METALLI

Enciclopedia Italiana (1934)

METALLI (gr. μεταλλον, designante tanto la "miniera" quanto il minerale estratto)

Vincenzo CAGLIOTI
Antonio CARRELLI

Per lungo tempo furono considerati metalli solo i corpi fusibili e malleabili. Berzelius chiamò con questo nome i corpi splendenti, opachi, buoni conduttori del calore e dell'elettricità, che mostrano carica elettrica positiva nell'elettrolisi dei loro composti, e formano ossidi basici; chiamò invece metalloidi gli elementi con proprietà opposte.

Nell'unita tabella del sistema periodico degli elementi, i metalli si trovano al di sotto e i metalloidi al di sopra della linea segnata in grassetto. È però da osservare che una netta distinzione fra i due gruppi non è possibile, perché, per gli elementi che si trovano presso la linea di separazione, il cambiamento di proprietà avviene gradualmente. Così, p. es., per quanto riguarda le proprietà fisiche, vi sono metalloidi, come il tellurio, che conducono bene il calore e l'elettricità quasi come i metalli, e metalli, come l'antimonio e il bismuto, friabili e facilmente polverizzabili come i metalloidi; mentre, per quanto riguarda le proprietà chimiche, metalli, come ad es., il manganese formano, accanto a un ossido basico, del tipo MnO, anche ossidi acidi come Mn2O7.

Fra i metalli, quelli cosiddetti nobili, che hanno cioè scarsa tendenza a combinarsi con l'ossigeno, quali il platino, l'oro, l'argento, si trovano in natura allo stato nativo, sebbene difficilmente allo stato di purezza, in rocce di antica formazione o nelle sabbie provenienti dalla loro disgregazione; in genere, invece, gli altri metalli si rinvengono in combinazioni più o meno complesse, come cloruri, solfuri, ossidi, carbonati, solfati e silicati.

Sulla crosta terrestre, il metallo più diffuso è l'alluminio, che costituisce un dodicesimo circa dello spessore della litosfera finora conosciuta. Seguono poi in quantità via via minore il ferro, il calcio, il sodio, il potassio e il magnesio. Le proporzioni degli altri non raggiungono l'1%. Alcuni metalli poi si trovano in quantità minime: così è per lo zinco e il piombo, le cui percentuali sono 0,004 e 0,002; essi però si trovano concentrati in alcuni punti, sicché la loro estrazione risulta facile.

Proprietà. - I metalli, quando siano in massa compatta, hanno per lo più un colore bianco argenteo; fanno eccezione l'oro che è giallo, e il rame che è rosso. Essi sono inoltre dotati di grande potere riflettente, congiunto a una grande opacità. Tanto il colore quanto lo splendore metallico variano poi col grado di compattezza: in polvere fine, l'alluminio e il magnesio conservano lo splendore, mentre gli altri metalli sono per lo più neri e opachi; l'oro diventa violetto.

Nei metalli, il peso specifico (tab. I) varia entro limiti piuttosto ampî. Accanto a metalli più leggieri dell'acqua (litio, sodio), ve ne sono altri che pesano circa venti volte di più (oro, platino, iridio, osmio). Quelli che hanno peso specifico inferiore a 5 si chiamano comunemente metalli leggieri, gli altri pesanti: fra i leggieri hanno speciale importanza dal punto di vista industriale il magnesio, l'alluminio e il berillio.

Il calore specifico dei metalli è inferiore a quello dell'acqua; eccettuati pochi metalli, che hanno un calore specifico piuttosto elevato (per il litio è 0,9), la maggior parte ha calori specifici che sono da 10 a 40 volte più bassi di quello dell'acqua. Per mostrare l'importanza di questa proprietà, ricordiamo che la stessa quantità di calore necessaria per portare da 0° a 100° un chilogrammo di acqua, porta a fusione un chilogrammo di rame, e a circa 2800° un chilogrammo di platino.

I metalli si presentano, a eccezione del mercurio, tutti solidi alla temperatura ordinaria. Ma il loro punto di fusione varia entro limiti abbastanza larghi (tab. II): mentre il potassio, il rubidio, il cesio fondono a temperatura più bassa di quella di ebollizione dell'acqua, altri metalli, come il molibdeno, l'osmio, l'uranio e il tungsteno fondono a temperature molto elevate. Non vi sono relazioni semplici fra la posizione nel sistema periodico e la temperatura di fusione: per alcuni gruppi, con l'aumentare del peso atomico, il punto di fusione diminuisce, in altri gruppi accade l'opposto. Pare però che la temperatura di fusione è tanto più bassa quanto maggiore è la compressibilità del reticolo cristallino.

I metalli sono dotati di notevole conducibilità termica, per cui al tatto dànno impressione di freddo: posta uguale a 100 la conducibilità termica dell'argento, essa è di 73 nel rame, di 53 nell'oro, di 11 nel ferro, di 8,4 nel piombo. Essi hanno inoltre buona conducibilità elettrica.

Struttura. - Tutti i metalli hanno molecola monoatomica, a eccezione di alcuni, come l'alluminio e il bismuto, che hanno molecola poliatomica.

Ogni metallo, come ogni corpo solido, è caratterizzato da una speciale struttura cristallina. Secondo Bernal, tenendo conto della struttura, i metalli possono essere suddivisi in due gruppi, comprendenti l'uno i metalli propriamente detti, l'altro i semimetalli o metalli omopolari (v. appresso: Teoria elettronica dei metalli). I metalli propriamente detti cristallizzano in genere nel sistema cubico o esagonale e i tipi di struttura cui dànno luogo sono o il cubo a facce centrate (figure 1-a e 1-b) o il cubo a corpo centrato (figure 2-a e 2-b) o l'esagonale compatto (figure 3-a e 3-b). I cosiddetti semimetalli invece possiedono strutture più complicate o stratificate del tipo romboedrico (fig. 4) o strutture del tipo del diamante (fig. 5).

Secondo tale classificazione, apparterrebbero ai metalli propriamente detti quelli alcalini e alcalino-terrosi, l'alluminio (il quale però nei composti presenta più somiglianza coi metalli omopolari), gli elementi cosiddetti di transizione (titanio, vanadio, manganese, ferro, nichel, rame, zirconio, niobio, rutenio, rodio, palladio, argento, tantalio, tungsteno, renio, osmio, iridio, platino, oro), gli elementi delle terre rare e un certo numero di metalli pesanti appartenenti a gruppì diversi (tellurio, piombo, torio, uranio). Apparterrebbero invece ai semimetalli lo zinco, il cadmio, il germanio, il gallio, l'alluminio, l'iridio, lo stagno, l'antimonio, il mercurio, il bismuto.

Dei metalli propriamente detti, alcuni possono cristallizzare in più modificazioni, con differenze di proprietà assai rilevanti che non si limitano solo al tipo di reticolo, ma si estendono a tutto il complesso delle proprietà fisiche e chimiche: così, per es., lo stagno cristallizza in due modificazioni, la bianca e la grigia, tetragonale l'una, cubica l'altra e la trasformazione di una fase nell'altra, che avviene a bassa temperatura, è accompagnata da grande variazione di volume, per cui lo stagno in lamine o bacchette si trasforma in una massa polverulenta (fenomeno noto col nome di peste dello stagno).

Alcune proprietà fisiche dei metalli sono funzione della natura dell'atomo, altre del tipo di reticolo; l'andamento delle due serie di proprietà è però diverso per i metalli propriamente detti e per i semimetalli.

Così, la conducibilità dei metalli propriamente detti allo stato liquido è più piccola che allo stato solido, mentre i semimetalli possiedono in generale allo stato liquido una conducibilità maggiore che allo stato solido. Le proprietà magnetiche dei metalli propriamente detti sono esclusivamente di natura atomica, mentre quelle dei semimetalli e delle loro leghe sembrano influenzate dal tipo di reticolo.

