MESSICO

Enciclopedia Italiana (1934)

MESSICO (A. T., 147-148)

Emilio MALESANI
Fabrizio CORTESI
Mario SALFI
Gioacchino SERA
Iliehard DANGEL
Richard DANGEL
Carlo TAGLIAVINI
Pino FORTINI
Gennaro MONDAINI
Giuseppe MOLTENI
Carlo DE ANGELIS
Anna Maria RATTI
Renato BIASUTTI
Guido Valeriano CALLEGARI
Ezequiel A. CHAVEZ
Salvatore BATTAGLIA
Federico E. MARISCAL
Luigi CHATRIAN

Il nome, d'origine nahuatl, fu usato per indicare il territono su cui si estendeva, prima della conquista spagnola, il dominio dei Messicani, la più importante tribù della famiglia nahuatl; fu detto anche País de Anahuac dal nome dato dagli Aztechi alla Valle di Messico ed esteso poi a tutto il loro impero. La grafia spagnola, usata tuttora anche da alcuni enti messicani, è Méjico, ma è sostituita ufficialmente dalla grafia México, più corrispondente all'originale nome nahuatl.

Sommario: La repubblica messicana: Geografia: Estensione e confini (p. 958); Esplorazione (p. 958); Morfologia e geologia (p. 958); Regioni naturali (p. 960); Coste (p. 961); Clima (p. 962); Idrografia (p. 963); Flora e vegetazione (p. 964); Fauna (p. 965); Dati demografici generali (p. 965); Antropologia (p. 965); Etnografia (p. 967); Divisioni politiche e amministrative (p. 968); Distribuzione della popolazione (p. 968); Distribuzione dei centri abitati (p. 969); Condizioni economiche (p. 970); Comunicazioni (p. 975); Commercio (p. 976). - Ordinamento; Ordinamento politico (p. 977); Culti (p. 978); Forze armate (p. 978); Finanze (p. 978); Bibliografia (p. 978).

Il Messico precolombiano: Il problema delle origini (p. 979); Le fonti (p. 981); Cultura materiale (p. 981); Organizzazione sociale e politica (p. 984); Religione (p. 986); Lettere e scienze (p. 988); Arte (p. 989).

Il Messico postcolombiano: Storia: La conquista e il periodo coloniale (p. 992); Il Messico indipendente (p. 995). - Letteratura (p. 998). - Arte (p. 1000).

LA REPUBBLICA MESSICANA

Il Messico (República Mexicana o Estados Unidos Mexicanos) è un grande stato che occupa la sezione meridionale dell'America Settentrionale e si estende anche in parte nell'America Centrale.

Il Messico per superficie (1.969.365 kmq.) è il terzo stato dell'America Latina, dopo il Brasile e l'Argentina; mentre per popolazione assoluta (16.530.771 ab. secondo il censimento del 1930) tiene il secondo posto, superato soltanto dal Brasile. Paese per buona parte tropicale, comprende poco più dell'8% dell'area e il 9,8% della popolazione complessiva dell'America Settentrionale e Centrale; per densità di popolazione (8 ab. al kmq. nel 1930) è al quarto posto tra gli stati del continente, esclusi i raggruppamenti insulari.

geografia.

Estensione e confini. - Compreso fra gli Stati Uniti d'America a settentrione, la repubblica del Guatemala e l'Honduras Britannico a sud-est il Messico si affaccia a oriente al Mediterraneo Americano, tra la foce del Río Grande del Norte (Golfo del Messico) e la foce del Río Hondo (Baia di Chetumal nel Mare delle Antille), e ad ovest è bagnato dal Pacifico tra la Baia di San Diego (California) e la foce del Río Suchiate. Il confine con gli Stati Uniti, definito dal trattato di Guadalupe-Hidalgo del 2 febbraio 1848, al termine della disastrosa guerra nella quale il Messico perdette quasi la metà del suo antico territorio, e dal trattato del 30 dicembre 1853, fu tracciato sul terreno da una commissione internazionale in base alle convenzioni del 1882 e del 1889. Partendo dalla foce del Río Grande del Norte, la linea divisoria risale il fiume sino a Ciudad Juárez, corre quindi a ovest in parte lungo il parallelo 31° 47′ e in parte lungo il 31° 20′ N. fino presso Nogales sul 111° meridiano; dopo Nogales la frontiera in direzione di ONO. raggiunge il Río Colorado risalendone il corso fino alla confluenza del Gila, donde corre alla costa del Pacifico che tocca immediatamente a mezzodì della Baia di San Diego.

Anche più arbitrario è il confine con la repubblica centro-americana del Guatemala, fissato col trattato di Messico del 27 settembre 1882 e con quello successivo del 1895. Partendo dalla costa pacifica la linea divisoria risale il Río Suchiate, quindi segue la direzione indicata dalle vette del Tacaná, del Buenavista e dell'Ixbul, e lungo il parallelo di quest'ultimo va ad incontrare il corso del Río Chixoy, per scendere lungo il Chixoy e il Río Usumacinta fino alla latitudine di 17° 49′. La frontiera con l'Honduras Britannico, fissata dal trattato di Messico dell'8 luglio 1893, è segnata dal Río Hondo, che sfocia nella Baia di Chetumal, e dal suo affluente Arroyo Azul, donde a 17° 49′ N. si unisce al confine del Guatemala.

Astronomicamente il Messico si estende da 14° 30′ 42″ (foce del Suchiate) a 32° 42′ (confluenza del Río Gila col Colorado) di lat. N. e fra 86° 46′ 8″ (isola Mujeres) e 117° 7′ 6″ (Baia di San Diego) di long. O. La maggiore lunghezza tra i due punti estremi è di 2994 km. e la maggiore larghezza di 1226 km. tra la foce del Río Grande del Norte e la foce del Río Fuerte. L'area, secondo il computo ufficiale della Dirección de estudios geográficos y climatológicos (1924) ammonta, come si è già detto, a 1.969.365 kmq.

Esplorazione. - Compiuta verso la metà del sec. XVI la conquista del territorio messicano (v. appresso) e completata così la conoscenza non solo del territorio attuale del Messico, ma anche delle regioni dell'America Centrale e degli Stati Uniti che fecero parte del regno della Nuova Spagna fino al sec. XIX, si può dire che l'attività esploratrice non abbia fatto notevoli progressi durante il lungo dominio spagnolo. L'epoca delle esplorazioni scientifiche s'iniziò nel 1803 quando giunse al Messico Alessandro di Humboldt, il quale con i suoi rilevamenti e le sue osservazioni rigorose portava una luce completamente nuova sul paese; la profonda conoscenza acquistata nei suoi viaggi di esplorazione gli permetteva non solo di elaborare il famoso Saggio Politico, ma anche di dare la prima illustrazione scientifica del Messico e di disegnare una carta generale di grandissimo valore. Sulle orme di lui lavorarono molti altri scienziati europei tra cui H. J. Burkart (1825-1834) che si dedicò in particolare allo studio della geologia, il Muhlenpfordt (1837), C. B. Heller (1845-48), il Nebel (1830-32), I. Stephens (1829-40), ecc. L'attività degli studiosi europei fu fiancheggiata da quella di numerosi Messicani che si mostrarono degni emuli dei primi: nel 1839 si fondava a Messico la Sociedad de geografía y de estadística, i cui lavori portarono alla pubblicazione del grande Atlas.... de la República nejicana, a cura di A. García Cubas (1856), al quale anche dobbiamo una descrizione degli stati messicani (1889), mentre l'Orozco y Berra pubblicava un Diccionario universal de historia y de geografía sobre la República Mexicana (Messico 1853-56). Nella seconda metà del sec. XIX si svolsero i viaggi del De Saussure (1861) e di A. Dolfuss ed E. Montserrat (1862), che studiarono i vulcani del Messico e la morfologia e geologia della regione, nonché le ricerche degli scienziati francesi della Commission scientifique du Mexico, costituitasi a Parigi in occasione della spedizione del 1865-67. Importantissimi poi furono le esplorazioni di F. Ratzel (1871-75), di K. Sapper (1888-900 e anche anni seguenti), di A. Heilprin (1889-90), del Deckert (1884-88-89), dei due Seler (1887-95-902), del Merrill e dell'Eisen, che nel 1883-84 esplorarono la Bassa California, del Millspaug (1895) e del Mercer (1893), che studiarono lo Yucatán, ecc. Continuò anche indefessa l'attività dei Messicani e le ricerche e memorie di carattere geologico, etnologico e antropico pubblicate nella collezione della Sociedad científica A. Alzate hanno un grande valore, come pure vanno segnalate le riviste di alcuni altri istituti scientifici messicani e in particolare i lavori della Dirección de estudios geográficos y climatológicos, la cui opera è consacrata nella pubblicazione del miglior atlante messicano, e di un buon numero di carte generali e particolari, dell'atlante climatologico, ecc.

Si dovrebbe ricordare anche l'attività degli archeologi, ricercatori e illustratori dei monumenti precolombiani del Messico, ma basti dire che tutti questi studiosi hanno contribuito alla conoscenza di regioni e località spesso ancora inesplorate, come nel Chiapas e nel Quintana Roo.

Morfologia e geologia. - Il Messico appare come la continuazione della zona di alte terre che, partendo dall'Alasca, occupano tutto il lato occidentale dell'America Settentrionale e sono note complessivamente col nome di Montagne Rocciose. Il fascio di alte terre, che negli Stati Uniti si estende tra l'Oceano Pacifico e la zona delle Praterie, va man mano restringendosi a sud di Oaxaca, dove l'America Settentrionale viene a saldarsi a quella Centrale in corrispondenza dell'Istmo dì Tehuantepec. Ma politicamente il Messico abbraccia anche i territorî degli stati di Chiapas e di Tabasco e tutta la Penisola dello Yucatán, terre queste appartenenti all'America istmica. Ne consegue la naturale distinzione tra la parte continentale assai sviluppata (1.700.000 kmq.) e la parte meridionale o meglio sud-orientale molto più piccola (250.000 kmq.). Altre regioni minori sono la penisola della bassa California, continuazione meridionale delle note Catene della Costa del territorio degli Stati Uniti, che è costituita da alti e aspri monconi discontinui e da zone tabulari ricoperte da materiali vulcanici e che il Golfo di California divide nettamente dalla massa continentale, e la penisola dello Yucatán, tavolato calcareo di formazione piuttosto recente, appendice articolata della sezione centroamericana del Messico.

La più ampia sezione continentale è costituita, come è noto, da un grande altipiano centrale chiuso a oriente e a occidente da due serie di rilievi, indicati complessivamente con i nomi di Sierra Madre Occidental e Sierra Madre Oriental; al piede esterno di quest'ultima si stende, lungo il Golfo del Messico, una bassa zona costiera che continua verso sud la pianura del Texas e che, larga ancora 300 km. nel Tamaulipas settentrionale, va poi restringendosi fino a misurare appena una ventina di chilometri in corrispondenza di Veracruz. Anche dal lato del Pacifico troviamo una zona pianeggiante notevolmente ampia nel territorio riarso e accidentato della Sonora e del Sinaloa, ma ridotta a brevi tratti di cimosa costiera nel resto del litorale fino al Soconusco. L'altipiano però non presenta esso stesso una formazione uniforme e occorre distinguervi le mesas, del nord e del centro, dalle montagne di Oaxaca scendenti rapidamente a mezzodì sull'istmo di Tehuantepec. Limite tra le due parti può essere considerata la linea segnata dalla profonda e incassata valle del Río Balsas, alla quale corrisponde verso oriente la profonda incisione del Río Papaloapán.

La Sierra Madre Occidental è formata da un fascio di catene grossolanamente parallele che corrono da nord-ovest a sud-est, separate le une dalle altre da lunghi solchi longitudinali e da corte e piofonde valli trasversali, paragonabili ai celebri cañones del Colorado; questo fascio, largo oltre 300 km. a nord, verso mezzodì si restringe quasi in un'unica catena, la Sierra de Nayarit, che si allunga fino al Río Grande de Santiago e più in là fino al 20° parallelo, dove si erge l'imponente gruppo del Nevado e del Volcán de Colima. È una regione corrugata già nell'Eocene, le cui pieghe, formate da terreni arcaici e primarî, furono ricoperte al principio del Terziario e nei periodi successivi da masse di rocce vulcaniche. L'altezza del fascio montagnoso aumenta da N. a S. raggiungendo 1790 m. nel Cerro Álamos (Sonora), 3450 m. nel Cerro de Pimal (Sierra de Nayarit) e 4335 m. nel Nevado de Colima.

Alla latitudine di quest'ultimo picco la Sierra Madre piega a oriente, limitando a mezzodì la sezione meridionale e più elevata dell'altipiano, la cosiddetta Mesa de Anahuac, mentre lungo la costa del Pacifico corre un'altra serie di rilievi che partendo dal Capo Corrientes si estende attraverso i territorî degli stati di Colima, di Guerrero e di Oaxaca fino all'istmo di Tehuantepec. Quest'ultima serie, che sembra raccordarsi attraverso le isole Tre Marie al rilievo della Bassa California, viene indicata nel Messico col nome complessivo di Sierra Madre del Sur, distinta dalla Mesa di Anahuac dalle valli del Balsas e del Papaloapán, come prima si è detto. La Sierra Madre del Sur, costituita in gran parte da rocce arcaiche cristalline, da scisti e da gneiss, si presenta profondamente erosa dai corsi d'acqua che, ringiovaniti da un sollevamento recente, hanno potuto incidervi profonde valli penetranti fin nel cuore della regione sollevata, tanto da essere scambiate in qualche caso con linee di frattura o fosse di origine tettonica, come è avvenuto per la valle del Río Balsas. Il territorio di Oaxaca, così tormentato, mostra chiaramente i segni di questo lungo travaglio. La Sierra del Sur culmina nel Zempoaltepec a 3140 m.

La Sierra Madre Oriental, in complesso meno ampia e meno elevata di quella Occidental, è formata da una serie di pieghe in gran parte discontinue, tra cui si addentrano le valli dei fiumi che scendono al Golfo del Messico. Anche qui le varie sezioni prendono nomi locali diversi (Sierra del Carmen, San Marco, Paila, San Martín, ece.) e i rilievi vanno elevandosi verso sud raggiungendo 3664 m. nella Peña Nevada. Alla latitudine di Tampico il fascio si restringe e si solleva, complicato dall'attività vulcanica, che ha effuso larghi campi di lava ed eretto enormi coni vulcanici, quali il Cofre de Perote (4090 m.) e il Pico de Orizaba (5700 metri), la massima cima di tutto il Messico. Gli è che qui viene ad innestarsi nel fascio di rilievi orientali la grande serie di coni vulcanici che, partendo dal ricordato Volcán de Colima, attraversa la Mesa di Anahuac in direzione di ESE.

Il vulcanismo ha avuto gran parte nella formazione del territorio messicano a partire dall'Eocene, eome risulta dal fatto che rocce effusive (andesiti, rioliti, basalti) s'incontrano in tutto il Messico, ma nei periodi più recenti, dal Pliocene al Quaternario, e nell'epoca storica l'attività vulcanica si è particolarmente concentrata in questa sezione meridionale dell'altipiano, costruendo una serie imponente di coni giganteschi, allineati lungo il cosiddetto asse vulcanico messicano. Si elevano gli apparati vulcanici nella zona assai accidentata che sembra chiudere a mezzodì l'altipiano centrale e a cui i geografi messicani danno varî nomi complessivi (Gran Cordillera volcánica, Arista Meridional de la Mesa, Sistema tarasco - nahua). La serie si inizia a ovest col Volcán de Colima (3860), seguono il Tacintaro (3845), col celeberrimo Jorullo (1320) e il Nevado de Toluca (4578), e poi l'Ajusco (3950), l'Iztaccihuatl (5280) e il Popocatepetl (5450), la "montagna fumante", che domina la conca di Messico, per passare al Malinche (4115), al Cofre de Perote (4281) e infine al Pico de Orizaba (5700), il cui nome nahuatl Citlaltepetl (Cima della Stella) richiama la visione della vetta scintillante di nevi eterne, la quale si può scorgere stagliarsi nel cielo azzurro guardando dalla torrida spiaggia di Veracruz. Più a nord si trovano altri apparati, come il Ceboruco (2200) sulla sinistra del Río Santiago, mentre sulla costa di Veracruz si eleva il cono isolato del Volcán de Tuxtla (1764), e nelle alte terre del Chiapas l'attivissimo Tacaná.

Le eruzioni vulcaniche, sempre numerose anche in epoca storica (sono tuttora attivi il Colima, il Jorullo, il Popocatepetl, l'Orizaba e altri), denotano che questa parte del Measico è tuttora campo di attivissimi movimenti tellurici, cosa provata anche dalla frequenza ed estensione dei fenomeni sismici, particolarmente intensi e disastrosi nella fascia lungo il Pacifico da Manzanillo a Tehuantepec.

Tra le due Sierre Madri si estende l'altipiano che, più elevato verso mezzodì nella Mesa del Centro o di Anahuac (città di Messico m. 2277, Puebla m. 2155, Toluca m. 2680), va gradatamente allargandosi e abbassandosi verso nord (Queretaro m. 1880, Saltillo m. 1598, Chihuahua m. 1400, Ciudad Juárez m. 1150). Il nome di altipiano però non deve ingannare, ché non si tratta già di una elevata regione pianeggiante, ma piuttosto di una serie di ripiani e di bacini a differente altitudine, spesso separati da tronchi di catene correnti da est a ovest, cioè in direzione quasi normale all'andamento generale delle pieghe marginali. La Mesa del Norte, o sezione settentrionale, a clima più arido, costituisce in gran parte una serie di bacini chiusi senza sbocco al mare: vi si distinguono gli elevati plateaux di Zacatecas (2440), di Durango (2000) e di Chihuahua (1400) che si appoggiano alla Cordigliera occidentale e la fascia delle conche (bolsones) in cui finiscono i bacini interni, il cui fondo si abbassa talora al di sotto di 1000 m. La Mesa del Centro, o sezione meridionale, è caratterizzata soprattutto dalla presenza dei grandi apparati vulcanici e dall'estensione dei campi di lava: le conche chiuse vi sono più elevate e più ristrette e sono state quasi tutte conquistate dai fiumi marginali (Río Santiago e Río Pánuco) che, per effetto della maggiore piovosità, hanno potuto più rapidamente allargare il loro bacino nell'interno del paese.

La storia geologica del Messico, allo stato attuale delle conoscenze appare la seguente: lungo il litorale pacifico si trovano degl'isolotti di rocce arcaiche e metamorfiche appartenenti a un antichissimo continente che occupava la parte più occidentale del Messico attuale, e che, corrugato per effetto di movimenti assai antichi e sottoposto a una lunghissima erosione subaerea, come sarebbe dimostrato dai depositi risalenti al Permico e al Triassico di Zacatecas, Sonora, Puebla, Oaxaca e Chiapas, fu in parte sommerso nel periodo dal Giurassico al Terziario, durante il quale si sono formati gli strati sedimentarî che in generale poggiano direttamente sugli strati arcaici; di essi la parte più larga spetta al Cretacico.

Nel Terziario l'azione delle forze tangenziali ha spinto queste masse di depositi contro i terreni arcaici provocandone il corrugamento; le pieghe ad andamento NO. - SE. costituiscono la caratteristica principale del paese e con esse sono in rapporto anche gli allineamenti vulcanici. Il corrugamento del principio del Terziario fu seguito da un moto di sollevamento accompagnato da fratture, che si ripeté successivamente in tutto il Terziario, inframmezzato da periodi di erosione rinnovantisi a ogni nuovo sollevamento. I successivi periodi di sollevamento furono accompagnati da grandi manifestazioni vulcaniche iniziate nell'Eocene e continuate poi fino al periodo attuale, con parossismi ripetuti che portarono dapprima alla luce le grandi masse di andesiti che occupano la metà occidentale del paese, e furono più tardi ricoperte da emissioni di rioliti, diffuse nella sezione settentrionale.

Nei periodi più recenti l'attività vulcanica si ridusse alla parte meridionale dell'altipiano tra il 22° e il 28° di lat. N. sollevando sugli strati del Cretacico i coni maggiori, in gran parte basaltici. Nella parte nord-orientale del paese mancano le formazioni vulcaniche superficiali, ma pare che vi abbiano notevole importanza le masse intrusive.

La storia geologica della parte transistmica è molto diversa e mentre tutto il territorio a nord dell'istmo rimase emerso dalla fine del Cretacico, qui invece devono essere avvenute delle trasgressioni marine postcretaciche durante le quali si sono formati depositi pliocenici, sollevati in tempi assai recenti, fino a più di 2000 m. s. m.

Riassumendo, il suolo messicano risulta formato essenzialmente di tre parti: la più antica, che è la meno estesa, è rappresentata dai massicci di gneiss e di scisti riconosciuti nella parte meridionale verso il Pacifico, cioè nella Sierra Madre del Sur. Segue la serie di formazione sedimentaria che è la più estesa e occupa gran parte dell'altipiano settentrionale, della Sierra Madre Oriental e della sezione meridionale, e comprende depositi delle varie epoche con prevalenza dei depositi del Giurassico e del Cretacico; le formazioni terziarie sono limitate quasi esclusivamente alla penisola dello Yucatán e ai piani costieri del Golfo del Messico, mentre nell'interno dell'altipiano di Chihuahua i depositi quaternarî sembrano di origine lacustre; il Quaternario recente è anche rappresentato lungo la costa atlantica in una breve zona litoranea, e sulle rive del Golfo di California. La terza parte, che ha uno sviluppo quasi uguale alla seconda, è formata dalle rocce vulcaniche (andesiti, sieniti, rioliti, basalti, tufi, lave e ceneri) che coprono tutta la Cordigliera occidentale e le Mese del Centro e di Anahuac, nonché la sezione meridionale della Sierra Madre Oriental; rocce effusive e rocce intrusive postcambriche costituiscono anche l'ossatura della penisola della Bassa California e buona parte del Chiapas.

Regioni naturali. - La costituzione del territorio, la morfologia superficiale risultante dal lungo travaglio delle forze endogene ed esterne, le differenze climatiche inducono a dividere il Messico in varie regioni naturali.

La regione costiera dell'Atlantico comprende dapprima la striscia del Tamaulipas, che tra il Río Bravo e Tuxpán continua la formazione del Texas meridionale con una pianura quasi uniforme, rivestita, nella parte arida del nord, da bosco ceduo e da arbusti spinosi, sostituiti da formazioni vegetali più ricche nella sezione meridionale più umida. Segue la costa di Veracruz, in cui la pianura si restringe moltissimo, ma, per effetto del clima più umido, la vegetazione lussureggiante assume l'aspetto della giungla impenetrabile. Nel Tabasco la pianura, sempre coperta dalla fitta giungla, si va allargando ed è seguita verso l'interno da una striscia di paese ondulato su cui si sviluppa la foresta vergine altrettanto impenetrabile. Infine nella penisola dello Yucatán la pianura raggiunge il massimo sviluppo, ma poiché la penisola è formata di depositi quasi orizzontali di calcari estremamente solubili con imponenti fenomeni carsici, manca la circolazione superficiale, sostituita da una rete di corsi sotterranei e da un caratteristico sviluppo di doline e di inghiottitoi (cenotes). La sezione costiera settentrionale, arida e coperta di bosco ceduo, offre le condizioni ideali per la coltivazione dell'agave sisalana (henequén) da cui dipende la ricchezza dello stato di Yucatán.

La regione costiera del Pacifico ha minore importanza perché è molto più ristretta e soffre di aridità, specie verso N., nelle strette cimose costiere della Bassa California, della Sonora e del Sinaloa.

La regione del versante esterno orientale abbraccia il territorio a gradinate del NE. tra il confine settentrionale e il parallelo di Tampico, nel quale l'erosione superficiale delle rocce più giovani ha causato la formazione di dolci gradini resi anche meno ripidi dalle alluvioni dei fiumi, e in cui, a causa del clima piuttosto arido, la vegetazione è ridotta ad arbusti spinosi (mesquite) e a scarse erbe: comprende anche il versante di Veracruz più arido e scosceso e complicato dalle estese colate laviche e dai grandi coni vulcanici; in esso, grazie al clima più ricco di piogge e più caldo, l'erosione delle acque superficiali diventa più energica, ma il mantello vegetale acquista un enorme sviluppo, onde la scarpata di Veracruz è una delle più ricche regioni agricole del Messico, potendovi crescere, alle diverse altitudini, tanto i prodotti tropicali (canna da zucchero, caffè, tabacco) quanto cereali della zona temperata.

Il versante esterno del Pacifico, in complesso più selvaggio, è formato dai fianchi nudi e profondamente incisi della Cordigliera occidentale che precipita sui brevi piani costieri; nel Sinaloa e nella Sonora il versante è meno ripido e comprende parti più basse e collinose, ma è altrettanto inospitale e di scarso valore economico a causa del clima desertico.

