FLORIO, Michelangelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FLORIO, Michelangelo

Giovanna Perini

Nacque a Firenze nella prima decade del Cinquecento, da una famiglia di ebrei "battezzati alla papesca".

Entrato nell'Ordine dei francescani, forse conventuali, in una data imprecisata, il F. vi assunse il nome di Paolo Antonio e probabilmente fu destinato alla predicazione, cui certo si dedicò dopo il 1541, quando, non si sa per influsso di chi, si convertì alle istanze riformatrici che si venivano diffondendo in Italia. Come riformato, predicò apertamente a Faenza, Padova, Roma, Venezia e Napoli, finché all'inizio del 1548 non venne arrestato dall'Inquisizione e incarcerato nella prigione romana di Tor di Nona, donde riuscì ad evadere il 4 maggio 1550. Con l'aiuto di simpatizzanti della Riforma, lasciata Roma, si recò dapprima in Abruzzo e poi a Napoli e in Puglia, donde risalì dopo qualche mese verso Venezia; in questa circostanza (se non già precedentemente, all'epoca della predicazione) entrò in contatto con l'ambasciatore inglese e con alcuni protestanti italiani da lui protetti, tra cui V. Maggi. Da Venezia il F. riuscì a raggiungere, forse attraverso le valli valdesi, Lione e Parigi, donde si mosse alla volta di Londra. Ivi giunto il 1° nov. 1550, venne presto nominato (col beneplacito di W. Cecil, che gli assicurava uno stipendio reale di 20 sterline l'anno) predicatore nella neonata Chiesa protestante italiana.

I rapporti coi fedeli, che comprendevano anche parecchi inglesi italianizzanti, non furono facili: la piccola comunità non solo non gli versava regolarmente lo stipendio integrativo pattuito, ma si disperdeva, insoddisfatta del suo stile veemente di predicazione. Il F., che, unico dei ministri di culto riformato stranieri, percepiva uno stipendio dal re, denunciò a Cecil quattordici dei suoi fedeli che erano tornati cattolici, e questi, secondo la legge inglese, vennero puniti in quanto stranieri naturalizzati. Nei primi mesi del 1552 fu a sua volta denunciato e sollevato dall'incarico di predicatore per aver fornicato con una giovane donna, non si sa se italiana o inglese. Perse l'appoggio di Cecitsolo per breve tempo: fatta pubblica ammenda, riuscì ad evitare l'espulsione dal paese, si trasferì nella casa di H. Grey duca di Suffolk e divenne insegnante di italiano della figlia, lady J. Grey, e del cognato di questa, H. Herbert figlio del conte di Pembroke. Per essi approntò una grammatichetta, rimasta manoscritta in due redazioni (Regole de la lingua thoscana e Regole et instituzioni de la lingua thoscana) e pubblicata solo nel 1954 da Pellegrini.

Questi nobili appartenevano alla cerchia di J. Dudley, duca di Northumberland, che cercava di assicurare tramite lady Grey una successione protestante al giovane e malato re Edoardo VI: la regina di cui si elogiano le qualità in diversi esempi delle Regole (basati in gran parte su fatti autobiografici e su vicende politico-religiose dell'epoca) è certamente lei. Ed è a Dudley che il F. dedicò una traduzione italiana del catechismo di J. Ponet, da usare evidentemente nella Chiesa riformata italiana in cui sembra fosse stato riammesso, sia pur senza stipendio regio. Tale Catechismo cioè forma breve per amaestrare i fanciulli, uscito senza data (ma 1553, subito dopo la morte improvvisa del re sedicenne) a cura dello stampatore londinese S. Mierdman, è verosimilmente connesso alla disputa tra il F. e Jan Laski, di cui quest'ultimo informa lo zurighese J.H. Bullinger nel giugno 1553.

Dagli stretti legami del F. con l'arcivescovo Th. Cranmer anche dopo lo scandalo del 1552, è facile ipotizzare che egli servisse all'establishtnent protestante inglese come strumento di penetrazione nelle comunità riformate straniere di Londra, troppo orgogliose della loro indipendenza e recalcitranti rispetto ad una possibile uniformazione con la Chiesa d'Inghilterra.