Altra particolarità dei metalli propriamente detti, quando abbiano raggi atomici non molto diversi, è di poter formare lunghe serie di soluzioni solide e, benché più raramente, di composti (v. leghe).

Molto interessante è il comportamento degli elementi di transizione con i metalli omopolari. I metalli omopolari in generale non sciolgono nel loro reticolo quantità considerevoli di metallo propriamente detto. Il contrario avviene per i metalli veri, i quali sciolgono facilmente nel loro reticolo i metalli omopolari, naturalmente quando le dimensioni degli atomi non siano molto diverse. In questi casi però, accanto alle soluzioni solide, si forma anche una serie numerosa di composti.

Mentre poi i composti fra metalloidi o fra metalloidi e metalli sono del tutto diversi dagli elementi da cui derivano, i composti fra metalli conservano ancora grande somiglianza con gli elementi costituenti. Inoltre le regole di valenza che tanto fruttuosa applicazione trovano nello studio dei sali, non hanno alcun valore nei composti intermetallici. Così accanto a composti del tipo NaZn12, Cd2Na, HgNa3, NaCd5, ecc., se ne trovano altri come Ni5Zn21, ecc.

Le formule dei composti dei metalli di un gruppo naturale di elementi con un detemiinato metallo non sono sempre analoghe. Così si ha AlCu3, AlAg2 e AlAu2; Cu4Sn, Ag4Sn, AuSn, ecc.

Comportamento dei metalli verso gli elettroliti e verso i gas. - Ogni metallo, immerso nella soluzione di un suo sale, tende a mandare ioni in soluzione. Questa tendenza è misurata dalla nota formula

in cui P indica la tensione di soluzione, p la pressione osmotica dello ione del metallo nella soluzione, R la costante dei gas, T la temperatura assoluta, n la valenza dello ione risultante, F-96.450 Coulomb. La serie dei potenziali di soluzione misurati per una concentrazione ionica equivalente per alcuni dei più importanti metalli è la seguente:

Ogni metallo di questa serie può essere precipitato dalle sue soluzioni dal metallo che lo precede; cosicché metalli che hanno un potenziale maggiore dell'idrogeno, come oro, mercurio, argento sono elettropositivi rispetto agli altri, e se sono collegati elettricamente con essi, funzioneranno da catodo, mentre gli altri, funzionando da anodo, passeranno in soluzione.

Questa serie delle tensioni permette di stabilire anche il comportamento dei metalli verso l'acqua. E infatti, i metalli con potenziale negativo possono decomporre l'acqua con sviluppo d'idrogeno e formazione di ossido del metallo. L'azione dell'acqua e degli elettroliti sui metalli tecnicamente importanti, quali ferro, magnesio, ecc., dà origine al fenomeno noto sotto il nome di corrosione. Esso rappresenta la causa principale della loro distruzione e provoca danni molto rilevanti.

La corrosione si può spiegare, ove si pensi che un metallo, anche il più puro, non è omogeneo in ogni suo punto, ma è costituito da un aggregato di minutissimi individui o granuli cementati da sostanze estranee. Queste impurezze, per quanto tenui, impartiscono alla superficie del metallo, quando è immerso in acqua o in soluzioni saline, specie se aerate, le caratteristiche di un complesso di elementi galvanici in cui il metallo funziona da anodo e passa in soluzione. A seconda poi della natura delle impurezze, la cui distribuzione è anche notevolmente influenzata dai trattamenti meccanici e dalla lavorazione a freddo, la corrosione assume diversi aspetti, per cui si suol parlare di corrosione uniforme, intercristallina, interna, ecc. La presenza di ossigeno nel mezzo corrodente facilita la corrosione, perché sottrae, quale depolarizzante, l'idrogeno che si va formando nella corrosione stessa. Lo stesso rame, che non può decomporre l'acqua e non si scioglie in acidi privi di ossigeno, è invece direttamente attaccato dall'acqua contenente ossigeno.

È interessante notare che se s'immerge un metallo nell'acqua o in soluzioni saline, come l'acqua di mare, le parti a contatto con la superficie del liquido non si corrodono, mentre gli strati inferiori vengono rapidamente attaccati. Evans spiega il fenomeno con la sua teoria dell'aerazione differenziale, fondata sul fatto che le zone a immediato contatto con la superficie del liquido sono raggiunte più rapidamente dall'ossigeno e perciò sono più aerate di quelle inferiori. Per questa ragione si stabilisce tra le due zone una coppia galvanica, nella quale la parte che si corrode, o anodo, è quella meno aerata e cioè l'inferiore. Questo fatto può rendere conto, oltre che della forte corrosione riscontrata talvolta negli scafi delle navi, anche della corrosione di alcuni blocchi di ferro non sufficientemente protetti da vernici poco adesive o screpolate; basta in questo caso che un filo di acqua penetri attraverso i pori della vernice, perché abbia inizio subito la corrosione, e questa sarà più accentuata e rapida nelle parti che sono ancora coperte appunto perché meno aerate.

Anche l'acido carbonico disciolto nell'acqua può facilitare la corrosione. I metalli possono invece essere protetti mediante lacche, vernici, smalti, ecc. Un metallo meno nobile dell'idrogeno, come ad es. il ferro, può essere inoltre protetto dalle conseguenze della decomposizione dell'acqua con uno strato di metallo ancora meno nobile, per es. per mezzo dello zinco. Tale protezione prende il nome di protezione anodica perché nella pila Zn/H2O/Fe lo zinco va in soluzione e il ferro viene così protetto. Si può anche proteggere il ferro con un rivestimento di un metallo più nobile, come ad es. lo stagno (rivestimento catodico); ma in tal caso, se per una qualunque ragione il ferro viene a contatto con l'aria umida esso forma con lo stagno una coppia galvanica, nella quale funziona da anodo e quindi potrebbe corrodersi più rapidamente.

La decomposizione dell'acqua mediante metalli meno nobili dell'idrogeno può essere ostacolata da strati d'idrossido insolubile, eome succede, ad es., per l'alluminio. La formazione di questo strato si può favorire anche mediante metalli estranei disciolti in quello che si vuol proteggere e capaci di formare degli ossidi protettivi. È così, ad es., che l'aggiunta di manganese protegge il magnesio dalla corrosione.

Alcuni metalli, come il ferro, il cromo, il cobalto e il nichel, che, secondo la serie delle tensioni, dovrebbero decomporre l'acqua, subiscono invece, se esposti all'aria o immersi in acqua o sottoposti all'azione di agenti ossidanti (acido nitrico), una speciale modificazione elettrochimica che va sotto il nome di passività. I metalli passivi hanno un potenziale di soluzione molto elevato, per cui nella serie delle tensioni essi vengono a trovarsi accanto ai metalli nobili, oro, platino: in tale stato essi non vengono attaccati facilmente dagli agenti chimici e perciò non si corrodono. Diventa spontaneamente passivo per esposizione all'aria il cromo; passivi per ossidazione anodica il ferro, il cobalto, il nickel.

La pregiata proprietà del cromo di diventare passivo si estende anche alle leghe ferro-cromo contenentì più del 12% di cromo: queste leghe sono comunemente chiamate acciai inossidabili. La possibilità d'impiegare nella costruzione di apparecchi resistenti all'azione degli acidi forti queste leghe, al posto dei metalli nobili che costano molto di più e al posto del gres che presenta inconvenienti di altra natura, ha portato un notevole contributo allo sviluppo dell'industria degli acidi inorganici.

I gas si sciolgono nei metalli, e alcuni di essi in proporzioni piuttosto rilevanti. A temperatura costante l'idrogeno si scioglie nei metall in quantità proporzionale alla radice quadrata della pressione; e, a pressione costante, la quantità disciolta cresce linearmente col crescere della temperatura fino al punto di fusione del metallo. È interessante notare, poi, che nel rame, nel ferro e nel nichel fusi, l'idrogeno si scioglie in maggiore quantità che nei metalli solidi. Il contrario avviene per il palladio.