La regione delle alte terre occupa la parte più vasta del territorio messicano e dal punto di vista strutturale si dovrebbe dividere soltanto in due zone, separate dall'istmo di Tehuantepec, e cioè il più vasto altipiano settentrionale, esteso dal confine degli Stati Uniti alla regione di Oaxaca, e le alte terre transistmiche del Chiapas.

Ma il grande altipiano settentrionale non è uniforme e vi si distinguono quattro subregioni: la prima è il deserto della Sonora e della Bassa California, dove la morfologia superficiale è il risultato di un lungo periodo di erosione in clima arido, con brevi pianure senza scolo al mare, limitate da cocuzzuli isolati e da tronconi di catene: la vegetazione, assai scarsa e discontinua, forma delle oasi di erbe o di piante grasse e spinose, separate da larghi tratti desertici. La seconda subregione è quella della Sierra Madre Occidental, formata, come si è detto, da un fascio di catene grossolanamente parallele alla costa del Pacifico, ma i cui fianchi presentano aspetti diversi: quello occidentale ha un pendio molto accentuato e inciso da forre e da gole entro cui le acque precipitano rapidamente in basso, onde i corsi d'acqua, grazie al forte dislivello, sono dotati di una grande forza di erosione e trasportano i detriti fino sulla pianura costiera o dentro il mare, quello orientale invece scende gradualmente verso l'altipiano, e i suoi fiumi, poveri d'acqua e intermittenti, terminano in bbacini chiusi situati a un livello piuttosto elevato, e perciò hanno una velocità minore e una minore capacità erosiva. La vegetazione va dalle distese di erbe e di mesquites dei pendii più bassi e più aridi della parte settentrionale, alle foreste di querce e di pini delle sezioni più piovose.

La terza subregione comprende l'altipiano arido del nord-est, che nella parte occidentale appoggiantesi alla Cordigliera è una regione di montagne a cime tondeggianti, coperte di strati orizzontali, cui s'interpongono larghe pianure meno elevate; la parte orientale invece è caratterizzata da bacini interni chiusi che finiscono in vere conche depresse chiamate bolsones di cui le più note sono quelle di Mapimí. Dovungue cresce una flora desertica di erbe, di cactacee, di yucche e di mesquites, sostituite da piantagioni di cotone dove l'irrigazione artificiale è possibile, come nel Bolsón de Mapimí. Tiene il quarto posto il grande altipiano centrale che, dal punto di vista umano, è la parte più importante del Messico in quanto vi si trovano i migliori terreni agricoli e specialmente la regione dei cereali, nonché i principali giacimenti di metalli preziosi.

Limitato a sud e a est da ripide scarpate, l'altipiano è più elevato verso occidente dove si raccorda alla Sierra Madre, mentre quasi insensibile è il passaggio alla regione arida del nord-est. La morfologia superficiale, assai complessa, presenta accanto a rilievi più antichi, sottoposti a lunghissima erosione subaerea, montagne vulcaniche più giovani e più alte, che in parte almeno coprono e sovrastano le formazioni più antiche. In mezzo a queste montagne si estendono zone meno elevate e pianeggianti, già occupate da laghi ora in via di prosciugamento: famosa particolarmente la conca o Valle di Messico. La vegetazione varia secondo la piovosità e l'altitudine. Le alte pianure interne, povere di piogge, sono coperte di erbe, i bassi pendii delle montagne sono rivestiti di bosco ceduo, mentre abeti e conifere risalgono i fianchi più elevati e meglio esposti fino a 3800-4000 metri; più in alto ancora si estendono prati e il limite delle nevi permanenti si trova a circa 5000 m. Nei versanti più piovosi boschi di alberi decidui precedono quelli di conifere.

Infine le alte terre del Chiapas costituiscono un altipiano di piccole dimensioni largo poco più di 220 km. e con un'altezza massima di 2000 metri; verso sud vi sono pieghe forti e ben marcate, mentre a nord prevalgono montagne con coperture pianeggianti in mezzo a cui si è svolta una notevole attività vulcanica. La vegetazione è formata da foreste di alberi decidui, interrotte da radure erbose che forniscono ricchi pascoli.

Coste. - Le coste messicane, che hanno uno sviluppo di circa 8800 km., di cui 2500 sul Golfo del Messico e il resto sul Grande Oceano, sono in genere basse e sabbiose e sprovviste di porti naturali a E., in complesso alte e con sicuri ancoraggi e magnifiche baie a O.

Le coste del Golfo del Messico cominciano alla foce del Río Grande del Norte, sul cui delta si trova il porto fluviale di Matamoros, accessibile soltanto a piroscafi di piccolo pescaggio e collegato per ferrovia con Monterrey, capitale di Nuevo León. Nel Tamaulipas la costa si svolge bassa e coperta di dune di piccola altezza, separanti dal mare grandi lagune, come quella Madre e di Morales, inaccessibili dal mare. Il primo porto è quello di Tampico, sulla foce del Río Pánuco, le cui rive si prolungano in mare con due moli artificiali, lunghi circa 2 km., limitanti un canale profondo che permette l'accesso al fiume, mantenuto a sua volta navigabile con lavori di dragaggio fino alla confluenza del Río Tamesi. La foce del Pánuco è un porto di grande importanza, il quale, grazie allo sviluppo dell'industria petrolifera che ad esso fa capo, è stato fornito di banchine e di attrezzamento modernissimo ed è così frequentato, che negli anni migliori superò per movimento commerciale lo stesso porto di Veracruz.

Il litorale continua basso e frangiato di lagune dal Capo Rojo fino al porto fluviale di Tuxpán, sbocco di quella regione petrolifera; i lavori del porto progrediscono lentamente perché il suolo è anche più insalubre di quello di Tampico. Tra Tuxpán e Veracruz la costa è bassa e frangiata di piccole isole, ma diventa alta e montuosa tra Punta Delgada e Punta Zempoala.

Vigilato dal vecchio Castello di San Juan de Ulúa, costruito sugli scogli della Gallega, il porto di Veracruz è compreso tra la città e gli scogli della Gallega e di Hornos, collegati alla costa da moli artificiali che limitano il bacino interno, lasciando solo un canale d'ingresso largo 260 metri. La profondità del porto è di circa 11-12 m. e varie gettate facilitano il movimento commerciale, ma molte operazioni devono essere fatte ancora per mezzo di barche e chiatte. Veracruz è il primo porto del Messico, specie per le importazioni, e vi fanno scalo numerose linee regolari di navigazione.

La costa continua verso SE. alternando zone basse e sabbiose con lievi sporgenze rocciose: il porto di Alvarado, nella laguna dello stesso nome, serve soltanto al piccolo cabotaggio. Segue Puerto México, stazione iniziale della linea di Tehuantepec, creato sulla foce del Río Coatzacoalcos, resa navigabile con lavori assai costosi: il porto, che ha visto il suo movimento diminuire dopo l'apertura del Canale di Panamá, attende la ripresa dallo sviluppo dell'industria petrolifera del suo territorio.

Nel litorale del Tabasco, oltre la laguna di Santa Ana, ricordiamo il porto di Frontera sulla foce comune dei fiumi Usumacinta e Grijalva; nel Campeche è la vasta laguna di Términos (68 km. di lunghezza per 40 di larghezza), protetta dall'isola di El Carmen, accessibile a natanti di piccolo pescaggio, e il porto di Campeche, debitore del suo commercio alla congiunzione ferroviaria con lo stato di Yucatán e con Mérida, che gli mandano grosse partite di henequén.

Morfologia del tutto particolare ha la costa dello Yucatán, la quale, tra il porto di Real de Salinas e la laguna di Jalahau, è formata da un lungo cordone litoraneo che limita verso la costa un canale di scarsa ampiezza, usato dalle imbarcazioni indigene, ma il commercio con l'estero e con le altre unità della repubblica è concentrato in Progreso, il porto principale dello Yucatán, porto aperto in cui le navi devono arrestarsi a maggiore o minore distanza dalla costa a seconda del loro pescaggio.

Le coste del Pacifico misurano oltre 6000 km., di cui 3000 circa appartengono alla penisola della Bassa California; vi sono sezioni poco ospitali per l'eccessiva ripidezza dei pendii o per gli scarsi fondali, ma in complesso l'accessibilità dal mare è maggiore e più numerosi sono i buoni porti naturali. Mancano invece le facili comunicazioni con l'altipiano, onde per la vita economica del Messico le coste occidentali hanno avuto sempre un'importanza secondaria. L'apertura della linea ferroviaria del Sud Pacifico, che dalla California americana per Tepic e Guadalajara giunge a Messico, e la grande camionabile da Messico ad Acapulco aumenteranno di certo il movimento dei porti del Pacifico.

La sezione occidentale della costa della Bassa California è costituita da una larga fascia alluvionale con numerose dune costiere e con lagune poco profonde e innaccessibili dal mare: ricordiamo la Baia di Tutti i Santi con le isole omonime, quindi la baia e il porto di San Quintín e la grande Baia Vizcaíno, con le isole Cedros e San Benito, la Baia de Ballenas e quella di Magdalena tutte d'importanza scarsissima; all'estremo sud della penisola la Baia di San José, sbocco di una valle molto fertile. Verso il Golfo di California si apre la grande Baia de La Paz cui si accede dal canale di San Lorenzo; il porto di La Paz mantiene un discreto commercio con i porti di Guaymas e Mazatlán dell'opposta riva continentale. Più a nord Santa Rosalia è lo sbocco delle miniere di rame di Boleo.

A oriente del delta del Colorado troviamo dapprima il litorale della Sonora, fiancheggiato dall'isola di Tiburón e da altre isole minori fino al Capo Haro, dove si apre il porto di Guaymas, il più grande e il più importante del Golfo di California, accessibile a piroscafi di sei metri di pescaggio, sviluppatosi nell'ultimo ventennio per il progresso dell'industria mineraria nel Sonora e per l'apertura della ferrovia del Sud Pacifico. Tra Guaymas e Mazatlán il litorale si presenta ora basso e sabbioso, frangiato di piccole isole e di lagune costiere, ora con promontorî rocciosi che racchiudono alcuni piccoli porti, come quello di Topolobampo, dove finisce un ramo della ferrovia. Ma il porto principale di questa regione, anzi il primo porto messicano sul Pacifico, è quello di Mazatlán (v.), frequentato da numerose navi, specialmente nordamericane.

Verso sud la costa continua bassa e orlata di lagune fino alla foce del Río Grande de Santiago, poco dopo il quale si trova il porto di San Blas, buon riparo naturale. Le isole Tres Marías (María Madre, María Magdalena e María Cleofas) sorgono al largo di San Blas e nella direzione del Capo Corrientes, donde la costa continua montuosa fino al Golfo di Tehuantepec. Numerose sono in questo tratto le insenature profonde che accolgono alcuni buoni porti come quello di Manzanillo, sbocco del Colima, e quello di Acapulco nel Guerrero, scalo, nell'epoca coloniale, delle navi spagnole che mantenevano le relazioni con le isole Filippine, e dove ora giungono i piroscafi di una linea regolare giapponese.

Nel Golfo di Tehuantepec il porto principale è quello di Salina Cruz, stazione della ferrovia transoceanica, ma anch'esso, come la ferrovia, hanno perduto molto del loro valore dopo l'apertura del Canale di Panamá. La costa a SE. dell'istmo e quella del Soconusco si mantengono basse, sabbiose e in parte orlate di lagune e però Puerto Arista e S. Benito hanno solo funzioni di cabotaggio.

Le isole del Messico, tutte di piccola area, sorgono quasi sempre a brevissima distanza dalla costa e, nonostante il loro numero (260), hanno scarsa importanza perché si tratta per lo più d'isolotti, di scogli e di banchi di sabbia emergenti davanti ai litorali. A oriente accenniamo soltanto a quelle vicine alla costa dello Yucatán, come le isole Mujeres e Cancum e la più vasta Cozumel; nel Pacifico ricordiamo le isole Angel de la Guardia e Tiburón nel Golfo di California, il gruppo delle Tres Marías distanti circa 90 km. dalla costa del Nayarit, e più lontano, a oltre 600 km. dalla costa del Colima cui appartengono, le isole Revilla Gigedo (Socorro, S. Benedicto, Clarion) e più lontano ancora l'isola Clipperton, che era pretesa dal Messico e dalla Francia e che un arbitraggio del re d'Italia, del gennaio 1931, aggiudicò alla Francia.

Clima. - Il Messico si estende fra il 14° e il 32° di lat. N., cioè per 9 gradi a sud del tropico del Cancro e quindi entro i limiti della zona torrida, e per 9 gradi a nord del tropico stesso, entro la zona temperata. Ma, se per effetto della latitudine il paese dovrebbe avere un clima tropicale e subtropicale, la notevole altitudine della maggior parte del territorio diminuisce fortemente; e in parte anche annulla, gli effetti della latitudine. E poiché l'altezza sul mare va aumentando man mano che si procede verso sud, cosicché le altezze maggiori corrispondono alla zona più meridionale dell'altipiano, la temperatura media annua varia poco dall'estremo nord, sul confine degli Statì Uniti, all'estremo sud nella conca di Messico; solo nell'inverno la differenza fra il nord e il sud è abbastanza accentuata.

L'influenza del mare d'altra parte si esercita quasi esclusivamente sulle basse terre costiere, giacché le ripide scarpate della sierra arrestano verso l'interno l'azione marina; il mare tuttavia ha grande importanza agli effetti della piovosità. Alla prevalenza dei venti del Golfo deve infatti il Messico la sua fertilità, giacché queste correnti d'aria cariche di vapori, costrette a risalire i pendii esterni delle sierre, non soltanto bagnano abbandantemente i pendii stessi, ma giungono anche a portare una sufficiente piovosità nelle conche e nelle valli dell'altipiano centrale, alimentando una vegetazione sufficiente o rigogliosa anche nella zona del tropico, che sarebbe altrimenti condannata all'aridità.

Al contrario i venti freddi del nord, che attirati dall'area di bassa pressione invernale del Golfo, scendono fino a battere con grande violenza le coste e i versanti di Veracruz, rendono più sensibili le differenze di temperatura tra i mesi estivi e i mesi invernali anche entro la stessa zona tropicale. Occorre ricordare poi l'azione dei temporali tropicali o extratropicali, che alterano spesso l'influenza dei fattori climatici e che, come gli uragani del Mare Caribico, possono investire le parti meridionali del paese recando gravi danni.

Ma, ripetiamo, il fattore prevalente del clima del Messico è l'altitudine; le montagne e gli altipiani trasformano molta parte del paese da regione a clima tropicale a regione a clima veramente temperato, da territorio arido a territorio di piovosità abbondante. In effetto il Messico presenta tutti i tipi di clima, da quello glaciale delle cime più elevate coperte di nevi eterne, a quello equatoriale delle regioni delle palme nei bassopiani costieri del Pacifico e del Golfo. Basta dare uno sguardo alla carta della distribuzione della temperatura per notare l'influenza enorme dell'altitudine. Il gradiente medio verticale della temperatura è di un centigrado ogni 200 m., onde la città di Messico, posta ad oltre 2200 m. s. m., ha una temperatura media annuale e mensile inferiore di circa 10 gradi a quella di Veracruz e di Manzanillo, località situate presso a poco alla stessa latitudine. La voce popolare ha già da lungo tempo distinto queste differenze con le tre espressioni di tierras frías, tierras templadas, e tierras calientes, espressioni certamente elastiche e sui limiti delle quali non vi è preciso accordo né tra i giudizî popolari, né tra gli studiosi, ma che denunciano l'esistenza di zone termiche d'altitudine già segnalate da Humboldt e chiaramente appariscenti a chi risalga per esempio da Veracruz a Messico: tierras calientes sono quelle che hanno una temperatura media annua superiore ai 22°,5, cioè le sezioni costiere pianeggianti e i territorî bassi dell'istmo di Tehuantepec, del Tabasco, di Campeche e dello Yucatán; le tierras templadas abbracciano la maggior parte del paese, cioè tutto l'altipiano e buona parte della Bassa California e la loro temperatura media annua oscilla tra i 15° e i 22°; le tierras frías sono limitate alle regioni montuose più elevate, con una temperatura media annua inferiore ai 15°, a zone cioè piuttosto ristrette che male possono essere rappresentate in una carta d'insieme. Naturalmente anche minore è l'area delle tierras heladas, costituite dalle cime più elevate, alcune delle quali coperte da nevi perpetue come le vette dell'Orizaba, del Popocatepetl, dell'Iztaccihuatl, del Nevado de Colima e poche altre. Sempre nei riguardi della temperatura, si nota che le coste del Pacifico sono più calde di quelle del Golfo, sia perché le acque superficiali di quel mare sono più calde delle acque di questo, sia perché le coste del Golfo sono battute, durante l'inverno, dei venti del nord. Così pure, tanto sulle coste quanto sull'altipiano, il gradiente di diminuzione della temperatura è piccolo procedendo da sud verso nord e ciò nei bassopiani costieri, grazie alla temperatura uniforme delle acque marine e sull'altipiano perché, come si è detto, alla più elevata latitudine corlisponde una minore altitudine. L'efficacia del rilievo però si fa sentire di più nei mesi estivi che in quelli invernali e, confrontando l'andamento delle isoterme nei varî mesi dell'anno, si nota che mentre in tutto il Messico il mese più freddo è quasi sempre il gennaio, il mese più caldo non è sempre il luglio, ma varia da aprile a settembre a seconda delle località, mentre nelle zone a sud del tropico è quasi sempre il maggio.

Si possono distinguere nel Messico varie regioni climatiche, tenendo presente che i tipi di clima caldo prevalgono nelle regioni basse, mentre in quelle elevate dell'altipiano dominano il clima tropicale di montagna e il clima temperato senza stagione fredda.

La regione a tipo equatoriale (clima della Guinea, secondo il De Martonne) comprende nel Messico una zona piuttosto ristretta del Tabasco, corrispondente al bacino dell'Usumacinta ed estendentesi sulla costa del Golfo fino a Puerto México, zona indicata con la lettera A nella cartina. La temperatura media annua è dovunque di 25° o superiore e quella del mese più freddo non discende mai sotto i 21°,8, mentre la piovosità si mantiene superiore ai 2000 mm. e in alcune stazioni raggiunge e supera i 3000 mm. La regione a clima subequatoriale (o sudanese: lettera B) con una stagione secca e con variazioni più accentuate della temperatura, abbraccia la zona dell'istmo di Tehuantepec, gran parte del Chiapas e una parte del Campeche: presenta inoltre lo stesso tipo una piccola sezione del versante orientale dello stato di Veracruz in corrispondenza dei centri di Orizaba e di Córdoba, dove l'esposizione e il rilievo rendono più abbondanti le precipitazioni. Anche qui la temperatura media annua supera i 20°, tranne a Orizaba dove è abbassata dall'altitudine, ma la temperatura del mese più freddo discende al disotto dei 20° nelle sezioni più elevate, mentre rimane superiore lungo le coste. La piovosità varia dai 1100 mm. di Salina Cruz ai 2117 di Córdoba, e dovunque si nota la presenza di una stagione asciutta.

La regione a clima tropicale (o senegalese: lettera C) caratterizzata da un periodo asciutto da 4 a 6 mesi, con precipitazioni inferiori a 1500 mm. e con forti variazioni annuali della temperatura, comprende la maggior parte della penisola dello Yucatán, la pianura costiera del Golfo da Veracruz a Tampico, la valle del Río Las Balsas e tutta la costa Pacifica dal confine meridionale di Guerrero fino a Culiacán. La temperatura media annua si mantiene sui 25°, ma mentre quella del mese più caldo sale a 28°, nel mese più freddo scende a 19° come a Mazatlán e Culiacȧn: la piovosità è dovunque inferiore a 1500 mm. e scende anche a meno di 600 in alcuni punti della costa pacifica.

A nord di Tampico, nella pianura costiera e nel versante esterno della Sierra Madre Oriental, s'incontra un clima di tipo monsonico (D) con un periodo asciutto invernale e uno estivo piovoso, con forti escursioni di temperatura e una piovosità inferiore in generale a 1000 mm.

Sull'altipiano prevale il fattore altitudine, che in unione con il regime delle piogge dà origine a tre tipi diversi di clima tropicale di montagna, corrispondenti alle regioni indicate rispettivamente con le lettere I, H, L. La parte più elevata della Sierra Madre Occidental (I) forma una regione a clima di montagna, eccessivo, con la temperatura del mese più caldo superiore a 20° e quella del mese più freddo che si aggira sui 5°: la temperatura media annua rimane sui 13°, mentre la piovosità non supera di solito i 500 mm. Attorno a questa regione se ne estende un'altra (lettera H) che comprende i due versanti, occidentale e orientale, della Sierra Madre stessa e che possiamo chiamare regione a clima d'altipiano, eccessivo, con variazioni annue di temperatura piuttosto forti e con piovosità quasi sempre inferiore ai 500 mm. La temperatura media di 16° risulta da medie massime di 21° e da medie minime di 8°.

Infine la sezione dell'altipiano meridionale (lettera L) gode pure di un clima subtropicale d'altipiano, ma del tipo Valle di Messico. La temperatura media si aggira sui 15°, e mentre la media del mese più caldo non supera di solito i 20°, quella del mese più freddo non discende al disotto di 12°; la piovosità poi varia dai 900 mm. di Guadalajara ai 340 di Zacatecas, mantenendosi in complesso superiore ai 500 mm. Anche la zona di San Cristóbal nel Chiapas ha un clima analogo.

Nella parte settentrionale dell'altipiano e della costa pacifica, per la estrema scarsezza delle precipitazioni, predomina un clima desertico che nella sezione più vasta può essere considerato steppico (E) mentre nella Bassa California, nella sezione costiera nord-occidentale della Sonora e nel Bolsón de Mapimí si notano le caratteristiche del clima desertico di tipo sahariano (F). Nella prima di queste regioni la temperatura media annua oscilla tra 17° (Saltillo) e 24° (Laredo e Guaymas), l'escursione annua assai sensibile varia da 15° a 20°, e la piovosità passa da un massimo di 500 mm. a un minimo di 200. La regione a clima sahariano ha una temperatura media annua più elevata (23°) con escursioni ugualmente forti, e una piovosità minima, di solito inferiore a 100 mm.

Si distingue da tutte le altre la piccola regione settentrionale della Bassa California, che si apre sul Pacifico da San Quintín al confine, con clima mediterraneo (G) analogo a quello della California americana.

Idrografia. - La struttura del territorio messicano e la disposizione del rilievo, determinano, insieme con il clima, il regime e l'andamento delle acque superficiali che scendono al Golfo del Messico o al Pacifico; i versanti esterni però sono limitati, in quanto le catene montuose corrono in vicinanza delle coste e quindi i fiumi non hanno potuto svilupparsi verso l'interno né hanno un bacino molto esteso; tuttavia, poiché i versanti esterni sono ricchi di precipitazioni, specialmente dalla parte del Golfo, molti di questi corsi d'acqua con le erosioni regressive sono riusciti a penetrare nelle valli interne, catturandone le acque. Anche questi fiumi maggiori però hanno regime torrenziale e profilo precipitoso e soltanto nella breve fascia costiera assumono il carattere di fiumi di pianura e diventano navigabili, per quanto disgraziatamente le barre di foce ostacolino l'accesso dal mare e quindi ne diminuiscano l'importanza economica. Buona parte del territorio interno, però, specialmente nell'altipiano settentrionale, rimane privo di sbocco al mare e costituisce quindi una serie di bacini chiusi che accolgono nelle parti più basse dei laghi generalmente salati.

Nel versante dell'Atlantico o meglio del Golfo del Messico si incontra dapprima il Río Grande del Norte o Río Bravo, che è il fiume più lungo del Messico misurando circa 2800 km., ma al Messico appartiene soltanto il territorio di riva destra, da Ciudad Juárez, dove il fiume si trova ancora a 1150 m. s. m., allo sbocco nel Golfo a valle di Matamoros. In questo tratto riceve l'affluente messicano principale, il Río Conchos, che nasce nella Sierra Madre Occidental e scorre nello stato di Chihuahua: entrambi questi fiumi, attraversando un paese arido e caldo, sono scarsi d'acque e a regime variabile e non servono affatto come vie navigabili, ma sono utilizzati invece per l'irrigazione e per impianti idroelettrici.

Numerosi altri corsi d'acqua attraversano il Tamaulipas, come il San Lorenzo e il San Bernardo e il più importante Río Soto la Marina che, nato nella Sierra Madre Oriental col nome di Río Blanco e ingrossato da varî affluenti, tra cui il Río Victoria che bagna la città di questo nome, capitale dello stato, dopo 600 km. si perde nella Laguna Madre e nella Laguna di Morales, inaccessibili dal mare.

Segue il Río Pánuco, che nasce nella Sierra Madre Oriental col nome di Río Cuautitlán, ma il Río di Tula gli porta ora anche le acque della Valle di Messico, che esso riceve attraverso il canale artificiale di Tequisquiac. Il corso del Panuco, che misura 510 km., si svolge nella regione del Messico più ricca di precipitazioni e quindi il fiume ha sempre acque copiosissime, ma poiché attraversa la catena della Sierra Oriental in gole e forre assai incassate, non è navigabile altro che nel bassopiano costiero dove è ingrossato dal Tamesi e finisce nel Golfo presso Tampico.

