MESSINA

Enciclopedia Italiana (1934)

MESSINA (gr. Ζάγκλη; Μεσσάνα; lat. Messana; A. T., 27-28-29)

Giuseppe CARACI
Guido LIBERTINI
Enrico MAUCERI
Guido LIBERTINI
Nino CORTESE
Tammaro DE MARINIS
Giuseppe CARACI
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Città della Sicilia nordorientale, sullo stretto che da essa prende nome, in situazione quanto mai opportuna ai traffici e al commercio di transito, che utilizza lo stretto come la via più breve tra il Mediterraneo occidentale e l'orientale; situazione alla quale è anzi dovuta senza dubbio la fortuna del primitivo centro abitato da cui si sviluppò poi la città. Il centro, cresciuto attorno al vecchio nucleo nella zona immediatamente a SO. del porto, misurava, nel sec. XIV, poco più di 6 kmq., circa 10 nel secolo di poi, 12 nella seconda metà del Seicento, e raddoppiava questa superficie dopo il terremoto del 5 febbraio 1783, che distrusse quasi completamente l'abitato. La popolazione passava da 50 mila abitanti sulla fine del secolo XVI a 70 mila nel 1653, ma si riduceva (carestie, guerre, terremoto) a 40 mila nel 1798. All'epoca della sua annessione al regno, il comune di Messina contava 103 mila abitanti, 112 mila nel 1871, 126 mila nel 1881, 153 mila nel 1901; a quest'ultima data il centro urbano non toccava ancora i 100 mila abitanti, 57 mila essendo quelli distribuiti nei dintorni. Il terremoto del 28 dicembre 1908 (v. appresso) rase al suolo di nuovo la città (oltre il 90% degli edifici venne distrutto), causando la morte di oltre 30 mila persone (in città). Ciò nonostante, e nonostante il ritardo con cui venne avviata l'opera di ricostruzione, il censimento del 1911 segnava già 126.557 abitanti (dei quali 63.545 nel centro urbano), saliti a 147.552 nel 1921 (73.302 nel centro urbano) e a 182.508 (114.693 nel centro urbano) nel 1931. L'area del comune supera attualmente i 207 kmq., raggiungendo a S. la marina di Giampilieri, a N. la punta del Faro e a O. la sponda del Tirreno (fiumara Gallo), sì da estendersi per oltre una trentina di chilometri sullo stretto, comprendendo più di una cinquantina di centri abitati minori, alcuni dei quali del tutto staccati, topograficamente, dal nucleo urbano.

L'aumento della popolazione messinese è dovuto per larga parte all'eccedenza dei nati sui morti, come dimostra la seguente tabella:

Più che la diminuzione degl'indici di nuzialità e di natalità, è notevole quello della mortalità, la cui discesa continua attesta delle migliorate condizioni igieniche della città, specie per l'energica opera di "sbaraccamento" del regime fascista.

Il clima di Messina è caratterizzato da inverni miti (temperatura media del gennaio, che è il mese più freddo: 11°,6; media dei minimi, 3°,8) ed estati relativamente fresche (agosto, mese più caldo, 26°,8; media dei massimi, 34°,5), data la frequenza dei venti (specialmente quelli di NE.) che vi spirano talora violenti anche se per breve durata. Le precipitazioni, concentrate la più parte nei mesi invernali, toccano la media annua di 800 mm., distribuiti in 115 giorni.

Il porto di Messina resta, per importanza, il terzo dell'isola, ma il suo retroterra s'è assai ridotto dopo la creazione dei nuovi porti di Milazzo e di Catania. Il movimento delle merci (imbarcate e sbarcate) che era passato, fra il 1884 e il 1887, da 300 a oltre 900 mila tonnellate, scese fino a 400 mila nel 1901, per risalire a circa 600 prima del terremoto, ma, sensibilmente ridotto dalla guerra, non è riuscito ancora a superare la crisi postbellica e le cifre oscillano, negli ultimi anni, fra 380 e 400 mila tonn. Fra le merci esportate - il cui volume eccede sempre quello delle importate - prevalgono gli agrumi, i vini, l'olio e varî prodotti agricoli; fra le importate il carbone (ora diminuito grandemente per il maggior consumo dei combustibili liquidi), i cereali, il legname, i metalli, gli animali, ecc. Il movimento dei passeggeri, assai notevole prima del terremoto, è vivo soprattutto sulle navi-traghetto (ferry boats), che collegano la Sicilia con la penisola e che nel 1931 trasportarono in 8296 corse oltre 2,3 milioni di persone. Le stesse navi imbarcarono 642 mila tonn. di merce e ne sbarcarono 305 mila, cifre queste non comprese nelle statistiche portuali.

Il bacino del porto è ampio (82,5 ha.) e sicuro, anche se incomodo per la grande altezza dei fondali (massima: 67 m.); vi sono oltre 2 km. di moli, dei quali 1,3 destinati ai piroscafi e ai grossi velieri. Grandi opere sono state progettate, e in parte attuate, per riparare ai danni del terremoto, che fece subire un sensibile abbassamento a tutte le banchine.

Il centro urbano, rimasto fino al sec. XX chiuso fra la riva - su cui si sviluppava con bell'effetto architettonico l'imponente "palazzata" - e le imminenti colline (la rettilinea Via Cavour lo divide in una parte piana a E., e in una a declivio), fu, dopo il terremoto del 1908, costretto dalla lunga permanenza in situ delle macerie a dilatare verso S. nel cosiddetto Piano della Mosella, tagliato a mezzo dal lungo viale S. Martino, che formava già l'asse del piano regolatore prima del terremoto. Lo sgombro dell'area occupata dalle rovine e la riedificazione della città non hanno potuto spostare il centro di gravità della vita urbana, ormai localizzatosi in questa zona piatta, a S. del Portalegni, ora coperto. Le norme antisismiche, imponendo rigorose limitazioni all'altezza dei fabbricati, hanno esteso assai l'ampiezza del centro abitato, conferendogli un aspetto singolare, che ricorda in qualche modo una stazione balneare o turistica, con case di regola a non più di due piani, vie ampie, alberate e rettilinee, larghi spazî scoperti, ecc.

