MICHELE da Verona

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MICHELE da Verona

Giorgio Tagliaferro

MICHELE da Verona. – Nacque tra il 1469 e il 1470, probabilmente a Sommacampagna, nel Veronese, dal pettinatore di lana Zenone di Gaspare, originario di quel piccolo paese, trasferitosi nella contrada veronese di S. Zeno di Sopra entro il 1473. I principali dati biografici su M. si ricavano dalla documentazione anagrafica della città (Mazzi), in cui M. è registrato per la prima volta nel 1482, all’età di dodici anni, insieme con il padre e i due fratelli ma senza la madre, evidentemente morta. Ricompare nel 1492, a 22 anni, con la qualifica di pittore («depentoro»). Ancora nel 1502 viveva con la famiglia paterna, e solo nel 1515 costituì un nucleo domestico indipendente, insieme con la moglie Chiara, figlia dell’intagliatore tedesco Stefano di Armano (Guzzo, p. 387), e i figli Giacoma, Apollonia e Ludovico. Con questi ultimi due e con la moglie risiedeva a S. Zeno nel 1529. Viene allibrato negli estimi del 1515, 1518 e 1531.

Le notizie sulla sua attività artistica sono scarse e si ricavano soprattutto da un piccolo gruppo di opere firmate e datate. Un documento isolato attesta che nell’ottobre 1497 M. ebbe l’incarico di stimare, insieme con il collega Pietro Badile, un’opera di maestro Giacomo pittore da S. Zeno (Brenzoni). Nel 1501 firmò e datò quello che viene considerato il suo capolavoro: la Crocifissione per il monastero di S. Giorgio in Braida a Verona (dal 1811 a Milano, Pinacoteca di Brera), tenuto dai canonici regolari della Congregazione di S. Giorgio in Alga.

La grande tela, dipinta a olio con disegno preparatorio a carboncino (Olivari), rimase sconosciuta ai più fino a quando non uscì dal convento, in seguito alla soppressione napoleonica del 1806.

La raffigurazione si svolge in un ampio scenario, con le tre croci e le figure disposte in primo piano su una sorta di vasta pedana di roccia naturale aperta su un suggestivo paesaggio slontanante. Ai lati la scena è inquadrata da due pilastri con colonna addossata, resti di un immaginario edificio antico crollato, sul cui basamento il pittore ha apposto le scritte: «MCCCCC/I/die II/Iunii» (a sinistra), «Per me/Michae/lem/Veronen/sem» (a destra). Sulla colonna destra è appeso uno scudo recante lo stemma di Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, capitano di ventura e generale dell’esercito veneziano dal 1495; quella di sinistra accoglie un blasone comunemente riferito alla famiglia di Elena di Giovanni Conti, signori di Montelanico, andata in sposa a Niccolò nel 1467. Si ritiene pertanto che il dipinto sia stato donato al cenobio dai due committenti, forse nell’ambito della ristrutturazione che interessò il complesso monastico fra il 1477 e il 1518. Nel paesaggio si riconoscono il colle S. Pietro e il ponte della Pietra, nella vicinanze del convento, mentre una tradizione non confermata vuole il pittore autoritratto nel portabandiera a sinistra, girato verso lo spettatore. L’importanza dell’opera nel contesto artistico veronese è stata messa in evidenza dalla critica, che ne ha sottolineato non solo la relazione con la perduta Crocifissione affrescata nel 1436 da Iacopo Bellini nel duomo cittadino, ma anche le attinenze formali tanto con l’ambiente veneziano – in particolare con Antonello da Messina e Giovanni Bellini per le volumetrie addolcite, e con Vittore Carpaccio e Benedetto Diana per la vena narrativa – quanto con i coetanei pittori veronesi, soprattutto Francesco Morone, Francesco Bonsignori e Girolamo Dai Libri.

Lo stesso soggetto fu replicato da M., per la medesima Congregazione, quattro anni dopo, quando realizzò una Crocifissione destinata alla chiesa di S. Maria in Vanzo a Padova (ora nell’adiacente seminario vescovile), opera poco studiata nonostante la presenza della firma con la data («Die XXVIII martii MCCCCCV op.[us] Michaelis V[er]on.[ensis]»). Nello stesso 1505 M. risulta in possesso di un terreno messo a coltura, in località di Castagnedo, e dato in locazione al concittadino Bonomo Bonomi (Brenzoni).