Nella costa veracruzana incontriamo pure numerosi fiumi ricchi di acque, anche se brevi di corso, come il Río Tuxpán, il Tecolotlán, il Río de Actopán, il Río Blanco (in parte già utilizzato da impianti idroelettrici) e il maggiore Papaloapán, il cui sistema assai esteso penetra profondamente verso l'interno nella zona montuosa di Puebla e di Oaxaca fin quasi a raggiungere il bacino dei Río Las Balsas. Formato dal Río Salado, che scende dal versante sud-orientale dell'Orizaba, e dal Río Grande, che proviene dal massiccio dello Zempoaltepec, il Papaloapán finisce nella laguna di Alvarado. Segue il Río Coatzacoalcos, il fiume dell'istmo di Tehuantepec, ricco di acque e navigabile a partire da Minatitlán, a 32 km. dalla costa, dove sorge una grande raffineria di petrolio: alla sua foce si trova Puerto México. I fiumi del Tabasco sono il Río Grijalva e il Río Usumacinta che sboccano riuniti in mare e che scendono dalle alte terre del Chiapas e del Guatemala; anche la foce comune di questi due fiumi è stata migliorata con lavori di dragaggio che hanno reso accessibile il porto di Frontera. Nella laguna di Terminos, dello stato di Campeche, sboccano il Río Palizada, il Candelaria e il Mamantel, mentre nello Yucatán le correnti superficiali hanno poca importanza, per la costituzione del suolo della penisola.

Minore importanza hanno in complesso i fiumi del versante del Pacifico, i quali oltre ad avere bacini poco estesi, perché limitati al pendio esterno della Sierra Madre Occidental, sono poveri di acqua perché scorrono in regioni soggette a lunghe stagioni secche. ln conseguenza questi fiumi rimangono selvaggi torrenti che divallano con corsi rapidissimi e molto incassati e con larghi letti ghiaiosi, entro i quali le acque spariscono per varî mesi dell'anno e soltanto presso la foce divengono talora navigabili; quasi tutti nel corso superiore sono però utilizzati per l'irrigazione artificiale. Anche questi fiumi sfociano spesso entro lagune costiere inaccessibili dal mare e, anche quando si aprono sul mare aperto, sono ostacolati da formazioni di barre sabbiose e dal movimento della risacca. Ci limiteremo quindi a ricordarne soltanto alcuni, quali il Río Suchiate, il Tehuantepec, il Papagayo e in particolare il Río Las Balsas, che nasce sull'altipiano meridionale e precisamente nello Stato di Tlaxcala col nome di Atoyac, attraversa lo stato di Puebla, dove le sue acque servono a importanti usi industriali, e quindi entra nello stato di Guerrero, dove viene chiamato Mexcala, e infine sfocia nel Pacifico con due bracci, di cui l'orientale o di Zacatula è navigabile. Il Río Las Balsas, lungo circa 750 km., nel corso medio e inferiore è ricco di acque e possiede tratti navigabili per piccole imbarcazioni e per le zattere degl'Indiani (balsas) e la sua valle di clima caldissimo e umido fornisce ricchi prodotti tropicali.

Altro corso importante per la particolare costituzione del suo bacino è il Río Grande de Santiago, formato di due parti completamente distinte: il Río Lerma, fiume prettamente di altipiano e che un tempo doveva costituire un bacino chiuso, e il Río Santiago, fiume delle pendici occidentali, che ha catturato il Lerma, facendone defluire le acque direttamente al Pacifico. Il Lerma nasce dai Monti de Las Cruces, nello stato di Messico, e scorre nel territorio di Michoacán e di Guanajuato e poi nello stato di Jalisco attraversando una regione assai fertile, il cosiddetto bajío, celebre per la produzione dei cereali; entra poi nel lago Chapala, lungo circa 90 km., con una superficie di 3600 kmq., e una profondità appena di 10 m., donde uscendo col nome di Río Santiago forma le potenti cascate di Junacatlán, il cosiddetto Niagara messicano; s'ingolfa quindi con un grande barranco tra le catene della Sierra Occidental e scorre in forre selvagge e interrotto da numerose cateratte. La sua foce è inaccessibile dal mare, ma dà adito alla sua valle il piccolo porto di San Blas, uno dei più sicuri rifugi della costa pacifica.

In misura anche maggiore sono selvaggi i fiumi che scendono nel Golfo di California, dal Mezquital che taglia la Sierra di Nayarit con un profondo barranco, al Culiacán che bagna la capitale del Sinaloa, al Río Fuerte e allo Yaqui che scendono dalla Sierra Tarahumare e nel loro corso superiore scorrono entro veri e proprî cañones, profondi talora più di 1000 m., per sfociare poi in ampie lagune costiere che essi vanno riempiendo con i loro detriti. Questi ultimi fiumi sono completamente sprovvisti di acque superficiali durante la stagione secca, tuttavia le correnti subalvee del letto ghiaioso vengono utilizzate per il servizio d'irrigazione.

I bacini interni o chiusi comprendono buona parte dell'altipiano, specie negli stati di Chihuahua, di Coahuila e di Durango e vi si suole distinguere la parte NE. formata dai bacini del Casas Grandes, del Santa María e del Río del Carmen, che vanno a perdersi nelle lagune di Guzmal e di Santa María non lontano da Ciudad Juárez, e la parte centrale chiamata conca o Bolsón de Mapimí a cui scendono il Río Aguanaval, che finisce nella laguna Viesca, e il Nazas che si perde nella conca lacustre, in gran parte prosciugata, di Mayrán.

Un altro bacino chiuso è quello dell'altipiano meridionale e comprende la Valle di Messico e i bacini minori del Michoacán, ma si può dire che per effetto dei lavori di prosciugamento la conca di Messico ha perduto il carattere peculiare di bacino chiuso ed è diventata tributaria del Río Pánuco e dell'Atlantico.

Flora e vegetazione. - A. Grisebach nel territorio messicano distingueva, dal punto di vista fitogeografico, tre regioni: 1. la costiera o zona delle tierras calientes; 2. i versanti dell'Atlantico e del Pacifico o zona delle tierras templadas; 3. gli altipiani che costituiscono le tierras frías. Però questa distinzione è troppo schematica e artificiosa, perché in realtà le regioni botaniche sono più di tre ed esse spesso, in talune località, si mescolano, in modo da confondere i loro vegetali caratteristici.

Nella zona costiera o litoranea abbiamo una fascia di dune coperta di densa vegetazione di modeste dimensioni: numerose Graminacee, Asclepiadacee, Euforbiacee (parecchie specie del gen. Croton), Convolvulacee, Leguminose, Poligonacee (Coccoloba), Amarantacee, Acantacee e alcune piante speciali di varie famiglie, quali: Martynia diandra, Priva lamiifolia, Lamourouxia viscosa, Tournefortia elliptica, Eragrostis Vera crucis, Leersia Gouinii, Trachypogon Gouinii. Nella parte interna delle dune vi sono praterie con fitti tappeti di Graminacee, ove sorgono boschetti di Celtis littoranea, mescolata a Jatropha, a un platano (Platanus Liebmanni) molto prossimo al P. occcidentalis, a una specie di Quercus e a palme dei generi Cocos e Iriartea. Nelle lagune del litorale vivono molte piante acquatiche (Potamogeton, Salvinia, Marsilia, Pistia, Azolla, Jussiaeua) e fin nella zona litoranea scendono l'Opuntia tuna e la Baccharis xalapensis, che si trovano anche in altre regioni più elevate del Messico.

La foresta tropicale nella costa orientale si trova molto vicina alla spiaggia, mentre in quella occidentale è più lontana e verso il sud si collega con le foreste umide del Guatemala e del Nicaragua. La foresta è preceduta da una fascia più o meno vasta di arbusti appartenenti alle Lauracee (Nectandra), Verbenacee (Cytarexylon, Clerodendron, Cornutia, Petrea), Euforbiacee (Croton, Jatropha, Phyllantus) frammisti a felci (Chrysodium vulgare, Lygodium Schiedeanum); là dove la foresta si trova a contatto con le lagune vi è una zona di mangrove (Rhizophora, Mangifera, Avicennia nitida e tomentosa).

La foresta è formata da piante nettamente tropicali; alberi per lo più giganteschi con epifite e liane strettamente intrecciate; qui vi sono Leguminose (Inga, Lonchocarpus, Poinciana pulcherrima, Canavalia, Diphysa, Bauhinia, Aeschynomene), Anonacee, Mirtacee, Combretacee, specie dei generi Ficus, Cecropia, Castilloa, Maclura, Achras, Sideroxylon, Bombax, Guaiacum e poi Swietenia mahogany, Haematoxylon Campechianum, H. boreale, Lysiloma candida, Diospyros ebenaster, che forniscono legni per l'ebanisteria e la tintoria. E su questi alberi vi sono epifite e liane appartenenti alle Orchidacee (Vanilla), Bignoniacee, Poligonacee e Verbenacee, specialmente nel versante pacifico.

Allontanandosi dal mare si trova la zona delle savane con Graminacee giganti: Bambusee (Guadua, Chusquea, Merostachys), Panicee (Panicum altissimum e divaricatum; Gymnothryx distachya e tristachya), Rottboelliacee, grandi Ciperacee, Felci arborescenti, Cicadee (Dioon, Ceratozamia), Quercus oleoides, Mimosacee (abbondantissima la Mimosa pudica).

Nella zona temperata si possono distinguere parecchie sottoregioni: qui crescono in gran numero di specie: Felci, Melastomacee, Apocinacee, Rubiacee, Gesneracee, Malvacee, Acantacee, Solanacee, Commelinacee, Nictaginacee, numerose specie di Chamaedorea; molte piante hanno i fiori vivacemente colorati, tanto che la loro indicazione specifica è data dagli attributi splendens, fulgens, ecc., e per alcune di esse sembra che intervengano nell'impollinazione anche i colibrì.

Nella zona temperata inferiore crescono querce a foglie persistenti, in quella superiore invece si trovano quelle a foglie caduche: su queste querce si trovano parassite (Loranthus) ed epifite (Piperacee, Aracee, Orchidacee, Bromeliacee, Begoniacee) e molte rampicanti come Exogonium purga, Ipomoea orizabensis, Apocinacee (Echites), Asclepiadacee (Marsdenia, Gonolobus), Leguminose, Sapindacee.

Vi è poi la regione delle agavi: l'agave è chiamato il maguey e da esso (A. americana, A. atrorubens e altre specie) si ricavano le bevande nazionali pulque e mescal. Queste piante sono spontanee, ad eccezione della specie da cui si ricavano il tequila e il mescal, che è coltivata. Altre agavi (A. lechuguilla, A. lophanta, A. univittata) forniscono fibre per tessuti e cordami. Il numero delle Cactacee è considerevolissimo e vi sono poi le Gigliacee arborescenti dei generi: Yucca, Fourcroya, Dasylirion. In questa zona crescono anche numerose Composte, Vacciniacee, Ericacee, Crassulacee, Onagracee, Terebintacee, ecc., le liane sono rappresentate da Dioscorea, Smilax e Tropaeolum e le epifite da Tillandsia e Phoradendron. Le pendici montuose del Messico centrale e meridionale fino a 1800-4000 m. sono coperte di foreste di querce a foglie caduche e a foglie persistenti con Conifere (Abies religiosa, Pinus liophylla, P. Montezumae), che raggiungono dimensioni gigantesche. Dimensioni colossali raggiunge il Taxodium mucronatum. I cespugli di ginepri continuano fino a 4200 m. e vengono quindi sostituiti da una vegetazione erbacea che a 4800 m. cessa quasi del tutto: i costituenti di tale vegetazione sono genericamente identici a quelli della flora delle regioni elevate dell'Europa centrale, solo le specie sono differenti.

Per la posizione geografica del territorio la flora messicana consta di elementi diversi, in parte provenienti dagli Stati Uniti meridionali, in parte derivati dalla flora delle Antille e dell'America tropicale uniti a un gran numero di specie caratteristiche.

Secondo una statistica, oramai vecchia, di T. Kotschy, su 7000 specie vegetali del Messico circa 5000 sono endemiche.

Fauna. - La fauna messicana, data la posizione geografica del paese, si compone per una parte di elementi della regione sonorana, che si estende, oltre che in tutta la porzione meridionale dell'America Settentrionale, anche nel Messico settentrionale, e per l'altra metà di elementi proprî della sottoregione messicana (della regione neotropica) che include tutta l'America Centrale. Tra le specie della regione sonorana noteremo viventi nel Messico, tra i Mammiferi, il cervo messicano, l'antilope americana, lo scoiattolo della Carolina, alcuni Hamster, i caratteristici Geomidi, alcune specie di topi saltatori, il curioso Romerolagus simile a un coniglio ma privo di coda, che vive ad altezze considerevoli sul Popocatepetl, il puma, alcune specie di Canis e Vulpes, varî toporagni, Chirotteri e fra i Marsupiali il ricercato Opossum. Tra i Mammiferi neotropicali ricorderemo alcune scimmie del gen. Ateles, alcuni pipistrelli del gruppo dei Fillosomatidi, il giaguaro, l'ozelot, il gatto tigrino, varî procioni e martore fra i Carnivori. Inoltre citeremo fra gli Ungulati il pecari, varie specie affini al nostro istrice fra i Rosicanti, alcune specie di Sdentati, fra le quali l'armadillo e il formichiere.

La fauna ornitologica include scarsissime specie proprie della regione, essendo costituita da specie olartiche e neotropicali. I Rettili annoverano l'Heloderma del Messico, un lacertilio che è fornito di ghiandole velenifere sottolinguali, varî Ofidî, oltre a diverse specie di Sauri del gruppo degli alligatori e dei caimani viventi nei fiumi.

Tra gli Anfibî noteremo, fra gli Anuri, rane di grandi dimensioni (Rana mugiens) e il Nototrema del Messico, le cui uova si sviluppano in una tasca dorsale della femmina, e fra gli Urodeli l'Amblystoma mexicanum, la cui larva (Axolotl) è stata considerata per molto tempo come forma adulta e designata col nome di Siredon pisciformis.

Per gl'Invertebrati, i Molluschi terrestri sono molto abbondanti, specie quelli di acqua dolce, ricchi di forme delle famiglie degli Unionidi e Melanidi. Gl'Insetti, molto numerosi, costituiscono una fauna di transizione essendo rappresentati da tipi olartici e quindi affini agli europei e da specie neotropicali. Hanno notevole sviluppo i Coleotteri con molte specie di Longicorni e Scarabeidi, i Lepidotteri e gli Ortotteri, dei quali qualche specie di cavalletta ha abitudini migratorie.

Dati demografici generali. - Secondo il censimento del 15 maggio 1930 la popolazione del Messico è di 16.530.771 ab. con una densità di 8 ab. per kmq., densità superiore a quella dei maggiori stati delle due Americhe, esclusi gli Stati Uniti. E poiché nel 1921 la popolazione era di 14.334.780 ab., nel periodo dal 1921 al 1930 si ebbe un aumento assoluto di circa 2.070.000 individui con un'aliquota percentuale media annua di 1,44 per mille. Nel 1931 gl'Indiani erano 4.620.886 e i Bianchi con i meticci costituivano la massa maggiore con 9.040.590 anime, mentre gli stranieri si calcolavano in 160.000 e altri 140.000 sono denunciati come di origine non accertata. Il contributo dato dalle varie razze alla popolazione complessiva fu valutato assai variamente nelle diverse epoche, come è naturale in un paese a incrocio diffuso, così fortemente che tutta una serie di termini differenti è usata per distinguere i varî prodotti d'incrocio, dal meticcio vero e proprio (figlio di uno spagnolo e di un'indiana), al mulatto (figlio di uno spagnolo e di una negra), al zambo (figlio di un negro e di un'indiana), per arrivare ai 32 incroci tipici rappresentati nelle pitture conservate nel museo del Messico. Pare tuttavia che la proporzione più accettabile sia quella del 15% per i bianchi e i creoli, del 55% per i meticci, e del 30% per gl'indiani.

Sul numero degl'indiani poi la grande discordanza è dovuta particolarmente al fatto che molti di essi usano la lingua spagnola e perciò in alcuni calcoli sono esclusi dal numero delle popolazioni indigene. Infatti secondo il censimento del 1921 i parlanti lo spagnolo erano 10.582.604 (oltre 1.873.900 minori di cinque anni), mentre parlavano lingue indigene soltanto 1.820.844 individui. Nel 1921 vi erano poi 47.991 parlanti lingue straniere e precisamente 14.514 parlavano la lingua cinese, 13.570 parlavano l'inglese, e 5420 l'arabo, per ricordare solo i gruppi maggiori.

Gli stranieri residenti nel Messico nel 1921 erano 194.818, in maggioranza Spagnoli, Cinesi, Guatemaltechi e Americani degli Stati Uniti; gl'Italiani, secondo il censimento degl'Italiani all'estero del 1927, erano 8300, ma appena 2289 secondo i calcoli ufficiali messicani. Scarsissima la popolazione di sangue negro, che entra nel totale per meno dell'1%; si tratta in generale di piccoli nuclei provenienti dalle Antille, che lavorano nelle miniere o nelle piantagioni della zona calda o nei porti di mare.

Lingua ufficiale è lo spagnolo, effettivamente parlato su tutta la vasta area, fatta eccezione degli spazî assai limitati dove l'uso delle lingue indigene domina tuttora.

Censimenti. - ll primo censimento ufficiale nel Messico risale agli anni 1793-94, e fu effettuato dal viceré Revilla Gigedo: il computo diede la cifra di 4.483.529 individui per un territorio che era allora quasi doppio dell'attuale. Il secondo calcolo fu eseguito da Alessandro di Humboldt nel 1804, che valutò la popolazione in 5.837.100 anime, di cui un milione e centomila di bianchi (18% del totale) un milione e un terzo (22%) di meticci e tre milioni e tre quarti di indiani, pari quindi al 60% dell'intera popolazione.

I calcoli successivi segnalarono un continuo aumento della popolazione e nel 1854, dopo la conclusione dell'infausta guerra con gli Stati Uniti, la popolazione ammontava, secondo il Ministero de fomento, a 7.853.400 ab., mentre la direzione generale della statistica nel 1888 la calcolava in 11.490.830 individui. Il primo censimento ufficiale si effettuò nel 1895 e registrò 12.632.427 ab.; il secondo ebbe luogo nel 1900 e diede 13.545.462 con un aumento nel quinquennio. di 913.035 unità; il terzo censimento del 1910 segnalò un ulteriore aumento nel decennio di 1.614.907 anime.

Dall'inchiesta censitaria del 1921, eseguita dopo il periodo molto turbolento succeduto alla caduta del regime Díaz, la popolazione della repubblica risultò di 14.334.780 ab. con una diminuzione di 825.589 individui, ma il censimento del 1930 dimostra la ripresa della curva ascendente della popolazione.

Tralasciando i varî calcoli anteriori al 1895, vediamo che tra il 1895 e il 1930 la popolazione messicana segna un aumento complessivo di 3.771.603 con una quota media annua di poco più di 100.000 individui; accrescimento invero piuttosto scarso, e ben lontano dal ritmo ascendente non solo degli Stati Uniti, ma anche dell'Argentina e del Brasile. Certo nocquero al Messico l'agitata vita politica e le lotte interne spesso degenerate in guerre civili: contribuì alla diminuzione verificatasi tra il 1910 e il 1921 l'epidemia di spagnola che nel 1918-19 mieté gran numero di vite, ma il fenomeno si spiega soprattutto con la mancanza delle forti correnti immigratorie che diedero imponenti contributi agli altri paesi delle due Americhe e l'esistenza invece di una notevole emigrazione di Messicani verso gli Stati Uniti, specie verso la California, l'Arizona, il Nuovo Messico e il Texas. Si calcola infatti che negli Stati Uniti risiedano non meno di un milione e mezzo di Messicani.

Italiani al Messico. - Fra gli stranieri immigrati nel Messico la colonia italiana nel 1927, come si è detto, ammontava a 8300 individui, di cui circa 7000 nel distretto consolare di Messico, che comprende la maggior parte del territorio della repubblica, appena 800 nel distretto consolare di Monterrey, e 500 in quello di Veracruz. I nuclei principali si trovano nella città di Messico e nel Distretto federale, dove funzionano anche numerose scuole e collegi, quasi tutti dei salesiani di Don Bosco, in cui s'insegna la lingua italiana; a Messico esiste anche una scuola della Dante Alighieri, un Fascio italiano, alcune società di beneficenza, e una Camera italiana di commercio. Gl'Italiani sono in maggioranza braccianti, agricoltori (particolarmente notevole la colonia agricola di Chipilo, presso Cholula, nello stato di Puebla, formata da Veneti immigrati nel 1882 e che conta ora un migliaio d'individui), addetti ai commerci e alle industrie, ma non mancano i liberi professionisti, alcuni dei quali in ottima posizione finanziaria.

Antropologia. - L'opera di E. T. Hamy, sull'antropologia del Messico, opera sotto tanti rispetti così notevole, è viziata in buona parte dei suoi risultati dall'accettazione di teorie speciose desunte dalle tradizioni. Vedremo invece che i risultati recenti della linguistica si possono armonizzare bene e possono trovare la loro spiegazione nei risultati della più moderna analisi antropologica. Interessantissimo è poi il compito di vedere quali siano state le realtà antropologiche che determinarono le tre fasi o cicli principali della civiltà messicana: tolteca, chichimeca e azteca, fasi che la critica tende a ripristinare, dopo un periodo di dubbî.

I dati sul vivente, che possediamo per merito di F. Starr, si riferiscono alla parte meridionale del Messico. Siccome però è qusta la più abitata e la più importante, questa limitazione è meno grave di quello che appaia sulle prime, tanto più che altri dati, poco estesi, però, quelli di A. Hrdliěka ci soccorrono per le parti settentrionali. Lo Starr esaminò circa 100 maschi e 25 femmine per ognuno dei seguenti gruppi etnici: Otomi, Tarasco, Tlaxcalteco, Azteco, Mixteco, Triqui, Zapoteco di Mitla, Mixe, Zapoteco di Tehuantepec, Juave, Chontal, Cuicateco, Chinanteco, Chocho, Mazateco, Tepehua, Totonaco, Huaxtec, Maya, Zoque, Tzotzil e Chol.

Purtroppo però fra le misure da lui prese non si trova l'altezza della testa che si è dimostrata un carattere di analisi assai superiore a tutti gli altri; a utilizzare tuttavia questo dato soccorrono i cranî. Anche però per questo riguardo, i dati dello Starr sono indirettamente utili, giacché per il principio della correlazione dei tre diametri dimensionali, nelle forme alte del cranio i diametri sul piano orizzontale (lunghezza e larghezza) non sono uguali nei loro valori assoluti ai diametri omonimi delle forme basse; e precisamente i diametri suddetti nelle prime sono in valore assoluto minori dei diametri omonimi delle seconde, pur avendosi lo stesso indice orizzontale. I dati dello Starr ci permettono così di stabilire che gli Huaxtec e i Maya, pur avendo lo stessa indice orizzontale, (circa 85), hanno, i primi, un cranio relativamente alto, i secondi uno basso. Le differenze infatti nei valori assoluti non si possono attribuire alla statura, essendo i primi più alti dei secondi. I Totonaco che sono geograficamente intercalati fra i due, sulla costa del Golfo del Messico, hanno valori intermedî che indicano mescolanze dei due elementi, fatto questo confermato dall'esame dei cranî. I valori metrici relativi ci permettono anche di sospettare presenza di brachiplati (v. cefalici, indici) nei Chocho. L'esame delle tabelle per gl'indici nasale e facciali ci permette poi di arrivare ad altre conclusioni: le serie più dolicocefaliche non si comportano ugualmente per l'indice nasale e gl'indici facciali. Vi sono cioè dolicocefali con naso più platirrino e con facce basse e dolicocefali con naso meno platirrino, ma pur sempre tale, e facce alte. Per l'indice nasale la totalità delle serie si dispone così: i brachi bassi, alti o misti che siano, hanno i più piccoli valori, spesso di vera leptorinia, vengono poi i dolico a faccia alta, infine i dolico a faccia bassa. Per gl'indici facciali invece le facce più basse sono date dai brachi e da un gruppo dei dolico, essendo l'altro gruppo (a faccia alta) all'estremo opposto. Ciò vuol dire che nei dolico con l'allungarsi della faccia il naso non cresce proporzionalmente in altezza. Questa conclusione è assai importante, come vedremo subito. L'indice di brachischelia e gli altri indici non dànno resultati evidenti, come rileva lo stesso Starr.

Appartengono sicuramente al gruppo dei dolico a faccia bassa i Triqui, gli Tzendal, gli Tzotzil, gli Otomí; all'altro gli Aztechi, i Tarasco e i Tlaxcalteco. Il giudizio sugli altri gruppi più o meno dolicoidi (sotto 80) è assai dubhio. Va notato che nel 1° tipo dolico, il naso, pur essendo ben rilevato alla radice, è piuttosto basso nel dorso, aquilino e largo sulla punta. Nel 2° la radice è più alta e il dorso ben rilevato.

