l'STM fornisce informazioni sulla densità degli stati elettronici.

L'applicazione dell'STM a studi di nucleazione e crescita di film, in particolare epitattici, è di enorme importanza in quanto rivela in modo completo la ricostruzione che ha luogo nelle superfici. Inoltre può fornire informazioni su atomi e molecole adsorbite; le basse correnti ed energie (≲1 eV) degli elettroni usati garantiscono che il campione non presenti danno da irraggiamento. D'altro canto l'STM non fornisce segnali microanalitici e non può seguire processi dinamici, essendo i tempi di registrazione di un'immagine dell'ordine dei secondi e le frequenze di scansione da 0,1 a 100 Hz. L'ampiezza massima di scansione è di ∼100 μm. STM in miniatura (volume ∼1 cm−3) possono essere montati entro SEM, TEM e STEM per avere informazioni complementari e lo zoom. Nel caso di materiali non conduttori l'STM non fornisce in generale informazioni cristallografiche, in quanto i massimi di densità della carica elettronica non corrispondono necessariamente alla posizione degli atomi (ma si veda il m. a forze atomiche). È stato realizzato un m. STM dotato di sorgenti di ioni emessi da metalli liquidi, che dovrebbe consentire la fabbricazione di dispositivi elettronici su semiconduttori alla scala dei nm.

Altri microscopi. - Microscopio a raggi X. − L'uso dei raggi X per formare immagini si sta sviluppando su tre direttrici: microscopia per contatto (risoluzione 10 nm), microscopia con elementi ottici e microscopia olografica. I recenti progressi sono legati alla disponibilità di un'intensa luce di sincrotrone con la quale operano i pochi m. esistenti; inoltre, nel primo caso, all'uso di film di composti organici (resist) e negli altri casi, alle tecniche microlitografiche e di scrittura elettronica (sviluppate per la tecnologia dei dispositivi a semiconduttore).

Mediante procedimenti piuttosto complicati queste tecniche sono utilizzate per la fabbricazione di micro-reticoli zonati di Fresnel, convergenti, i quali vengono usati come lenti, o condensatore od obiettivo, o come monocromatore. La distanza focale f è data, all'incirca, da f=r12/(λ·m) (r1 è il raggio della zona più interna, m il numero dell'ordine di diffrazione utilizzato e λ la lunghezza d'onda dei raggi X); la risoluzione (distanza minima fra due sorgenti puntiformi separabili) vale δ=drn/m con drn larghezza della zona più esterna ed n numero di zone. La dipendenza di f da λ impone l'uso di radiazione quasi monocromatica. Valori tipici per un obiettivo di Fresnel sono: λ=3 nm (raggi X molli, cioè di energia 〈1 keV), r1=2 μm, rn=40 μm, drn=50 nm, f=1 mm, m=2 ed n qualche centinaio.

I principi di funzionamento possono essere del tipo convenzionale (formazione simultanea degli elementi d'immagine) o del tipo a scansione (formazione sequenziale), con ottica confocale riflettente o trasparente. I raggi X vengono rivelati con un contatore proporzionale a flusso (90/10 di argon/metano).

La microscopia X non richiede particolari tecniche di preparazione, consente di osservare campioni in aria e liquidi, fino a spessori di diversi μm e materiale organico e biologico allo stato naturale; in questi casi si lavora con λ compresa fra 2,3 e 4,4 nm (corrispondente alla cosiddetta finestra dell'acqua, fra i bordi di assorbimento dei livelli K del carbonio e dell'ossigeno) per avere un forte contrasto, dovuto al fatto che il coefficiente d'assorbimento dell'acqua è di un ordine di grandezza inferiore a quello delle proteine.

Si sono ottenute risoluzioni migliori di 50 nm. I tempi di esposizione sono lunghi: dell'ordine della decina di secondi nei m. X convenzionali e di parecchie decine di minuti nel m. a scansione, per risoluzioni intorno ai 100 nm. È possibile tracciare mappe della distribuzione degli elementi mediante il confronto e l'elaborazione di immagini prese con radiazioni che precedono e seguono il valore del bordo caratteristico di assorbimento dell'elemento da evidenziare.

