MICENE

Enciclopedia Italiana (1934)

MICENE (Μυκῆναι e Μυκήνη, Mycenae)

Doro Levi

Antichissima città della Grecia, situata in Argolide, a nord di Argo e a nord-ovest dell'Ereo di Argo, nell'estremo angolo nord-est della pianura dell'Inaco, là dove la valle si restringe formando i passi verso settentrione. La sua acropoli è nascosta tra le vette della montagna digradante verso la valle, in posizione eccellente, dominante tutta la parte superiore della vallata dell'Inaco, e il punto d' incontro di tutte le strade arrivanti dalle città costiere del golfo corinzio, da Fliunte, Nemea, Cleone, Corinto, e dirette al di là del dorso montagnoso verso la pianura argiva.

Rappresenta Micene per l'età eroica, quale è descritta nei poemi omerici, ciò che Atene rappresenta per l'Ellade dell'età classica; la maggior parte delle gesta dei poemi omerici si accentra attorno alle vicende dei suoi re, della potente schiatta degli Atridi. Ma la leggenda risale più su ancora; secondo essa dei due figli di Danao - l'eroe venuto dall'Egitto e vincitore dei Pelasgi della pianura argolica - Acrisio avrebbe regnato in Argo, mentre Preto avrebbe fondato Tirinto; solo un nipote di Acrisio avrebbe fondato Micene. La dinastia Danaide sarebbe poi stata soppiantata nel regno dall'arrivo degli Achei venuti dall'Elide sotto la guida dei Pelopidi: da allora comincerebbe lo splendore di Micene, capitale di un gran regno, i cui sovrani erano imparentati con gli altri principi achei della Laconia e della Ftiotide. Gelosie, vendette, assassinî, adulterî, avrebbero attirato l'ira divina fin sotto i primi successori di Pelope, i suoi figli Atreo e Tieste; il nipote di Atreo, Agamennone, è in Omero il capo virtuale d'una confederazione di tutti gli Elleni, re di un territorio comprendente l'Argolide e le isole vicine; Micene, come potenza marinara, possiede allora anche un proprio porto, Eione; la popolazione soggetta al re abitava distribuita in borgate (κῶμαι), attorno all'acropoli reale.

L'antichissima storia adombrata da tali leggende è stata in qualche maniera illustrata dagli scavi iniziati a Micene nell'ultimo venticinquennio del sec. XIX (v. appresso): la splendida e insospettata civiltà da allora palesataci, che precorre di secoli e secoli l'inizio della civiltà ellenica, ha avuto da Micene il nome di civiltà micenea. Più tardi si è messo in chiaro che il centro iniziatore e creatore di tale civiltà non giace nel Peloponneso, ma a Creta, e, se non ancora sempre nell'uso comune, in quello scientifico al nome di micenea si è sostituito quello di cretese-micenea e minoica. A ogni modo persiste rettamente il nome di micenea per l'età più tarda della civiltà medesima, e precisamente per l'ultima fase del terzo dei grandi periodi in cui si è suddivisa la sua storia: quando, cioè, distrutti a Creta i palazzi reali di Cnosso e di Festo, e declinando la potenza della talassocrazia cretese, il centro del dominio politico e della creazione industriale e artistica, come quello della diffusione dei prodotti della civiltà pre-ellenica, verso lo scorcio del sec. XV a. C., ci appare realmente passato alle roccaforti della terraferma, e tra esse particolarmente a Micene (cfr. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 873). Siano o no stati i principi delle forti città peloponnesiache gli autori di questa distruzione delle regge cretesi, essi certo da lungo tempo avevano assimilato tutti gli elementi della civiltà cretese; a Micene stessa nelle tombe reali si è rinvenuta una sorprendente profusione dei più abbondanti e svariati suoi prodotti, appartenenti alla migliore età della sua arte, cioè risalenti fino alla terza fase del periodo medio-minoico; accanto a essi però altri prodotti denotano la persistenza di un'arte locale indigena; degli sporadici influssi cretesi sono sensibili nel Peloponneso anche anteriormente; scarsi resti ceramici hanno palesato, infine, sull'acropoli di Micene delle abitazioni anche assai più antiche, che risalgono fino al periodo protoelladico.