I dati del Hrdlička sugl'Indiani del nord-ovest c soprattutto della Sonora permettono di stabilire un punto assai importante.

Qualunque sia il loro indice cefalico, essi presentano assai spesso una associazione singolare tra facce relativamente alte e nasi relativamente bassi, come indicano le fotografie e i dati numerici.

Alcuni di questi Indiani, anche per l'indice cefalico, si avvicinano al gruppo dolico a faccia alta innanzi detto (Pima, Papago, e in minor misura Yaqui). È perciò in questa direzione che troviamo le affinità col gruppo dolico a faccia alta, che abbiamo visto nei dati dello Starr. I dati craniologici del lavoro del Hamy permettono precisazioni assai più notevoli, realizzabili grazie alla tecnica dell'analisi tridimensionale (v. cefalici, indici) e grazie al fatto che il Hamy dà assai spesso i valori delle tre dimensioni per casi singoli. Un risultato della più grande importanza raggiunto dal Hamy è quello della grande antichità, nella parte meridionale dell'altipiano e specie nel territorio intorno a Messico, di un tipo brachicefalico. I due cranî trovati in buone condizioni nelle sepolture più antiche di Santiago Tlaltelolco, confermano la cosa. Lo stesso fatto dimostrano i cranî meno antichi della stessa località, quello di Belem, quelli di Tuyahualco.

I cranî attribuiti ad antichi Otomí entrano, secondo il Hamy, nella stessa categoria, ma la cosa sembra meno sicura, come del resto non pare sicura la detta attribuzione etnografica. L'analisi tridimensionale permette però di affermare che queste forme predominanti anticamente sull'altipiano erano ortocefaliche. Tale fatto, ben sicuro, fa cadere tutti i ravvicinamenti asseriti dal Hamy con le forme brachicefaliche di territorî prossimi, ravvicinamenti con cui egli cercava di rischiarare la presenza di dette forme sull'altipiano. Così possiamo assolutamente rifiutare che la brachicefalia di certe stirpi sonoriane (Mayo, parte degli Yaqui, ecc.) abbia a che fare con questa, giacché dette stirpi hanno cranio alto; all'opposto la brachicefalia dello Yucatán è anche diversa, perché le serie yucateco e maya sono basse e assai larghe.

I dati del Hamy ci permettono, se non certezze, supposizioni valide anche per altre regioni. Così tre cranî totonachi sono brachiplati perfetti. Il Hamy dice che i Totonaco sono misti; ciò è confermato dai dati dello Starr e possiamo perciò indurre che la popolazione totonaca risulti da una sovrapposizione di forme piuttosto alte alle suddette basse. Un cranio mixteco, brachiorto, con i dati dello Starr, fa supporre che questa popolazione risulti da una mescolanza di dolico alti e brachiorto.

I cranî dei Chichimeco antichi sono degli ipsicefali brachioidi, ma assai vicini alla linea di confine con i dolico. Sono inoltre caratterizzati da indice nasale alto e facciale basso e infine da assenza di prognatismo. La figura a tav. XIV del Hamy permette di stabilire i caratteri dello scheletro nasale che sono interessanti per la comparazione con gli etni viventi. L'apertura nasale non è molto stretta in alto e il ponte è, transversalmente, convesso, in guisa uniforme, mentre nella norma laterale non è molto rilevato, sebbene sempre ben formato. In poche parole la conformazione è quella che abbiamo vista nel tipo dolico a faccia bassa dei gruppi dello Starr. La faccia del Triqui che Starr figura è la faccia che poteva avere il portatore del cranio a tav. XIV del Hamy. Nei Chichimeco attuali il tipo suddetto si fa meno frequente e infine nei cranî appartenenti ai gruppi nahuat (Tepaneco, Cochimilo, Acolhua, Tlaxcalteco e Aztechi) diventa assolutamente prevalente l'altro tipo, che, avendo gli stessi indici del cranio cerebrale, differisce per avere una faccia assai alta e un singolarissimo prognatismo dovuto, a quanto pare, almeno in certa misura, ad una minore sporgenza della regione del rostro (v. fisionomia, XV, p. 488 segg.).

Questo tipo presenta un ponte nasale a sesto acuto, cioè stretto visto di faccia, ma l'altezza del naso è sempre piccola, onde un indice relativamente alto. Questo tipo è ben tappresentato a tav. XXI del Hamy e chiaramente corrisponde al tipo dolico a faccia alta, che abbiamo distinto nel vivente.

I fatti esposti concedono, secondo il Sera, la seguente sistemazione antropologica. Per un periodo, la cui durata non è necessario per il momento di fissare, ma che non fu probabilmente il primo periodo dell'occupazione umana dell'altipiano, questo fu abitato da brachiorto. È assai probabile che questi fossero i portatori della civiltà cosiddetta tolteca. Questa, come è noto, durò fino verso il sec. X d. C. Qualche avvenimento naturale di vasta portata e durata (lunghe siccità nell'altipiano, epidemie, fatti di cui del resto parlano le tradizioni) dovette determinare l'esodo in massa dei brachiorto verso le regioni circostanti. Noi li vediamo nell'attualità appunto in queste sedi per loro secondarie, allo stato puro per gli Huaxtec, di mescolanza presso i Totonaco, i Mixteco, per dir solo di quei gruppi in cui la cosa già risulta più probabile. Il prodursi di spazio libero sull'altipiano, la pressione etnica generata dall'esodo dei brachiorto verso il sud sulle masse dei dolico a faccia bassa che vivevano al sud dell'altipiano spinse questi ultimi, forse attraverso la valle dell'Atoyac (o per valli parallele), sull'altipiano. È in prossimità infatti dello sbocco superiore di questa valle che troviamo i Chichimeco più antichi. Tali supposizioni soltanto possono spiegare il fatto singolare che la fase di civiltà dei Lhichimeco fu contrassegnata, per testimonianze concordi degli storici, dalla presenza di un popolo che almeno nei primi tempi, era completamente selvaggio e incolto. Come avrebbe potuto un tal popolo respingere i civilissimi Tolteco, per quanto decadenti? Ma, deduzione importantisima, noi dobbiamo ammettere anche che l'elemento dolico a faccia bassa, di origine certamente meridionale, dovette arrivare sull'altipiano prima dell'altro dolico a faccia alta, che possiamo senz'altro chiamare nahuat, il quale doveva culminare con l'arrivo degli Aztechi dal nord; non ci potremmo diversamente spiegare come il primo potesse arrivare sull'altipiano quando già questo era occupato dall'elemento nahuat, così superiore culturalmente. Il singolare incuneamento del gruppo linguistico dallo Schmidt chiamato Otomí-Mangue sull'altipiano è spiegato dal fatto che sono proprio i dolico a faccia bassa i portatori del detto linguaggio, onde possiamo chiamarli dolicocefali otomí.

Ma quale è la sistemazione dei gruppi etnici Yucateco e Maya, che abbiamo visto essere dei brachiplati? Per arrivare a una spiegazione dobbiamo ricordare dei fatti analoghi che si riscontrano sulle Ande. In Bolivia i brachiorto non sono i soli abitatori dell'altipiano, ma nelle zone più elevate di esso, sulla Cordigliera Reale, che è come un'altipiano sovrapposto all'altipiano più basso, sono dei brachiplati.

Degli altri brachiplati si riscontrano sul versante atlantico. Ora il Sera suppose che i brachiorto avessero in parte respinto sulla zona di abitato più alto i brachiplati che abitavano primamente l'altipiano e in parte li avessero rigettati sul versante atlantico. Nel Messico non abbiamo dei territorî sopraelevati di grande estensione (tuttavia dei cranî trovati a Tenenepanco, a 4000 metri sul Popocatepetl, sono forse appunto dei brachiplati, ma la ricerca a venire dovrà dare maggiori prove al riguardo), e quindi i brachiplati dovettero essere rigettati nella totalità o quasi sul versante atlantico dove noi li troviamo negli attuali Yucateco e Maya. Questi, secondo il Sera, sarebbero i veri primi abitatori dell'altipiano e i creatori della più antica civiltà messicana (e forse dell'America), la civiltà maya. Si ricordi un ultimo fatto di grande portata antropogeografica, la quale però risulterà in altra sede. Nel Messico anche i brachiplati che nell'America Meridionale presentano caratteri manifesti del primo tipo umano (Tibetoy o Polinesiano) non li presentano affatto. I Maya sono caratterizzati da fisionomie fortemente europeizzanti.

Etnografia. - L'elemento indiano, la cui base economica è formata quasi dappertutto dalla coltivazione del terreno, ha in conseguenza di ciò difeso finora tenacemente la sua esistenza, malgrado la perdita della sua indipendenza politica. Socialmente anzi, gl'indiani hanno ottenuto qualche vantaggio dal movimento di questi ultimi tempi, che aveva per meta la divisione delle grandi proprietà e il miglioramento degli affittuarî e dei piccoli proprietarî.

Specialmente negli stati Sonora, Morelos e Yucatán l'elemento indigeno è assai forte. I gruppi maggiori sono gli Aztechi (v.) e i Maya (v.): questi ultimi abitano un territorio continuo che comprende gran parte del Chiapas e Tabasco e la penisola dello Yucatán; un po' in disparte sono gli Huaxtec a nord di Veracruz e Pánuco (circa 50.000). Gli Aztechi, discendenti degli antichi Messicani, risiedono, in numero di 1.750.000, come piccoli possidenti e contadini, soprattutto negli stati centrali della regione. Mentre presso di loro, facendo astrazione dalla lingua, non si trovano che pochi resti dell'antica civiltà, presso altri popoli che parlano la stessa lingua e si sogliono riunire nel gruppo Nahua (Uto-Aztechi) sussiste ancora molto della cultura antica. Le popolazioni appartenenti a questo gruppo, confinante a nord con le tribù Yuma, occupano il Messico occidentale fino agli stati Zacatecas e Jalisco. I Pima e i Papago risiedono solo in parte su territorio messicano, fra il Río Yaqui e il Río Gila; alle sorgenti del Río Yaqui abitano gli Opata; a sud di questi, nel Sonora e Sinaloa, i Cahita (Yaqui e Maya); nel Durango i Tepehuano; nella Sierra de Chihuahua i Tarahumar; nella Sierra de Nayarit e sul Río de Jesus Maria, i Jalisco e i Cora; nella Sierra Madre (Jalisco del NO.) sul Río Chapalagana stanno gli Huichol. Queste sono tribù di agricoltori che coltivano granturco, meloni, zucche e cotone, oltre a essere cacciatori e pescatori. I campi sono a volte irrigati artificialmente con canali e dighe (Pima); altre volte collocati a forma di terrazze sui pendii (Opata, Tarahumar). I Tarahumar catturano i pesci, a volte anche prosciugando gli stagni. Un cibo molto nutriente è offerto dal succo carnoso di alcune specie di agavi, disseccato in fosse in mezzo a pietre riscaldate (mescal, dall'azteco mescalli). Con la fermentazione della stessa pianta si ricava anche una bevanda inebriante. Il peyotl, un cactus (Anhalonium Williamsii), offre ai Cora, Tarahumar e Huichol un mezzo per cadere in condizioni visionarie; esso ha una parte importante nelle cerimonie e ne sono venute a conoscenza anche molte tribù indiane degli Stati Uniti.

L'abbigliamento di queste tribù ha mutato molto sotto l'influenza spagnola; nell'arte dell'intrecciatura e della ceramica si dànno invece ancora prodotti interessanti. Esse amano molto le gare di corsȧ e in questo sport sono sorprendenti; gl'indiani erano capaci di raggiungere a piedi un cavallo non troppo veloce a cui avevano dato un po' di vantaggio. Le condizioni sociali e religiose sono interessanti e, a volte, ancora molto primitive. I Pima si dividono in due fratrie con 5 sottogruppi e discendenza paterna. Th. Preuss trovò presso i Cora delle nozioni e cerimonie religiose antichissime, che gettano luce anche sulle forme religiose dell'antico Messico, delle quali sono probabilmente i primi gradini. Alla sommità del loro pantheon si erge Ta-tèuari "nostro nonno", il dio del fuoco; presso di lui sono la vecchia madre-terra e Ta-yau "nostro padre", il dio del sole. I Kmaak (Seri) erano fino agli ultimi tempi un piccolo popolo segregato e primitivo sull'isola Tiburón (nel Golfo di California) e su una porzione di continente di fronte a questa nello stato di Sonora. Cacciatori e raccoglitori di frutta, vivevano di animali acquatici, di frutta, di cacti, ecc. e quasi tutto veniva mangiato crudo. Con le loro balse andavano sull'isola Tassne e vi abbattevano in massa i pellicani intenti a covare. Fino a non molti anni fa la tribù era accusata di antropofagia. Sussisteva un severo matriarcato, e il marito non era che un ospite nella capanna, che apparteneva alla moglie. La loro religione è poco conosciuta, il "più antico dei pellicani" estrasse dall'acqua prima l'isola Tassne, poi Tiburón e il resto del mondo. Delle altre tribù, che oggi non esistono più che come resti, e non appartengono né al gruppo Nahua, né ai Maya, sono ancora da menzionare gli Otomí (alta valle del Messico e Tlaxcala), i Pame (Querétaro e Guanaiuato), i Tarasco (Michoacán), i Totonaco (stato di Veracruz intorno al Papantla), gli Zapoteco e Mixteco (stato di Oaxaca), i Mixe-Zoque (istmo di Tehuantepec), i Huave (a est di Tehuantepec), i Chorotegue (e con questi i Chiapaneco in Chiapas, i Mazateco in Oaxaca e i Choch Popoloki in Oaxaca e Puebla). V. anche maya.

Lingue. - Le lingue indigene parlate nel Messico appartengono a numerose famiglie. Il nucleo principale è formato da una ventina di idiomi della grande famiglia Uto-Azteca, partendo dal Pima, al nord della Sonora a settentrione, fino al Pipil, che si estende anche nel Salvador, a sud; seguono poi lingue appartenenti a diversissime famiglie: Maya, con un'altra ventina di idiomi, quasi tutti in tenitorio messicano; Yuma, con due dialetti nella Bassa California; lo Yuma si riunisce all'omonimo della California settentrionale e viene classificato nella famiglia Hoka (v. XVIII, p. 535); Waicuri, che comprendeva due dialetti ora estinti all'estremità settentrionale della Bassa California; Seri, nella Sonora, sul Golfo di California, altro ramo della grande famiglia Hoka; due importanti lingue Apache e Toboso, appartenenti alla famiglia Athabaska (v. V, p. 199); elencheremo poi la famiglia Otomí, che comprende un gran numero di dialetti nel Messico centrale; la famiglia Zapoteca, che comprende parecchie varietà nei confini e nelle vicinanze dello stato di Oaxaca; la famiglia Mixe-Zoque, che scende verso sud anche oltre i confini del Messico; il Tequistlateco, parlato presso l'istmo di Tehuantepec e appartenente pur esso alla famiglia Hoka; la famiglia Totonaca, che comprende parecchi dialetti parlati sulla costa orientale e qualche altra famiglia di minore importanza.

Divisioni politiche e amministrative. - L'attuale divisione politica e amministrativa del Messico è basata sulle costituzioni del 1857 e del 1917, ma in parte almeno deriva dalla vecchia divisione amministrativa del vicereame della Nuova Spagna, le cui intendenze (12) e provincie (3) con la costituzione federale del 4 ottobre 1824 vennero elevate a unità statali del nuovo sistema politico. Più tardi alcuni territorî staccati dalle provincie maggiori formarono nuovi stati. Si giunse così alla divisione attuale in 28 stati, un distretto federale e tre territorî, che costituiscono altrettante unità politiche e amministrative largamente autonome nell'interno del proprio territorio. Gli stati presentano grandissime differenze tanto nella superficie che nella popolazione, risultato questo delle vicende storiche da cui ebbero vita; si passa dai piccolissimi Tlaxcala, Morelos e Colima (rispettivamente 4027 - 4964 - 5205 kmq.) ai grandissimi Sonora e Coahuila (rispettivamente 182.553 e 150.395 kmq.) per finire al Chihuahua con i suoi 245.612 kmq.

E altrettanto varia la popolazione, da poco più di 10.000 abitanti sperduti nel territorio di Quintana Roo, ai 205 mila che vivono fitti nel piccolo Tlaxcala, al milione e un quarto di Veracruz e di Jalisco. Di regola si può rilevare che sono meno estese le unità dell'altipiano meridionale che ospitano la popolazione più densa, mentre sono più vasti gli stati periferici sia dell'altipiano settentrionale sia della costa pacifica e del Messico transistmico, dove però alla maggiore estensione del territorio corrisponde, quasi sempre, un'assai minore densità di popolazione.

Ogni stato poi si divide in un certo numero di municipî i quali, per essere a lor volta il risultato di antiche divisioni amministrative dell'epoca coloniale, sono molto differenti per area e per popolazione. I municipî, nel 1921, in tutto il territorio della repubblica sommavano a 2135, comprendenti 62.981 villaggi o centri minori.

Distribuzione della popolazione. - La popolazione del Messico è ripartita in maniera assai disuguale nel vasto territorio e la densità media di 8 abitanti per kmq. è il risultato di densità assai differenti che vanno da quella piuttosto alta degli stati di Tlaxcala e di Messico (rispettivamente 51 e 46,2) a quella piccolissima di Campeche e di Sonora (1,6 e 1,7), e dei territorî della Bassa California (0,6) e del Quintana Roo (0,2).

E differenze sensibilissime si notano anche nell'interno dei singoli stati tra località vicinissime: così negli stati settentrionali aridi, piccole zone dove è possibile l'irrigazione, mostrano una densità di 100 ab. per kmq., mentre sezioni adiacenti, di terreno ugualmente fertile ma privo d'acqua, sono spopolate: così negli stati costieri caldi e umidi accanto a zone praticamente disabitate perché estremamente insalubri, si trovano sezioni in pendio e quindi provviste di una buona rete di drenaggio che accolgono nuclei considerevoli di popolazione.

La tabella unita riporta i dati relativi alle singole unità federali e alle città capitali di stato, quali risultano dai censimenti dell'ottobre 1910, del 30 novembre 1921 e del 15 maggio 1930; si avverte però che le cifre dei tre censimenti non sono sempre confrontabili perché, specialmente tra il 1910 e il 1921, si sono verificati dei mutamenti nella superficie delle singole unità considerate, onde gli aumenti o le diminuzioni accusati dalle successive inchieste censitarie non sempre corrispondono a movimenti effettivi della popolazione. Nell'analisi dei risultati dei censimenti si può anzitutto distinguere la popolazione rurale da quella urbana; e facilmente si rileva che la distribuzione della popolazione rurale dipende largamente dalla piovosità, dall'altitudine e dalla forma del rilievo, cioè dalle condizioni che influiscono particolarmente sull'agricoltura. Infatti la popolazione rurale appare molto più densa (fino a più di 50 ab. per kmq.) nella regione meridionale dell'altipiano centrale e in particolare attorno a Puebla, nelle conche di Messico e di Toluca, attorno a Morelia, a Querétaro e nella zona del bajío. Attorno a questi nuclei di più fitta popolazione rurale si allarga una zona che si estende alla parte più elevata dello stato di Veracruz, alla sezione settentrionale di Puebla, a parte del Morelos e di Michoacán, a tutto lo stato di Messico, e a gran parte dei territorî di Hidalgo, Querétaro, Guanajuato, zona che possiede una popolazione rurale da 20 a 40 ab. per kmq. Tutti i territorî ricordati occupano invero la parte meridionale dell'altipiano, dove si trovano conche abbastanza estese di terreni pianeggianti e molto fertili e in cui la piovosità è sufficiente o agevole è l'irrigazione, mentre la temperatura a causa dell'altitudine è propizia alla vita umana.

Segue una zona più ampia, che, circondando la precedente, comprende il rimanente territorio degli stati prima ricordati nonché parte di Guerrero, di Jalisco, di Aguascalientes, di Zacatecas, e S. Luis Potogí, e nella quale la popolazione rurale varia da 10 a 20 ab. per kmq.; anche in questa zona la piovosità, minore e più irregolare, consente un certo sviluppo all'agricoltura: densità analoghe presentano alcune zone isolate, e cioè il territorio attorno e a nord della città di Monterrey, la regione della città di Oaxaca, la sezione attorno a San Cristóbal nel Chiapas e la provincia di Mérida nello Yucatán, zone in cui particolari condizioni di piovosità e di terreno determinano peculiari tipi di coltivazione.

Invece nella sezione settentrionale dell'altipiano, dove la piovosità è del tutto insufficiente e l'agricoltura permanente è possibile soltanto in piccole oasi favorite per la loro esposizione ai venti marini o per trovarsi lungo corsi d'acqua, la densità della popolazione rurale scende a meno di 10 ab. per kmq., anzi nella Bassa California, nella parte nordovest della Sonora e nelle zone settentrionali di Chihuahua e di Coahuila, dove la mancanza quasi assoluta di piogge restringe l'attività agricola all'allevamento del bestiame, la popolazione rurale è inferiore a un abitante per kmq. La stessa bassissima densità si riscontra anche nei territorî meridionali dell'Istmo di Tehuantepec, in gran parte del Tabasco, del Campeche, e del Chiapas e in tutto il Quintana Roo, come pure nei bassipiani costieri di Veracruz e della costa del Pacifico, ma in questi territori la scarsità della popolazione dipende dal clima equatoriale eccessivamente caldo e umido e quindi insalubre, e dalla lussureggiante vegetazione che rende estremamente difficile lo sviluppo dei prodotti coltivati.

Distribuzione dei centri abitati. - Anche la distribuzione dei centri abitati principali concorda quasi completamente con quella della popolazione rurale, il che dipende essenzialmente dal fatto che la maggioranza delle città sono sorte e cresciute come mercati di scambio per la circostante popolazione agricola. Per la stessa ragione le grandi città, con popolazione superiore a 100 mila abitanti, sono assai scarse (appena tre nel 1910), mentre sono assai numerosi i centri abitati con poche migliaia di abitanti; è curioso anzi notare che se si considerano città tutti i centri con più di duemila abitanti, la popolazione urbana raggiunge nel Messico una percentuale superiore a quella degli Stati Uniti. Anche questo dipende dalla funzione di mercato agricolo cui si è accennato. Fanno eccezione le città prevalentemente minerarie che traggono ragione di vita dalla presenza dei giacimenti minerarî come Real del Monte, Pachuca, alcuni centri dello Zacatecas e di S. Luis Potosí, ecc.

In complesso tanto le città maggiori come quelle minori sono concentrate nella sezione sud-orientale dell'altipiano. Una zona di forma ovale, la cui larghezza maggiore va da Guadalajara a S. Luis Potosí, mentre l'asse più lungo si estende dalle città suddette fino a Oaxaca, comprende la parte del Messico dove le città sono più numerose. Questa zona coincide con quella della più densa popolazione rurale, onde, sebbene essa abbracci poco più di un sesto dell'area della repubblica, raccoglie più di ⅔ del numero totale delle città e quasi ⅔ della popolazione complessiva.

Di città con più di centomila abitanti, secondo il censimento del 1921, oltre alla città di Messico, non c'era che Guadalajara, perché Puebla, che figurava con più di 100.000 abitanti nel 1910, aveva appena 95.000 ab. nel 1921. Più numerose le città con oltre cinquantamila abitanti che erano Puebla, Monterrey, Mérida e S. Luis Potosí, tra le capitali di stato e Tampico (64.227), Tacubaya (57.775, ora incorporata a Messico), Veracruz (54.300) e Torreón (50.902) tra le altre. Contavano da 25 a 50 mila abitanti dieci città capitali di stato, e altri tre municipî (Orizaba, Mazatlán, Celaya). Secondo il censimento del 1930 si può dire che le città con più di 100 mila abitanti sono risalite a tre (Guadalajara, Monterrey e Puebla) mentre la capitale ha superato il milione.

Le città (considerando come tali i centri con più di 2 mila abitanti, giacché questi presentano le caratteristiche della vita cittadina), si possono riunire in gruppi, di cui i più numerosi si trovano sull'altipiano meridionale, quali il gruppo di Città di Messico, di Puebla, di Toluca, di El Oro, di Pachuca, di Guanajuato, di Michoacán, di Jalisco e di S. Luis Potosí, ecc. Nella sezione settentrionale arida i gruppi di città si trovano disposti lungo i corsi dei fiumi, come il gruppo del Río Conchos e dei suoi affluenti, con a capo la città di Chihuahua, e il gruppo di Laguna sulle rive del Nazas e dell'Aguanaval con a capo Torreón, mentre sono essenzialmente minerarî i gruppi di Monclova, di Santa Bárbara e Parral (Zacatecas), di Catorce, ecc. Nella Sonora e nel Sinaloa invece non si trovano gruppi di città, ma agglomerati urbani isolati (Hermosillo, Guaymas, Culiacán, ecc.) e così pure sulla costa orientale, dove Veracruz, Tampico e Tuxpán vivono del commercio d'importazione e d'esportazione, mentre all'intorno il territorio caldo, umido e insalubre è praticamente disabitato.