Nel 1508 firmò e datò («Hoc fecit Mchael die III augusti MCCCCVIII») gli affreschi nella cappella a cornu Evangelii nella chiesa di S. Chiara a Verona, nei quali si riconosce una collaborazione con Francesco Morone.

A M. sono attribuiti S. Luca e S. Giovanni Evangelista, raffigurati entro finte nicchie sovrapposte sul lato sinistro della parete esterna, Noè, entro tondo nel pennacchio sinistro, e il Compianto di Cristo nella lunetta sopra l’altare. La felice integrazione fra i due artisti lascia intuire che la cooperazione non fu del tutto fortuita; d’altronde, nel 1504, Francesco – anch’egli attivo in quegli anni per i monaci di S. Giorgio in Braida – era stato testimone all’atto testamentario del padre di M., probabilmente in virtù di un rapporto di conoscenza instaurato con quest’ultimo in ambito professionale. In particolare, nella decorazione di S. Chiara entrambi i pittori dimostrano di trovarsi a proprio agio nella resa plastica delle figure, laddove M. rivela minore grazia nelle proporzioni e nelle espressioni delle figure. La consonanza con l’arte di Francesco Morone è stata interpretata come segnale di una comune formazione presso il padre di questo, Domenico (secondo una lunga tradizione critica), nonché di una non saltuaria partecipazione di M. nella bottega dello stesso Francesco (Marinelli, 1990; 2006). Analoghe caratteristiche formali sono riscontrabili in altre opere attribuitegli, come il S. Andrea affrescato nella cappella Pellegrini in S. Anastasia a Verona, o un gruppo di disegni comprendente un S. Luca (Monaco di Baviera, Staatliche Graphische Sammlung), un S. Paolo, una Madonna col Bambino tra i ss. Rocco e Sebastiano e Due figure con un levriero (New York, Metropolitan Museum, Robert Lehman Collection).

Al suo pennello è ricondotta anche la pala dell’altare Maffei nel duomo di Verona (ora nel Museo canonicale), raffigurante la Madonna in trono col Bambino, i ss. Andrea, Annone, Girolamo e Giovanni Battista, databile attorno al 1515, anno di edificazione dell’altare (Guzzo).

L’impianto compositivo, definito da una finta cappella absidata con volta cassettonata, ricorda modelli di evidente derivazione belliniana, mentre il risalto volumetrico e prospettico dato alle figure in primo piano risente della lezione di A. Mantegna nella pala di S. Zeno. La predella con Storie di Gioacchino e Anna (tuttora in chiesa) spicca invece per il carattere narrativo affine a quello della grande Crocifissione, sebbene, nella trasposizione alle piccole dimensioni della tavola, il pittore sembri perdere in scioltezza, soprattutto nella resa dei movimenti, che appaiono innaturali e bloccati. Il brano, tra l’altro, non è privo di reminiscenze mantegnesche e protobelliniane nella figura del pastore disteso su un masso, scorciato in primo piano, o nelle rocce scavate del paesaggio, e può essere avvicinato a un’Adorazione dei magi di ubicazione ignota (Del Bravo, 1964) e a una tavola di analogo soggetto dei Musei civici di Padova (Marinelli, 1986). Queste opere sono parzialmente assimilabili ad alcune pitture, talvolta ritenute decorazioni di cassoni, di vario soggetto, ora allegorico ora tratto dalla storia romana: si segnalano in particolare l’Incontro di Coriolano con Veturia e Volumnia (Londra, National Gallery), una Scena di battaglia (Venezia, Museo Correr), una Scena di fidanzamento (Berlino, Staatliche Museen), quattro Allegorie sacre (Verona, Museo di Castelvecchio).

Nel catalogo di M., ancora in attesa di una ridefinizione generale, sono stati inclusi anche dipinti di tema devozionale, alcuni dei quali vengono riferiti al 1495-1500 (Guzzo).

