METELLO Macedonico, Quinto Cecilio

Enciclopedia Italiana (1934)

METELLO Macedonico, Quinto Cecilio (Q. Caecilius Q. f. Metellus)

Gaetano De Sanctis.

Generale e uomo politico romano, nato non molto dopo il 190 a. C., figlio di Quinto Cecilio Metello, console nel 206, o forse d'un figlio di lui. Partecipò nel 168 alla battaglia di Pidna sotto Lucio Emilio Paolo. Nel 148 pervenne alla pretura e fu inviato in Macedonia, dove un pretendente conosciuto dagli storici come Andrisco, assunto il nome di Filippo, dicendosi figlio di Perseo, era riuscito a far insorgere il paese contro i Romani e a vincere il pretore Iuvenzio. M., appoggiato per mare dalla flotta pergamena, si accampò presso Pidna dove il ribelle aveva radunato le sue forze, ed ebbe prima la peggio in un'avvisaglia di cavalleria, ma poi, venuto a giornata campale con l'avversario, che aveva diviso le forze, lo sconfisse. In Tracia sventò un tentativo di riscossa di Andrisco e riuscì a catturarlo facendoselo consegnare da un regolo tracio. Frattanto all'intimazione romana di separare dalla lega Sparta, Argo, Corinto, Orcomeno ed Eraclea, gli Achei avevano assunto un'attitudine minacciosa, sebbene il senato e M., che si occupava di ordinare la Macedonia come provincia, cercassero di pacificare gli animi. Ma quando, nella primavera del 146, lo stratego Critolao mosse contro Eraclea dell'Oeta, che fiduciosa nei Romani si era ribellata alla lega, M. intimò agli Achei di desistere dalla guerra e, non venendo ascoltato, marciò senz'altro contro Critolao, ne disfece l'esercito che ripiegava, presso Scarfea, distrusse alcuni contingenti achei che erano in marcia per raggiungere lo stratego, e, ricuperata tutta la Grecia centrale, occupò facilmente anche Megara da cui si ritrasse, al suo appressarsi, il forte presidio acheo. Invano egli aveva tentato, sia usando mitezza verso i Greci insorti contro Roma, sia trattando con la lega, d'indurre gli Achei a consigli di pace. Le cose erano in questi termini, quando sbarcò presso l'istmo il console del 146 L. Mummio, al quale era stata assegnata la guerra acaica. Mummio, volendo per sé tutta la gloria dell'impresa, rinviò Metello con le sue legioni in Macedonia, e di qui M., compiuto l'ordinamento della provincia, tornò a Roma, dove trionfò conducendo prigioniero il pretendente. Nonostante questa sua impresa gloriosa, M., che era uno dei più risoluti fautori della dominante oligarchia, ebbe due ripulse nella candidatura al consolato e non fu console se non nel 143. Inviato in Spagna, dopo aver domato una ribellione di schiavi a Mindurne, vi rimase come proconsole nel 142 e combatté felicemente i Celtiberi, impadronendosi di Contrebia, ma senza riportare successi decisivi, sebbene, come in Grecia, usasse anche avvedutamente l'arma della mitezza. È favola che egli volesse lasciare in cattive condizioni l'esercito al successore Quinto Pompeo. Tornato in patria, avversò l'opera rivoluzionaria dei Gracchi, fu censore in periodo di reazione vittoriosa nel 131 ed espulse dal senato un tribuno della plebe che minacciò di precipitarlo dalla rupe Tarpea, e ne fu impedito dall'intercessione di un collega. Nel 121 accorse, sebbene vecchio, all'appello del console Opimio per partecipare alla lotta contro Gaio Gracco. Morì nel 105, lasciando quattro figli tutti consolari e due figlie.

Conosciamo troppo poco della sua vita per poter valutare equamente la sua penonalità e l'opera sua. Fu certo tra i migliori uomini di guerra di quell'età e sembra si segnalasse tra i coetanei per mitezza e prudenza. Per autorità non fu secondo a nessuno dei membri dell'oligarchia, fuorché a Scipione Emiliano col quale peraltro era in dissenso. Con lui del resto egli condivide la responsabilità di quell'irrigidirsi dell'oligarchia romana che preparò le guerre civili e la caduta della repubblica. Fu amico delle arti belle al segno almeno di ornare con statue di Lisippo, asportate dalla Macedonia, il portico da lui eretto in Roma attorno ai templi di Giove Statore e Giunone Regina. Lasciò orazioni di cui tre ci sono note, una per Cotta contro Scipione Emiliano che lo aveva accusato de repetundis, un'altra contro Tiberio Gracco nel 133, una terza recitata come censore nel 131 de prole augenda, ispirata agli stessi concetti cui s'ispirò più tardi Augusto, che si richiamò appunto all'esempio e alle parole del vecchio censore.

Bibl.: F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 1219 segg. Per la guerra in Macedonia, v. B. Niese, GEschichte der griechischen und makedonischen Staaten, III, Gotha 1903, p. 334 segg.: G. Cardinali, Lo Pseudo-Filippo, in Riv. di fil. class., XXXIX (1911), p. 1 segg. V. anche andrisco. Per la guerra celtiberica, v. A. Schulten, Numantia, I, Monaco 1914, p. 354 segg. Per M., oratore, v. H. Malcovati, Oratorum romanorum fragmenta, I, Torino 1930, pp. 97 segg. e 220 segg. Per il portico di Metello, v. S. B. Platner, A topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford 1929, p. 424.