Monumenti. - Un santuario arcaico sembra che fosse al luogo del Forte di S. Salvatore, sull'estrema punta della penisola di S. Ranieri, sulla quale forse sorgevano altri edifici. Le mura della città andavano, a quanto sembra, dal torrente Boccetta al torrente Portalegni, e in esse i vecchi studiosi pretendevano di riconoscere alcune antiche porte. Nelle vicinanze del porto, si voleva identificare un tempio di Posidone nella chiesa dell'Annunziata dei Catalani, un altro tempio nel sito dell'attuale Cattedrale, un Asklepieion a S. Maria la Cattolica, un Panteon a S. Maria Alemanna e infine, nella via XX settembre, anche il luogo del sacrario di ercole, divenuto poi col prempo la casa di Eio Mamertino, l'amico di Verre. Altri antichi edifici si localizzavano in varî punti della città e alla periferia, come al Castellaccio, sul Colle Gonzaga, sulla rocca Guelfonia, a Ganzirri (Poseidonion) e a S. Maria della Grotta (tempio di Artemide). Delle antiche necropoli greche si sono trovati indizi nella Contrada Angelo, a S. della città, e alle falde del Colle Gonzaga, mentre durante scavi per la costruzione dell'attuale prefettura, nel 1915, l'Orsi rinveniva un'importante necropoli romana del sec. II-III d. C., con abbondante materiale epigrafico.

Durante il periodo di floridezza coincidente col dominio dei Normanni, la eittà ebbe modo di arricchirsi di edifici importantissimi: chiese, palazzi, monasteri i quali accolsero opere d'arte insigni. Artisti di ogni regione, poi, specialmente toscani, si trapiantarono, sul finire del '400, tra le sue mura, ed essa vide, in pieno Cinquecento, riabbellirsi le sue chiese e i suoi palazzi fastosi; ma il terremoto del 1783 e l'ultimo del 1908, molto più disastroso ancora, distrussero la sua compagine di vecchia e bella città medievale, della Rinascenza e del Seicento, e insieme grandissima parte del suo ricco arredamento artistico.

Di monumenti medievali non restano oggi, purtroppo, che pochi avanzi, e alcuni rimaneggiati nei nuovi rifacimenti e restauri: il Duomo, di recente ricostruito col criterio di ricondurlo al suo carattere originario normanno col campanile isolato, e di cui non era traccia che appena nelle fondamenta; l'Annunziata dei Catalani del tempo del normanno Guglielmo il Buono, anch'essa da pochi anni restaurata; S. Francesco, riedificato ex novo ricomponendo nella fabbrica le sue belle absidi che ricordano l'architettura francese del sec. XIII; S. Maria degli Alemanni e la Badiazza, pregevoli e rari esempî di architettura siciliana dugentesca. Le chiese del Seicento, così prevalenti in Messina, scomparvero quasi tutte: S. Gregorio, la più celebre, Montevergine con i vaghi affreschi settecenteschi di Letterio Paladino; S. Paolo; S. Caterina Valverde; l'Annunziata dei Teatini; la Maddalena, per ricordare le più note del secolo che vide sorgere il genio di Filippo Juvara.

E si rimpiangono infine quelle che furono caratteristiche singolari della vecchi acittà, come la via dei Monasteri che faceva pensare alla mistica Spagna, e la "palazzata" nel suo grandioso carattere neoclassico (arch. l'abate Giacomo Minutoli), che ne formava l'ornamento panoramico più cospicuo, di fronte al suo meraviglioso Stretto.

La città moderna è stata architettata (arch. Borzì) sul tipo delle città a rettifilo, con larghe e diritte vie (la più lunga e principale via Garibaldi presso il mare), e comprende edifici sontuosi come il palazzo municipale (arch. Antonio Zanca), ancora incompleto; quello di giustizia sul tipo dorico-siculo (arch. M. Piacentini), considerato uno dei più belli d'Italia; del Consiglio provinciale dell'economia (arch. C. Puglisi-Allegra); della Provincia (arch. A. Giunta); delle Poste (arch. Mariani), ecc.; ma le chiese, invece, nel loro ibridismo stilistico e nelle necessità costruttive del cemento armato, tecnica antisismica con cui è stata ricostruita l'intera città, non reggono al paragone con le scomparse. Messina ha visto risorgere altresì il suo Ateneo con criterî moderni, in vasti padiglioni. Il Museo (ancora nella sede provvisoria a S. Salvatore dei Greci) conserva, fra le tante memorie della città sfortunata, i frammenti del polittico di Antonello, già in S. Gregorio.

V. tavv. I-VI.

Istituti di cultura. - L'università, fondata nel 1548, si sviluppò soprattutto nella prima metà del sec. XVII, ma fu soppressa dopo l'insurrezione contro gli Spagnoli (1679). L'Accademia carolina, sorta di poi, fu trasformata in università nel 1838 (pareggiata nel 1885). Il terremoto del 1908 ne arrestò lo sviluppo. Attualmente (1933) essa comprende le facoltà di giurisprudenza e medicina-chirurgia, e una scuola di farmacia.

Oltre all'Istituto superiore di magistero Messina ha due licei-ginnasî, un liceo scientifico, un istituto tecnico, un istituto magistrale, un istituto nautico; essa possiede anche tre scuole secondarie di avviamento professionale.

La biblioteca universitaria trae origine da quella dei gesuiti (1548), e conta attualmente circa 100.000 volumi. L'Archivio provinciale di stato, istituito nel 1843, comprende varie migliaia di volumi di atti notarili.

Messina è sede di un Museo nazionale medievale e moderno (fondato nel 1806), della secolare Accademia Peloritana, della Società messinese di storia patria, di un Istituto centrale di biologia marina.

