Metrica

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Metrica

Sergio Bozzola

Le regole della scrittura in versi

Ogni scrittore che compone versi si sottopone volontariamente ad alcune regole. Possiamo paragonare tali regole a quelle che governano, per esempio, una partita di calcio, o una partita a Monopoli®. Solo se i partecipanti al gioco le accettano e le rispettano, il gioco riesce bene e diventa appassionante. La metrica è l’insieme delle regole che organizzano il gioco della poesia. Ogni genere di poesia ha avuto le sue regole, dunque la sua metrica. Queste regole sono cambiate nel tempo, ma non sono mai scomparse del tutto

Le sillabe e il verso

La parola italiana metrica viene dal greco mètron, che significa «misura». La metrica si occupa in effetti di misure, e più precisamente delle misure dei versi e delle strofe.

I versi sono le singole righe di cui è composta ogni poesia. Un verso italiano non finisce in un momento a caso, ma dopo un certo numero di sillabe (la sua misura). Se prendiamo a caso uno qualsiasi dei versi che ha scritto Dante nella Divina Commedia, vedremo che ha sempre undici sillabe. Dante, scrivendo la Divina Commedia, ha cioè scelto di scrivere in endecasillabi. Prendiamo come esempio il primo verso dell’Inferno, e contiamone le sillabe:

Nel mez zo del cam min di no stra vi ta

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

In realtà, a ben vedere, qualche volta le sillabe sono anche più numerose, ma diventano undici se nel contarle si segue la pronuncia naturale del verso. In questo modo, le sillabe che terminano con una vocale alla fine di una parola, si fondono con quelle vicine che iniziano con una vocale, e alla fine abbiamo undici sillabe. Vediamo il secondo verso:

mi ri tro vai per u na sel vao scu ra

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

Come si vede, le parole selva e oscura si fondono insieme: la sillaba finale di selva e quella iniziale di oscura diventano una sola sillaba. Se si prova a leggere il verso tutto di seguito, si vedrà che la cosa viene da sé.

I principali tipi di verso e la rima

È difficile stabilire quali siano le tipologie di versi più importanti della poesia italiana. Certamente il più celebre è l’endecasillabo. Per il resto, dipende dal metro e dal genere letterario. Possiamo dire che ha avuto una grande importanza, accanto all’endecasillabo, il settenario (di sette sillabe). Questi due versi sono imparisillabi: il numero delle loro sillabe è cioè dispari. In generale, i versi imparisillabi hanno un ritmo molto più vario e diversificato dei versi parisillabi (decasillabo, ottonario, senario, quadrisillabo), che sono invece regolari e ripetitivi, come quelli delle filastrocche. Tra i parisillabi, a partire dalla fine del Settecento e dai primi dell’Ottocento è divenuto celebre il decasillabo (soprattutto quello di Alessandro Manzoni). Tra gli altri imparisillabi, Giovanni Pascoli ha reso famoso il novenario.

La metrica si occupa in secondo luogo delle rime. La rima è l’identità della parte finale di due parole che si trovano alla fine del verso. Per parte finale si intende la parte della parola che incomincia con la vocale accentata. Per esempio, la parola finestra e la parola ginestra sono in rima, perché sono uguali a partire dalla e sulla quale cade l’accento (fin-ESTRA, gin-ESTRA).

La strofa e il metro

Un gruppo di versi forma una strofa. Anche la strofa segue determinate regole. Per esempio, Pascoli ha scritto numerose poesie i cui versi sono raggruppati tre alla volta. Ecco l’inizio di una sua poesia intitolata Alba festiva:

Che hanno le campane,

che squillano vicine,

che ronzano lontane?

È un inno senza fine,

or d’oro, ora d’argento,

nel cielo sonnolento.

I primi tre versi, e i successivi tre, formano la prima e la seconda strofa della poesia.

Anche nella formazione delle strofe, ciascun poeta italiano segue delle regole precise. Le regole riguardano il tipo di versi utilizzato, il numero dei versi per ciascuna strofa, e la disposizione delle rime. L’insieme di questi tre aspetti definisce il metro di una poesia. Osserviamo la poesia seguente, intitolata Zaccaria, di Umberto Saba:

La vacca, l’asinello, la manzetta,

al bimbo avvolto in scompagnati panni

erano stufa nell’inverno; i danni

ristorava dei morbi una capretta.