In generale si osserva che, se i metalli subiscono una trasformazione polimorfa, anche l'andamento della solubilità subisce una variazione discontinua.

Piroforicità. Alcuni metalli, come il ferro, il nichel quando vengono ottenuti per riduzione dei loro ossidi con l'idrogeno a temperature piuttosto basse, raffreddati in corrente di idrogeno, e posti in contatto dell'aria, si accendono, mentre, se la riduzione si compie a temperature più alte, questo non si verifica. Anche alcune amalgame di manganese, cromo, molibdeno e uranio si possono ottenere in polveri piroforiche, dopo distillazione del mercurio a pressione ridotta.

Tale proprietà dipende dalla grande superficie del prodotto così ottenuto. Riscaldando, ad es., il ferro al di sopra della temperatura di ricristallizzazione, che è 540°, o riducendo l'ossido al di sopra di tale temperatura, la piroforicità scompare.

Comportamento elastico dei metalli. - Mentre nei corpi aventi legami di tipo dielettrico, come il diamante, si ha una possibilità di deformazione limitata, oltre la quale si produce rottura (fragilità), nei metalli si riscontra invece una grande deformabilità e si possono anzi ottenere deformazioni permanenti notevolissime (malleabilità e duttilità). È appunto in ragione di questa proprietà che i metalli possono avere innumerevoli e fondamentali applicazioni nella tecnica.

Se si sottopone un metallo, che deve considerarsi come un agglomerato policristallino, a un lieve sforzo meccanico, finché questo non raggiunge un determinato valore non si ha una deformazione permanente; superato però tale limite, chiamato limite elastico, il metallo acquista una certa plasticità e l'ulteriore azione meccanica lo può deformare permanentemente, provocando modificazioni di struttura. Infatti, un blocco metallico, così come proviene dalla fusione, è costituito da tanti piccoli granuli formatisi nel processo di solidificazione, cementati da una sostanza intermedia e orientati l'uno verso l'altro senz'alcuna regola. Per effetto delle sollecitazioni meccaniche, i cristallini in parte vengono compressi e in parte stirati, parte poi scissi in lamine scorrevoli l'una sull'altra su determinati piani e secondo date direzioni di scorrimento; sicché, in definitiva, a seconda del tipo di deformazione prodotta, all'orientamento irregolare dei cristallini si sostituisce un orientamento regolare, molte volte prevedibile dai dati cristallofisici, e alla struttura granulare subentra una struttura chiamata fluidale o fibrosa.

La differenza di coesione fra prodotti di tipo metallico e prodotti di tipo salino consiste nel fatto che nei primi le parti scorrevoli l'una sull'altra sono sottili e, prima che intervenga la rottura, possono scorrere per lungo tratto, mentre negli agglomerati non metallici esse sono piuttosto grosse e dopo un percorso relativamente breve si staccano. Lo studio di queste strutture è stato fatto per molti metalli, data l'importanza tecnica della loro conoscenza. Si è potuto così stabilire che gli scorrimenti avvengono soltanto su determinati piani cristallografici: nei metalli cubici a facce centrate, in un cristallo di Cu, ad es., piani di scorrimento sono quelli dell'ottaedro e direzione di scorrimento è l'asse dell'ottaedro. In generale, nei metalli cubici a corpo centrato sono piani di scorrimento quelli del rombododecaedro.

Se la lavorazione viene eseguita a freddo, risultano modificate le proprietà di resistenza meccanica non solo, ma anche le proprietà fisiche e chimiche. Così si osserva, di solito, innalzamento del potenziale galvanico, variazione di colore, accrescimento della velocità di soluzione negli acidi, variazione della resistenza elettrica e della durezza, sviluppo di tensioni interne, aumento della velocità di reazione, ecc. Se il materiale così lavorato si riscalda a temperature man mano crescenti, si può constatare che le proprietà modificate riacquistano le loro caratteristiche iniziali; si dice cioè che esse rinvengono. Le prime a rinvenire sono la conducibilità elettrica, le proprietà magnetiche e le proprietà chimiche. Insieme col rinvenimento, o più spesso a temperatura leggermente più alta, interviene la formazione di granuli cristallini nuovi a spese delle lamelle del materiale incrudito. Si dice allora che il metallo ricristallizza. Con la ricristallizzazione riprendono le loro caratteristiche le proprietà legate alla struttura, così, ad es., la durezza e alcune proprietà meccaniche.

Teoria elettronica dei metalli.

Pur mancando confini netti per le proprietà metalliche si possono fissare delle condizioni che permettono di prevedere la comparsa del carattere metallico. In effetti è caratteristica di molti atomi o gruppi di atomi di dar luogo a composti nei quali le varie parti costituenti si trovano allo stato ionico, e cioè hanno perduto o acquistato degli elettroni per cui la molecola o lo ione è tenuto insieme da forze di natura elettrostatica (legame eteropolare). Ma vi sono ancora altri tipi di composti nei quali i costituenti rimangono allo stato atomico, non passano allo stato di ioni, e le forze che tengono insieme l'edificio sono forze di tipo speciale, condizionate essenzialmente dal contemporaneo scambio di un elettrone fra due atomi e fra ogni coppia di atomi per molecole più complesse, in modo che ogni legame è mantenuto da una coppia di elettroni. Questo tipo di legame è detto omopolare, e questi due tipi di composti sono nettamente distinti se le molecole si trovano allo stato di vapore. La tendenza che spinge gli atomi a formare i varî composti risiede nel fatto che essi cercano di raggruppare nella zona periferica un assieme di otto elettroni. Questi ottetti, che rappresentano la massima stabilità possibile della configurazione atomica, possono formarsi nel caso dei composti eteropolari o con l'eliminazione o con l'acquisto del numero di elettroni eccedenti o mancanti, oppure con il doppio scambio quando si tratta di un composto omopolare. Questa regola, che è verificata con grande successo nei composti allo stato gassoso, vale anche quando gli atomi vengono a far parte di un reticolo cristallino. Così il carbonio nella forma che corrisponde al diamante ha la cellula cristallina fondamentale a forma di tetraedro, in modo che un atomo si trova al centro e quattro atomi ai vertici e con essi l'atomo centrale scambia un elettrone. Nel caso invece dello iodio, che appartiene al settimo gruppo e ha bisogno di un solo elettrone per raggiungere il numero di otto, nella forma cristallina due atomi sono più vicini degli altri, appunto per formare l'ottetto. Ma non tutti i corpi semplici possono allo stato solido, costituendo una maglia cristallina, dare origine a questo tipo di legame. Per gli elementi dei primi tre gruppi del sistema periodico il numero di elettroni esterni disponibili (elettroni di valenza) non è più sufficiente per raggiungere il numero di otto, quindi gli elettroni esterni devono esercitare questa funzione di legame: manca allora la possibilità di attribuire a ciascun assieme di due, tre o quattro atomi il numero di elettroni corrispondenti e gli elettroni possono considerarsi come appartenenti a parecchi atomi allo stesso tempo; sono cioè "liberi" fra gli spazî interatomici. Evidentemente, in tal modo si è molto schematizzato il processo che distingue il legame covalente dal legame metallico, e non mancheranno gli stadî intermedî, corrispondenti a quei corpi per i quali appunto c'è un carattere metallico meno accentuato.