Condizioni economiche. - La varietà e la ricchezza delle risorse naturali sono enormi, ma ancora lungo è il cammino che il paese deve percorrere per metterle pienamente in valore.

Agricoltura. - L'agricoltura costituisce la base principale della vita dei Messicani e in essa trova impiego il maggior numero di lavoratori. Secondo il censimento del 1910 erano addetti all'agricoltura 3.570.000 lavoratori, di fronte a 96.000 occupati nelle miniere, a 634.000 impiegati nelle piccole e grandi industrie, a 54.000 addetti ai trasporti e a 275.000 che esercitavano il commercio. Nel 1921 poi, su un totale di 5.535.275 lavoratori, ben 3.485.292 erano occupati nell'agricoltura, cioè il 63% della popolazione attiva. E l'importanza dell'agricoltura apparirà anche maggiore qualora si consideri il valore dei prodotti agricoli. Che se le esportazioni del Messico dipendono anche ora in grandissima parte dalla produzione mineraria, all'esportazione di prodotti minerarî non corrisponde affatto l'importazione di generi alimentari, la quale di solito è di poca entità e si limita a sopperire alle eventuali deficienze dei prodotti annuali. L'enorme maggioranza della popolazione messicana trova quindi la sua base di vita nell'agricoltura; di qui anche l'importanza del problema agricolo nel Messico.

La straordinaria varietà dei climi e la composizione dei terreni altrettanto molteplice, ma in complesso assai favorevole allo sviluppo delle specie vegetali, consentono al Messico di produrre un'infinita varietà di vegetali e di ospitare tutte le specie di animali domestici che servono all'uomo. Purtroppo queste possibilità sono ostacolate dall'eccessiva pendenza di molti terreni, specie nei versanti esterni, e dall'andamento delle precipitazioni, le quali, concentrate, in quasi tutto il paese, in una stagione piovosa piuttosto breve, sono spesso insufficienti ai bisogni agricoli e per di più soggette di anno in anno a variazioni eccessive. Di qui la necessità dell'irrigazione artificiale, che già nel periodo anteriore alla conquista spagnola, e durante l'epoca coloniale, impose la costruzione di pozzi e di canali. Importanti progressi in tale campo si fecero sotto il governo Díaz, e più ancora nell'ultimo decennio, mercé le facilitazioni concesse a tali imprese e, in particolare, grazie agl'impianti eseguiti direttamente dal governo federale o dai governi dei singoli stati; di questi impianti, che in generale servono tanto per l'irrigazione quanto per la produzione di energia idroelettrica e che sono costruiti a cura della Commissione nazionale d'irrigazione, ricordiamo quelli di Santa Gertrudis in Tamaulipas, di Dom Martín sul Río Salado, il grande bacino di Tepuxtepec (Michoacán) su disegni dell'italiano Omodeo, capace di 5 milioni di mc., che provvede all'irrigazione di 50 mila ettari e alla produzione di 60 mila HP; un canale di derivazione del Río Conchos presso Ciudad Camargo, la grande diga Calles sul Río Santiago, i lavori sul Río Verde, ecc.

Contemporaneamente sono stati affrontati dal governo gli altri gravi problemi connessi con l'agricoltura. E prima di tutto il problema del latifondo e della proprietà terriera che economicamente e politicamente è il più grave. Già il presidente Benito Juárez aveva tentato di creare la piccola proprietà agricola con l'alienazione dei beni ecclesiastici e con la divisione dei possessi delle comunità indigene (ejidos). Ma i provvedimenti del Juárez non sortirono l'effetto voluto e il latifondo continuò a regnare, tanto che nel 1910 esistevano in tutto il Messico appena 69.549 aziende rurali, di cui 56.825 (cioè quasi l'82%) erano latifondi, in parte proprietà di stranieri (Spagnoli, Francesi, Inglesi e Nordamericani). Né maggior sviluppo poté avere la riforma agraria del presidente Madero, se ancora nel 1923 la quarta parte delle terre di proprietà privata era posseduta da appena 114 proprietarî. Con ritmo più celere e con maggiore fermezza si operò negli ultimi anni, ricostituendo cioè i beni delle comunità indigene anche là dove per effetto della riforma Juárez erano stati smembrati e aumentando il numero dei piccoli proprietarî con l'applicazione della legge del 1923, secondo la quale ogni cittadino messicano che abbia superato l'età di 18 anni può ottenere un lotto di terreno purché si obblighi a coltivarlo e a non venderlo.

La Comisión Nacional Agraria nominata in base agli articoli 27 e 123 della costituzione 1917, procedette dal 1921 al 1927 alla distribuzione di oltre 3 milioni di ettari di terreno assegnati a circa 295 mila coltivatori (campesinos) capi di famiglia, mentre in base alla legge sulla ricostituzione degli ejidos erano stati espropriati e assegnati alle comunità indigene fino al 1927 quasi 4 milioni di ettari; contemporaneamente si cerca con ogni mezzo di diffondere fra i cittadini i metodi moderni di coltivazione elevando la coltura dei peones con l'impianto di scuole e di campi sperimentali modello, con la distribuzione di sementi selezionate, e incoraggiando la sostituzione degli antichi aratri di legno con aratri di ferro, e l'introduzione di macchine agricole in genere concedendo prestiti di favore. Indice del progresso compiuto in tale campo si può considerare il fatto che nel 1925 furono comperati negli Stati Uniti macchine e strumenti agricoli per il valore di pesos 4.178.000 di fronte a pesos 843.742 spesi allo stesso scopo nel 1909.

La superficie delle terre coltivate, esclusi i maggesi, secondo i dati ufficiali comunicati all'Istituto internazionale di agricoltura era nel 1929 di ha. 5.130.000, cioè occupava appena il 2,6% della superficie totale. Per quanto si calcoli che nelle condizioni attuali ben il 70% del territorio messicano non possa essere coltivato (per la costituzione e la morfologia dei terreni e specialmente per la mancanza di piogge sufficienti e l'impossibilità dell'irrigazione), tuttavia la percentuale delle terre poste a regolare coltura è ben inferiore alla disponibilità.

Della superficie coltivata la parte maggiore spetta ai cereali e in particolare al mais che insieme con i fagioli costituisce la base dell'alimentazione delle classi più numerose della popolazione. La coltura del mais si estende su circa tre milioni di ettari con oscillazioni annuali dovute alla variabilità delle stagioni: si coltiva tanto nelle terre basse tropicali quanto nelle zone più elevate.

Molto apprezzati sono i raccolti della Valle di Messico, della Conca di Toluca e dello stato di Querétaro, ma la regione del bajío fornisce le quantità maggiori e le qualità più pregiate. La media della produzione del mais fu di 33 milioni di quintali nel quadriennio 1909-13 con una produzione di 8,5 quintali per ettaro; la media del quadriennio 1927-30 discese fino a 18 milioni di quintali con un reddito di appena 7 q. per ettaro. La diminuzione del rendimento unitario va connessa in parte con l'azione del governo, mirante a sciogliere gl'indiani dal lavoro coatto, cui prima erano praticamente sottoposti; e in parte è dovuta alle condizioni climatiche particolarmente ostili di alcuni degli ultimi anni. Alle deficienze dei raccolti si dovette provvedere con l'importazione (793.000 quintali nel 1930).

Il frumento e gli altri cereali introdotti dagli Europei crescono soltanto nelle tierras templadas, onde nei territorî compresi entro il tropico si trovano nelle regioni più elevate, da 1500 a 3200 m. s. m. mentre più a nord si abbassa il limite inferiore. La coltura del frumento ha il suo centro principale nell'altipiano, dove entra in rotazione col mais. La superficie coltivata a frumento, che era in media di ha. 785.950 nell'ultimo quinquennio prebellico, si ridusse a un media annua di ha. 514.000 nel quadriennio 1927-30, ma la produzione media annua rimase quasi eguale, essendo rispettivamente di q. 3.005.670 e di q. 3.109.000. Alla produzione complessiva del 1923 (quintali 3.700.000) contribuirono il Guanajuato con q. 800.000 (più di 1/5 del totale) e con q. 500.000 ciascuno i tre stati di Sonora, Michoacán, Chihuahua, seguiti a distanza da Messico, Jalisco e Coahuila.

Il riso (sup. coltivata ha. 42.100 in media nel quadriennio 1927-1930; produzione media annua nello stesso periodo q. 767 mila, reddito medio q. 18,3) cresce nelle terre basse e caldo-umide delle zone costiere; si coltiva pure in alcuni distretti di Coahuila, di Messico, di Puebla e Morelos.

Molto più estesa è la coltivazione dei legumi, specie dei fagioli, praticata in tutti i terreni e a qualunque altitudine: notevole poi la produzione dei ceci (garbanzo) di cui si esporta una forte quantità nella Spagna, a Cuba e negli Stati Uniti (338.000 q. nel 1924).

Tra i prodotti tropicali il primo posto spetta alla canna da zucchero, introdotta dagli Spagnoli, e la cui coltivazione si pratica nelle zone basse e piovose delle pianure costiere del Golfo e del Pacifico, ma anche nei distretti di media altezza di Jalisco, Puebla, Michoacán e Morelos. Occupò in media annualmente ha. 87.600 nel quadriennio 1927-30 e diede un prodotto annuo medio di quasi 40 milioni di quintali di canna (q. 451 per ha.); la canna viene lavorata in numerosi zuccherifici, alcuni piuttosto arretrati, altri con impianti modernissimi, e lo zucchero prodotto superò in media nel periodo citato i 2 milioni di quintali, forniti specie da Veracruz, Sinaloa, Puebla, Jalisco, ecc. L'esportazione fu assai scarsa.

Ricordiamo infine il cacao, pianta indigena coltivata dagli indioi specialmente per proprio uso; il caffè, che ebbe notevole importanza nell'ultimo periodo coloniale e che decaduto poi, è ora in promettente sviluppo, specie nei versanti montuosi verso il Golfo (Veracruz) e verso il Pacifico (Colima e Chiapas); il tabacco, diffuso già nei tempi precolombiani, il cui prodotto migliore è fornito dagli Stati di Veracruz, di Chiapas, Nayarit e Jalisco; il caucciù, estratto dalla Castilloa elastica che cresce nei terreni caldo-umidi di Veracruz, Tabasco e Chiapas, e dalla guayaule diffusa allo stato selvaggio nei terreni calcarei della Sierra Occidental.

Fra le colture industriali, oltre il tabacco, sono andate prendendo sempre maggiore importanza quelle del cotone e dell'henequén (Agave sisalana). Il cotone, che aveva avuto larga diffusione nei tempi anteriori alla conquista spagnola, specie nelle pianure costiere, ha trovato ora il suo habitat migliore nei bacini chiusi dell'altipiano settentrionale, nelle zone pianeggianti depresse (bolsones) dove, con l'aiuto dell'irrigazione si svilupparono grandi piantagioni di cotone, che forniscono un prodotto a fibra lunga particolarmente pregiato. I terreni migliori sono quelli della regione di Laguna, sui confini degli stati di Durango e di Coahuila, specie attorno a Torreón, ora città di 40 mila abitanti, mentre era un villaggio di poche case ancora nel 1890. Altri distretti cotonieri notevoli (a parte quello minore di Matamoros) si trovano nella valle inferiore del Colorado e nella Bassa California, che fornisconn quasi il 35% del cotone messicano. Essi si sono sviluppati per iniziativa di cittadini nordamericani e sono infatti la prosecuzione nel territorio del Messico dei distretti cotonieri della California.

L'henequén o sisal viene coltivato anche negli stati di Campeche e Chiapas, ma il suo habitat preferito lo ha nello Yucatán, dove il clima soggetto a periodiche siccità e la natura del terreno, calcareo poroso, offrono alla pianta condizioni ideali di vita: si aggiunga che la posizione presso la costa marittima e la vicinanza dei porti di Campeche e di Progreso, facilitando l'esportazione delle fibre, hanno dato grande impulso a tale coltura, sviluppatasi esclusivamente per iniziativa degli attivi abitanti di Mérida e del suo distretto. Il prodotto annuo, che è nella massima parte esportato, raggiunge la somma di q. 1.500.000, rappresentante un valore di 40 milioni di pesos.

Molte altre piante a fibre tessili crescono specialmente sull'altipiano, ma non sono sfruttate in modo razionale e nessuna è coltivata tranne l'ixtle, o fibra di Tampico, oggetto di coltura negli stati di Coahuila, di S. Luis Potosí e di Oaxaca: la produzione, che ha raggiunto la cifra di 120 mila tonnellate annue, viene quasi tutta esportata negli Stati Uniti e in Germania.

Menzione speciale merita l'agave da pulque o maguey, che viene coltivata specialmente negli Stati di Hidalgo, Tlaxcala, Messico e nel Distretto Federale, da cui si estrae l'aguamiel che dopo breve fermentazione diventa il pulque, bevanda nazionale consumata in quantità enormi: nel 1923 si produssero oltre tre milioni di ettolitri forniti per quasi metà dallo stato di Hidalgo, e per un quarto ciascuno da Messico e Tlaxcala.

Notevole poi è la produzione di frutta (in parte esportate, come le banane e gli ananas di Veracruz e del Tabasco), di piante oleaginose come il sesamo, le arachidi, le palme da cocco ecc.

L'entità dei prodotti agricoli principali, secondo le statistiche ufficiali, risulta dalla tabella qui unita (in tonnellate).

Il valore medio annuale della produzione agricola nell'ultimo quinquennio (1927-32) fu di pesos 550 milioni.

Allevamento del bestiame. - Gli animali domestici, che mancavano del tutto nel Messico precolombiano, vi furono introdotti dagli Spagnoli e crebbero così rapidamente nel nuovo paese che l'allevamento divenne una delle occupazioni favorite dei Messicani. Anche adesso questo ramo di attività è quasi completamente nelle loro mani, tranne per alcune grosse aziende del territorio settentrionale, che provvedono all'esportazione dei loro prodotti negli Stati Uniti e sono di proprietà di capitalisti americani e inglesi. Notevole il patrimonio zootecnico che però subì ingenti perdite durante i disordini politici e le guerre civili, posteriori al 1910; anche in questo campo la ricostruzione procede rapida e continua. Comunque il Messico provvede non solo ai bisogni interni, ma può alimentare anche una discreta esportazione, diretta specialmente a Cuba e agli Stati Uniti.

Nel 1923 gli stati più ricchi di bovini erano Jalisco, Veracruz e Michoacán che avevano circa 200 mila capi ciascuno; Jalísco e Tamaulipas avevano il maggior numero assoluto di cavalli (70 migliaia di capi), mentre S. Luis Potosí possedeva più muli (76 mila). Il maggior numero di ovini apparteneva allo Zacatecas (560 mila pecore e 360 mila capre) cui seguivano Coahuila, Guanajuato, Nuevo León e Tamaulipas. Il valore medio annuo della produzione animale per l'ultimo quinquennio è 150 milioni di pesos.

Foreste. - Ingente è certo il patrimonio forestale del Messico che comprende le foreste calde umide delle tierras calientes, specie di Veracruz e del Tabasco, quelle di piante della zona temperata delle regioni dell'altipiano e anche i boschi di conifere sui pendii più elevati. La mancanza di mezzi di comunicazione ha impedito finora la messa in valore di tali ricchezze, mentre, nelle località più fittamente abitate, lo sfruttamento fu fatto in modo del tutto irrazionale, giungendo alla completa distruzione di molti boschi. Così anche nel Messico esiste un problema forestale analogo a quello dei vecchi paesi d'Europa, e si è sentita la necessità della creazione di un vero e proprio corpo forestale, per l'applicazione della legge forestale del 1926. L'opera del corpo forestale potrà portare utili grandissimi, dato che dell'intero patrimonio forestale, valutato pari a 20 milioni di ettari, sarebbero finora sfruttati appena un milione e mezzo di ettari. I territorî più ricchi di foreste sono quelli di Quintana Roo e di Tabasco nelle regioni caldo-umide, e i versanti esterni delle sierre, dove la piovosità è più abbondante. La produzione forestale che comprende la raccolta di legni preziosi (ebano, legno rosa, mogano, querce, pini, cipressi) e di piante tintorie, tanniche e aromatiche (legno di campeggio, legno del Brasile, indaco, copale, vaniglia, ecc.) si calcola abbia raggiunto nell'ultimo quinquennio un valore annuo di 52 milioni di pesos.

Minerali. - Più importante, almeno nei riguardi delle esportazioni, è la ricchezza mineraria del Messico, che fornì sempre quantità enormi di metalli preziosi e in particolare d'argento. Nel secolo passato, per causa dei disordini interni, il lavoro delle miniere fu trascurato e la produzione annua diminuì, ma in seguito alle leggi minerarie del 1887 e del 1892 che permisero l'intervento d'imprese straniere, la produzione dei metalli preziosi riprese con ritmo ascendente e non solo furono sfruttati nuovi giacimenti, ma furono riattivate anche molte vecchie miniere, grazie all'introduzione di nuovi metodi più progrediti e razionali.

Si nota però uno spostamento dei centri minerarî verso nord-ovest, e mentre nel periodo coloniale il centro della lavorazione delle miniere si trovava negli stati di Guanajuato, Hidalgo, Messico, Puebla, S. Luis Potosí, ecc., nei tempi più recenti a capo della produzione troviamo la Sonora, il Chihuahua, il Nayarit, la Bassa California, il Durango e il Sinaloa, ecc.

Tra i minerali tiene sempre il primo posto l'argento, di cui il Messico è il maggior produttore del globo, sorpassando notevolmente gli Stati Uniti. La produzione messicana, che era di kg. 2.023.418 nel 1905, salì nel 1924 a kg. 2.844.104 e a kg. 3.386.359 nel 1929, ma discese a kg. 2.155.613 nel 1932. L'argento si trova in grandi quantità in tutto il Messico nord-occidentale e centrale e particolarmente famosi sono i meravigliosi filoni della Veta Madre di Guanajuato e della Veta Grande di Zacatecas. Il primo posto fra gli stati produttori d'argento spetta all'Hidalgo, in specie ai municipî di Pachuca e di Real del Monte, segue il Chihuahua con le miniere di Santa Bárbara, Santa Eulalia e Hidalgo del Parral.

Notevole è anche la produzione dell'oro che si aggira attorno alla media di 20 mila kg. annui, onde al Messico spetta il 4° posto dopo l'Africa meridionale, gli Stati Uniti e il Canada. L'oro, che proviene specialmente da rocce quarzifere e da depositi alluvionali, ma più spesso si trova in compagnia dell'argento, del rame e di altri metalli, è prodotto dallo stato di Messico, dove si trova il celebre distretto di El Oro, dall'Hidalgo, dove l'oro si estrae unitamente all'argento, dal Michoacán e dal Chihuahua.

Segue per importanza il rame, fornito per la maggior parte dalla Sonora (distretti di Cananea e di Pilaras) e dalla Bassa California (miniere di Boleo) e dallo Zacatecas, con una produzione media nel quinquennio 1927-31 di 60 mila tonnellate annue, ridotte a 35 mila tonn. nel 1932.

Anche il piombo e lo zinco hanno visto crescere la loro produzione nell'ultimo quinquennio con una media rispettiva di 160 mila e di 245 mila tonnellate, ma lo zinco nel 1932 decadde a 57 mila e il piombo a 137 mila tonnellate.

L'industria del ferro e dell'acciaio è andata gradualmente sviluppandosi negli ultimi anni, specie grazie alla Sociedad fundidora de hierro y acero di Monterrey, che lavora il ferro tratto dal Cerro del Mercado, poco lontano dalla città di Durango (enorme massa di ematite di altissimo tenore), e che nel 1929 produsse 60 mila tonn. di ghisa, 100 mila tonn. di acciaio e 84 mila tonn. di trafilati.

Alla produzione dei più importanti metalli contribuiscono imprese e capitali stranieri, specie nordamericani e inglesi come appare dal seguente specchio che riporta i dati percentuali per il 1924:

In complesso, il Messico ha il primato nella produzione mondiale dell'argento, il 4° posto in quella dell'oro, il 6° posto per il rame e il 2° posto per il piombo e lo zinco.

L'andamento dclla produzione messicana dei metalli più importanti nel quinquennio 1928-32, secondo i dati ufficiali del Dipartimento di statistica risulta il seguente (in tonnellate):

Nell'ultimo ventennio si sviluppò rapidamente l'industria del petrolio che ora fornisce il principale articolo d'esportazione. La storia delle ricerche e dello sfruttamento dei depositi di petrolio si connette con quella dell'industria mondiale e specialmente con l'intervento nel Messico delle grandi compagnie quali la Standard Oil Co. e la Royal Dutch-Shell. Le ricerche del petrolio erano cominciate fino dal 1868, quando i petrolieri del Texas cercarono di allargare il loro campo lungo la costa messicana e il primo petrolio messicano si ottenne nel Campo de Furbero nella zona tra Veracruz e Tuxpán, ma soltanto nel 1901 la produzione cominciò ad assumere proporzioni notevoli quando la scoperta di importanti giacimenti a El Ébano, presso Tampico, diede inizio a un più intenso e attivo periodo di ricerche. Si costituirono numerose società con capitali essenzialmente nordamericani e inglesi e si perforarono pozzi non solo a Tampico, ma in tutta la valle inferiore del Río Pánuco e poi nella zona dell'istmo di Tehuantepec. Nel 1911 il Messico produceva 12.532.798 barili di petrolio, raggiungendo il terzo posto dopo gli Stati Uniti e la Russia, e nel 1921 con 193 milioni di barili superava la Russia. Dopo il 1921 la produzione diminuì in seguito al contrasto sorto tra le maggiori compagnie (filiazioni dei trust mondiali) e il governo messicano, il quale con la costituzione del 1917 aveva proclamato che anche il petrolio, come le altre ricchezze minerarie, era di proprietà dello stato e aveva affermato quindi il proprio diritto a regolare e controllare la produzione anche nelle concessioni precedentemente fatte.

I terreni petroliferi messicani attualmente sfruttati comprendono: a) la zona del Río Pánuco (Tampico) con i centri di El Ébano, El Limón, Cacalicao, Salinas, Caracol, Pánuco, ecc.; b) la zona tra Don Bocas e Tuxpán che comprende tra gli altri centri la famosa Faja de oro, celebre per l'eccezionale produzione dei suoi pozzi; c) la zona dell'istmo di Tehuantepec dove agisee specialmente la compagnia El Aquila, filiazione della Royal Dutch; d) la zona Tabasco-Chiapas con i centri, ancora in fase di ricerca, di Sarlat, Palenque, Caimba, Belem, ecc.

I terreni petroliferi sfruttati non superano i 6000 ettari, mentre, in base agli studî compiuti, almeno un milione e mezzo di ettari sono classificati come depositi di petrolio e ben 60 milioni di ettari sono considerati come probabili terreni petroliferi. Dal 1901 a tutto il 1932 la produzione complessiva fu di barili 1.665.261.179 così ripartiti:

Industria. - L'industria messicana di tipo moderno, è in complesso, ai primi passi. Continuano a sussistere alcune delle vecchie industrie artigiane che provvedono non soltanto ai bisogni indigeni, ma funzionano anche nei centri maggiori fabbricando molti oggetti di uso generale come cordami di ogni genere, stuoie, ventagli, panieri, terraglie, selle, cappelli, stoffe tessute a mano, ecc.

La grande industria con metodi e macchinarî moderni ha cominciato a svilupparsi negli ultimi 40 anni, grazie alla forte protezione doganale e ai capitali stranieri. Nuocciono però allo sviluppo dell'industria la deficienza delle comunicazioni, il costo dei trasporti e il fatto che i giacimenti di carbone sono eccentrici, lontani quasi sempre dai giacimenti dei minerali metallici e dai maggiori centri dell'altipiano, dove le industrie sono sorte. Alla deficienza di carbone si cercò dapprima di rimediare con l'energia idrica, onde le industrie sono sorte specialmente nelle regioni dove i fiumi possono fornire la forza motrice, come nella zona di Puebla, oppure dove è facile alimentare gl'impianti con il carbone importato dall'estero, come nella zona di Veracruz. In tempi più recenti però, gl'impianti idroelettrici e il trasporto a distanza della forza elettrica hanno permesso di utilizzare l'energia dei fiumi anche in località sprovviste di corsi permanenti, mentre lo sviluppo della rete ferroviaria e lo sfruttamento dei giacimenti carboniferi del Coahuila consentono di alimentare con carbone nazionale meno costoso numerose centrali termo-elettriche.