La restaurazione cattolica di Maria I Tudor costrinse il F., come altri protestanti, a lasciare il paese nel marzo del 1554. Lo accompagnavano la moglie e il figlio Giovanni, nato l'anno precedente. Dopo una breve sosta ad Anversa si fermò per circa un anno a Strasburgo, dove era un folto gruppo di rifugiati inglesi, tra cui J. Haddon e J. Banks, che gli fornirono diverso materiale manoscritto per comporre l'Historia de la vita e de la morte de l'illustrissima signora Giovanna Graia già regina eletta e publicata d'Inghilterra (uscita postuma presso l'editore protestante R. Schilders a Middelburg in Olanda nel 1607, ma pensata come libello propagandistico contro Maria Tudor).

Il 27 maggio 1555, accolta l'offerta di diventarne il pastore, il F. giunse nel villaggio di Soglio in Val di Bregaglia (Cantone dei Grigioni in Svizzera), dove rimase fino alla morte, fimgendovi anche da notaio nel periodo 1564-66.

Qui venne coinvolto in due dispute teologiche, in cui ebbe modo di confermarsi retore appassionato ma teologo mediocre: nella prima si difese dalle accuse personali e dalle critiche dottrinali mossegli dal suo ex confratello, il francescano B. Spada, che predicava nella vicina porzione di Valtellina rimasta cattolica (Apologia di m. Michelagnolo fiorentino ne la quale si tratta de la vera e falsa Chiesa, pubblicata a Chamogaszko [Basilea ?] da S. Catani nel 1557, con una prefazione di G. Torriano). Nella seconda, svoltasi interamente in ambito protestante, si vide unito a G. Torriano e a P. Leone nell'accusa di eresia per aver sostenuto certe tesi antitrinitarie di Ochino circa il modo di remissione dei peccati attuatosi con la crocefissione di Cristo. Dopo aver cercato invano l'appoggio delle Chiese di Zurigo e Basilea (riuscendo solo a rendersi J.H. Bullinger ancora più ostile) dovette subire il processo da parte del sinodo di Coira del 1561, venendovi condannato assieme ai suoi due compagni. Come Torriano ritrattò, ma da quanto emerse in un successivo processo a Torriano svoltosi dopo la morte del F., non fu una ritrattazione sincera: egli cercava semplicemente di consentire al figlio di continuare i propri studi.

In parte per aumentare i propri magri introiti di pastore, in parte per tenersi lontano da ulteriori dispute pericolose e riaprire invece a sé e al figlio la via di un ritorno nell'Inghilterra ridivenuta protestante, approntò una nuova traduzione italiana, anche tipograficamente pregevole, dell'Opera di Giorgio Agricola de l'arte de' metalli, pubblicata a Basilea nel 1563 con dedica alla regina Elisabetta.

Il F. morì, probabilmente a Soglio, tra il 1566 e il 1567. Il figlio Giovanni tornò poi in Inghilterra e fu famoso erudito, lessicografo e traduttore.

Nella prefazione all'Agricola si odono gli ultimi guizzi della vocazione polemica del F., indirizzata non più a questioni teologiche, ma linguistiche. Se nelle Regole de la lingua thoscana, palesemente preparate per la pubblicazione, il fiorentino F. sembrava aderire almeno in parte all'interpretazione bembesca della lingua, nella traduzione dell'Agricola, come già in quella del catechismo, egli rivendica invece le ragioni dell'uso e della comprensibilità di contro all'eleganza e alla purezza, e difende la necessaria libertà del traduttore rispetto alla lettera, ma non al senso, del testo da rendere. Al F. grammatico si deve comunque la prima distinzione netta, in una grammatica italiana rivolta al pubblico inglese, tra l'uso del congiuntivo e quello del condizionale. Emblematicamente, l'esempio grammaticale sintetizza una professione di fede: "S'io ubbidisse al papa, ad antichristo ubbidirei".

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