L'ipotesi fondamentale che può interpretare la differenza che passa fra i metalli e gli altri corpi consiste dunque nell'ammettere la presenza in essi di un certo numero di elettroni i quali non sono più legati agli atomi nell'interno del reticolo, ma sono invece capaci di muoversi più o meno liberamente negli spazî interatomici. Quest'ipotesi, che è una conseguenza della teoria del legame fra i varî atomi o ioni del cristallo, sta a fondamento di una teoria che si propone di spiegare il comportamento metallico; essa è stata soggetta fin dalla sua prima enunciazione a una serie di critiche, ma rappresenta pur ai nostri giorni, quando le conoscenze acquistate hanno modificato di molto le idee sulla struttura del mondo microscopico atomico, l'ipotesi che interpreta in modo soddisfacente le varie proprietà caratteristiche dello stato metallico.

L'ipotesi suddetta permette di trasportare in questo campo una serie di cognizioni già ottenute in un altro ente fisico molto bene studiato, cioè il gas. Infatti, se nell'interno del reticolo cristallino metallico si ritiene che vi siano elettroni non legati agli atomi, la prima ipotesi semplificatrice che può farsi, e che sarà probabilmente molto lontano dal vero, è quella di ammettere che questi elettroni possano muoversi nello spazio loro lasciato a disposizione liberamente e cioè senza essere soggetti a forze. L'assieme di questi costituisce quindi un assieme di particelle che possono considerarsi come equivalenti alle particelle di una massa gassosa. Mentre però nelle masse gassose si può supporre che le azioni mutue siano nulle o molto piccole, fra le particelle che costituiscono il "gas elettronico" si esercitano le azioni repulsive dovute alle forze di Coulomb. Oltre quindi le interazioni fra ogni elettrone e il reticolo cristallino, bisognerebbe ancora considerare queste repulsioni scambievoli. Sorpassate queste difficoltà con l'ammissione che queste azioni siano trascurabili, bisogna fissare il comportamento di questa massa di gas elettronico contenuto nell'interno del metallo. Bisogna incominciare col fissare il numero N di elettroni liberi presunti per unità di volume, il che si potrà sapere fissando il numero di elettroni che può supporsi ogni atomo abbia perduto. Assunto un certo valore per questo numero N, bisognerà stabilire, in base alle deduzioni che possono ricavarsi dalla teoria, se l'ipotesi fatta è ammissibile, e cioè bisognerà vedere mediante un certo valore per il numero N se possono prevedersi "quantitativamente" anche altri fenomeni dei metalli: questo "gas elettronico" avrà le proprietà caratteristiche di ogni gas, sarà dotato di espansibilità, e quindi eserciterà una pressione alle zone limiti, sullo strato superficiale del metallo. A questo strato bisognerà attribuire la proprietà di poter trattenere gli elettroni nell'interno: dovrà rappresentare quello che dicesi una barriera di potenziale. Gli elettroni inoltre avranno velocità in tutte le direzioni con una certa distribuzione di velocità, secondo i concetti che si sono sviluppati con grande successo nella teoria dei gas (v. gas).

Oltre l'ammissione di un certo numero N di elettroni liberi e di uno strato limite che rappresenta una barriera di potenziale, c'è ancora un'altra questione da risolvere; questa riguarda il modo come considerare la "mobilità" degli elettroni nel reticolo cristallino: evidentemente, per la presenza degli ioni del reticolo, la mobilità viene a essere molto ridotta, anche supponendo che non ci siano azioni che perturbino il movimento: dopo un certo percorso l'elettrone urta contro uno ione del reticolo, e viene quindi modificato il suo regime di moto. Ogni reticolo viene a essere caratterizzato, oltre che dal numero degli elettroni per unità di volume, anche da "un libero percorso medio l" che può compiere un elettrone. Questo "libero percorso medio l" non può evidentemente essere determinato a priori con facilità, dato che l'assetto interno del reticolo, la forma degli ioni, le forze a cui sono sottoposti gli elettroni non sono conosciuti, almeno con sufficiente esattezza; ma la teoria sarà fisicamente accettabile se, con l'ammissione che il numero N sia uguale come ordine di grandezza al numero degli atomi, e che il libero percorso medio sia dell'ordine di grandezza della distanza di due ioni del reticolo, si possano prevedere le manifestazioni dei metalli con sufficiente approssimazione.

In base a queste tre assunzioni: numero N, esistenza del doppio strato, libero percorso medio l si può interpretare un'estesa fenomenologia presentata dai metalli; infatti supponiamo che l'assieme formato dagli ioni del reticolo e dagli elettroni liberi si trovi a una certa temperatura T: dalle conoscenze che si hanno dello stato solido si dovrà ritenere che gli ioni del reticolo oscillino intorno alla loro posizione di equilibrio con ampiezze crescenti al crescere della temperatura. D'altra parte, il gas elettronico che si trova negli spazî interionici è un assieme di particelle con velocità dirette in tutte le direzioni. Vi saranno quindi urti fra gli ioni in vibrazione e gli elettroni, e l'equilibrio termico si stabilisce quando le quantità d'impulso e di energia, che per effetto degli urti si scambiano reticolo ed elettroni, saranno fra di loro uguali. In tali condizioni di equilibrio dinamico, nelle quali continuamente energia cinetica passa dagli ioni agli elettroni e viceversa, supponiamo aggiunta una causa perturbatrice: p. es., un campo elettrico in una data direzione, e ciò mediante una differenza di potenziale applicata agli estremi del metallo. Questo campo elettrico accelera gli elettroni nella sua direzione e ciò produce un trasporto di carica elettrica lungo esso: la presenza dunque di elettroni liberi spiega immediatamente la conducibilità elettrica dei metalli. Seguendo un poco più da vicino questo processo si vede che questo trasporto di elettricità viene attuato mediante il moto accelerato degli elettroni; esso però è ostacolato dalla presenza e dal moto d'oscillazione degli ioni del reticolo, che tendono a uniformare le velocità elettroniche in tutte le direzioni. L'energia cinetica che l'elettrone acquista sotto l'azione del campo elettrico acceleratore dopo il percorso libero e per l'effetto dell'urto viene a essere ceduta agli ioni del reticolo, appunto come conseguenza dell'urto fra elettrone e ione; urto che ostacola il trasporto dell'elettricità. Il passaggio della corrente elettrica è quindi strettamente collegato con uno sviluppo di calore nel metallo (effetto Joule). Risulta inoltre che se, con l'aumento di temperatura, non c'è aumento, o in genere variazione, del numero N la resistenza deve aumentare proporzionalmente (radice quadrata) alla temperatura assoluta.

Questo ragionamento qualitativo può tradursi in più precisa formulazione atta a produrre un'espressione quantitativa della conducibilità specifica di un conduttore definita dalla relazione

dove ΔV ed i sono rispettivamente la differenza di potenziale e l'intensità; s ed L rispettivamente la sezione e la lunghezza del conduttore. L'espressione che la teoria sopra accennata ricava per la conducibilità specifica è la seguente

in cui e ed m sono la carica e la massa elettronica e k è la costante di Boltzmann. In tale espressione quantitativa, però, compaiono contemporaneamente numero di elettroni per unità di volume e libero percorso medio; quindi non può servire a determinare ciascuno di questi parametri. Si ottengono valori in accordo più o meno notevole con l'esperienza ammettendo, p. es. per l'oro, che il numero N sia dato dal numero di atomi per unità di volume e che inoltre sia questo numero variabile con la temperatura assoluta secondo la legge dell'inversa della radice quadrata, e che infine il libero percorso medio l sia dell'ordine di grandezza della distanza fra due atomi del reticolo. In tal modo si ottiene una l'inverso della temperatura. Tale risultato può, in certo modo, considerarsi come verificato con notevole successo per molti metalli.