Secondo i dati forniti dal Dipartimento di statistica, la capacità totale delle centrali elettriehe già installate nel 1931 ascende, in cifra tonda, a 500 mila HP., di cui 300 mila forniti dagl'impianti idroelettrici e il resto ottenuta con centrali termiche; di solito di capacità piuttosto ridotta queste, mentre quelli sono spesso assai forti, come l'impianto di Necaxa che coi suoi 60 mila kW. serve all'illuminazione e alle industrie della capitale. Mancano ancora ricerche metodiche intorno alla potenzialità idroelettrica del paese, ma si crede che esso possa fornire più di 10 milioni di HP., dei quali gl'impianti eseguiti entro il 1930 rappresentano appena il 4,2%. Anche l'energia termoelettrica si può ottenere in quantità molto maggiore, date le disponibilità dei giacimenti carboniferi del nordest e le enormi risorse petrolifere. Disgraziatamente, tanto l'energia idrica delle cascate naturali, quanto i combustibili fossili, si trovano lontani dalle regioni più abitate dell'altipiano meridionale, ma i grandi lavori d'irrigazione potranno fornire anche ivi notevoli quantità d'energia idroelettrica.

Per ora sono più sviluppate le industrie dei filati e tessuti di cotone, che nel 1925 possedevano 266 stabilimenti e impiegavano 40.300 operai. I centri tessili più importanti sono: il Distretto federale, che nel 1924 disponeva di 107.257 fusi e 3172 telai, lo stato di Tlaxcala con 323.320 fusi e 1377 telai, lo stato di Puebla con 236.572 fusi e 9320 telai, e Veracruz con circa 160.000 fusi e 6400 telai.

L'industria della lana nel 1924 contava 32 fabbriche con circa 6000 operai, e anche in questa il primo posto spetta all'industria laniera del Distretto federale, cui seguono il Guanajuato e l'Hidalgo.

Notevole sviluppo presentano l'industria molitoria, la fabbricazione della birra, che possiede impianti modernissimi nella capitale, a Toluca, a Monterrey e a Orizaba, la industria del ferro e dell'acciaio, già ricordata, che ha il suo centro principale a Monterrey, mentre numerose fonderie per la lavorazione dei minerali metallici si trovano in vicinanza dei varî distretti minerarî e stabilimenti meccanici sorgono nelle città maggiori.

La lavorazione del tabacco è diffusa in tutti gli stati, ma le manifatture più importanti sono a Puebla, a Veracruz e specialmente nella capitale, dove la fabbrica di "El buen tono", impiantata da un francese, è uno degli stabilimenti più grandi del mondo per la fabbricazione meccanica delle sigarette. Si debbono ricordare anche una fabbrica di dinamite a Gómez Palacio, presso Torreón; l'industria della carta con un grande stabilimento a San Rafael, presso il lago Texcoco, e 7 altri impianti minori, le concerie, la fabbricazione di calzature, le vetrerie, di cui una modernissima a Monterrey, ecc.

Mancano dati statistici completi perché la produzione industriale fu oggetto di rilevamenti statistici soltanto dopo il 1926; pertanto ecco le cifre del 1927 e del 1930.

Comunicazioni. - La conformazione del terreno rende estremamente difficili le comunicazioni tra le pianure costiere e l'altipiano e ancora più quelle tra i due mari, onde viene annullata quasi completamente la funzione d'intermediario tra i paesi dell'America Atlantica e quelli dell'America Pacifica e dell'Asia, cui per la sua posizione il Messico dovrebbe essere chiamato. La stessa linea ferroviaria interoceanica tra Puerto México e Salina Cruz, l'unica ferrovia transcontinentale messicana, ha avuto una funzione puramente transitoria ed è in piena decadenza dopo l'apertura del canale di Panamá. Più facile è invece il traffico nel senso dei meridiani e specialmente quello tra la Mesa Central e gli Stati Uniti, mentre meno agevoli sono le comunicazioni verso mezzodì, sia dalla Mesa di Anahuac all'altipiano di Oaxaca, sia con le alte terre del Chiapas e il Guatemala al di là dell'istmo. Isolate poi sono tuttora le penisole della Bassa California e dello Yucatán, nettamente separata la prima dal Golfo di California e mal raggiungibile attraverso la valle semidesertica del basso Colorado; altrettanto isolata la seconda dal Golfo di Campeggio (Campeche) e dalle grandi foreste impenetrabili del Tabasco; le comunicazioni con questi due territorî esterni si svolgono soltanto per via marittima o per via aerea.

Grave è il problema delle comunicazioni nel Messico, ma come dallo sviluppo della rete ferroviaria dipese il parziale progresso dell'economia messicana dell'ultimo cinquantennio, così l'ulteriore sviluppo delle reti stradali, ora in costruzione, faciliterà il futuro ascendere del paese.

All'epoca della conquista, gli Spagnoli non trovarono che sentieri per pedoni, perché, data l'assoluta mancanza di animali da soma e da traino, il traffico si svolgeva soltanto con trasporti a spalla d'uomo, sistema ancora in uso nelle regioni a prevalente popolazione indiana e anche nelle zone più impervie sprovviste perfino di mulattiere, come nel Chiapas e nella Sierra Occidental. Con l'introduzione degli animali da soma e da traino s'iniziò la costruzione di strade, e furono famose quella che passando per Xalapa univa Veracruz con Messico e quella da Messico ad Acapulco. Purtroppo la costruzione delle ferrovie (la prima linea da Messico a Veracroz fu inaugurata nel 1873) fece cadere in abbandono le strade ordinarie che divennero semplici strade vicinali spesso intransitabili ai carri durante alcuni mesi dell'anno; solo negli ultimi tempi lo sviluppo dei mezzi automobilistici ha posto veramente in primo piano il problema delle strade ordinarie. Il governo ha creato una Comisión nacional de caminos incaricata di costruire e conservare le strade impiegando a questo scopo il reddito dell'imposta sulla benzina, e i lavori, cominciati soltanto nel 1925, procedono con grande alacrità. II piano approvato comprende anzitutto sei grandi linee, le quali partendo dalla capitale giungeranno alle frontiere, e precisamente una da Messico a Tijuana nella Bassa California, un'altra che deve raggiungere Ciudad Juárez (El Paso) e una terza Laredo. Inoltre una grande linea porterà al territorio del Chiapas e al Guatemala, mentre due altre strade servono a unire la capitale con la costa del Pacifico e con quella dell'Atlantico.

Si tratta di costruire 16.400 km. di strade ordinarie e di esse nel 1932 è stata ultimata già una terza parte che comprende la strada automobilistica dalla capitale a Laredo, tronco della grande strada panamericana, quella da Messico ad Acapulco (470 km.), quella da Messico a Oaxaca e da Messico a Pachuca, capitale dello stato di Hidalgo; sono state poi trasformate in vie automobilistiche le vecchie strade da Messico a Veracruz per Xalapa e per Orizaba. Il traffico automobilistico va sempre più aumentando come viene dimostrato dal numero delle macchine in circolazione, passate da 53 mila nel 1925 a 87.665 nel 1930.

La rete ferroviaria, in gran parte costruita sotto il regime Díaz, è andata successivamente accrescendosi e misura attualmente 39.375 km., distribuiti in modo da riunire le principali città dell'interno fra di loro e con i porti di grande traffico, nonché con gli stati confinanti. Le linee costituiscono due reti distinte: la prima e maggiore è quella del Messico continentale e ha come suo centro la capitale: la seconda è la rete dello Yucatán ancora non collegata con la precedente. La rete maggiore comprende le grandi linee che uniscono il Messico con gli Stati Uniti e precisamente la linea Città di Messico-Laredo che passa per Querétaro, S. Luis Potosí, Saltillo e Monterrey; la linea Città di Messico-Ciudad Juárez che passa per Aguascalientes, Zacatecas, Torreón e Chihuahua; e la Sud Pacifico da Messico a Nogales che passa per Guadalajara, Tepic, Mazatlán, Culiacán, Guaymas e Hermosillo. Un'altra linea, che parte pure dalla capitale, passando per Orizaba raggiunge la ferrovia transoceanica dell'istmo di Tehuantepec e da Juchitán continua verso sud, attraversando lo stato di Chiapas e íl Soconusco, fino alla frontiera del Guatemala, sul Río Suchiate. Meno sviluppate le linee trasversali, nessuna delle quali mette direttamente in comunicazione la costa del Golfo con quella del Pacifico, tranne la ricordata ferrovia interoceanica dell'istmo, e ciò per gli ostacoli quasi insormontabili opposti dalla Sierra Madre Occidental: le ferrovie trasversali si limitano quindi a collegare le alte terre del centro con i porti della costa del Golfo. Monterrey è collegata verso est con Matamoros e verso ovest con Durango, attraverso Saltillo e Torreón; Monterrey è anche collegata con Tampico, il grande porto del petrolio, che a sua volta è unito direttamente con S. Luis Potosí e Aguascalientes; il compimento della Guadalajara-Tepic della Sud Pacifico permette il collegamento di Veracruz con Mazatlán.

La rete dello Yucatán ha per suo centro Mérida e serve a unire le zone di produzione dell'henequén con i porti di Progreso e di Campeche.

Assai sviluppate sono anche la rete telegrafica, che comprende oltre 38 mila km. di linee, e la rete telefonica che unisce le varie città con la capitale, collegata poi direttamente con Washington. Le comunicazioni radiotelegrafiche sono assicurate da alcune stazioni principali e da altre minori.

Poca importanza invece ha la navigazione sui fiumi, limitata ai brevi corsi inferiori: esistono servizî regolari sul Río Pánuco sul Coatzacoalcos, sul Grijalba, sull'Usumacinta, ecc.

Numerose le comunicazioni marittime, ma mentre quelle tra i varî porti del paese sono assicurate da due compagnie messicane, le linee dirette con i porti dell'America Settentrionale, dell'America Centrale e Meridionale nonché con l'Europa sono mantenute dalle grandi compagnie inglesi, nord-americane, tedesche, francesi e spanole: anche l'Italia ha una linea esercita dalla Compagnia Libera Triestina; una comunicazione diretta con l'Asia è assicurata da una compagnia giapponese.

Commercio. - Il commercio del Messico, che durante il primo cinquantennio d'indipendenza era stato assai scarso, cominciò a svilupparsi rapidamente verso la fine del secolo passato, grazie al progresso della produzione mineraria e agricola e specialmente al miglioramento dei mezzi di trasporto, cioè alla costruzione delle ferrovie che permisero il rinnovamento di tutti i rami delle attività e aprirono al traffico territorî fino allora chiusi. L'evoluzione fu quanto mai rapida, tanto che dai 50 milioni di pesos che rappresentavano il complesso delle importazioni ed esportazioni nell'anno fiscale 1874-75, si passò ai 450 milioni di pesos, media del commercio complessivo nel triennio dal 1904-5 al 1906-7. Il progresso continuò anche negli anni successivi e nell'anno fiscale terminato il 30 giugno 1912 si raggiunse la somma di 480 milioni di pesos: in quell'anno le importazioni furono di 182 milioni e le esportazioni rappresentarono un valore di 297 milioni con un saldo favorevole di 115 milioni di pesos. Poi, a causa dei disordini interni e della guerra mondiale, il commercio segnò un notevole regresso, ma la ripresa, a guerra finita, fu rapida e continua, grazie particolarmente all'enorme produzione di petrolio, divenuto il primo articolo di esportazione. Nel quinquennio 1927-1931, secondo i dati statistici ufficiali, il commercio estero fu il seguente:

Il saldo della bilancia commerciale a favore del Messico si mantiene costante pur essendo soggetto a variazioni dipendenti dell'andamento della produzione; negli ultimi due anni considerati e specie nel 1931, si fece sentire anche per il Messico la crisi mondiale e la conseguente caduta dei prezzi, specie delle materie prime.

L'analisi dei dati relativi all'anno 1929, ultimo anno normale, ci mostra la composizione del commercio messicano. Per quanto riguarda le importazioni, tra i prodotti animali il primo posto spetta ai grassi di maiale e di altri animali (15 milioni di pesos), cui seguono carni fresche e conservate (4,6 milioni), pelli e cuoi (2,4), uova (1,2), ecc. Fra i prodotti vegetali si notano gli olî vegetali (4,6), il frumento e cereali varî (11), i vini e liquori (3,9), le frutta fresche e secche (2), i prodotti di gomma (8,5). Degli articoli tessili ricordiamo i tessuti di cotone, di lana, di lino e di iuta per 16 milioni, i tessuti di seta e di seta artificiale (7,1); i filati, i cucirini e fili ritorti (9,2), i ricami ecc. (2,2), il vestiario (2,1), ecc.

La somma più forte (57 milioni) è dovuta all'importazione di macchinarî per l'agricoltura e l'industria che il Messico non può ancora produrre; gli autoveicoli rappresentano la cifra di 26,1 milioni e 2,1 il materiale ferroviario. Dei prodotti minerali notiamo i materiali di ferro e acciaio (33,5 milioni), il rame e i materiali di rame (8), il petrolio e derivati (12,9), l'alluminio (1,6). Infine dei prodotti industriali varî 11,5 milioni sono di carta e 5,4 di armi e munizioni.

I principali articoli di esportazione, per lo stesso 1929, furono: tra i prodotti animali il bestiame vivo (7 milioni di pesos), le pelli (6) e il pesce fresco e salato (2,6); fra i prodotti vegetali, il caffè (32 milioni), l'henequén (32), il cotone (15), il chicle, che serve per la gomma da masticare (10), i pomidori (9,8), i ceci (6,5), le frutta fresche e secche (8,4), l'ixtle (7), i legnami (5,5), ecc. Molto più importanti sono i prodotti minerarî che fornivano oltre il 71% della esportazione totale. L'esportazione dei minerali era poi formata quasi completamente (97%) di argento (93 milioni), rame (88), petrolio (87), piombo (84) e zinco (60).

La percentuale spettante al petrolio era stata molto maggiore negli anni 1919-22, quando il petrolio e i suoi derivati fornivano il 75% del totale, e ancora nel 1925, su una esportazione complessiva di 682 milioni di pesos, il petrolio contava per 292 milioni. La diminuzione è collegata all'opposizione fatta dalle compagnie concessionarie straniere contro le nuove leggi, ma la diminuita esportazione del petrolio è in parte compensata dall'aumento degli altri minerali.

Il Messico mantiene scambî commerciali con molti stati del mondo, ma la prevalenza assoluta spetta agli Stati Uniti, favoriti dalla posizione geografica e dalla continuità del territorio che permette al traffico di svolgersi comodamente tanto per via terrestre quanto per via marittima. La penetrazione degli Stati Uniti è aiutata poi dal grande numero delle imprese minerarie, industriali e agricole sostenute da capitali in prevalenza americani; a rendere più larga la partecipazione nordamericana nel traffico messicano Contribuì il periodo bellico che eliminò gli scambî con l'Europa.

Nel 1929 gli Stati Uniti fornivano il 69% del valore delle merci d'importazione (264 milioni di pesos) e assorbivano il 62% delle esportazioni messicane, per un valore di 370 milioni di pesos. Seguivano a grandissima distanza la Gran Bretagna, con 26 milioni all'importazione e 61 milioni all'esportazione, pari rispettivamente al 7% e al 12%, la Germania che fornisce l'8% delle merci importate (31 milioni) e assorbe il 7,6% delle esportazioni (44 milioni). L'Italia veniva al decimo posto, vendendo al Messico merci per un valore di pesos 3.479.000 e comprando merci per 2,3 milioni. Nel 1931 l'Italia passò al settimo posto con la somma rispettiva di 2,1 e di 2,4 milioni di pesos.

Il movimento commerciale si effettua per la massima parte attraverso ai porti del Golfo e alla frontiera settentrionale, mentre assai deboli sono gli scambî col Guatemala e con l'Honduras Britannico e il movimento dei porti della costa pacifica. Già nel 1904-1905 i porti atlantici comprendevano il 61,2% del commercio totale di fronte al 5,4% dei porti pacifici, e gli scambî attraverso alla frontiera settentrionale rappresentavano il 32,7% del totale di fronte allo 0,6% passato per la frontiera meridionale. Vent'anni dopo, nel 1924, le proporzioni erano di poco mutate: i porti atlantici continuavano a tenere l'assoluto predominio concentrando circa il 70% del traffico totale; al primo posto veniva Tampico che, grazie all'esportazione del petrolio, aveva superato Veracruz, con 74,6 milioni di pesos di merci importate e 429 di merci esportate; seguiva Veracruz con un movimento complessivo di 118 milioni (72,7 d'importazione e 46,3 all'esportazione) e quindi Progreso (30,6 milioni) e Tuxpán (20,5). Gli scambî attraverso il confine terrestre settentrionale raggiungevano il valore complessivo di circa 249 milioni di pesos, pari al 26,6% del totale (i due quinti, 102,9 milioni, passarono da Laredo); i porti del Pacifico non coprivano il 3,5%, Mazatlán, il primo porto occidentale, registrava un movimento di 12,2 milioni di pesos, Acapulco non arrivava a 300 mila pesos.

Marina mercantile. - È costituita da 74 navi, per tonn. lorde 42.820, di cui tre soltanto superiori a 1000 tonn. lorde unitarie (la più grande è la Coahuila di tonn. lorde 2585). Sette navi della flotta predetta, per un complesso di 15.000 tonn. lorde, sono della Linea Nacional de Navigación, appartenente allo stato e destinata ai servizî di cabotaggio fra i porti messicani del Pacifico. La direzione della linea è passata nel 1926 al potere esecutivo federale, che ha lo scopo di organizzare, dirigere e amministrare la marina nazionale. Prima della guerra mondiale l'erario dava sussidî annuali variabili da 70 mila a 270 mila dollari all'anno a società straniere che espletavano il traffico internazionale del paese. Poi il sistema è stato sovvertito e la legge 13 novembre 1930 ha autorizzato la concessione di sovvenzioni a quattro gruppi di navi nazionali: da passeggeri (2000 tonn. almeno); da carico (2 mila); dedite al cabotaggio (1000-2000 tonn.); al piccolo traffico (100-500). Gli armatori dovranno assumere l'obbligo del trasporto gratuito degli effetti postali. Il cabotaggio è riservato alla bandiera. Non esistono cantieri di costruzione.

Aviazione civile. - Alcuni anni fa è stata organizzata nella Città di Messico, da privati, l'Associazione messicana d'aviazione, per ravvivare l'interesse per l'aviazione e sorvegliarne lo sviluppo. A Monterrey (Nuevo León) esiste una scuola di pilotaggio civile; a Veracruz la scuola civile d'aviazione navale. L'aviazione civile messicana dipende dal dipartimento apposito, creato nel Ministero delle comunicazioni e dei lavori pubblici, con le sottosezioni meteorologica, radiotelegrafica, statistica e sanitaria.

a) Linee aeree. - Compañía mejicana de aviación: gestisce linee aeree tra Messico e Matamoros, Veracruz e Mérida, Veracruz e Guatemala. Questa società è sussidiaria di quella americana Pan-American Airways; Corporación Aeronautica de Transportes Aéreos: gestisce le linee aeree Messico-Ciudad Juárez e Mazatlán-Matamoros; Compañía Pickwick Latino-Americana: gestisce linee aeree tra il Messico e gli Stati Uniti e tra il Messico e il Guatemala; Compañía de Transportes Aéreos Méjico-Cuba, con la linea aerea tra Messico e Avana.

b) Aeroporti civili. - Mexicali nello stato di Baja California; Guaymas e Hermosillo in Sonora; Ciudad Juárez e Ciudad Jiménez in Chihuahua; Saltillo in Coahuila; Monterrey in Nuevo León; Tampico e Nuevo Laredo (Tamaulipas); Mazatlán (Sinaloa) e Los Mochis (Sonora), Guadalajara (Jalisco); Morelia (Michoacán); San Jerónimo (Oaxaca); Tonala, Tapachula, Suchiapa, Tuxtla Gutiérrez, Arriga e Pichucalco (Chiapas); Tejería e Minatitlán (Veracruz); Villahermosa (Tabasco); San Miguel Cozumel (Quintana Roo); Guadalupe (Zacatecas); León (Guanajuato); Cuantla (Morelos). Vi sono poi numerosi aeroporti in costruzione, e una decina di campi di fortuna.

V. tavv. CLXXVII-CXC e tavv. a colori.

Ordinamento.

Ordinamento politico. - La costituzione attuale della Repubblica messicana, evoluzione ulteriore in senso ancora più radicale (specie dal punto di vista economico e sociale) di quella degli Stati Uniti Messicani del 1857, la quale, compilata sul modello dell'americana, incarnava già i principî più democratici in maieria di libertà individuale, sovranità popolare e laicità statale, data dal 1917 con gli emendamenti ad essa apportati nel 1929. In virtù di essa il Messico costituisce una repubblica federale, composta di stati (28 attualmente), territorî (attualmente 2 comprendenti la Bassa Califomia) e un distretto federale (la capitale, Città di Messico, con 11 borgate circostanti). Ogni stato ha costituzione, governo, legislazione, finanza, magistratura propria, ma è tenuto anche alle leggi federali; mentre territori e distretto federale hanno governatori i primi e capo-dipartimento il secondo di nomina presidenziale. Quanto all'ordinamento federale, stabilita una divisione netta fra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, la costituzione attribuisce il primo a un presidente, che viene eletto con suffragio popolare diretto, dura in carica 4 anni, e non può essere rieletto: in caso di vacanza del seggio presidenziale, spetta al Congresso riunito eleggere un presidente provvisorio sino allo spirare del termine presidenziale in corso. Sotto la direzione del presidente il govermo è affidato al Consiglio dei ministri, che gestisce i servizî federali per mezzo di 8 segretari di stato preposti alle branche usuali dell'amministrazione pubblica e di 4 dipartimenti di stato che dirigono servizî speciali (forniture statali, debito pubblico, statistica, igiene). Il potere legislativo spetta a un congresso, composto di una camera dei rappresentanti, eletti con suffragio universale in ragione di uno ogni 100.000 ab. e per la durata di due anni (attualmente 185) e di un senato, composto di due senatori per ogni stato e per il distretto federale, eletti come i rappresentanti (attualmente 58): il Congresso siede di regola dal 1° settembre al 31 dicembre, ma nell'intervallo fra le sessioni è rappresentato da un comitato permanente di 14 senatori e 15 rappresentanti eletti dalle camere rispettive. Il potere giudiziario infine risiede in una Suprema Corte di giustizia della nazione, eletta dal Congresso e alla quale fanno capo corti di circuito (attualmente 8) e, sotto a queste, corti di distretto, oltre all'Alta Corte di giustizia del Distretto federale. Anche nella legislazione giudiziaria, come negli ordinamenti politici, prevalgono i principî più liberali. L'ordinamento finanziario riposa sulla divisione delle entrate e spese pubbliche tra federazione e stati; provenendo le entrate della prima, oltreché dalle imposte reali dirette, da essa riscosse, dal 25% delle imposte personali e varie riscosse dagli stati e dai municipî.

La costituzione del 1917 non è però una costituzione politica soltanto, ma anche economico-sociale; essendosi voluto con essa risolvere anche i problemi fondamentali della vita nazionale: rapporti fra Stato e Chiesa; assetto fondiario; relazioni fra capitale e lavoro; diritti e doveri degli stranieri. Quanto al primo: garanzia di piena libertà di coscienza in materia religiosa, ma nazionalizzazione degli edifici del culto o istituti affini, salvo concessione governativa di essi a fini di culto; separazione netta fra Chiesa e Stato; esclusione assoluta del clero dall'insegnamento come da ogni istituzione sociale, ospedaliera o altro. In materia fondiaria, nazionalizzazione del suolo e del sottosuolo, nel senso di riservare (in linea di massima) ai soli cittadini messicani (di nascita o naturalizzazione) o a società messicane il diritto di acquistare proprietà di terre o di acque o di ottenere concessioni minerarie, idrauliche, petrolifere, ecc.; fissazione da parte dei singoli stati del massimo di area possedibile da un individuo e obbligo di vendita del rimanente nei modi e condizioni da determinarsi; fissazione da parte dei singoli stati della superficie di terra da costituirsi in proptietà di famiglia, inalienabile e insequestrabile. Quanto ai rapporti fra capitale e lavoro, approvazione in blocco delle 8 ore giornaliere di lavoro, proibizione del lavoro infantile e limitazione rigorosa di quello degli adolescenti e delle donne; la protezione del lavoro nelle fabbriche e miniere e assicurazioni sociali d'invalidità, vecchiaia, infortunî, ecc.; riconoscimento formale del diritto di sciopero (come di serrata) purché legali, cioè immuni da coazione o violenza, perfino nei servizî pubblici (con l'obbligo soltanto, in tal caso, d'un preavviso di 10 giorni all'ufficio di conciliazione e arbitrato), conciliazione e arbitrato nelle vertenze fra capitale e lavoro; infine la fissazione dei salarî degli operai e la partecipazione loro ai profitti in una misura da fissarsi da una commissione municipale speciale e sottoporsi all'ufficio centrale di conciliazione dello stato relativo. Quanto agli stranieri, facoltà nazionale di derogare a favore di essi dal diritto di esclusiva pertinenza o concessione a nazionali delle terre, acque, miniere, giacimenti petroliferi, ecc., purché gli stranieri consentano davanti al dipartimento degli affari esteri di venire considerati messicani nei rispetti di tale proprietà e di non invocare la protezione dei loro governi rispetto alla stessa, sotto pena di confisca messicana delle proprietà così acquisite; divieto assoluto di proprietà fondiaria, mineraria o idrica agli stranieri in un raggio di 100 km. dalle frontiere terrestri e di 50 dalle rive del mare.