Dopo le invasioni doriche, Micene presto decadde, mantenendo tuttavia la sua indipendenza anche quando la sua antica soggetta Argo ridivenne il capoluogo dell'Argolide. Memore delle sue lotte contro i barbari dell'età eroica, inviò essa, unica fra le città argive, ottanta uomini alle Termopile, mentre quattrocento uomini, di Tirinto e Micene insieme, combatterono a Platea: Micene poté in tal modo insieme con Tirinto iscrivere il suo nome sul monumento votivo per la vittoria di Platea a Delfi. Ma per questi fatti si acuì anche di più la gelosia di Argo, che, alleatasi con Tegea e Nemea, decise di farla finita con Micene per poter accentrare definitivamente nelle proprie mani la supremazia dell'Argolide. All'assalto dei nemici coalizzati resisterono le valide fortificazioni di Micene, ma gli abitanti, costretti dalla fame, il dodicesimo anno dopo le Termopile dovettero abbandonare la vetusta patria: più di metà di essi emigrarono in Macedonia, altri si rifugiarono a Cleone, altri a Cerinea, dove assunsero cittadinanza e culti achei. Micene rimase per volontà di Argo per qualche tempo deserta.

Nell'età ellenistica Micene peraltro fu nuovamente abitata quale κώμη del territorio argivo. Strabone la nomina tra le città di cui al suo tempo ogni traccia era scomparsa; ma Pausania andò a cercare e descrisse, nella Περιήγησις τῆς ‛Ελλάδος, le sue rovine.

Topografia e monumenti. - L'acropoli di Micene è appollaiata su uno sperone di roccia grigiastra, alto m. 278 s. m., di forma triangolare, dominato tutto intorno dalle cime più alte del monte Eubea, chiamate oggi del profeta Elia e di Zara; il vertice del triangolo si riattacca verso est alla montagna, i lati discendono diruti verso due torrenti, il Chábos e il Kokoretza, la base a occidente declina verso la città bassa.

Su tale luogo nel 1876 furono iniziati scavi sistematici da Heinrich Schliemann, che, sulla scorta dei poemi omerici, vi ricercava la reggia di Agamennone e le tombe degli Atridi; insieme con lui condusse, e poi continuò gli scavi per conto della Società archeologica di Atene, P. Stamatakis, e li riprese nel 1886 Chr. Tsoúntas; importanti saggi complementari e integrativi furono eseguiti dal 1920 al 1923 dalla Scuola archeologica britannica di Atene.

Attorno all'acropoli si è conservato fino a noi quasi tutto il giro della poderosa e famosa cinta ciclopica, eretta lungo il ciglio della rupe. Le mura sono costruite nel medesimo sistema di quelle di Tirinto, e in genere delle fortificazioni micenee (v. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 877), con numerose sporgenze e rientranze, secondo l'andamento del terreno, e con alcuni bastioni agli spigoli; ma presentano caratteri struttivi un po' meno primitivi e colossali di quelle di Tirinto e palesano nel loro stato attuale una ricostruzione avvenuta nell'ultima fase dell'età micenea (periodo tardomiceneo III). Ha tali caratteri soprattutto la principale delle due porte che immettevano nell'acropoli, la famosa Porta dei leoni, col suo viale di accesso lungo 15 metri e largo 9, con le sue opere militari adiacenti: la porta, leggermente rastremata, è formata di quattro colossali blocchi monoliti: i due stipiti, la soglia e l'architrave, lungo questo ben m. 5.50, spesso m. 2 e alto m. 1; sopra, nel triangolo di scarico delle mura a massi rettangolari, è incastrato il blocco scolpito con le figure dei due leoni ai lati di un pilastro, che ha dato il nome alla porta, e che ci ha conservato la maggiore e più importante scultura micenea (cfr. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 887), benché le teste, lavorate a tutto tondo in blocchi a parte, siano andate perdute.