Storia. - Nel punto dove la costa siciliana, dopo aver seguito l'andamento di quella italiana, se ne allontana, dirigendosi decisamente verso sud, non poteva sfuggire agli antichi l'importanza di una località protetta da una lingua di terra, un poderoso molo naturale di quasi due km. di lunghezza' rivolto verso settentrione e che, con la sua forma falcata, veniva a costituire un magnifico porto avente il circuito di quasi 4 km., una larghezza massima di 500 m., una profondità di 80 m. circa e la capacità di accogliere 600 navi. La grande importanza strategica e commerciale di questo punto della costa siciliana e la bontà del suo porto dovevano necessariamente fare di Messina, in ogni epoca, una delle città più importanti dell'isola. Siculo sarebbe stato il nome primitivo di questa località che dalla forma falcata, caratteristica, del suddetto molo naturale (oggi penisola di S. Ranieri), sarebbe stata chiamata Zancle dalle popolazioni indigene; ma non sappiamo se queste genti, così poco marinare, abbiano apprezzato e abitato questo punto della costa dove le ricerche archeologiche hanno dato così scarsi documenti della loro presenza: nel messinese tracce del 3° periodo siculo Si sono rinvenute infatti soltanto a Oliveto-Pozzo di Gotto. Apprezzarono invece moltissimo il sito e lo valorizzarono i navigatori calcidesi che, partecipando con altre genti alla colonizzazione dell'antistante Reggio, ambirono il dominio di questo punto di passaggio obbligato dallo Ionio al Tirreno. Infatti Pausania e Tucidide sono concordi nell'asserire che questa località fu primamente occupata dai pirati, che lo storico suddetto fa derivare dalla calcidese Cuma in Opicia. La fondazione di Zancle precedette di poco quella di Reggio, avvenuta non molto tempo dopo la prima guerra messenica e quindi intorno al 724 a. C. A quei primi occupanti si sarebbero poi venute a unire altre genti di Calcide e del resto dell'Eubea e, secondo Strabone, anche dei Nassî di Catana. Il cumano Periere e il calcidese Cratemene sarebbero stati gli ecisti. Altre leggende intorno ai particolari della fondazione ci ha rivelato un frammento degli Aitia di Callimaco di recente scoperto.

Al primo periodo calcidese, sarebbe seguito quello degli Ionî di Samo e di altre regioni dell'Asia Minore che, fuggendo i Persiani, sarebbero venuti in Sicilia. Ciò avvenne dopo la battaglia di Lade, cioè dopo l'estate del 494, quando gli Zanclei invitarono gli Ionî a venire nell'isola per fondare una città su un punto della costa settentrionale denominata Kalè Aktē. Ma Anassila, tiranno di Reggio, avrebbe consigliato a questi immigrati di approfittare dell'assenza di Skythes, signore di Zancle, il quale guerreggiava con i Siculi, e di occupare la città. Skythes invano domandò aiuto contro gli invasori ad Ippocrate di Gela che con i nuovi occupanti si divise il bottino della città e quello delle campagne costringendo Skythes ad andare in esilio.

Poco più tardi, con un colpo di mano, s'impadroniva della città colui che aveva consigliato ai Samî la loro occupazione: Anassila si costituiva così un'importante testa di ponte sulla riva opposta siciliana. Il tiranno di Reggio ripopolò la città conquistata con dei coloni della Messenia, dai quali Messana ebbe anche il suo nome. Solo dopo la morte di Anassila (461), la città poté riavere la sua indipendenza ripristinando l'antico nome. La mescolanza delle popolazioni ioniche e doriche doveva fomentare le violente lotte tra i partiti che sempre arsero in questa città. Il partito dorico dovette esserne ben presto padrone, come dimostrano le monete recanti di nuovo il nome di Messanion. Conseguenza di questo avvenimento è il fatto che la politica di Messana cominciò a seguire quella di Siracusa e di Locri. Ma le fazioni avverse dovevano essere ambedue potenti perché nella lotta tra dorismo e ionismo, iniziata nel 427 con la guerra tra Siracusa e Lentini, Messana è indecisa. Dopo la presa di Mile per opera degli Ateniesi (426), si butta dalla parte di Atene, ma tornò poi a fiancheggiare Siracusa quando questa mandò la sua flotta nel porto di Messana. Una grave sconfitta subita da quei di Messana costrinse questi ultimi a domandare aiuto ai locresi; essi s'installano sino al 422 nella città che poté così tener fronte agli attacchi degli Ateniesi. Le stesse lotte fra i partiti si ebbero all'epoca della spedizione del 416, durante la quale, pertanto, gli Ateniesi non riuscirono a occupare questa località che per essi sarebbe stata preziosissima. Taluni cittadini di Messana parteciparono alla spedizione di Ermacrate contro Siracusa e poi alle lotte di quest'ultima contro i Cartaginesi nel 406. Nel trattato di pace tra Dionisio e Cartagine (405) l'indipendenza di Messana veniva riconosciuta come quella di altre città e garantita da Cartagine, e infatti nel 405 Messana si schierava, con Reggio, contro il tiranno siracusano. Dopo la vittoria di Dionisio sulle altre città alleate, Messana dovette prepararsi a resistere, ma mentre una delle fazioni dominanti allestiva una spedizione contro Siracusa, l'altra, favorevole a Dionisio, faceva porre fine alle ostilità. Le condizioni di Dionisio, che preparava la grande guerra contro Cartagine, fecero ottenere il perdono a Messana che, nel 398, mandò aiuti all'esercito del tiranno. Questa riconciliazione fu poi gravemente scontata nel 397 quando la città fu conquistata e distrutta dai Cartaginesi. Conclusa la pace tra Dionisio e Cartagine, M. rimase fedele al tiranno che ne fece una colonia militare siracusana, la quale accolse numerosi mercenarî. Nel 393 i Cartaginesi marciarono ancora contro di essa, ma Dionisio accorse in suo aiuto battendo i Punici ad Abaceno. Nel periodo di anarchia che successe alla morte di Dionisio, fu tiranno di Messana Ippone, il quale da principio favorì Timoleonte, ma poi, temendo per la sua indipendenza, si alleò con Mamerco chiedendo aiuti a Cartagine. Tuttavia, nel 346, Timoleonte conquistava la città dello Stretto mandando a morte il suo tiranno. Quando in Sicilia sorse l'astro di Agatocle, Messana gli resistette vittoriosamente e fece lega con Gela e Agrigento (314), ma l'anno successivo, se ottenne la sua indipendenza, dovette tuttavia riconoscere l'egemonia di Siracusa. Nel 289 alla morte di Agatocle se ne impadronivano i Mamertini, mercenarî italici già al servizio di Agatocle, e dopo una terribile strage ponevano il centro del loro dominio nella città dello Stretto devastando numerose località dell'isola e della costa meridionale d'Italia. A tali scorrerie poneva un termine Gerone II che nel 264 li sconfiggeva presso il fiume Longano nel territorio di Messana. I Mamertini furono costretti a chiedere aiuto ai Cartaginesi, e Annibale occupò la cittadella di Messana. Mal soffrendo questa imposizione cartaginese, i Mamertini domandarono aiuto a Roma, la quale, dopo un po' di esitazione, intervenne e sbarcò delle milizie oltre lo stretto, mentre il comandante cartaginese abbandonava la rocca. Messana era in mano dei Romani che non dovevano più abbandonarla, e anzi iniziarono da essa la conquista dell'isola. Gerone II e i Cartaginesi si allearono e assediarono la città ma ben presto il signore di Siracusa ritirava le proprie milizie e i Cartaginesi toglievano l'assedio. Messana divenne così civitas foederata e da questa situazione ricavò notevoli vantaggi anche parte dei Romani. Cominciò infatti un periodo di floridezza per Messana la quale non ebbe a soffrire, come le altre città, da parte di Verre. Nel 103 Manio Aquilio la liberava anche dai pericoli della guerra servile.