Culti. - Attualmente la popolazione è in grandissima maggioranza (13.921.226 secondo il censimento del 1921) cattolica; lo stesso censimento dava 73.951 protestanti, 22.718 di altre religioni e 208.836 senza fede religiosa o di religione non dichiarata.

Nel corso del sec. XIX una serie di provvedimenti, dal 1833 in poi, ha portato alla completa separazione della Chiesa dallo Stato: separazione attuata in senso spiccatamente anticlericale, con la soppressione degli ordini religiosi e della proprietà ecclesiastica, divieto delle funzioni religiose fuori delle chiese, ecc. Queste e altre simili misure sono state aggravate anche di recente con provvedimenti, come l'espulsione dei sacerdoti stranieri, che hanno portato a una rottura dei rapporti con la Santa Sede, all'espulsione del delegato apostolico, e al tentativo di costituire una chiesa nazionale, oltre che a misure assai gravi contro i sacerdoti, i fedeli e i luoghi di culto. Queste misure non hanno però potuto scuotere la fede della maggioranza della popolazione, nella quale, specie nelle classi più umili, sopravvivono credenze che risalgono all'epoca precolombiana.

La gerarchia cattolica comprende le sedi metropolitane di: Puebla de los Ángeles (Angelopoli, già Tlaxcala; fondata nel 1525, metropolitana dall'11 agosto 1903) con suffraganei Huejutla (22 novembre 1922), Huajuapán de León (già Mixtecas, 25 aprile 1902 e 28 novembre 1903), Papantla (24 novembre 1922); di Antequera (1535, metropolitana dal 23 giugno 1891; residenza in Daxaca) con suffraganei Chiapas (1539; residenza in San Cristóbal Las Casas) e Tehuantepec (1893); di Durango (1623; metropolitana dal 23 giugno 1891) con suffraganei Chihuahua (1891), Sinaloa (1884; resid. in Culiacán), Sonora (1779; resid. in Hermosillo); di Guadalajara (1623; metropolitana dal 19 marzo 1863), con suffraganei Aguascalientes (1899), Colima (1881), Tepic (1891), Zacatecas (1863); di Messico (2 settembre 1530; metropolitana dall'11 febbraio 1546) con suffraganei Chilapa (1863), Cuernavaca (1891), Tulancingo (1862), Veracruz (1863; resid. in Xalapa); di Monterrey (già Linares o Nuevo León, 1772; metropolitana, 28 giugno 1898 e 9 giugno 1922), con suffraganei Saltillo (1891), San Luis Potosí (1854), Tamaulipas (già Ciudad Victoria; 1870; resid. in Tampico); di Morelia (già Michoacán, 1536; metropolitana dal 19 marzo 1863) con suffraganei Leon (1862), Querétaro (1862), Tacámbaro (26 luglio 1913), Zamora (1863); di Yucatán (1536; metropolitana dall'11 novembre 1906, con residenza in Mérida), con suffraganei Campeche (1895), Tabasco (1880; resid. in S. Juan); inoltre il vicariato apostolico della California inferiore (20 gennaio 1874; con residenza a La Paz).

Forze armate. - Esercito. - Il bilancio per la difesa nazionale (esercito e marina) prevedeva, nel 1930, la spesa di 83.200.000 pesos oro (pari a lire 745.000.000, e al 25,6% del bilancio generale) e una forza bilanciata di 81.500 uomini, tra cui 17.500 ufficiali e 6000 sottufficiali. Comandante supremo dell'esercito è il presidente della repubblica, che delega la sua autorità al ministro della Guerra e marina. Il territorio è diviso in 36 regioni militari. L'esercito si compone dell'esercito attivo e delle riserve (1ª, 2ª, 3ª e 4ª).

L'esercito attivo comprende: 62 battaglioni di fanteria (di 3 compagnie fucili e 1 compagnia mitragliatrici); 95 reggimenti di cavalleria (di 3 squadroni e 1 sezione fucili mitragliatori); 3 reggimenti di artiglieria da campagna (di 2 gruppi di 2 batterie da 75 mm.) e 1 da montagna (2 gruppi di 2 batterie da 70 mm.); 1 battaglione genio, 1 gruppo di 3 squadriglie di aviazione (in totale una quarantina di apparecchi). Comprende inoltre: servizî (delle manifatture e degli approvvigionamenti; di sanità; d'amministrazione; della giustizia militare) e corpi speciali: guardia presidenziale (2 battaglioni di fanteria e reggimenti di cavalleria); corpo invalidi; compagnie fisse territoriali; musiche militari. Il reclutamento è volontario, con ferma di 3 anni. Obbligo di servizio: dal 18° al 45° anno. Le riserve sono impiegabili per esigenze di vario ordine. I sottufficiali (sergente di 2ª e di 1ª classe) sono reclutati dai militari di truppa, attraverso scuole allievi sottufficiali. Gli ufficiali in servizio attivo sono tratti, col grado di sottotenente, dagli allievi e dai sottufficiali delle scuole di reclutamento ufficiali.

Marina militare. - La marina militare del Messico, di modesto valore anche perché i frequenti rivolgimenti politici del paese ne ostacolano il regolare sviluppo, comprende le seguenti unità: 1 corazzata costiera El Anáhuac (ex-brasiliana), varata nel 1898, da 3200 t. e 15 nodi, armata con 2/240, 4/120 e 2 tubi di lancio; 5 cannoniere: Plan de Guadalupe, varata nel 1892, da 830 t. e 12 nodi, armata con 4/57; Bravo, varata nel 1903, da 1200 t. e 17 nodi, armata con 2/102, 4/57 e un tubo di lancio; Tampico e Veracruz, varate nel 1902, da 1000 t. e 15 nodi, armate la prima con 2/102, 4/57 e un tubo di lancio, la seconda con 4/102, 6/57 e un tubo di lancio; Agua Prieta, varata nel 1891, da 1200 t. e 15 nodi, armata con 4/102 e 2/47; 6 navi di pattuglia: 18 de Mayo e Yaki, varate nel 1917, da 77 t. e 17 nodi; Cobarrubias, Guaymas, Mazatlan, Salinas, varate nel 1918, da 150 t. e 9 nodi, armate con un 76; un trasporto armato, Progreso, e alcune navi minori.

Finanze. - Bilanci e debito pubblico. - Le entrate e spese ordinarie del governo federale sono state, in milioni di pesos oro:

Il cespite principale è dato dai dazî doganali, il cui gettito ammonta a oltre ⅓ dell'entrata complessiva; seguono a distanza le tasse di bollo, le tasse industriali e l'imposta sul reddito. Tra le spese hanno fondamentale importanza quelle per la difesa nazionale e in secondo luogo quelle per le comunicazioni, per la pubblica istruzione e per il servizio del debito pubblico. Al 1° luglio 1930 il debito consolidato era di 1185 milioni di pesos, di cui 964 a carico del governo, e il resto delle ferrovie nazionali con garanzia del governo stesso. Il 22 dicembre 1931 fu concluso un accordo col comitato internazionale dei banchieri, col quale il governo si è impegnato a rimborsare i 270 milioni di dollari di debito estero, emettendo un nuovo prestito di 267 milioni di dollari al 5%, garantito dai dazî d'importazione e di esportazione.

Moneta e credito. - La legge del 25 luglio 1931, pur conservando teoricamente come unità monetaria il peso o dollaro oro del valore di 0,75 grammi di puro oro, ha eliminato l'oro dalla circolazione ponendo fine al particolare regime bimetallico introdotto nel Messico nel 1904. La circolazione è quindi attualmente composta soltanto di pesos argento (pari a 0,75 grammi di oro) e di biglietti emessi dal Banco del Messico, cui nel 1925 è stato concesso il privilegio dell'emissione (prima appartenente a più banche ora in liquidazione) e che è auto-rizzato ad emettere biglietti (che non hanno però corso legale) fino al limite del doppio della riserva metallica e in divise estere. La circolazione, disciolta la commissione monetaria, che era stata creata dalla legge monetaria del 1931, è attualmente affidata al Banco del Messico.

Bibl.: Carte: Atlas geográfico de la República Mejicana, Messico 1921-23; Carta general de la República Mexicana alla scala 1 : 2.000.000.

Opere generali: Oltre alle parti dedicate al Messico nelle grandi opere del Réclus e del Marinelli, e al classico Essai politique sur le Royaume de la Nouvelle Espagne di A. di Humboldt (voll. 2, 1808), cui dobbiamo anche un Atlas géographique et phisique du Roy. de la Nouv. Espagne, Parigi 1811, si veda: E. Deckert, Nordamerika, 3ª ed., Lipsia 1924; J. R. Smith, North America, its people and the resources, ecc., New York, 1929; A. García Cubas, Estudio geográfico y estadistico de los Estados Unidos Mexicanos, Messico 1883; H. Lemke, Mexico, Berlino 1900; C. Lumholtz, Unknown Mexico, Londra 1903, voll. 2; R. Bonaparte e altri, Le Mexique au début du XXe siècle, Parigi 1904; P. George, Das heutige Mexiko und seine Kulturfortschritte, Jena 1906; Mexico, a cura dell'International Bureau of the American Republics, Washington 1900-04; D. Figueroa, Guía general y descriptiva de la Rep. Mexicana, Barcellona 1910; C. Beals, Mexico, New York 1923; G. A. Schmidt, Mexico, Berlino 1925; A. Goldschmidt, Mexico, Berlino 1925; H. Brehme e W. Staub, Mexico, Baukunst, Landschaft, Volksleben, in Orbis Terrarum, Berlino 1925; M. D'Arpi, Messico, Bergamo 1924; G. V. Callegari, Messico, condizioni naturali ed economiche, Roma 1925; id., Messico, Milano 1931; M. Sorre, Mexique, Amérique Centrale, Parigi 1928; J. Galindo y Villa, Geografía de la República Mexicana, voll. 2, Messico 1926; id., Geografía de México, Barcellona 1930.

Geografia fisica e geologia: Oltre alle pubblicazioni dell'Instituto geológico de México e alle Memorias de la Sociedad Cient. A. Alzate, vedi: Aguilera ed E. Ordoñez, Bosquejo geológico de México, Messico 1896; F. Lenk, Über die tektonischen Verhältnisse der Republik Mexiko, in Zeit. deut. geol. Gesell., 1892; O. H. Howarth, The Western Sierra Madre of M., in Geog. journ., Londra 1895; K. Sapper, Sobre la geog. física y la geol. de Yúcatán, Messico 1896; E. Ordoñez, Las rocas eruptivas del sudoest de la cuenca de México, Messico 1897; H. M. Wilson, Topography of Mexico, in Bull. Amer. Geog. Soc., New York 1897; E. O. Hovey, The Western Sierra Madre of Chihuahua, in Bull. Am. Geog. Soc., New York 1905; E. Böse, Reseña acerca de la geología de los Estados de Chiapas y Tabasco, Messico 1905; R. T. Hill, Growth and decay of Mexican Plateau, in Engineering and mining journ., 1908; C. Lumholtz, The Sonora Desert, in Geog. journ., Londra 1912; E. Huntington, The peninsula of Yucatan, in Bull. Amer. Geog. Soc., New York 1912; W. N. Thayer, The Physiography of Mexico, in Journ. of Geol., 1916; E. Wittich, Contribuciones a la mineralogía mexicana, Messico 1918; E. Harmann, Zur tektonischen Geschichte Mexicos, Stoccarda 1917; W. Freudenberg, Geologie von Mexico, Berlino 1921; E. M. Sanders, The natural region of Mexico, in Geog. Review, New York 1921; E. Lopez, Las regiones naturales de México, in Mem. Soc. Cient. A. Alzate, Messico 1926; P. C. Sánchez, Estudio orogénico de la Rep. Mexic., Tacubaya 1929.

Clima, idrografia, vegetazione: Dirección de Estudios Geográficos y Climatológicos, Atlas climatológico, 1921-25, Tacubaya 1926; J. Ramírez, La vegetación de México, Messico 1899; J. Gurmán, Climatología de la Rep. Mex., desde el punto de vista higiénico, in Mem. Soc. Cient. A. Alzate, Messico 1903; J. W. Harshberger, Phytogeogr. Survey of North America, New York 1911; A. J. Pani, Hygiene in Mexico city, Londra 1917; E. López, Regiones mas amanezadas por las heladas prematuras, Messico 1917; E. López, Regimen pluviométrico de la Rep. Mex., in Boll. Soc. Geogr. Mex., Messico 1918; I. Ochoterena, Las regiones geográfico-botánicas de México, in Boll. Soc. Mex. de Geogr., Messico 1919; E. López, CLimatología de la Rep. Mex., in Mem. Soc. A. Alzate, Messico 1922; P. S. Díaz, Nueva Meteorología, Guadalajara, 1927; P. Sánchez, Estudio idrológico de la Rep. Mex., Tacubaya, 1928; id., Estudio de climatología comparada con applicaciones a la Rep. Mex., Tacubaya 1929; J. L. Page, Climate of Mexico, in Suppl. Monthly Weather Rev. (con ricca bibliografia), Washington 1930.

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IL MESSICO PRECOLOMBIANO

Il problema delle origini. - L'origine e la primitiva storia delle civiltà trovate in fiore dai primi conquistatori spagnoli del Messico e rapidamente distrutte dalla cultura degl'invasori, costituiscono un problema particolare nel problema generale dell'origine e della storia delle culture indigene del Nuovo Mondo.

L'uno non si può isolare dall'altro. I termini del problema generale sono stati esposti altrove (v. america). Alla soluzione del problema particolare dell'antica civiltà messicana hanno cooperato lo studio dei monumenti indigeni e dei documenti storici del tempo della conquista, la linguistica e l'etnologia, la preistoria e l'antropologia: ma esso, nonostante la quantità enorme e la varietà dei documenti raccolti, è ancora praticamente insoluto. Ciò si deve in gran parte al fatto che l'esplorazione archeologica non ha portato ancora i ricercatori di fronte a reliquie di culture molto più arcaiche o molto più antiche della civiltà conosciuta dagli europei nel sec. XVI: l'archeologia messicana, nella maggior parte dei luoghi che esplora, rimette in luce e ricostruisce, in contra una civiltà cittadina monumentale e grandiosa, già perfetta, e finché fruga nelle rovine delle antiche città ha invero tanto scarse probabilità d'imbattersi in tracce del periodo delle origini, quanto ne ha da noi l'archeologia classica o medievale di scoprire, fra i resti degli antichi monumenti, reliquie della più remota preistoria. E, naturalmente, il terreno coperto dalle ricerche archeologiche è nel Messico molto meno vasto, e l'applicazione dei metodi sistematici alla ricerca molto più recente.

Per la civiltà messicana non si ha nemmeno una documentazione archeologica della preistoria per un periodo di moderata profondità, quali si hanno, p. es., per la zona archeologica dei Pueblos o per quella peruviana (nei cumuli di rifiuti di Ancón), fuori delle zone monumentali. Un'altra causa dello stato arretrato del problema delle origini, sta nell'insufficienza delle indagini di etnografia e di archeologia comparate, per cui i singoli elementi delle civiltà messicane non sono stati ancora proiettati sistematicamente nel quadro delle culture storiche e preistoriche dell'America o anche delle aree esterne più vicine (Asia, Oceania) per un'analisi rigorosa delle affinità prossimiori.

È stato possibile in passato, ma avviene ancora con qualche frequenza e insistenza, che, sulla base di superficiali analogie e somiglianze o su quella, ancor più fallace, di vecchi miti etnografici, si cercasse un'origine speciale e indipendente alle grandi civiltà dell'antico Messico in migrazioni ebraiche, fenicie, egiziane o cinesi; o nelle antiche leggende del Fu-sang (v.) e dell'Atlantide (v.), o in quelle medievali delle isole dell'Atlantico. Su questa letteratura non si può dire meglio di W. Lehmann: la sua abbondanza dimostra in modo impressionante come in ogni tempo, gli scrittori preferiscano le congetture puramente fantastiche alla solida ricerca scientifica. Non dissimile, benché fondata in apparenza su indagini e confronti seri, il tentativo fatto dalla cosiddetta scuola etnologica di Manchester (v. eliolitica, cultura) di collegare la cultura messicana o maya alle civiltà storiche dell'Asia sud-orientale. Bisogna aggiungere però che alla fruttifera prosecuzione degli studî di etnologia comparata, fa ostacolo proprio l'atteggiamento degli etnologi e degli archeologi nord-americani, che escludono a priori ogni rapporto esterno, dopo il primo popolamento, alle culture americane e hanno imposto più o meno tale concetto, negativo e sterile, a quasi tutti gli americanisti.

Un punto di speciale importanza negli elementi comuni ai due sopraccennati problemi, generale e particolare, delle origini, riguarda la prima apparizione, sul territorio americano, delle arti culturali maggiori: l'agricoltura, la ceramica, la tessitura, la metallurgia. H. J. Spinden insiste giustamente sul fatto che questi elementi sembrano costituire un unico orizzonte culturale, avente una particolare distribuzione geografica con la chiara indicazione di un centro di diffusione situato in qualche punto dell'America messico-andina e intermedio, nel tempo, tra la fase (pre-arcaica) delle culture nomadi primitive e quella (post-arcaica) delle civiltà sviluppate e specializzate in determinate regioni, alle quali appartengono anche le messicane e maya. È da ricordare anche che tale sommaria distinzione di grandi fasi culturali non si può in alcun modo paragonare con i periodi della preistoria europea con le sue età della pietra, del bronzo, ecc. Le civiltà messicane erano, al tempo della scoperta, nonostante il grandioso sviluppo dell'architettura e di alcune altre arti o conoscenze, in una fase neolitica, o meglio eneolitica, dato che, accanto al materiale litico, si lavoravano per usi minori l'oro, l'argento e il rame (ma non il bronzo, almeno in leghe intenzionali): una fase terminata per le civiltà occidentali intorno al 1500 a. C., cioè tre millennî prima. Ma da quanto tempo durasse in America la cultura eneolitica, e la precedente puramente neolitica, nessun indizio ci permette di supporre: uno schema congetturale dello Spinden fa risalire l'invenzione dell'agricoltura al 4° millennio a. C., e pone, in accordo con la maggior parte degli autori, intorno all'inizio dell'era volgare la più remota data storica dei Maya, di quella cioè che attualmente ci appare come la maggiore e la più antica delle scomparse civiltà americane (v. maya). Ma nessuna prova esiste che questa fase arcaica abbia durato millennî o secoli, e quanti degli uni o degli altri. L'esplorazione archeologica ha appena intravveduto le reliquie di questo cosiddetto periodo arcaico nei depositi regolarmente stratificati di Azcapotzalco e Colhuacán (Valle di Messico), nella necropoli scoperta sotto un formidabile strato di lava (il Pedregal) in un sobborgo della Città di Messico, negli scavi di Copilco, ecc. Si sono potuti stabilire con sufficiente precisione gli orizzonti: 1. arcaico; 2. teotihuacano; 3. tolteco; 4. azteco. I prodotti più interessanti del periodo pre-monumentale o arcaico sono certe rozze figurine di terracotta, che dànno anche qualche lume sulla cultura, mostrano, per es., che si possedevano già i tessuti e molti oggetti come l'atlatl (v.), varî strumenti musicali, ecc. A quest'arte caratturistica è stato possibile riportare molti ritrovamenti di età ignota, scoperti in varie occasioni in una larga zona dell'America Centrale e Meridionale; è stato cioè possibile accertare l'estensione di tale orizzonte arcaico e la sua omogeneità, ciò che ci dà anche una prova indiretta della sua relativa antichità, perché ci riporta a un periodo, in cui le grandi civiltà americane, benché già in possesso dei beni essenziali, erano ancora quasi indifferenziate. In alcuni luoghi del Messico del resto, quest'arte arcaica era continuata in parte sino nell'età storica (arte tarasca, ecc.).

Molto più progredita è la conoscenza dello sviluppo della cultura e delle sue svariate manifestazioni nell'età che possiamo dire storica. I rapporti fra le diverse aree culturali e fra le attività dei diversi popoli entrati nell'orizzonte storico, sono stati studiati sulle fonti archeologiche e letterarie e si possiedono ora dei sistemi degni di considerazione sia sulle relazioni cronologiche fra le diverse aree culturali dell'America (v. per es., lo schema del Joyce sopra riportato), sia sulle fasi etniche e sulle relazioni della cultura nell'interno dell'area archeologica messicana (v. lo schema del Marquina). La civiltà maya è ampiamente descritta e analizzata nella voce maya; rimane qui soprattutto lo studio delle culture del Messico centrale e dei loro portatori, fra i quali emergono le stirpi Nahua (v.), i "Messicani" in senso proprio, degli Aztechi e dei loro predecessori Toltechi. Esisteva in proposito la tradizione indigena, di una migrazione dal nord e non c'è dubbio che gli Aztechi erano immigranti e lo sapevano: ma le leggende relative alle migrazioni dei Messicani hanno un'importanza puramente locale e non si può dare loro gran peso finché non siano confermate da prove archeologiche. Su questo terreno il fatto forse più notevole dell'etnologia della regione è dato dalle connessioni linguistiche del nahua col gruppo Shoshone (v. utoazteche, lingue), ma non ne deriva che il punto di diffusione di tali idiomi e dei popoli che li parlavano fosse nell'estremo nord, barbarico, anziché una area intermedia e molto più prossima all'abitato storico degli Aztechi.

In conclusione, alla domanda che logicamente ci si deve porre quando si consideri l'altezza raggiunta da qualcuna delle civiltà indigene dell'America: se essa sia il frutto spontaneo, giunto all'estrema maturazione, delle culture indigene del Nuovo Mondo, o se alla sua accelerazione e ascensione abbia contribuito qualche occasionale particolare lievito giunto dall'estemo, l'archeologia e l'etnologia americane non sono in grado di dare ancora alcuna risposta: si può dire solo che i segni di un acculturamento speciale, dall'estemo, per le civilta messicane mancano del tutto e che la soluzione del problema appare ancora fondata sostanzialmente in quello generale delle origini della civiltà neolitica e agricola americana.

Le fonti. - Le fonti della nostra conoscenza della cultura materiale e spirituale dell'antico Messico, si possono raggruppare nelle seguenti categorie: a) i trovamenti archeologici e i monumenti storici; b) i codici pittografici messicani; c) i documenti scritti in lingua messicana con lettere latine o tradotti in lingua spagnola; d) la letteratura dei conquistatori spagnoli nei secoli XVI-XVIII; e) i contributi dell'etnologia e della linguistica sui residui attuali delle antiche genti e culture.

Hernán Cortés fu il primo a raccogliere notizie interessanti sulla civiltà messicana così improvvisamente e inaspettatamente parataglisi dinnanzi, e a divulgarla per mezzo delle sue Cartas y relaciones al Emperador Carlos V. Cortés raccolse poi parecchi oggetti preziosi, come i famosi tre grossi smeraldi incisi, andati perduti sotto Algeri, e alcune maschere di musaico. Egli fu seguito anzitutto da alcuni dei suoi, come il Conquistatore Anonimo (Ramusio, Navigat. et viaggi, III, Venezia 1554-1565), dai religiosi cronisti (spagnoli, indigeni o meticci) e dagli storici che più specialmente narrarono la conquista del Messico, gli scritti dei quali furono in parte raccolti in preziose collezioni come la Colección de documentos para la Historia de México di G. García Icazbalceta (Messico 1858), le Obras varias dello stesso, la Biblioteca de autore mexicanos historiadores (voll. 30, Messico 1896-1900), la Bibliothèque américaine di H. Ternaux-Compans (Parigi 1837) e i suoi Voyages, relations et mémoires origin. pour servir a l'histoire de la découverte de l'Amérique (voll. 20, Parigi 1837-53), ecc.