Passata la Porta dei leoni, subito a destra si entra nel sacro recinto di una necropoli reale, limitata da un anello rotondo, che è formato da una doppia serie di lastroni rettangolari fitti nel terreno e collegati al disopra da altre lastre orizzontali; l'accesso, nella direzione della porta suddetta, è costituito da un corridoio della medesima fattura (v. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 878, fig. 39).

La sistemazione definitiva dell'area rotonda è evidentemente in relazione con le mura di cinta, che ne seguono anzi l'andamento curvo, e appartiene all'ultimo periodo miceneo; viceversa in quest'area soprattutto v'è testimonianza di un'assai più antica abitazione del colle, che ha restituito numerosi frammenti ceramici appartenenti ancora al periodo proto-elladico; le sei medesime famose tombe a fossa, per le quali il recinto rotondo è stato costruito, e che, per la loro doviziosa suppellettile funebre, furono identificate dallo Schliemann con le ricercate tombe degli Atridi di cui fa parola Pausania, appartengono in realtà a una dinastia reale più antica, sorta nel momento di maggiore splendore della città: abbracciano cioè l'ultima fase del medio-elladico e la prima del tardo-elladico (medio-elladico III, tardo-elladico I), coprendo a un dipresso tutta l'estensione del sec. XVI a. C. Altre due tombe a fossa consimili sono rimaste probabilmente all'esterno del recinto, una a sud, dove lo Schliemann trovò un cospicuo tesoro aureo, una a nord, nell'angolo tra il recinto e le mura, sotto a un "granaio", che restituì una grande quantità di ceramiche appartenenti proprio alla fase finale della civiltà micenea, prima della sua distruzione da parte delle invasioni doriche (circa la fine del sec. XII a. C.). Da queste tombe a fossa provengono molti degli oggetti più preziosi dell'arte cretese-micenea, come i numerosi diademi, le maschere auree (v. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 887, fig. 69), i dischi e le varie figurine laminate (v. brattea), i vasi e le coppe d'oro e di argento, le lame di pugnali ageminati (v. agemina, I, p. 850, figg. 2, 3 e tav. a colori) e via dicendo. Con tutta probabilità erano erette esternamente a segnale delle tombe le stele funerarie (v. la ricostruzione della necropoli nella figura) di tufo calcareo tenero, sulle cui facce erano scolpite scene di caccia e di combattimento; queste stele ci offrono forse i documenti più importanti dell'arte locale micenea.

A sinistra del recinto delle tombe, la strada sale, pavimentata a grandi lastre e fiancheggiata per un tratto sul lato sinistro da un alto muro ciclopico; poi, per una grandiosa rampa intagliata nella roccia, raggiunge la spianata superiore dove sorgeva il palazzo reale. Ai lati della strada sono sparsi varî ruderi di età ellenistica, sotto al suo pavimento dell'epoca più tarda si sono trovati resti proto e medio-elladici, e poco lungi anche tombe medio-elladiche. Il palazzo è preceduto da un propileo, donde la scalinata di 18 scalini conduce alla corte centrale; benché meno completamente conservato, tale palazzo palesa i medesimi caratteri di quello di Tirinto (cfr. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 877, fig. 36), col mégaron a focolare rotondo nel mezzo e con le quattro basi delle colonne lignee intorno. Il palazzo e la sua rampa di accesso datano, nel loro stato finale, dall'ultima fase micenea, dalla medesima epoca cioè della cinta (circa il 1400 a. C.), ma posano su rovine di un palazzo precedente, che appartenne verosimilmente alla dinastia delle tombe a fossa; resti di affreschi e avanzi di suppellettili appartengono a tale palazzo primitivo, ma più cospicue e più importanti sono evidentemente le testimonianze dei relitti e specialmente degli affreschi del periodo più tardo.