Dai grafici riportati (fig. 6) relativi all'andamento termico della resistenza specifica ρ, cioè dell'inversa della conducibilità σ per alcuni metalli e leghe, si può vedere come queste facciano eccezione, come pure i corpi non buoni conduttori e quei metalli per i quali in quell'intervallo termico vi sono processi tipici (nel caso del ferro, perdita delle proprietà ferromagnetiche). La variazione della resistenza specifica con la temperatura presenta particolarità molto interessanti quando l'indagine è spinta alle più basse temperature. Mentre alcuni corpi conservano alle basse lo stesso andamento riscontrato alle alte temperature, con una tendenza ad acquistare una resistenza residua, altri corpi a una temperatura caratteristica, sempre intorno allo zero assoluto, presentano una brusca caduta di resistenza, per cui questa da valori bassi, ma misurabili, passa a valori assolutamente trascurabili. L'annullamento brusco di resistenza (fenomeno scoperto a Leida da Kammerling Onnes e detto sopraconduttività) porta come conseguenza che il passaggio dell'elettricità nel conduttore non è accompagnato da nessun dispendio di energia, e cioè una volta iniziato il processo di conduzione, p. es. in un anello chiuso, questa corrente permane senza che ci sia bisogno di sostenerla con una differenza di potenziale. In realtà, è stato possibile ottenere in un anello metallico sopraconduttore una corrente senza differenza di potenziale, e ciò per un gran numero di ore. La teoria della sopraconducibilità non può rientrare nelle idee esposte precedentemente, anzi si deve dire che allo stato attuale manca un'interpretazione soddisfacente di questo fenomeno. La fig. 7 dà un'idea dell'andamento della resistenza specifica dello stagno al variare della temperatura. È nettamente visibile il fenomeno del salto brusco a una data temperatura.

Si supponga ora che in una zona del metallo ci sia un aumento di temperatura: questo significa un aumento dell'energia di oscillazione degli ioni e dell'energia media di traslazione degli elettroni. Gli elettroni del punto più caldo hanno una velocità media più grande e quindi saranno portati a diffondersi nelle zone in cui la velocità è più piccola. Questa diffusione di elettroni più veloci in zone dove gli elettroni hanno una diversa velocità media rappresenta un trasporto di calore, che sarà tanto più rapido quanto maggiore è il numero di elettroni e quanto maggiore è la mobilità di essi, a parità di differenze di temperatura. Di qui si vede che la facilità con la quale un metallo conduce il calore è connessa con la facilità con la quale conduce ancora l'elettricità.

I calcoli basati sulle idee ora esposte permettono di determinare il coefficiente di conducibilità termica che rappresenta il numero di calorie che passano attraverso l'unità di sezione di un metallo lungo il quale v'è una caduta di temperatura di un grado per ogni centimetro. Detto coefficiente K ha come espressione:

Dividendo K per σ, e cioè per la conducibilità elettrica, risulta:

Questo risultato, conosciuto col nome di legge di Wiedemann e Franz, afferma che il rapporto fra la conducibilità elettrica e la conducibilità termica è indipendente dalla natura del metallo ed è proporzionale alla temperatura assoluta. Il risultato precedentemente esposto è tanto meglio confermato dall'esperienza quanto più puri sono i metalli adoperati e notevole è l'accordo che si ottiene per questi, sia per il valore del coefficiente sia per la proporzionalità alla temperatura assoluta; si può dire anzi che questa legge rappresenti il più brillante risultato della teoria elettronica dei metalli.

Si consideri ora l'azione di un fascio di radiazioni su una superficie metallica; questo fascio di luce corrisponde, secondo la teoria elettromagnetica della luce, a un campo elettrico e a un campo magnetico perpendicolare, variabili con la frequenza della radiazione adoperata. Sotto l'azione del campo elettrico gli elettroni sono messi in moto e disperderanno tanto maggiormente energia quanto più grande è la conducibilità elettrica del metallo. Questo moto elettronico, mentre da un lato impedisce che l'energia luminosa si propaghi nell'interno del metallo, poiché queste correnti generate dissipano l'energia in urti contro gli ioni del reticolo, riproduce la stessa onda che arriva: il metallo, cioè, ha la proprietà di impedire la propagazione nel suo interno della luce che arriva e di rinviare una notevole quantità di luce: ha quindi grande opacità e grande potere riflettente. Questo potere riflettente r, definito come il rapporto fra l'energia luminosa riflessa e l'energia luminosa incidente, risulta, da un ragionamento basato sulle ipotesi già formulate, tanto più grande quanto maggiore è la conducibilità del metallo. La formula che si ricava è la seguente:

dove σ è la conducibilità del metallo e T è la durata d'oscillazione dell'onda incidente del metallo.

Si riportano alcune curve relative a varî metalli (fig. 8), le quali dànno r in funzione di λ e cioè di TV, dove V è la velocità della luce. Le curve si riferiscono a frequenze piuttosto basse in modo da potersi considerare come realizzato l'equilibrio termico fra la corrente prodotta dal campo e le oscillazioni del reticolo; e cioè in modo da poter considerare il campo alternato effettivo quale campo statico. Come si vede, c'è una dipendenza dalla natura del metallo, ma che tende a scomparire al crescere di λ. Per le piccole lunghezze d'onda è invece molto netta la deviazione dall'andamento teorico; tutti i metalli presentano una diminuzione di potere riflettente, il che significa la presenza verso la zona visibile, o la zona ultravioletta, di bande di trasparenza; ricerche moderne fatte sull'argento, e che sono accennate nella figura, hanno dimostrato l'esistenza di queste bande di trasparenza. Analoghi risultati sono stati ottenuti sui metalli alcalini.

Si considerino due metalli a contatto lungo una superficie piana S: secondo le idee della teoria elettronica vi sarà una differenza di pressione su tale superficie di separazione se, come si è già detto, il numero di elettroni liberi varia da metallo a metallo. Sempre restando nel campo dell'analogia con la teoria dei gas, ci sarà la tendenza a stabilire l'equilibrio nell'assieme formato dai due metalli, e cioè alcuni elettroni passeranno dal metallo più ricco al metallo meno ricco di elettroni, fino a che non viene a crearsi un campo elettrico antagonista che impedisca l'ulteriore passaggio: il metallo più ricco di elettroni acquisterà una carica positiva. La conseguenza ultima di questo processo è la comparsa di una differenza di potenziale fra i due metalli. Questa differenza di potenziale è stata messa in evidenza sperimentalmente per il primo da Volta. Essa ha dato luogo a una serie grandissima di ricerche, nelle quali spesso si sono messe in dubbio le asserzioni del Volta. Ora ricerche sperimentali condotte con grandissima cura non permettono di dubitare di questa proprietà dei metalli, che, come si è visto, può anche considerarsi quale immediata conseguenza della teoria. Molto difficile è la determinazione sperimentale del valore di questa differenza di potenziale, poiché essa viene notevolmente influenzata dalle condizioni della superficie. Questa differenza di potenziale fra due metalli a contatto, che riceve immediata interpretazione dalla teoria elettronica, è una manifestazione di un processo molto diffuso: l'elettrizzazione per contatto.

Molto importante per quel che riguarda le applicazioni e l'incremento dato allo sviluppo della fisica e della chimica è il fenomeno, parimenti scoperto da Volta e che col precedente diede luogo alla scoperta della pila, di una differenza di potenziale fra metallo e liquido conduttore, in cui tale metallo viene immerso. In questo processo vi è poi, particolare molto importante, che nella zona di contatto si possono effettuare processi chimici che assorbono oppure liberano una certa quantità d'energia, dando così modo, in speciali condizioni, di produrre moto continuo di cariche, e cioè corrente elettrica a spese dell'energia che si libera per le trasformazioni chimiche che avvengono alle zone di contatto íra le due fasi (v. pila).