La Madonna col Bambino e s. Giovannino (New York, Metropolitan Museum), rilettura di modelli antonelleschi e belliniani con accentuazione delle ombre e del rilievo volumetrico; Cristo fra Maria e s. Giovanni Evangelista (Venezia, Galleria Franchetti), in cui è tanto improbabile vedere un Commiato di Cristo dalla madre, dato che Gesù si rivolge a Giovanni, quanto impossibile identificare quest’ultimo nel Battista, martirizzato ben prima degli eventi che precedono la Passione; S. Pietro tra due santi (già Venezia, collezione Foscari; già Berlino, collezione Kaufmann-Cassirer), che, come il precedente, allinea paratatticamente i tre volti contro uno sfondo scuro. Altre opere, come il S. Sebastiano (Piazzola sul Brenta, villa Camerini-Siemens) e la Pietà (Budapest, Museo di belle arti), presentano ancora una spiccata sensibilità per i valori plastici e una certa corrispondenza con i modi di Francesco Bonsignori. Va comunque osservato che il catalogo attualmente ascritto a M. presenta notevoli disparità interne, non sempre esplicabili a causa della carenza di dati oggettivi.

L’ultimo dipinto di cronologia sicura è la pala raffigurante la Madonna in trono col Bambino, i ss. Giovanni Battista, Andrea, Lorenzo e Pietro (Villa Estense, S. Andrea), firmata e datata 1523 («M. D. XXIII die p. avgvsti michael veronensis pinxit»), che insiste sull’impianto di matrice belliniana della pala Maffei, ampliandolo sulla scorta degli esempi di Giovanni Buonconsiglio e Bartolomeo Montagna.

M. abbandona ogni riferimento mantegnesco, eliminando l’effetto del sotto-in-su, aumentando la profondità prospettica dello spazio architettonico con un pavimento quadrettato, ridimensionando le figure e spingendole verso l’interno. Oltre alla complessiva debolezza di impianto, si segnala un certo impaccio nell’articolazione delle anatomie, soprattutto nei due santi a sinistra.

Fatta eccezione per le citate registrazioni anagrafiche del 1529 e nell’estimo del 1531, non si hanno notizie di M. fino al 1536. Il 28 maggio di quell’anno dettò le ultime volontà, sano di mente ma infermo nel proprio letto. Morì a Verona probabilmente tra maggio e giugno 1536. Aveva lasciato legati alle figlie Giacoma e Apollonia e nominato Ludovico suo erede universale.

Fonti e Bibl.: A. Mazzi, Appunti su la vita e la fortuna del pittore M. da V., in Madonna Verona, V (1911), 3, pp. 168-176; T. Borenius, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, Leipzig 1930, pp. 527 s. (con bibl.); C. Del Bravo, Per M. da V., in Architetti Verona, IV (1962), 19, pp. 23s.; Id., Una «Pietà» del Rinascimento veronese, in Paragone, n.s., XIV (1963), 165, pp. 40 s.; Id., Un’altra nota su M. da V., ibid., XV (1964), 169, pp. 23 s.; M.T. Cuppini, Pitture murali restaurate, Verona 1970, pp. 118-121; R. Brenzoni, Dizionario di artisti veneti. Pittori, scultori, architetti etc. dal XIII al XVIII secolo, Firenze 1972, pp. 202-204 (con bibl.); L. Saccomani, M. da V., tesi di laurea, Università di Padova, a.a. 1973-74 (con bibl.); S. Marinelli, Il crepuscolo della miniatura, in Miniatura veronese del Rinascimento (catal.), a cura di G. Castiglioni - S. Marinelli, Verona 1986, pp. 25, 34 s.; A. Bacchi, in Pinacoteca di Brera. Scuola veneta, Milano 1990, pp. 349-356; S. Marinelli, Verona, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, II, a cura di M. Lucco, Milano 1990, pp. 644-646; E. Rama, M. da V., ibid., p. 759; S. Marinelli, Il primo Cinquecento a Verona, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, I, a cura di M. Lucco, Milano 1996, pp. 339-412 (in particolare pp. 372 s.); Id., in Mantegna e le arti a Verona 1450-1500 (catal., Verona), a cura di S. Marinelli, Milano 2006, pp. 382 s.; E.M. Guzzo, ibid., pp. 383-388; M. Olivari, M. da V.: la «Crocifissione» di Brera. Note in occasione del restauro (2003 - 2005), in Arte lombarda, n.s., CLIII (2008), 2, pp. 88-94.

G. Tagliaferro