La città ebbe pure una parte nella lotta tra Sesto Pompeo e Ottaviano, i cui soldati la saccheggiarono. Nel catalogo pliniano, Messana figura come oppidum civium romanorum qui Mamertini vocantur. Spesso troviamo ricordo di essa durante l'età imperiale, ma la sua importanza è ormai molto diminuita, seppure, per la sua posizione, per il suo valore strategico, per la sua notevole importanza commerciale, non sia cessata mai completamente.

Sotto Teodorico Messina ebbe un presidio goto; durante la guerra greco-gota, per un breve periodo occupata da Totila, fu uno dei centri di difesa e di offesa di Bisanzio, che dominò su di essa sino all'842 o 843, quando la città fu occupata dai Musulmani. Il governo arabo durò due secoli; ma non riuscì a sradicarvi il cristianesimo che, secondo la tradizione, vi sarebbe stato portato da S. Paolo e avrebbe avuto in Bacchilo il suo primo vescovo. Presa una prima volta dai Normanni, al seguito di Giorgio Maniace, nel 1038, per il permanere di tali sentimenti cattolici, la città, se non chiamò, certamente sostenne i Normanni allorché vennero da soli a conquistare la Sicilia nel 1060-61; e per la sua posizione strategica divenne la loro base d'azione. Alla dominazione normanna seguì la sveva. Ardente sostenitrice dei proprî privilegi, insieme con altre città insorse contro i provvedimenti di Federico II che la privavano del diritto di eleggere lo stratigoto; ma la rivoluzione fu repressa nel sangue (1232). Un tentativo per instaurare un vero e proprio ordinamento comunale nella città fu compiuto dopo la morte di Corrado IV, in opposizione agli Svevi, al pontefice e a Pietro Ruffo che avrebbe voluto creare nell'isola uno stato indipendente con capitale Messina; e si ebbe un "potestas, ab ipsius terrae communitate constitutus, sub quo civitas more civitatum Lombardiae et Tusciae vivebat". Ma l'istituzione ebbe vita brevissima, perché le truppe di Manfredi s'impossessarono della città (1258). Fedele agli Angioini anche al tempo di Corradino, quando respinse l'assalto dei Pisani (11 agosto 1268), soltanto il 28 aprile 1282 aderì al movimento del Vespro; ma, se pure tarda, la sua fu adesione piena. Infatti, divenne uno dei più importanti centri del movimento; l'esercito di Carlo d'Angiò invano cozzò contro le sue mura, e l'eroica resistenza di uomini e donne - Dina e Clarenza furono le eroine popolane - sotto la guida di Alaimo da Lentini, fu poi glorificata dalla leggenda, che parlò anche d'intervento divino in favore degli assediati e della loro nobile causa d'indipendenza e offrì larga materia alla letteratura popolare. Pietro III d'Aragona entrò nella città il 2 ottobre seguente, dando inizio alla dominazione aragonese e poi spagnola, che continuò sino ai primi anni del Settecento, interrotta soltanto dal breve periodo della nuova dominazione degli Angioini che nel dicembre 1356 ebbero Messina da Niccolò di Cesarò e sino al 1366 se ne servirono come base militare nella ripresa guerra contro gli Aragonesi; e dalla rivoluzione contro gli Spagnoli, la quale, iniziatasi nel 1674 e aiutata da Luigi XIV allora in lotta con gli Asburgo, - il re francese vi mandò il duca di Vivonne - fu repressa nel 1678 dopo l'abbandono di quest'ultimo, e fece sì che lo stretto e i mari circostanti divenissero teatro della guerra marittima tra le due potenze, mentre la città, stretta d'assedio, eroicamente si opponeva alle truppe di Carlo II di Spagna. Seguirono le brevi dominazioni sabauda di Vittorio Amedeo II (1713-1718), borbonica di Filippo V (1718-19) e austriaca di Carlo VI (1720-1734); e finalmente quella borbonica, che, iniziatasi nel 1734, durò sino al 1860. Dal 1806 al 1815, mentre i Napoleonidi governavano la parte continentale dei dominî di Ferdinando IV, fu il caposaldo della difesa anglo-borbonica dell'isola contro i tentativi di conquista di Giuseppe Bonaparte e specialmente di Gioacchino Murat. Scoppiata in Napoli la rivoluzione del 1820-21, aderì a quel movimento, mentre Palermo insorgeva per ottenere l'autonomia politica della Sicilia; e in odio a questa città, nella speranza di sostituirla come sede delle principali autorità dell'isola, offrì il suo aiuto per la riconquista dei luoghi insorti e fu il punto di partenza della spedizione militare di Florestano Pepe. Seguirono il tentativo rivoluzionario compiuto dal generale Giuseppe Rossaroll il 25 marzo 1821, e la sommossa del 1° settembre 1847, tutti e due repressi facilmente e sanguinosamente. Ma il 29 gennaio 1848 aderì all'insurrezione palermitana, e coraggiosamente resisté al bombardamento della flotta borbonica, finito soltanto il seguente 7 settembre, quando, superando l'eroica resistenza popolare, il Filangieri riuscì a impossessarsi della città. Garibaldi vi entrò il 27 luglio 1860; ma la sua cittadella, assediata, fu l'ultima, nell'antico regno delle Due Sicilie, ad ammainare la bandiera borbonica, il 12 marzo 1861.