Sulla sommità dell'acropoli, a nord del palazzo, e in parte sovrapposto a esso, è sorto anche qui, come a Tirinto e a Festo, un tempio dorico del VI secolo. Sull'angolo orientale della cittadella coperto di sparsi ruderi di varie epoche, si trova una cisterna, e vicino una postierla di uscita, di forma ogivale, ricavata nella muraglia verso sud; un'altra consimile è verso nord, e vicino s'imbocca una galleria sotterranea, con vòlta ad aggetto, di cui si conserva qualche tratto, che discende mediante una serie di scalini a un grande serbatoio d'acqua: si debbono riconoscere qui i resti della fonte Perseia, che portava entro la cinta le acque di una sorgente zampillante in luogo sicuro dalle insidie nemiche, a 360 m. di distanza dall'acropoli, in una vallata tra le due cime dell'Eubea, fonte cui Micene ha dovuto tanta parte della sua potenza. Un po' più in là, a nord-est, si trova nella muraglia la seconda porta d'ingresso della cinta, con una rampa fra due bastioni, ricavata, col consueto sistema miceneo, nella direzione delle mura stesse; mentre nell'angolo nord-ovest, sopra alla Porta dei leoni, possiamo ricordare ancora la maggiore cisterna dell'acropoli.

Fuori dell'acropoli, nella città bassa, sono disseminati i ruderi di nove grandiose tombe a cupola, o thóloi, di cui l'esemplare più illustre e meglio conservato è il cosiddetto Tesoro di Atreo (v. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 876, fig. 26; p. 878, figg. 37-38).

Le altre tombe, di conservazione più o meno buona e più o meno accuratamente investigate (v. la pianta), sono evidentemente costruzioni regali che hanno appartenuto alla dinastia posteriore a quella delle tombe a fossa; le due più antiche (Tomba ciclopica ed Epánō Foũrnos) appartengono proprio alla fine del periodo tardo-elladico I, cioè alla fine del sec. XVI a. C.; le quattro successive (Tomba di Egisto, Kátō Foũrnos, Tomba della Vergine e Tomba del Leone) si estendono a un dipresso per tutto il sec. XV; alla fase ultima, quella della ricostruzione del muro e del palazzo, appartiene il Tesoro di Atreo (detto localmente anche Tomba di Agamennone), che può essere datato verso il 1400 a. C., e successivamente si distribuiscono la Tomba di Clitennestra e quella dei Genî; quest'ultima è quella che presenta anche la più stretta parentela struttiva col Tesoro di Atreo, nonché la più discreta conservazione.

La regione delle tholoi era in parte inclusa entro la cinta dell'età storica, di cui si conservano tratti abbastanza cospicui per fissarne tutto l'andamento e per stabilirne la data all'epoca ellenistica.

Di questa medesima epoca si conservano resti di case, di un teatro costruito parzialmente sopra la Tomba di Clitennestra, di un ginnasio e di alcune tombe. (V. tavv. XV e XVI).

Bibl.: V. cretese-micenea, civiltà, XI, p. 890 segg. Cfr. specialmente: H. Schliemann, Mykenae, Lipsia e Londra 1878, e la traduzione, Mycènes, Parigi 1879; Chr. Tsoúntas, 'Αρχ. 'Εϕημ., 1887, col. 155 segg.; 1888, col. 119 segg.; C. Schuhhardt, Schliemann's Augsgrabungen in Troja, Tirins, Mykenae, ecc., 2ª ed., Lipsia 1891; G. Perrot e Ch. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, VI, Parigi 1894, p. 303 segg.; G. Rodenwaldt, Der Fries des megarons von Mykenae, Halle 1921; per gli ultimi scavi, Annual Brit. School. Athens, XXIV (1919-21), p. 185 segg.; XXV (1921-23); A. Evans, The Shaft Graves and the Bee-hive Tombs at Mycenae, Oxford 1929; G. Karo, Die Schachtgräber von Mykenae, Berlino 1930.