Se si considera un circuito elettrico formato da due metalli diversi A e B e si portano i due punti di contatto a due diverse temperature t1 e t2, l'esperienza dimostra che una certa corrente circola lungo il circuito per effetto di una differenza di potenziale che si crea fra le due giunture a temperature differenti (effetto termoelettrico o effetto Seebeck). Le leggi di questo effetto possono così sintetizzarsi: la differenza di potenziale, a parità di differenza di temperatura, è indipendente dalla natura di un metallo qualunque C interposto fra A e B. La differenza di potenziale dipende dalla differenza di temperatura e precisamente per una coppia a temperature t1 e t2 è uguale alla somma delle differenze di potenziale della stessa coppia fra le temperature t1, t e t, t2 dove t è una temperatura internedia fra t1 e t2. La differenza di potenziale può considerarsi data dalla relazione

Le costanti a e b dipendono dai metalli che formano la coppia che si considera.

Lo studio dell'effetto termoelettrico ha una grande importanza per le applicazioni: mediante una coppia di fili metallici saldati, e cioè mediante quella che si chiama una pinza termoelettrica, o, meglio ancora, mediante una serie di pinze termoelettriche, si possono valutare piccolissime variazioni di temperatura, perché le differenze di potenziale termoelettriche non sono molto piccole e d'altra parte esistono galvanometri, che permettono di misurare debolissime correnti elettriche. Date le piccole dimensioni che possono raggiungere le pinze suddette, la misura può farsi con piccole sottrazioni di calore. Esse possono quindi servire anche quando si hanno da misurare quantità di calore piccolissime, come nello studio delle radiazioni. D'altra parte, per la grande facilità di funzionamento, e con l'uso di speciali metalli (platino, iridio), esse possono servire per le misure di alte temperature, qualora si sia provveduto precedentemente a tarare le pinze con un termometro a gas. Analoghe importanti applicazioni si trovano nella misura delle bassissime temperature.

In certo modo connessi con le manifestazioni termoelettriche sono ancora da ricordare due effetti: si supponga che due metalli siano a contatto e che una corrente attraversi la superficie di separazione. Il passaggio di questa corrente produce nella zona di contatto lo sviluppo di una certa quantità di calore, che, a parità di condizioni, è proporzionale all'intensità della corrente che passa per la saldatura (effetto Peltier). Questo fenomeno si può considerare come l'inverso del precedente in cui una corrente era prodotta perché una saldatura veniva portata da una temperatura a una diversa, cioè era prodotta per effetto dell'assorbimento di una certa quantità di calore in un punto e con l'emissione di un'altra quantità di calore in altro punto del circuito. Si abbia ora una sbarra metallica percorsa da un flusso di calore e, per semplicità, la differenza di temperatura fra due punti sia proporzionale alle distanze fra questi. Se, realizzata questa distribuzione normale di temperatura lungo la sbarra, si lancia attraverso questa una corrente elettrica, si ha una modificazione nella caduta della temperatura: il che significa che il trasporto di una certa quantità d'elettricità da un punto a un altro di un metallo, dove regnano due temperature differenti, richiede una certa quantità di calore (effetto Thomson). I tre effetti che qui sono stati ricordati (effetto Seebeck, effetto Peltier, effetto Thomson) sono collegati fra loro da una relazione che si ricava dai principî termodinamici, e che è verificata in modo molto soddisfacente dall'esperienza. Questi effetti però hanno dalla teoria elettronica un'interpretazione che li mette in stretta connessione con l'effetto Volta; in altre parole, con il numero N e con la variabilità di N con la temperatura. Facendo il confronto fra i dati sperimentali si dimostra chiaramente l'insufficienza della teoria finora sviluppata: i valori che sperimentalmente possono ricavarsi da questi effetti non corrispondono a quelli che la teoria permette di prevedere.

Prima di passare all'esposizione di una teoria più adatta all'interpretazione dei fatti è opportuno enumerare ancora altre proprietà caratteristiche dello stato metallico.

Si supponga che un metallo sia portato a elevata temperatura: in tal modo s'incrementa l'energia cinetica media degli elettroni. Pertanto aumenta la pressione del gas elettronico, e cioè la tendenza a lasciare l'interno del metallo e uscire nel mezzo esterno: l'aumento di temperatura dà luogo a un processo del tutto simile al fenomeno di evaporazione; invece di distaccarsi dalla massa molecole o atomi, si allontanano elettroni. Considerando la superficie limite del metallo come data dal piano zy, il flusso di elettroni lungo x e precisamente quello nella direzione dall'interno verso l'esterno dà luogo a questa emissione. Però evidentemente non tutti gli elettroni che hanno componenti di velocità lungo x e nel verso richiesto possono passare nel vuoto, al di là della superficie limite. Una parte di essi sarà riflessa da questa superficie limite, e solo quegli elettroni che hanno energia cinetica in quella direzione, capace di vincere le forze attrattive che si generano quando un elettrone si allontana dal metallo, potranno venire fuori da esso. La quantità di elettricità che nell'unità di tempo dall'unità di superficie viene emessa dal metallo dipenderà quindi dal metallo, in quanto che varia per ognuno di essi sia il numero di elettroni presenti sia il lavoro necessario per vincere queste forze di attrazione.

La formula che riassume le leggi di questo effetto, detto termoionico o di Richardson, è la seguente:

Questo effetto merita particolare rilievo per le applicazioni pratiche. Se in un'ampolla di vetro in cui è fatto il vuoto è contenuto un filo di metallo a elevato punto di fusione, in modo che si può portare ad alta temperatura, e quindi aumentare l'intensità dell'emissione, mediante il passaggio di una corrente elettrica; e se a una certa distanza dal filo incandescente è situata una placca in comunicazione all'esterno con un conduttore, se questa placca ha potenziale positivo, evidentemente gli elettroni emessi sono attirati dalla placca e nel circuito formato dal filamento e dalla placca passerà corrente; se invece il potenziale è negativo, gli elettroni sono respinti e nessuna corrente circolerà nel circuito. Su questo semplice fatto è basato uno degli apparecchi che ha avuto la maggiore complessità di sviluppo e una serie importantissima di applicazioni. Mediante questo apparecchio, detto diodo, si può ottenere il raddrizzamento di correnti alternate; con l'aggiunta di un terzo elettrodo, l'apparecchio si trasforma in triodo e permette di rettificare, di ampliare, ecc., correnti.

Quando radiazioni elettromagnetiche appartenenti al visibile, all'ultravioletto o al campo delle radiazioni X, cadono su un metallo, hanno la proprietà di liberare, di far uscire dal metallo degli elettroni. Si è trovato che l'intensità delle radiazioni incidenti non ha nessun effetto sull'energia cinetica dei fotoelettroni; mentre l'intensità determina il numero di fotoelettroni liberati nell'unità di tempo. Invece se varia la frequenza della luce eccitatrice, varia l'energia dei fotoelettroni secondo la relazione

In questa relazione ν è la frequenza della luce eccitatrice, e P è una costante caratteristica per ogni metallo. Einstein ha interpretato questa legge con l'ipotesi dei quanti di luce: si supponga che le radiazioni siano costituite di quantità finite d'energia proporzionali alle frequenze, secondo la costante h di Planck, ε = hν. Quando queste quantità finite di energia arrivano sulla superficie metallica possono essere assorbite oppure possono essere riflesse; quando una di esse è assorbita da un elettrone, questo subisce un incremento di energia einetica, però si trova nell'interno del metallo, quindi all'esterno avrà un'energia cinetica pari a hν diminuito dal lavoro P di estrazione. In tal modo la costante P dell'effetto fotoelettrico è connessa con la costante dell'effetto Richardson e con le costanti che influenzano l'effetto Volta. Come questo effetto, infatti, anche la quantità P è molto variabile al variare delle condizioni dello stato superficiale del metallo. Questa quantità P si può anche scrivere sotto la forma hν0; ν0 è detto frequenza della soglia fotoelettrica, e rappresenta quella frequenza che bisogna oltrepassare nelle radiazioni incidenti per cominciare ad avere la fuoruscita dei fotoelettroni.