La sua mamma, che pace in cielo aspetta,

sei gli dava nel giro di dieci anni,

sei fratellini; pur, fra pianti e affanni,

due volte il dì fumava la casetta.

Là crebbe; e, come sognava bambino,

poco ai campi lo vide il paesello.

Volle d’agricoltor farsi operaio.

Or – tra gli altri feriti – il tempo gaio

della pace ricorda; sul cappello

ha una penna: l’orgoglio dell’Alpino.

Il metro di questa poesia è il sonetto. Il sonetto segue queste regole:

• è scritto in endecasillabi;

• è fatto di quattordici versi divisi in quattro strofe;

• le prime due strofe sono di quattro versi;

• le successive due strofe sono di tre versi;

• le rime nelle prime due strofe sono sempre le stesse (tutte le parole del nostro esempio finiscono in -etta o in -anni);

• le rime nelle due ultime strofe sono le stesse, ma sono diverse da quelle precedenti (nel nostro esempio finiscono in -aio e -ino).

Oltre al sonetto, ci sono molti altri metri. Il metro della Divina Commedia, per esempio, è la terzina. Poi ci sono la canzone, la canzonetta, l’ottava, l’endecasillabo sciolto, l’ode e numerosi altri. Alcuni di questi metri sono stati resi illustri da grandi poeti italiani che li hanno utilizzati per scrivere i loro capolavori. L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto è scritto in ottave, e così la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Giuseppe Parini e Ugo Foscolo hanno scritto delle odi. Giacomo Leopardi è noto in tutto il mondo per aver scritto delle bellissime canzoni libere.

La scelta del metro e il genere letterario

Un poeta sceglieva il metro in base alle caratteristiche della poesia che intendeva scrivere. L’insieme di queste caratteristiche si chiama genere letterario. Per esempio, il sonetto era uno dei principali metri del genere lirico, cioè della poesia che aveva come argomento principale l’amore. Se invece un poeta voleva raccontare le gesta degli antichi cavalieri (genere epico-cavalleresco), come fecero Ariosto e Tasso, allora usava l’ottava.

Nel corso della storia uno stesso genere letterario è stato reso in metri diversi. Ogni poeta era in questo condizionato dalle consuetudini prevalenti nell’epoca in cui viveva. Per esempio, la poesia lirica è stata a lungo dominata dal sonetto e dalla canzone. Sono i metri che ha scelto per la propria poesia Francesco Petrarca, un grande poeta del Trecento che è stato un modello imitato per lungo tempo. Ma a partire dalla fine del 16° secolo, specialmente per l’iniziativa di Gabriello Chiabrera, ha avuto una grande diffusione, nella poesia lirica, la cosiddetta ode-canzonetta, fatta di versi brevi e dal carattere più leggero e giocoso. Così, in seguito, molti dei poeti che hanno scritto poesie d’amore hanno imitato Chiabrera, e non più Petrarca.

Esiste ancora la metrica?

Potremmo fare molti altri esempi per dimostrare che la metrica, nel corso della storia, è cambiata. Possiamo affermare che fino alla fine dell’Ottocento i poeti italiani hanno sempre osservato le regole trasmesse dalla tradizione. I più grandi (come per esempio Leopardi) ne hanno semmai cambiate alcune, ma non le hanno mai rifiutate tutte. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento però le cose sono andate diversamente, perché si è cominciato a scrivere poesie in metricalibera: i poeti componevano versi e strofe senza seguire nessuna delle regole tradizionali, inventando così nuove strofe e nuovi tipi di versi.

Si può dire tuttavia che la metrica non sia stata mai veramente abolita. Prima di tutto perché spesso nel Novecento possiamo ritrovare versi e strofe tradizionali mescolati a versi e strofe che non lo sono: è quello che accade in un grande poeta come Eugenio Montale. In secondo luogo perché spesso alle regole della metrica classica sono state sostituite delle nuove regole: il poeta non obbedisce più alle norme della tradizione, ma ne inventa di nuove, e vi si sottopone con grande coerenza. In terzo luogo perché, specialmente negli anni più recenti, molti autori hanno recuperato i metri tradizionali: Giovanni Raboni, un importante poeta morto nel 2004, ha composto sonetti, canzoni e sestine. Osserviamo infine che il verso più importante della nostra tradizione, l’endecasillabo, non è mai veramente scomparso, e che continua a essere diffusamente utilizzato ancora oggi.

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