Messina deve la sua intensa vita politica all'essere stata la "chiave" della Sicilia per il continente e la testa di ponte della Calabria per l'isola; e deve il suo rigoglioso sviluppo economico al porto, l'unico dello stretto omonimo, che è il più rapido e il migliore mezzo di comunicazione tra l'occidente e l'oriente nel Mediterraneo. E l'una e l'altro spiegano la condizione di privilegio che sempre le fu concessa dai monarchi che la dominarono e vollero conquistarne il favore e di essa si servirono nello sviluppo della loro politica estera e commerciale. Nel 1194 Arrigo VI concedeva ampia libertà di commercio nel regno e nell'intero impero ai Messinesi e ancora agli Ebrei, ai Greci e a tutti i Latini, in genere, viventi in città: e tale concessione era il riconoscimento legale di uno stato di cose esistente già da molto tempo. A Messina infatti erano accorsi i Pisani, i Veneziani, gli Ebrei; un console vi avevano i Genovesi almeno dal 1116; una contrada della città si chiamava "degli Amalfitani". Inoltre, il suo porto era punto di riunione dei credenti e dei crociati in viaggio verso la Terra Santa. Dipoi, al privilegio dato da Arrigo, che proprio in Messina doveva morire quando già si accingeva a partire con la sua flotta per il Levante, altri ne seguirono, e numerosi, mentre sempre più rigogliosa diveniva la sua vita economiea e spirituale. Quantunque sotto Federico II, per la politica accentratrice dell'imperatore, Messina vedesse la sua autonomia molto limitata, essa fu centro importante della cultura poetica siciliana del Duecento, e visse i giorni del suo massimo splendore durante la dominazione aragonese. I Fiorentini e i Marsigliesi vi posero una loggia; gli Anconitani, i Pugliesi, i Lucchesi, i Catalani vi trovarono buona accoglienza; i consoli messinesi erano a Napoli, ad Amalfi, a Tunisi; un privilegio del 1283 diede ai Messinesi il diritto di eleggere i consoli che, fuori del regno, dovevano risolvere le liti civili di tutti i Siciliani; sono del 1292 ampie facilitazioni per l'industria della seta già in fiore, del 1302 l'esenzione da tutte le gabelle e l'ampliamento sino a Taormina e a Milazzo della giurisdizione della Corte stratigoziale messinese, della fine del Trecento il privilegio di batter moneta per tutta la Sicilia, la concessione alla città della dignità di capitale del regno e il conferimento al suo stratigoto, nei riguardi dei commercianti stranieri, di poteri altrove spettanti unicamente alla corte regia. E se è azzardata l'opinione che la Tavola amalfitana non sia altro che la copia di una consimile Tavola messinese di origine più antica, sta di fatto che Trapani adottò come sue le consuetudini messinesi, che altrettanto fece per buona parte di esse Palermo, e che ancora nel 1697, quando Messina era ormai da tempo nella parabola discendente del suo sviluppo, in Malta i Cavalieri stabilirono che, nei casi di controversia non contemplati nelle loro consuetudini, dovessero avere pieno valore legale quelle messinesi. I traffici, che nel 1416 resero necessaria l'istituzione di una fiera annuale, divenuta una delle più importanti del Mediterraneo, continuarono a essere molto intensi durante il governo di Carlo V e di Filippo II di Asburgo; del 1520 è la concessione di un Consolato dell'arte della seta; e per tutto il secolo il porto fu il luogo di concentramento delle flotte cristiane dirette contro i Turchi: da Messina, infatti, partirono le navi di Carlo V per la spedizione di Tunisi e quelle di don Giovanni d'Austria per la battaglia di Lepanto. Inoltre, nel Cinquecento Ferrante Gonzaga la munì di fortezze; Garzia di Toledo vi costruì un nuovo arsenale; e nel 1548 la città ebbe finalmente l'università retta dai gesuiti. Ma la solenne e imponente radunata della flotta di don Giovanni fu l'ultima grande manifestazione della vita messinese: nella nuova situazione politica e commerciale del Mediterraneo ben presto il porto fu abbandonato dal traffico internazionale, a pochissime si ridussero le navi armate dai Messinesi, l'industria della seta diminuì la sua produzione. Invano lo stesso governo spagnolo corse incontro alle urgenti necessità cittadine, confermando tutti i privilegi e anzi accrescendoli in misura tale che Messina finì per divenire quasi una repubblica in mezzo alla monarchia e il suo porto non ebbe uguali nel Mediterraneo per la ricchezza e la vastità delle franchige. La crisi continuò implacabile; alla precedente vita attiva si sostituì una vita materiata di meschine lotte locali e di non meno meschine contese campanilistiche contro Palermo e contro Catania, che dovevano perdurare sino al 1820; e finalmente per tutte queste ragioni scoppiò violenta la sommossa contro l'ordinamento politico vigente, e il governo spagnolo, vittorioso, soppresse tutti i privilegi di cui godeva la città, togliendole al tempo stesso ogni possibilità di superare quella crisi che aveva appunto provocato la sommossa. Seguirono anni tristissimi; e, sebbene nel 1696 si restituisse a Messina una parte di ciò che le era stato tolto, la situazione cittadina non migliorò. Né grandi benefici apportò la successiva dominazione austriaca, perché, sebbene Carlo VI, precorrendo l'illuminismo riformatore di sua figlia e dei suoi nipoti, molto si preoccupasse di riorganizzare la vita economica dei suoi vastissimi dominî, pur tuttavia, i suoi progetti non ebbero esecuzione. Poi, con Carlo di Borbone si ebbe la restituzione al porto delle sue vecchie franchige; ma la peste del 1743 ridusse alla metà la popolazione della città e il terremoto del 1783 rase al suolo quest'ultima, che alla fine del Settecento aveva poco più di ventimila abitanti. La seguente politica commerciale del governo borbonico nell'Ottocento, tutta a vantaggio delle bandiere francese, inglese e spagnola, e vincolata dalla pavida politica internazionale dello stato, non era la più adatta al bene del porto.