Cenno su altri microscopi. - Sono stati realizzati prototipi di altri tipi di m., qui elencati, attualmente in fase o di perfezionamento o di elaborazione commerciale. Tutti, tranne i primi tre, sono m. a scansione in cui una sonda opportuna, costituita da uno stilo sensibile a proprietà diverse della materia, esplora la superficie dei campioni.

Microscopio a elettroni di bassa energia (LEEM: Low Energy Electron Microscope). Il LEEM decelera a ∼10 eV gli elettroni del fascio prima che giungano sul preparato. L'immagine è formata con gli elettroni riflessi. La risoluzione è ∼10 nm. È uno strumento molto versatile per studi di superfici e di eventi dinamici. Può essere usato come m. a specchio, Auger, a foto- o termo-emissione e in scansione.

Microscopio a riemissione di positroni. La risoluzione è ∼300 nm con tempi di esposizione di decine di ore. È prevista la possibilità di formare immagini di difetti di punto prossimi alla superficie.

Microscopio a risonanza magnetica nucleare. La risoluzione è ∼10 μm.

Microscopio a forze atomiche (AFM: Atomic Force Microscope). Può misurare forze interatomiche fino a 10−9 N e fornire il profilo della superficie di campioni anche non conduttori. La risoluzione laterale è di 0,3 nm. Se lo stilo è formato da un ago ferromagnetico fornisce mappe d'intensità del campo magnetico.

Profilometro termico. Lo stilo è una microtermocoppia riscaldata che fornisce la mappa della temperatura e il profilo della superficie dal campione. La risoluzione laterale è di ∼0,1 μm, in profondità di ∼3 nm.

Sonda capacitiva. Lo stilo è un elettrodo che può essere usato sia come profilometro sia come sonda per tracciare mappe dei valori locali della costante dielettrica. La risoluzione in altezza è di ∼0,3 nm su aree di ∼0,5 μm2.

Microscopio a conducibilità ionica. La sonda è una micropipetta, munita di un elettrodo, che può fornire il profilo di campioni immersi in un elettrolita e mappe del valore locale della conducibilità ionica (per es. attraverso pori di membrane). La risoluzione è di ∼0,2 μm.

Microscopio a risonanza magnetica elettronica. Una sonda formata da una microbobina traccia la mappa degli spin elettronici alla superficie di campioni paramagnetici. La risoluzione è di ∼0,3 mm corrispondente al diametro della bobina. Vedi tav. f.t.

Bibl.: E. W. Müller, T. T. Tsong, Field ion microscopy, New York 1969; Scanned image microscopy, a cura di E. A. Ash, Londra 1980; J. R. Matey, J. Blanc, Scanning capacitance microscopy, in J. Appl. Phys., 57 (1985), pp. 1437-44; Examining the submicron world. Series B, a cura di R. Feder, J. W. McGowan, D. M. Shinozaki, in Physics, 137, New York 1986; C. C. Williams, H. K. Wickramasingh, Scanning thermal profiler, in Appl. Phys. Lett., 49 (1986), pp. 1587-89; E. Betrig e altri, Collection mode near-field scanning optical microscopy, ibid., 51 (1987), pp. 2088-90; C. J. R. Sheppard, Scanning optical microscopy, in Adv. in Optical and Electron Microscopy, 10 (Londra 1987), pp. 1-98; Surface and interface characterization by electron optical methods, NATO ASI Series B, a cura di A. Howie, U. Valdrè, in Physics, 191, New York 1988; P. K. Hansma e altri, The scanning ion-conductance microscope, in Science, 243 (1989), pp. 641-43; A. Cerenzo e altri, Materials analysis with a position-sensitive atom probe, in J. Microscopy, 154 (1989), pp. 215-25; L. Reimer, Transmission electron microscopy, Berlino 1989; J. J. Goldstein e altri, Scanning electron microscopy and X-ray microanalysis, New York 19922; J. M. Cowley, Electron diffraction techniques, Oxford 1992.