Per alcuni metalli la frequenza νa si trova nel rosso, in alcuni casi anche nell'ultrarosso, per gli altri nel visibile e nell'ultravioletto. Da metallo a metallo è ancora variabile la "sensibilità" dell'effetto, e cioè il numero di fotoelettroni emesso per unità di energia luminosa incidente. Detta sensibilità è ancora molto variabile con la frequenza.

L'effetto fotoelettrico ha avuto grandi applicazioni pratiche negli ultimi anni, quando basandosi sull'effetto termoionico, si è giunti ad amplificare, senza deformazione notevole, migliaia di volte correnti debolissime. Mediante questo accorgimento si può adoperare la debolissima corrente fotoelettrica per trasformare un processo luminoso variabile in una corrente elettrica variabile ugualmente. Questo processo ha avuto le sue più importanti affermazioni nella televisione e nel cinema sonoro.

L'esposizione precedente ha dimostrato che con le ammissioni fatte all'inizio, ammissioni che costituiscono i cardini della teoria elettronica dei metalli, si possono interpretare i complessi fenomeni da questi presentati. Però come si è già accennato a proposito degli effetti Seebeck, Peltier, Thomson, la spiegazione di questi fenomeni è puramente qualitativa. Uno dei problemi principali è la determinazione del numero N, ma le determinazioni basate sui varî effetti non sono conciliabili fra loro: non si è in grado cioè di fissare un valore a questo numero N e una legge di variazione con la temperatura in modo che si possa così spiegare le varie manifestazioni. Però la più grave difficoltà consiste in questo: se si ammette l'esistenza di questo gas elettronico nell'interno del metallo, si può avere la prova diretta della sua effettiva presenza con un'esperienza molto semplice: riscaldando il metallo si aumenta l'energia di oscillazione del reticolo, ma aumenta anche l'energia cinetica del gas elettronico; quindi il calore specifico del metallo dovrebbe essere diverso e notevolmente maggiore di quello di un isolante. Ma l'esperienza dimostra che i calori atomici dei metalli non presentano nessuna anomalia di questo tipo. Si deve concludere che il numero di elettroni liberi per ogni atomo di metallo è estremamente piccolo, tanto esiguo da non portare contributo apprezzabile al calore specifico. Ma se si fa questa ipotesi, viene meno l'interpretazione esposta dello stato metallico, basato sulla struttura cristallina, dalla quale risulta un numero di elettroni liberi per atomo all'incirca dato dal numero di elettroni di valenza; inoltre, non si può spiegare quantitativamente, o almeno in prima approssimazione, tutto quanto si è detto sugli effetti già esposti.

Questa difficoltà che mette seriamente in imbarazzo la teoria è stata chiaramente risolta da A. Sommerfeld, che ha applicato al gas elettronico le leggi dedotte da E. Fermi, le quali secondo la teoria moderna della materia, devono anche applicarsi a questo assieme.

La teoria cinetica dei gas si basa sull'ipotesi che il gas sia un assieme di particelle, senza alcuna forza agente fra di loro. In base a questa ammissione si giunge a risultati ben noti; ma lo sviluppo della nuova fisica quantistica ha dimostrato che la meccanica di particelle di massa molto piccola deve venire profondamente modificata da un altro concetto: non può ammettersi l'idea di una particella, di un corpuscolo molto piccolo, senza che a questo non si colleghi ancora un concetto ondulatorio, l'esistenza di un'onda. Un assieme di particelle quindi, anche nell'ipotesi che non esercitino fra di loro nessuna azione scambievole (nel senso che si attirino o si respingano con forze variabili secondo certe leggi), deve contemporaneamente essere considerato come un assieme di corpuscoli e di onde. Lo sviluppo di tale concetto, approfondito dai risultati già ottenuti nel campo atomico (dove per la prima volta questa meccanica si è sviluppata) ha portato il Fermi a stabilire un comportamento speciale per il gas elettronico. Le differenze fra la teoria corpuscolare-ondulatoria e la teoria puramente corpuscolare possono mettersi in evidenza solo in particolari casi. Il Sommerfeld ha mostrato appunto che il gas elettronico contenuto in un reticolo cristallino rientra in questi speciali casi. La principale conseguenza immediata di quest'analisi più moderna può così riassumersi: tutti gli effetti di cui si è parlato che non trovano la loro spiegazione quantitativa per la difficoltà di fissare un valore al numero N, che permettesse di spiegarli tutti contemporaneamente, sono perfettamente interpretabili ritenendo N dato dal numero di elettroni di valenza, liberi nel reticolo, perché tale gas per il suo speciale comportamento non può dare nessun contributo al calore specifico. La principale difficoltà presentata dalla teoria viene così a eliminarsi. Ma il risultato di questa indagine va ancora più in là: dalla teoria si ricava infatti che nell'interno del metallo regna un potenziale positivo, gli elettroni sono trattenuti nell'interno di esso per la presenza di questo potenziale e bisogna compiere un lavoro per estrarli. In tal modo vengono a essere interpretati anche quantitativamente gli effetti Volta, Richardson, Seebeck, ecc.

Mediante questa revisione, la teoria acquista molto maggiore importanza e significato, e rimane come posizione ancora dubbia il concetto del libero percorso medio, e cioè l'introduzione di un parametro ancora arbitrario.

Ma non v'è soltanto da lamentare questa deficienza: i metalli presentano ancora effetti che non possono essere interpretati nella teoria che precede. Questi sono detti effetti galvano e termomagnetici. Si supponga una lamina metallica attraversata da corrente elettrica e posta in campo magnetico normale alla lamina: gli elettroni che si muovono lungo la lamina sono sottoposti all'azione deviatrice del campo e devono accumularsi a uno dei bordi laterali secondo le leggi ben note dell'elettromagnetismo. L'addensamento elettronico, si traduce in una differenza di potenziale ai bordi della lamina (effetto Hall). Ma per effetto dell'addensamento deve prevedersi, connessa con questa differenza di potenziale, una differenza di temperatura ai due bordi. Analogamente, il passaggio di una corrente di calore in una lamina posta in un campo magnetico deve dare origine a un campo elettrico e a una differenza di temperatura trasversale.

Limitandoci allo studio del primo effetto è evidente che, ammessi i risultati della teoria elettronica, è da prevedere sicuramente il segno dell'effetto Hall. La teoria che si sviluppa porta anche a prevedere che la costante di proporzionalità deve risultare inversamente proporzionale al numero di elettroni presenti. Ora, contrariamente alle possibili previsioni, i valori delle costanti di proporzionalità sono molto diverse da metallo a metallo, in modo assolutamente diverso da qualsiasi previsione, e inoltre per molti metalli il segno è opposto a quello predetto della teoria come se l'elettricità fosse trasportata da cariche positive. In base a questi risultati si può dire che non solo il gas elettronico non segue le leggi classiche dei gas, ma anche il moto delle particelle nell'interno dei metalli non è descrivibile come il moto di una particella macroscopica.

Quest'insuccesso della teoria corpuscolare si può superare considerando più accuratamente le speciali condizioni di moto degli elettroni nell'interno del reticolo e ricordando le proprietà ondulatorie che sono sempre presenti nel moto dei cosiddetti corpuscoli.