Nel nuovo clima creato dalla sua inserzione nel regno d'Italia sopraggiunse spaventosa la catastrofe del dicembre 1908, che distrusse completamente la città. Ora essa, risorta splendidamente dalle rovine, attende con alacrità a riordinare la sua vita.

Arte della stampa. - Benché in Sicilia Palermo e Messina vantino l'arte tipografica nel sec. XV, in verità solo in quest'ultima città essa ebbe l'unico volume delle Consuetudines Urdis Panormi impresso da Andrea Uyel di Worms nel 1478.

Il primo tipografo messinese fu Enrico Alding, già esercitatosi a Napoli; egli stampò, a cominciare dal 15 aprile 1478, otto volumi: Vita di S. Girolamo (creduta un tempo; per errore, del 1473), impressa in caratteri tondi; Rudimenta grammatices di Nicolò Perotti, 1478 (esemplare unico a Manchester, Bibl. Rylands); Psalterium latinum, del dicembre dello stesso anno (es. unico, nella Bibl. Corsiniana di Roma); il bel Missale secundum consuetudinem Gallicorum, del 31 maggio 1480 (es. unico, nella Bibl. Rylands), stampato su 2 colonne con caratteri gotici, adorno di un'incisione in rame; le Fabulae di Esopo, senza data, impresse con un carattere tondo più piccolo dell'altro (Bibl. Reale di Copenaghen, solo conosciuto); le Epistolae di Falaride, anche senza data; la Protesta dei Messinesi, senza note ma impressa con i tipi dell'Alding verso il 1478-1479, libretto di 16 carte di cui si conosce il solo esemplare della Biblioteca Lucchesiana di Girgenti; Ovidio, Lettera di Saffo a Faone (unico, nella Bibl. Nazionale di Parigi).

Altri tipografi furono i tedeschi Giovanni Schade e Rigo Forti di Iserlohn, i quali stamparono, in società verso il 1490, il prezioso Fior di virtù ornato di xilografie (esemplare unico, nella Bibl. Nazionale di Firenze); Guglielmo Schomberger di Francoforte, che dal 1497 al 1500 pubblicò otto opere; Giorgio Ricker di Landau (1497-98). Un Andrea di Bruges vi stampò nel 1497, a spese di G. de Iuvenio, le Leges Capitula et Constitutiones Regni Siciliae (Bibl. Naz. di Palermo).

Bibl.: Oltre alle storie della Sicilia antica di A. Holm, Storia della Sicilia nell'antichità, trad. di G. B. Dal Lago e V. Graziadei, Palermo 1896 segg., e di E. A. Freemann, Sicily Phoenician Greek and Roman, Londra 1892, v. O. Siefert, Zankle-Messana, Altona 1854; Axt, Zur Topographie von Rhegion und Messana, Grimma 1887; G. Tropea, Studi siculi, Messina 1894; P. Orsi, Messana: la necropoli di S. Placido, Roma 1916; Notizie degli scavi di antichità, anni 1886, 1912, 1915, passim. Per le iscrizioni v. G. Kaibel, Inscriptiones Graecae Sicilia et Italiae, Berlino 1890; per la numismatica, B. V. Head, Historia Numorum, 2ª ed., Oxford 1911.