Microscopia acustica. - Si tratta di una tecnica che utilizza le onde elastiche, in particolare gli ultrasuoni, per costruire immagini microscopiche di sezioni di piccoli oggetti che in generale sono opachi alla luce. Prima che nella microscopia, l'impiego di onde elastiche per la costruzione di immagini di oggetti macroscopici immersi in mezzi opachi alla luce è stata fatta, per es., nell'ecografia medica o in alcune tecniche di analisi non distruttiva.

I primi lavori nel campo risalgono agli inizi degli anni Settanta e si devono a gruppi di lavoro dell'università di Standford, in California (USA). Oggi, in varie parti del mondo, sono in studio, costruzione e uso vari prototipi di m. acustici, specificatamente indicati per visualizzare tessuti biologici o microcircuiti elettronici. L'uso degli ultrasuoni, che sono non ionizzanti e si possono propagare in quasi tutti i mezzi materiali, consente di ottenere informazioni in vivo degli oggetti, senza dover ricorrere a tecniche invasive o distruttive, e di poter operare su oggetti di natura assai diversa. Il contrasto che consente di poter definire oggetti diversi, nel caso del m. acustico, dipende dalla differenza d'impedenza acustica (cioè il prodotto della densità del mezzo per la velocità di propagazione in esso degli ultrasuoni) tra i mezzi materiali costituenti gli oggetti, ed è solitamente ben maggiore di quello che si ha nel caso del m. ottico. Inoltre, la risoluzione del m. acustico, cioè la capacità di distinguere i dettagli più piccoli di un'immagine direttamente dipendente dalla lunghezza d'onda della radiazione con cui si ''illumina'' l'oggetto, è confrontabile e in taluni casi anche nettamente superiore a quella del m. ottico, dal momento che si è in grado di operare con frequenze acustiche sufficientemente elevate (dell'ordine di qualche GHz), per le quali le corrispondenti lunghezze d'onda sono confrontabili, o inferiori, a quelle della luce (≃0,5μm).

Microscopio acustico a scansione (SAM: Scanning Acoustic Microscope). − Il funzionamento di un tipico m. acustico si basa sulla generazione di un fascio acustico, di frequenza sufficientemente elevata, che viene focalizzato in una zona di spazio nella quale si muove, per scansione, l'oggetto da visualizzare. L'intensità del fascio acustico viene così ''modulata'' dalla trasparenza acustica dell'oggetto nel punto attraversato dal fascio, sicché la successiva rivelazione, o ''demodulazione'' del fascio acustico fornisce l'informazione della trasparenza dell'oggetto. Un opportuno sistema di visualizzazione su schermo fornisce, infine, scansionata per punti, l'immagine dell'oggetto analizzato (fig. 15).

La realizzazione sperimentale della ''sorgente'' di ultrasuoni è generalmente integrata con quella della lente di focalizzazione: un blocchetto di materiale particolarmente poco dissipativo (solitamente una sbarretta di zaffiro sintetico, Al2O3) è sagomato a simmetria cilindrica secondo la forma indicata in fig. 15, con una faccia lavorata a planeità e quella opposta a sfericità. Sulla prima si dispone un trasduttore piezoelettrico, ottenuto generalmente per assottigliamento di un trasduttore spesso preventivamente incollato alla superficie, così da ottenere frequenze di risonanza, e quindi di emissione, assai elevate, dell'ordine di qualche GHz. La seconda faccia, di forma sferica, funge da lente di focalizzazione del microscopio. Infatti, immergendo in un liquido (generalmente acqua) l'estremità a forma sferica della sbarretta di zaffiro, si viene a costituire un diottro per il fascio di ultrasuoni che attraversi la superficie sferica, e il fascio si focalizza quindi a una distanza dalla superficie lungo l'asse, data da

dove vZ e vA sono le velocità di propagazione degli ultrasuoni nello zaffiro e nell'acqua, rispettivamente, e R è il raggio di curvatura della superficie diottrica.