Il problema del moto elettronico nei metalli deve essere trattato con i metodi adatti: esso è un problema di micromeccanica. Gli elettroni sono costretti a muoversi in un campo di forze che variano rapidamente quando si passa da un atomo al successivo, e acquistano periodicamente lo stesso valore. Bisogna quindi con la meccanica ondulatoria determinare questo moto in un campo periodico di forze. Il risultato più significativo che si può ricavare da questo studio si può sintetizzare nel modo seguente: mentre in meccanica corpuscolare, per qualunque moto, purché non eccessivamente veloce, tra energia cinetica E e impulso passa la relazione

in meccanica ondulatoria, nelle speciali condizioni del moto elettronico nel reticolo, la relazione è molto più complessa: in alcuni casi può anche avvenire che questi elettroni dotati di carica negativa si comportino come se avessero carica positiva. Ma non solo si può con questa trattazione eliminare la difficoltà insita nell'effetto Hall dipendente dal segno anomalo che si riscontra in alcuni casi: si può anche eliminare il concetto di libero percorso medio, perché il moto elettronico viene seguito in tutte le sue particolarità. I risultati che si raggiungono con queste nuove vedute sono esenti da contraddizioni e possono bene accordarsi con quelli che dà l'esperienza.

Una caratteristica della nuova meccanica ondulatoria è la seguente: se una particella di massa m e carica e ha una certa velocità v, per cui la sua energia cinetica assume il valore Ek = 1/2 mv2, e questa particella si muove in un campo elettrico il cui potenziale cresce fino a un certo valore V per poi decrescere nuovamente, secondo la meccanica classica se EkeV la particella non può mai trovarsi al di là della zona di potenziale variabile; secondo la nuova meccanica invece una barriera di potenziale ha sempre una certa possibilità di essere attraversata dal corpuscolo elementare. Questo risultato generale, che come ben si comprende è estremamente caratteristico per la teoria moderna, ha una sua importante applicazione nelle manifestazioni dei metalli. Infatti si è già detto che la teoria sopraccennata di Sommerfeld porta ad ammettere l'esistenza di una differenza di potenziale tra l'interno del metallo e il vuoto; quindi, se il potenziale all'esterno è costante e all'interno si prescinde dalle variazioni di potenziale dovute alla presenza degli atomi, ma si considera il valore medio, l'andamento è quello segnato nella figura 9, a. Se ora all'esterno viene applicato un campo elettrico, la linea BC in luogo di essere orizzontale deve inclinarsi, e se il potenziale è tale da creare un campo diretto dall'interno verso l'esterno del metallo si genera l'andamento della figura 9, b. Secondo i risultati della meccanica classica, un campo elettrico applicato all'esterno non ha nessuna influenza sugli elettroni situati nell'interno del metallo; ma secondo i risultati della meccanica ondulatoria, per gli elettroni che si trovano nel metallo, anche con energia cinetica inferiore a quella necessaria per superare il salto di potenziale che si osserva nella figura - per il fatto che il campo applicato ha generato una barriera e a seconda della forma di essa - vi sarà una certa "trasparenza" nella barriera che così si è creata. Risultato di questo ragionamento sarà quindi la seguente manifestazione: creato un campo all'interno del metallo, questo campo genera un efflusso di elettroni dall'interno verso l'esterno, che sarà tanto più cospicuo quanto maggiore è l'intensità del campo creato. Questo effetto detto della "scarica fredda" è stato messo sperimentalmente in evidenza da R. A. Millikan e dai suoi allievi.

La teoria sviluppata in base ai concetti esposti porta alla formula seguente per il numero di elettroni uscenti dall'unità di superficie nell'unità di tempo per un campo d'intensità E:

Le quantità A e c servono a individuare la proprietà del doppio strato, e non possono essere previste con grande precisione, ma sono variabili, anche notevolmente, al variare delle condizioni e del trattamento. Molto bene verificata è invece la legge esponenziale che compare nella formula scritta.

Le proprietà magnetiche dei metalli sono essenzialmente condizionate dalla speciale struttura di cui abbiamo già parlato, e cioè della presenza di questi elettroni liberi, o in generale mobili, nell'interno. Per le azioni magnetiche bisogna prima di tutto considerare le proprietà magnetiche del reticolo ionico. Come si è detto al principio, questi ioni hanno lo strato elettronico esterno con la stessa conformazione del gas nobile precedente nel sistema periodico al metallo in esame. Ora nel gas nobile c'è compenso magnetico delle orbite, quindi se nell'interno dell'atomo del metallo non ci sono strati elettronici incompleti, e perciò tali da non permettere l'esatto compenso magnetico, il reticolo ionico dovrà comportarsi dal punto di vista magnetico come si comporta un gas nobile, e cioè diamagneticamente. Quando si considerano invece gli elementi della zona del sistema periodico dove si formano strati speciali interni, allora il reticolo si comporta paramagneticamente. I risultati ottenuti sperimentalmente dànno una magnetizzazione variabile secondo l'inverso della temperatura assoluta. Ma al comportamento magnetico dei metalli possono prendere parte anche gli elettroni; ora l'elettrone si comporta infatti per molti riguardi come un piccolo magnete: il gas elettronico contenuto nell'interno del reticolo, che per molti metalli ha comportamento magnetico, è un gas paramagnetico, che non segue le leggi basate sulla concezione classica, ma che si comporta secondo quelle speciali leggi enunciate da Fermi e da Sommerfeld. In effetti i metalli alcalini, per i quali si possono considerare soddisfatte le condizioni enunciate, sono paramagnetici per il paramagnetismo degli elettroni di conduzione e tale paramagnetismo, secondo le previsioni, è indipendente dalla temperatura, e ha un valore che si può calcolare, conosciuto il numero degli elettroni di conduzione presenti nell'unità di volume. Poiché in alcuni casi per gli elementi degli ultimi gruppi il carattere metallico non è molto netto e gli elettroni sono ancora da considerarsi impegnati in legami covalenti, può mancare il paramagnetismo ionico e il paramagnetismo degli elettroni liberi e il metallo si presenta dotato di diamagnetismo. Questo diamagnetismo può risentire fortemente delle variazioni termiche, poiché i legami di questi elementi non nettamente metallici possono variare al variare della temperatura. Classico esempio di questo diamagnetismo variabile, che si presenta in un corpo per forma cristallina e per comportamento non nettamente metallico, è il bismuto.

Alcuni elementi (ferro, cobalto, nichel), le loro leghe e le leghe speciali, dette di Heusler, possono acquistare un magnetismo permanente (ferromagnetismo). Questo stato permanente di magnetizzazione è variabile con la temperatura, e giunti a una temperatura critica detta "punto di Curie", scompare del tutto e il corpo si comporta come corpo paramagnetico. Questo comportamento, che ha per le applicazioni grandissima importanza, può interpretarsi da un punto di vista formale come generato da un campo interno che si aggiunge al campo esterno, permettendo anche una magnetizzazione a campo nullo. Il problema fondamentale per le manifestazioni ferromagnetiche, dato che questa ipotesi permette d'interpretare pienamente tutte le particolarità osservate, è l'interpretazione, la giustificazione di questo campo interno. La ricerca compiuta su questo problema da W. Heisenberg ha dimostrato che questo campo dipende da interazioni tra gli elettroni del reticolo e gli ioni, interazioni caratteristiche per il moto di particelle secondo le leggi della meccanica ondulatoria, e che possono comparire solo in determinate condizioni, per valori particolari degli elettroni di valenza, e per speciali forme del reticolo cristallino. Viene così a essere interpretato il carattere peculiare posseduto dalle manifestazioni che si riscontrano solo in alcuni metalli e in un limitato campo termico.

Bibl.: H. Remy, Lehrbuch der Anorganischen Chemie, Lipsia 1931; Bernal, Ergebnisse der modernen Metallforschung, in Fortschritte der Röntgenforschung in Methode u. Answendung, Lipsia 1931; G. Tammann, Lehrbuch der Metallkunde, 4ª ed., Lipsia 1932; U. R. Evans, Metals and metallic compounds, Londra 1913; L. Brillouin, Les nouvelles statiques, Parigi 1930; A. Sommerfeld e H. Bethe, Handbuch der Physik, XXIV, ii, Berlino 1933; R. Peierls, Ergebnisse der exakten Naturwiss., Berlino 1933; F. Bach, Handb. der Radiologie, Lipsia 1934.