Per la storia, arte e urbanistica: G. C. Bonfiglio, Messina città nobilissima descritta, Venezia 1606; P. Samperi, Messana illustrata, Messina 1742; P. Reina, Notizie storiche della città di Messina, ivi 1668; C. D. Gallo, Annali della città di Messina, ivi 1754-1872; G. Oliva, Annali, ecc. (in continuazione all'opera precedente), Messina 1892-93; E. Mauceri, Messina nel Settecento, Palermo 1924; id., Messina, Firenze 1924; P. Arenaprimo, Storia civile di Messina, Palermo 1841; N. Cortese, La funzione storica di Messina, ivi 1932; F. Lanzoni, La prima introduzione del cristianesimo e dell'episcopato nella Sicilia, in Arch. stor. d. Sicilia orientale, XIV (1917); I diplomi della cattedrale di Messina, a cura di A. D'Amico, Palermo 1888; V. La Mantia, I privilegi di Messina, Palermo 1897; id., Messina e le sue prerogative dal regno di Ruggero II alla coronazione di Fedrico II, in Arch. stor. sic., XLI (1916), pp. 491-531; G. Romano, Messina nella guerra del Vespro, in Atti Acc. Peloritana, XIV (1899); A. R. Levi, Consuetudini e privilegi della città di Messina, Palermo 1901; C. A. Garufi, Su la Curia stratigoziale di Messina nel tempo normanno-svevo, in Arch. stor. messinese, V (1905); L. Genuardi, Il libro dei capitoli della corte del Consolato di mare di Messina, Palermo 1924; E. Mauceri, Il Museo naz. di Messina, Roma 1929. Su argomenti particolari: G. Cesca, L'Università di Messina e la Compagnia di Gesù, in CCCL anniversario dell'università di Messina, Messina 1900, pp. 3-45; per la dimora in Messina di D. Giovanni d'Austria: G. Arenaprimo, in Arch. stor. siciliano, XXVIII (1903), pp. 73-117; per i rapporti tra Messina e Palermo: V. La Mantia, Su gli antichi privilegi di Messina, Palermo 1898; N. Rodolico, Il municipalismo nella storiografia siciliana, in Nuova riv. stor., VII (1923); per la rivoluzione del 1674-78: G. Galatti, La rivoluzione e l'assedio di Messina, ivi 1900; E. Laloy, La révolte de Messine, Parigi 1929 segg., voll. 3; per la dominazione austriaca: R. Martini, Le condizioni economiche di Messina durante il governo di Carlo VI d'Austria (1719-1734), in Arch. stor. siciliano, XXIX (1904), pp. 374-91; per il Risorgimento: N. Cortese, Per una storia della questione siciliana, Messina 1933; F. Guardione, Il 1° settembre 1847 in Messina, Palermo 1893; per il terremoto del 1908: Messina prima e dopo il disastro, Messina 1914; A. Salinas e G. M. Columba, Terremoto di Messina, Palermo 1915; E. Mauceri, Quel che rimane di Messina scomparsa, in Rassegna d'arte, XVII (1917); P. Longo, Messina città rediviva, Messina 1933. Per molti altri scritti d'arte e di storia messinese v. la collezione dell'Archivio storico messinese, Messina 1900 segg.

Per l'arte della stampa: G. Fumagalli, Lexicon typograph. Italiae, Firenze 1905, s.v.; G. Oliva, L'arte della stampa in Sicilia nei secoli XV e XVI, Catania 1911; A. Boselli, Cenni di storia tipografica della Sicilia, in Atti I Congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, III, Roma 1930 (con bibliografia); id., La produzione di Enrico Alding in Messina, in Gutenberg Jahrbuch, Magonza 1931, pp. 122-28; A. Boselli, La "Lettera di Saffo a Faone" stampata da E. Alding in Messina, in Gutenberg Jahrb., 1933.

Provincia di Messina.

È per superficie (3248,95 kmq.) e per numero di abitanti (600.092 secondo il censimento del 1931) la terza della Sicilia (dopo Palermo e Catania), la seconda (dopo Catania) per densità di popolazione (185 ab. per kmq.; superiore alla media dell'isola).

Il territorio è quasi tutto montuoso e si stende, fra Ionio e Tirreno, dallo Stretto alla Fiumara di Pollina, e di qui per il cimale dei Nebrodi all'Alcantara, che lo separa a S. dal gruppo dell'Etna. Abbraccia i Peloritani e il versante settentrionale dei Nebrodi, che li continuano, aspri e impervî gli uni e gli altri, ma assai diversi per struttura e per forme, e anche perché alle nude acute sommità dei primi (frane, erosione torrentizia) si contrappongono, nei secondi, linee più morbide e continue, e più o meno ampie aree boschive (querce, faggi). Alcune di queste, anzi (Caronie), sono fra le più estese dell'isola. Esile, o addirittura mancante, la cimosa litoranea e piccole e rare le pianure (Barcellona); la vicinanza del crinale alla costa rende possibile lo sviluppo solo alle tipiche fiumare. Le comunicazioni sono perciò difficili o impossibili, e i due opposti versanti quasi isolati l'uno dall'altro.

Le colture arboree prevalgono, come importanza economica, sulle erbacee: agrumi, viti e ulivi sono la base della vita rurale. I primi si limitano in sostanza alle coste e alle parti basse delle valli, specie verso lo Ionio; le altre due colture hanno un'estensione assai più vasta e nell'interno si associano ai cereali, fra i quali i più diffusi sono il grano, l'avena e la segala. Nessuno di questi, tuttavia, basta al consumo; per contro, gli alberi da frutta (pesche, mandorle, noci, fichi) consentono guadagni discreti, e nella zona delle Caronie entrano come elemento, talora essenziale, dell'azienda agraria (noccioleto). Tabacco, cotone, canna da zucchero e sommacco, una volta diffusi, hanno importanza del tutto secondaria. Delle industrie agrarie - che sono con le alimentari le più attive - il primo posto spetta all'agrumaria, che però è in forte contrazione, data la vittoriosa concorrenza dell'acido citrico sintetico; ciò nonostante, la coltura degli agrumi resta uno dei cardini dell'economia della provincia (si cerca di superare la crisi con progressi tecnici come quelli realizzati con la produzione del verdello).

Tutt'altro che trascurabile il cespite di guadagno consentito dalla pesca nello Stretto (soprattutto pesce spada e anguille), che dà un reddito medio annuo di 250-300 mila lire; pesca che è in grande prevalenza esercitata da pescatori della provincia di Messina.

Tipico il contrasto fra la zona costiera, a proprietà più divisa, a colture intensive e più rimunerative, e l'interno, in cui dominano o persistono appena attenuate, le condizioni del latifondo. La popolazione è nella prima assai più densa, le comunicazioni più sviluppate, più numerosi i centri e più diffusa, in genere, la popolazione sparsa. Questa, rara e occasionale nel complesso dell'isola, attinge, nella provincia di Messina, valori notevoli, rappresentando oltre 1/5 del totale (nell'ex-circondario di Patti, anzi, poco meno della metà).