Gli elevati valori delle frequenze di lavoro, se da un lato permettono di ottenere valori elevati del potere risolutivo dello strumento, dall'altro ne condizionano l'efficienza globale, dal momento che a più alti valori delle frequenze corrispondono più alti valori dell'assorbimento della radiazione acustica, sia nel solido (zaffiro) costituente lente e sorgente, sia e ancor di più nel liquido (acqua), dove si dispone l'oggetto da visualizzare. Per diminuire, pertanto, il cammino ottico degli ultrasuoni nel liquido, ovvero la distanza d data dalla [1], si deve ridurre il raggio di curvatura R, il cui valore limite è comunque condizionato dalla capacità di lavorazione e dal limite di diffrazione dovuto all'apertura della lente. Valori tipici di R per frequenze dell'ordine del GHz sono di circa 0,1 mm. È da osservare, peraltro, che la forte differenza d'impedenza acustica tra i due mezzi, solido e liquido, confinanti attraverso il diottro, provoca una forte diminuzione dell'aberrazione sferica della lente nel caso acustico rispetto all'equivalente caso ottico in cui si usassero lenti della stessa apertura: questo vantaggio permette di evitare una complicata lavorazione asferica del diottro e di ottenere immagini non degradate da aberrazione.

Relativamente al liquido di trasmissione, da questo dipende il potere risolutivo dello strumento. Con l'acqua che − come si è detto in precedenza − è il mezzo più largamente impiegato a tale scopo, il limite inferiore di dettagli che si è in grado di visualizzare in microscopia acustica è dell'ordine di 0,1 μm, inferiore quindi a quello del caso ottico: per scendere al di sotto di questo valore, occorrerebbe far uso di frequenze acustiche alle quali l'assorbimento renderebbe vano il miglioramento della risoluzione. Al fine di migliorare il potere risolutivo, si è impiegato come mezzo di trasmissione l'elio liquido, nel quale l'assorbimento degli ultrasuoni è in pratica trascurabile. Tuttavia, è facile prevedere che l'impiego dell'elio liquido, con la vincolante condizione di lavorare a bassissima temperatura e la conseguente complessità tecnologica, sarà limitato a rarissimi casi pratici.

Per la rivelazione del segnale acustico modulato dalla trasparenza locale del campione, si replica di fatto la medesima struttura della lente ottica e del trasduttore già descritti in precedenza per la generazione del fascio. Si offre, pertanto, la duplice possibilità: d'impiegare la medesima struttura fisica della generazione, nel caso in cui si sfrutti la riflessione del fascio ultrasonoro da parte del campione, ovvero di replicarne la struttura, nel caso in cui si operi per trasparenza. La modulazione dell'intensità del fascio ultrasonoro, infine, diviene modulazione del fascio elettronico di uno schermo a raggi catodici, cosicché un opportuno meccanismo di scansione sincrona del fascio sulla superficie del campione permette di ottenere sullo schermo l'immagine di questo.

Il m. acustico, come si è brevemente accennato all'inizio, trova applicazioni principalmente nella biologia, nella medicina e nella microelettronica, con una differenziazione di base: che nei primi due casi esso è complementare al m. ottico e opera in un campo di lunghezze d'onda a quello superiore, quindi con risoluzione inferiore, mentre nel terzo si pone praticamente come unico mezzo di visualizzazione diagnostica. Nelle applicazioni biomediche, la visualizzazione acustica permette di operare in vivo e senza colorazione dei tessuti su campioni di spessore variabile sino a circa 100 μm. Nelle applicazioni alla microelettronica, il m. acustico permette di visualizzare i primi strati al di sotto della superficie di un microcircuito e avere quindi informazioni relative alla precisione di scrittura dei microcircuiti e all'eventuale presenza di difetti sotto la superficie. In questo caso, com'è ovvio, la microscopia acustica offre l'insostituibile vantaggio rispetto a quella ottica di visualizzare al di là di strati opachi alla luce (fig. 16).

Bibl.: A. Briggs, An introduction to scanning acoustic microscopy, Oxford 1985; J. Attal, in Ultrasonic signal processing, Proceedings 3rd International School on Physical Acoustics, a cura di A. Alippi, Singapore 1989; N. Chubachi, J. Kushibiki, T. Sannomiya, J. Naruge, K. Saito, S. Watanabe, Acoustic images observed by directional PFB microscope, "Acoustical Imaging", vol. 18, a cura di H. Lee e G. Wade, New York 1990, pp. 255-60.

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