La popolazione è passata da 237 mila ab., sul finire del sec. XVIII, a 380 mila alla metà del successivo, a 544 mila nel 1901; i censimenti del 1911 e del 1921 hanno segnato rispettivamente 517 (diminuzione in conseguenza del terremoto 1908) e 582 mila. La provincia di Messina conta 87 comuni (più che qualunque altra delle provincie siciliane); dei quali l'estensione media è di 37,3 kmq. (inferiore di circa la metà a quella media dell'isola e anche a quella del regno), la popolazione media 6897 (contro 11.345 nell'intera Sicilia). Di questi comuni, 76 hanno una popolazione inferiore ai 10 mila abitanti; 9 (Castroreale, Lipari, Milazzo, Mistretta, Patti, San Fratello, Sant'Agata di Militello, Santa Teresa di Riva, Tortorici) superano questa cifra; uno soltanto (Barcellona Pozzo di Gotto) i 25 mila abitanti.

Il terremoto calabro-siculo del 28 dicembre 1908.

Sebbene la cuspide nordorientale della Sicilia rientri nella zona dei centri sismici della Calabria meridionale, già da tempo tristemente nota per la frequenza dei terremoti, la gravità del disastro del 28 dicembre 1908, che commosse l'opinione pubblica del mondo intero, forse più profondamente che in qualunque altro avvenimento del genere, non può esser messa in rapporto solo con la violenza delle scosse (grado 10° della scala Mercalli, e 10° della scala Cancani; accelerazione massima 2000 mm. al sec.), o con la durata di queste (28-30 sec.), ma essenzialmente col fatto che venne a colpire una regione assai densamente popolata, dove le costruzioni, che poggiavano (specie a Messina) su terreno alluvionale recente o di riporto, constavano largamente di masse di pietrame rotondo o a secco, senza sufficiente profondità di fondazioni. Contribuì poi ad accrescere il danno il fatto che le prime e più violente scosse si produssero, senza alcun fenomeno sismico precursore, alle 5h,20′ della mattina, quando la quasi totalità della popolazione dormiva o si trovava chiusa nelle case (il terremoto del 5 febbraio 1783 ebbe invece luogo in pieno giorno, alle 12h,45′) e che alle rovine degli scuotimenti si aggiunsero quelle del maremoto, estesosi da Punta Pezzo a Capo dell'Armi in Calabria, e dal Faro a Catania sulla costa sicula.

L'area epicentrale è circoscritta da un'ellisse di rilevante eccentricità, con l'asse maggiore, parallelo a quello dello stretto, di circa 30 km. e il minore di 20; il maremoto determinò due (o, secondo altri, tre) periodi di oscillazione del livello marino, nello spazio di 15-30′, con ondate che raggiunsero l'altezza di m. 2,70 nella penisola di S. Ranieri (e perciò rovesciando entro il porto le acque dello Stretto), 7,60 a Briga, 8 a Scaletta, 9,50 a Giardini, e sulla costa calabra fino a 10 di fronte a Lazzaro, dove il villaggio fu del tutto sommerso.

L'intero litorale dello Stretto subì un abbassamento calcolato da m. 0,40 a m. 0,60 sul lato orientale, fino a m. 0,71 (Capitaneria del porto a Messina) su quello occidentale; e più o meno larghe strisce di costa (fino a 300 m. a Reggio e non meno, certo, tra la Punta di Pellaro e il Capo dell'Armi, dove crollò per una lunghezza di 600 m. la terrazza alluvionale di 6-7 m. d'altezza su cui correva la strada provinciale) vennero a trovarsi così coperte dal livello del mare.

Le manifestazioni sismiche - sulle cui cause molto si è scritto, ma nessun accordo è stato raggiunto tra gli studiosi, e di cui perciò poco sappiamo di sicuro - continuarono (nella stessa giornata del 28 dicembre ne furono avvertite una sessantina) nel gennaio seguente e durarono fino a Napoli, Cettigne, Giannina, Zante e Pantelleria (2°-3° grado della scala Mercalli) come punti estremi: all'ingrosso, dunque, per un raggio di circa 500 km. intorno alla zona epicentrale.

I danni agli edifici furono assai gravi: a Messina si ebbe una percentuale del 91% di case distrutte, del 5% riparabili (appena il 4% subì lievi danni), cifre che non differiscono gran che da quelle dei centri della opposta sponda, dove anzi il terremoto del 1908 completò la distruzione di quanto non avevano fatto quelli dell'8 settembre 1905 (Vibo Valentia) e del 23 ottobre 1907 (Ferruzzano). Per questo, anzi, nella regione calabrese i danni subiti dai piccoli comuni furono comparativamente maggiori che nella provincia di Messina.

Non si hanno cifre esatte sul numero dei morti in conseguenza del terremoto del 1908. Nel solo comune di Messina esso dovette aggirarsi, stando a cifre ufficiali, intorno ai 60 mila, mentre quello del comune di Reggio oscillerebbe sui 12-15 mila. Si può dire dunque che le cifre complessive, pur non toccando certo i 100 mila individui, come pretendono alcuni autori, non debbono rimanere al di sotto di 80 mila persone (secondo una stima ufficiale 77.283), cifra più che doppia di quella registrata nel terremoto del 1783.

L'opera di soccorso, cui partecipò con mirabile slancio tutto il mondo civile, e quella della ricostruzione imposero numerosi e difficili problemi (sgombro delle macerie, baraccamento provvisorio, nuove norme edilizie, piani regolatori, costruzione di alloggi popolari, ecc.) e tutta una complessa legislazione: l'assestamento e la ripresa definitiva ebbero un energico impulso sotto il governo fascista, per cui i centri abitati segnano ormai cifre di popolazione più o meno largamente superiori a quelle del 1908.

Bibl.: M. Baratta, La catastrofe sismica calabro-sicula, Roma 1910.