Si raccoglievano in pari tempo, i primi documenti delle antichità messicane: sappiamo, p. es., che Paolo Giovio conservava nella sua preziosa biblioteca codici di pelle d'origine messicana, come si legge nella Historia sui temporis (1577). Pietro Martire, nella IV delle sue Decades (1670) si mostra pure assai bene informato sulla civiltà messicana, e così V. Cartari nelle Imagini delli Dei antichi (1626); L. Botterini, e non Boturini (v. boturini-benaduci), raccolse poi una notevolissima quantità di documenti e di manoscritti per una nuova storia del Messico, inquadrata in quella dell'America Settentrionale. Il conte G. R. Carli nel 1781-83 pubblicava le sue Lettres Américaines; nel 1790, primo lavoro propriamente archeologico, A. León y Gama richiamava l'attenzione dei dotti sulla gigantesca statua della dea Coatlicue e sulla "Pietra del calendario azteco" o "del Sole" (Saggio sull'astronomia, cronologia e mitologia degli antichi Messicani, Roma 1804). Già nel 1720, però, un García aveva scoperto le rovine di Nachán (Palenque) nelle foreste del Chiapas, che vengono esplorate sessant'anni più tardi dal tenente Calderón e da Antonio Bernasconi. Ma l'opera che apriva un'era veramente scientifica in questi studî era quella di Alessandro di Humboldt nelle sue: Vues des Cordillères et monuments des peuples indigènes de l'Amérique (Parigi 1816), mentre qualche anno prima, la spedizione del colonnello Dupaix (1805-1807) e la pubblicazione della sua relazione, in cui erano passati in rivista gran quantità di monumenti messicani (Antiquités américaines, 1834-36), poneva finalmente l'archeologia messicana al suo posto nella storia dell'umanità. Nello stesso tempo, lord Kingsborough, nell'opera monumentale Antiquities of Mexico (Londra 1830 e 1831-48), rivelava agli studiosi, con perfette riproduzioni, alcuni rarissimi codici messicani. Le grandi spedizioni alla ricerca e allo studio delle antichità locali, si susseguono con un lodevole crescendo, patrocinate dai governi, da società seientifiche o da ricchi mecenati: B. M. Norman e C. Nebel, J. Stephens e F. Catherwood; D. Charnay, con l'architetto Viollet-le-Duc, Teobaldo Maler, W. Holmes, Hamy e il grande americanista inglese A. P. Maudslay, che arricchirà la Biologia Centrali-Americana di Godman e Salvini, di dieci grossi volumi dedicati all'archeologia della regione. Nelle Archives de la Commission scientifique du Mexique vennero ristampati, nel 1865-1867 i Mémoires sur la peinture didactique et l'écriture figurative des anciens Mexicains i quali, con lo studio di E. Boban, sul codice Aubin della Bibliothèque Nationale di Parigi, aprivano la serie dei lavori illustranti i codici messicani, pubblicati in facsimile a spese del duca de Loubat e a cura di Léon de Rosny, E. Seler, E. T. Hamy, A. Peñafiel, F. del Paso y Troncoso, A. Chavero, che cercarono d'interpretarne l'ideopittografia e gl'iconofoni. Alla prosecuzione delle ricerche archeologiche attendono varî gruppi di studiosi. Si è cominciato pure a usare l'aviazione per fissare la posizione esatta delle località archeologiche nel fitto della foresta o nel deserto.

Cultura materiale. - Economia. - La grande maggioranza dei Messicani era composta di lavoratori della terra e ad essa attendevano con ogni cura, come elemento primo di sussistenza e di vita; uno dei loro mesi era dedicato all'agricoltura e nel panteon loro, parecchie divinità, più forse della guerra stessa, la rappresentavano. Gli strumenti di lavoro erano il bastone a punta abbrucciacchiata (coatl) per fare nel terreno dei buchi, in cui seminare i grani di mais, inoltre, una piccola scure di selce o di rame, una specie di vanga (huictl) e una gerla per trasportare la terra. Cresciuta la pianta un po', veniva coperta di terra per difenderla dal vento. Non conoscevano la rotazione agricola: esaurito il terreno, lo lasciavano in riposo a crescervi l'erba che poi, bruciata, concimava il terreno con le ceneri. I maggesi erano circondati da siepi di agavi o da muricciuoli a secco per difenderli dagli animali; erano diligentemente irrigati. Inoltre essi avevano aie e granai di tronchi d'albero e argilla (cencalli) in cui il grano poteva mantenersi asciutto e conservarsi per più anni.

Molte le piante commestibili dei Messicani, anzitutto il mais (tlaolli, centli), patate dolci (camotli), yucca, fagioli, peperoni, manioca, pimento, chicle, cipolle, e un numero grandissimo di frutta; inoltre il cacao che serviva per fare la cioccolata, che profumavano con la vaniglia (teilxochitl). La caccia dava buoni frutti; ma era per lo più riservata ai nobili che vi sfoggiavano vesti e armi di lusso; si facevano grandi battute con reti, tagliole, trabocchetti per i cervi, pecari, conigli, aguti e uccelli. Un piccolo cane montano serviva per la caccia. Per la pesca, abbastanza fruttuosa nei fiumi e nei laghi, i Messicani si valevano di canotti monoxili per 5-6 persone e di grandi imbarcazioni per 50-60, con reti, ami, giavellotti; oltre i pesci catturavano alligatori, testuggini e iguane e pescavano ostriche.

Commercio. - Da quando i Messicani si stabilirono sulle sponde del lago di Texcoco, si può dire che sia principiato il commercio con le popolazioni vicine e, in seguito, con le più lontane. I commercianti godevano di molta considerazione e venivano, nella gerarchia, subito dopo i sacerdoti e i guerrieri; erano uniti in potenti corporazioni e godevano grandi privilegi; la città di Tlaltelolco divenne, col tempo, la loro sede principale. Essi si dividevano in tre classi: 1. Pocheta, i più autorevoli; 2. Nahualaztomeca, che fungevano da informatori, e al caso, anche da spie; 3. Teyaualouani, che facevano la tratta degli schiavi. La loro divinità protettrice principale era Yacacoliuhqui.

Il mercato principale (tianquiz) della capitale era a Tlaltelolco, e ci è descritto con ammirazione da Cortés e dagli storici dell'epoca. In esso convenivano dai dintorni numerosissimi mercanti e affluivano tutti i prodotti, ogni specialità, vere ricchezze; esso era ordinato rigorosamente e aveva nel centro il tecpán, edificio della compagnia delle corporazioni, che era sede di un tribunale di dodici membri pei regolare i traffici, i contratti, i pagamenti, ecc.

Oltre agli scambî in natura, i Messicani usavano varie specie di moneta; grani di cacao in mucchietti di 8000 grani (xiquipilli), quadratini di stoffe di cotone, granellini d'oro puro e polvere contenuti in tubi di penne d'anitra. Esisteva pure un'altra spicie di moneta, costituita da piccole scuri di sottili lamine di rame e un'altra di piccoli dischi di stagno, forati nel mezzo per comodità di trasporto. Gli autori non si accordano nel dirci se i Messicani usassero bilance e pesi.

La viabilità, senza raggiungere lo sviluppo di quella peruviana, era mantenuta con cura, con frequenti ricoveri per le carovane; i fiumi erano passati con canotti, zattere o ponti di corde intrecciate con liane e vimini. Va notato però che le dette strade dovevano servire soltanto per uomini a piedi, mancando gli animali da soma e da tiro e i veicoli. Numerose carovane irradiavano il commercio dei prodotti, di vendita, di scambio o d'acquisto, spingendosi nelle lontane regioni di Tehuantepec, dello Yucatán, del Guatemala, dell'Honduras. Tali carovane avevano anche lo scopo di esplorare le regioni che attraversavano per sfruttarle e, in circostanze favorevoli, anche occuparle con un assalto improvviso. La storia delle conquiste messicane è piena di gesta compiute da questi mercanti in terre lontane.

La casa. - Le case del popolo (tezcalli) erano povere capanne di legno, frasche, fango, per lo più cubiche, composte di uno o due vani, con tetto piano che talvolta serviva da terrazza; potevano essere pure di pietra a secco o unite con calce con i muri imbiancati e il tetto inclinato; la porta era chiusa con una stuoia. Semplicissimo il mobilio: una stuoia di giunchi stesa a terra per letto (petatl), di palma con un drappo di cotone per i meno poveri; un origliere di legno o di pietra e per coperta il mantello (maxtlatl); un'altra stuoia a terra per mensa; vasi di terracotta più o meno fini o scavati in una zucca laccata; dei sedili di palma e di giunchi; il metatl di pietra, per impastarvi il mais bollito e farne una pasta che si mangiava condita con sale e pimento. Per lavare usavano il frutto del copaxocotl e la radice dell'amolli (Saponaria americana); la soda e la potassa le traevano dalle acque dei loro laghi. Quasi ogni casa o gruppo di capanne aveva il suo bagno a vapore (temazcalli) di mattoni, semisferico.

Cibi. - Il nutrimento, oltre che dal mais, dai legumi e dal cacao, era dato dalla selvaggina, dal tacchino domestico (guayolote) e da un piccolo cane detto techichi; si cibavano anche di un urodelo acquatico (Amblystoma tigrinum), di uova di rettili e d'insetti, con cui fabbricavano una specie di caviale (ahuahutli) e di un deposito gelatinoso di piante acquatiche (tecultatl). Come bevande la chicha estratta dal mais, dall'agave l'octli, detto poi pulque, e altri liquori come il mescal, il tequila, ecc. Dopo il pasto fumavano tabacco (yetl) in pipe o in tubi, profumandolo con essenze o lo fiutavano in polvere. Usavano anche stupefacenti come il peyotl (Conhalonium Lewinii) che dava eccitazione, ebbrezze e visioni deliranti, oppure il teonanacatl e l'ololiuhqui (Ipomoea sidaefolia).

Indumenti. - I Messicani vestivano in generale assai semplicemente: gli uomini con un corto mantello e un altro ancora più piccolo, quadrato, per le spalle, le donne con la gonna di tela stretta alla cintura e cadente sino a mezza gamba o più in giù e una camiciola senza maniche. Galzavano calzari di foglie d'aloe o di pelle di cervo attaccate al piede con legacci. Le stoffe erano bianche, di filo d'agave o di cotone, per i poveri; per i ricchi, di cotone a colori, intessuto con piume d'uccelli variopinti o peli di coniglio e abbellite con fregi d'oro. Gli uomini tenevano i capelli lunghi legati sul capo e cinti del tlalpiloni, giù per le spalle le donne, salvo le vergini sacerdotesse, ch'erano rasate. Si portavano poi diademi di piume multicolori, pendagli, pettorali e collane di grani di oro o di pietre dure; braccialetti d'oro o di rame; ornamenti speciali per il labbro inferiore (tentetl) per il naso e per il mento, d'oro, cristallo, ossidiana. Si dipingevano i capelli con succo di xiuhquilitl, i denti con la cocciniglia e la pelle a simboli tradizionali per mezzo di stampi di terracotta. Facevano grande uso di maschere nelle cerimonie religiose, nelle danze e nel teatro; erano in genere di legno scolpito e ornato di mosaici o di pietra, di cuoio di cervo e di cartapesta di agave, di scettri ornati di piume variopinte, scacciamosche e piccoli specchi ovali o triangolari di pirite o marcassite e di più grandi d'ossidiana.

Giuochi. - I giuochi erano pubblici, religiosi e privati, p. es. la corsa, il giuoco dei volatori, il tiro del pallone, specie di pelota, in onore del dio Omecátl, per il qual giuoco i Messicani avevano una particolare passione; il patolli, giuoco che ricorda il domino, il filetto e il giuoco a dadi; il totoloque, in cui le piastrelle erano rappresentate da palline d'oro.

Danze. - Le danze coreografiche erano dette mitotes e potevano essere religiose e profane: in genere danzate a schiere o in circolo da numerosi ballerini riccamente abbigliati, segnando i movimenti e i passi con lo scuotere di zucche secche piene di sassolini; spesso, in esse, taluni, mascherati da animali, ne imitavano movimenti e grida. Nelle danze drammatiche si figutavano episodî della vita d'eroi, scene di caccia e guerra.

Musica. - La musica era piuttosto primitiva, con istrumenti a percussione e a fiato: lo huehuetl o tlapanhuehuetl, specie di cilindro vuoto di legno alto un metro, sul quale era stesa una pelle, una specie dunque di tamburo, veniva suonato con la mano; il teponaztli, pure cilindrico di legno, aveva due linguette longitudinali pure di legno vibranti, su cui si batteva con bacchette terminanti con palle di gomma: s'accordava con lo strumento precedente formando terza e ottava; il tamburello; l'omichicahuaztli o osso a tacche, confricato con una conchiglia; lo tzicahuaztli, fatto con un femore umano; l'ayacactli, il tetzilacatl, specie di gong di rame; poi il flauto di terracotta, pifferi, ocarine, fischi e conchiglie da soffiarvi dentro.

Educazione dei fanciulli. - Alla nascita del bambino, gli si bagnavano il capo e la bocca allo scopo di purificarlo dai peccati dei suoi; gl'indovini ne tiravano la sorte e si banchettava. Egli era slattato a tre o quattro anni e si festeggiava pure questa data; ogni madre, salvo rare eccezioni, doveva allattare il suo nato e, vedova o divorziata, non poteva rimaritarsi se non aveva finito d'allattare. Se il neonato era destinato al sacerdozio, era offerto al tempio venti giorni dopo la nascita. Il fanciullo restava in casa sino ai cinque anni, educato dai suoi che lo trattavano con affetto, ma con gran severità; il Codice Mendocino occupa più fogli nel descrivere la educazione del fanciullo messicano e riesce perciò un prezioso documento di pedagogia. L'autorità patema era illimitata; ai fanciulli s'ispiravano l'orrore per il vizio, l'obbedienza per i genitori, il rispetto per i vecchi, l'amore per il lavoro. Cure speciali si avevano per le fanciulle, che vivevano separate dai maschi e non intervenivano ai banchetti se non dopo sposate; cucire, filare, tessere, ricamare e lavorare in piume, oltre alle faccende di casa, erano le principali loro occupazioni.

Due erano i generi di scuole: il techputcalli per il popolo, in prossimità dei templi, dove, sotto la guida di sacerdoti, i fanciulli apprendevano per tre anni la morale, la religione e quel poco che poteva essere necessario per la loro vita modesta; e il calmecac, specie di collegio per i figli dei nobili che, pure sotto la guida di sacerdoti, imparavano anche le arti, la storia, un po' di musica e tutto ciò che conveniva al loro stato. Le fanciulle avevano per maestre delle matrone. La disciplina era grandissima e severi gli eventuali castighi. In genere, se i discepoli di tale istituto non erano sposati a 22 anni, ciò significava che abbracciavano il sacerdozio.

La donna e il matrimonio. - La donna messicana godeva di un trattamento in genere buono, in famiglia. Il matrimonio fra parenti di primo grado era proibito. La donna si sposava dai 17 ai 18 anni, l'uomo tra i 20 e i 22; il matrimonio si combinava per mezzo di mezzane (cihuatlauque) con lunghe e complicate pratiche; pittoresco il rito del matrimonio, seguito da un grande banchetto. Soltanto dopo quattro giorni gli sposi potevano avvicinarsi. I Messicani erano monogami, salvo i principi e i nobili che potevano sposare più donne, legittimi erano però soltanto i figli della prima. L'adulterio era punito, per lo più, con la morte della donna, meno spesso dell'uomo; esisteva il divorzio, ammesso però soltanto per le male azioni, la sporcizia abituale, la sterilità, l'impotenza.

Funerali. - Quando il messicano era morto, lo si bagnava con acqua, per ricordare quella datagli alla nascita; lo si abbigliava come un idolo, lo si muniva di pezzi di carta d'agave che dovevano aiutarlo nel viaggio al di là. Si bruciavano le sue vesti e le armi e veniva ucciso un cagnolino che doveva accompagnarlo nel viaggio all'altro mondo. Spesso il cadavere era cremato e le ceneri inumate presso i templi; talvolta invece era seppellito seduto su una sedia con gli strumenti del mestiere o le armi, e presso la tomba, per alcuni giorni, si deponevano viveri e vino d'agave. Nelle tombe dei nobili si deponevano oggetti preziosi; nell'anniversario della scomparsa si celebrava una cerimonia, nella quale si procurava però di non parlare della sua morte.

I re venivano bruciati con grande e fastoso cerimoniale; mentre ardeva la pira, venivano uccisi molti dei loro servi, dei loro buffoni e delle loro concubine, che dovevano servirli nell'altra vita. Ogni quattro anni si celebrava l'anniversario della morte. I primi re del Messico erano seppelliti nelle grotte di Chapultepec presso la capitale, in seguito, nel gran tempio di Huitzilopochtli, presso l'idolo di questo dio.

Organizzazione sociale e politica. - Classi e stato. - I Messicani, al principio delle loro peregrinazioni, ci appaiono divisi in sette clan, retti forse su principî totemici, ognuno dei quali è indipendente con il proprio capo e il proprio dio protettore. Ma già in questo ordinamento si scorgono due classi: la sacerdotale e la guerriera. In seguito assunse il comando delle tribù il sacerdote Tenoch, fondatore di Tenochtitlán, nella quale città, secondo la tradizione indigena, la popolazione fu spartita in rioni. Questi furono detti calpulli e tenuti distinti dai clan perché essi erano semplici gruppi locali con funzioni economiche, religiose e politiche.

Nacque così lo stato messicno, confuso e frammentario dapprima, in seguito sempre meglio mstituito e più forte; Tenochtitlán divenne in esso l'incarnazione dello stato stesso; l'antico conglomerato tribale primitivo si andava così trasformando in una vera organizzazione sociale e statale.

Al tempo della conquista spagnola i Messicani erano divisi in quattro classi: 1. guerrieri; 2. sacerdoti; 3. mercanti, 4. il popolo, composto di agricoltori e di operai. Esistevano ancora i servi della gleba (mayeques) che nulla possedevano e lavoravano la terra altrui. Gli schiavi (tlamenes) sostituivano gli animali da soma mancanti. La schiavitù non era però oppressiva e crudele, poiché lo schiavo poteva avere famiglia, possedere e ottenere la libertà dietro pagamento di una somma facendosi sostituire da un altro. V'erano schiavi per debiti, per vendita di sé o dei proprî figli, a causa della miseria, o come prigionieri di guerra, per lo più destinati a essere sacrificati agli dei.

Mentre A. F. Bandelier opina che base del sistema politico dei Messicani fosse il calpulli, considerato come organizzazione democratica retta da anziani (huehue) con poteri amministrativi, legali e giudiziarî, gli ultimi studî di M. M. Moreno ci mostrano nel calpulli una semplice suddivisione della città azteca, e nei huehue una specie di giunta di scarsa autorità che doveva accordarsi pienamente con il potere centrale.

Il Tlacatecuhtli hueytlatoani ("supremo signore", "grande arringatore") governava assistito dallo tlalocán, specie di consiglio formato da undici nobili, in parte sacerdoti, in parte guerrieri. Egli era il vero re o imperatore, come lo chiamavano gli Spagnoli. Esistevano quattro grandi elettori che riunivano i voti di tutta la nazione, di sangue reale o parenti stretti, ma non figli del re, e di provata probità. Poco si sa del modo di procedere alla sua elezione, certo esso variò più volte; i primi re furono approvati dal popolo; con Itzcoatl si ha il principio di una vera dinastia e di un sistema di regolare elettorato; il re diverrà un'autorità politica, religiosa, amministrativa, giudiziaria e militare; sarà assistito dal Cihuacoatl, viceré o luogotenente, generalmente con funzioni di carattere religioso, amministratore e giudice, sostituente il re assente, senza però una propria autorità, ma emanante dal Tlacatecuhtli. Era essa un'antichissima dignità, dapprima sacerdotale, che teneva il suo nome da quello della madre del dio Huitzilopochtli.

Attorno a questi vi era una schiera d'individui, spesso parenti del re o grandi vassalli, obbligati a porgergli aiuto in guerra e a vivere alla sua corte. Questa specie di confraternita aveva carattere di associazione segreta, che ricorda l'immediato antecedente dello stato nelle società primitive. Per entrarvi erano necessarî certi requisiti sociali e una lunga serie di atti speciali di preparazione o iniziazione anche con prove crudeli e che duravano in media tre anni.

Lo stato così costituito fu in realtà oligarchico, teocratico e militare e giunse, in pochi decennî, sotto Motecuhzoma II, a un assoluto dispotismo, incarnato nella persona del re e che si estese, per ciò che si riferiva alla condotta della guerra, sugli stati di Acolhuacan e di Tlacopán alleati e confederati a quello di Messico.

Sotto l'aspetto politico-territoriale lo stato messicano era così diviso: 1. la capitale; 2. un territorio annesso ad essa e conquistato ai tre vicini: Atzcapotzalco, Xochimilco, Coyoacán; un vasto territorio, su cui Messico esercitava un dominio effettivo, gli pagava tributi e coltivava terre per esso. Le terre dei popoli conquistati erano divise fra i vincitori che vi tenevano dei governatori.

La proprietà. - Quanto alla proprietà, era divisa in tre classi: 1. individuale, 2. comunale, 3. di enti morali. La prima spettava soltanto allo Tlacatecuhtli, che aveva diritto di disporre della sua proprietà in doni, compensi, premî a chi credeva meglio; se i beneficati - come avveniva per lo più - erano nobili, potevano cedere tali beni ad altri appartenenti però allo stesso rango, altrimenti tornavano alla corona. Nei primordî della costituzione dello stato messicano il calpollec, o capo del calpulli, aveva iniziato la divisione del terreno tra le famiglie cui spettava tale diritto a condizione che lo lavorassero e trasmettessero ai loro successori; qualora esse s'estinguessero, s'allontanassero o non lo lavorassero diligentemente, il terreno passava ad altri o era tenuto in riserva per eventuali futuri aventine diritto; e in ciò troviamo effettivamente un regime propriamente comunista.

La terza classe di proprietà, degli enti morali, comprendeva le terre tolte ai vinti e in parte date ai vincitori, in parte adibite al mantenimento dei templi o alle spese di guerra. In seguito si va constatando una tendenza alla costituzione della Proprietà individuale, per il fatto che, essendo ereditaria la carica di calpollec, questi poteva appropriarsi beni resisi vacanti e aumentare a dismisura il patrimonio di famiglia. Inoltre i terreni precedentemente distribuiti ai più meritevoli nelle guerre combattute, non si potevano alienare se non in favore di determinati individui (nobili, capi, sacerdoti, ecc.): tutto ciò causerà, alla fine del sec. XV e ai primi del XVI, un grande squilibrio economico fra gli arrichiti e il popolo costretto a vivere nella miseria e a lavorare a vantaggio di una scarsa aristocrazia di poche migliaia di individui, i quali possedevano la maggior parte dei terreni più fertili e avevano accumulato nelle loro mani, sotto forma di tributi, immense ricchezze.

Imposte. - I paesi sottoposti ai Messicani pagavano imposte in natura, cioè derrate alimentari. Il territorio era suddiviso in distretti, i cui abitanti dovevano versare una parte dei prodotti al fisco, in date epoche. Esisteva pure un'imposta di lavoro personale con l'obbligo di fornire giornalmente acqua, legna, materiali da costruzione, ecc.

Tre erano i sistemi di organizzazione tributaria: 1. per le tribù che unite assieme, pagavano direttamente restando autonome; 2. per quelle che pagavano per mezzo di esattori, pur restando indipendenti; 3. per quelle che, assoggettate a un governatore imposto dai vincitori, restavano sottomesse completamente e il loro territorio era passato per intero in mano dei Messicani. Le imposte erano pagate con grande regolarità, date le gravi pene ai trasgressori e ai morosi. I tributi erano conservati in granai o magazzini custoditi con cura; il Codice Mendocino ci dà graficamente una chiara idea dei varî tributi e delle quantità loro, come la Mapa de tributos di F. A. Lorenzana (Historia de Nueva España, Messico 1770, p. 110). Gran parte delle rendite erano tuttavia consumate a profitto degli stessi sudditi, per compensare i lavoratori, premiare i benemeriti, aiutare i bisognosi. In epoca di carestia, cessava l'obbligo dei tributi e i depositi di derrate del re, dei nobili e dei ricchi erano a disposizione dei bisognosi.

Amministrazione della giustizia. - La giustizia era amministrata da una gerarchia di funzionarî presieduti dal cihuacoatl, giudice criminale maggiore, appartenente allo tlalocán, avente giurisdizione civile e criminale su tutto il popolo; ove i magistrati mancassero ai loro doveri venivano puniti di morte. Esistevano pure due tribunali di prima e seconda istanza. Numerosi i giudici inferiori con speciali attribuzioni, come quella di stringere il matrimonio, regolare il divorzio, dirimere piccole e grandi contese; queste venivano riportate ogni quattro mesi (80 giorni) ai consigli maggiori, poiché, per il disbrigo di qualunque questione, non poteva passare un lasso di tempo maggiore. Esistevano pure giudici commerciali per sorvegliare i contratti. Nei giudizî non valeva che la prova testimoniale; si teneva conto però del giuramento; l'accusato doveva difendersi da sé.

Le leggi penali erano, per lo più, assai severe; in genere consistevano in multe, colpi di verga, mutilazione delle membra e anche nella morte; i prigionieri in attesa della pena erano chiusi in forti gabbie di legno, sorvegliati da guardie. Ecco alcuni crimini e la relativa pena: procurato aborto: morte della donna e dell'eventuale complice; adulterio: morte dei due colpevoli; si considerava però tale l'unione di uomo celibe o sposato con donna sposata, non di uomo sposato con nubile; aggressione e ferimento: morte; stupro: morte; stregoneria: morte; omicidio: morte; incesto: morte; pederastia: morte per ambo i colpevoli; rissa: prigionia, il feritore doveva compensare il ferito; furto piccolo: obbligo di restituzione o un certo tempo di schiavitù a vantaggio del danneggiato; furto d'armi o d'insegne militari: morte; sedizione, tradimento: morte.

La pena di morte, assai comune, variava secondo il delitto; per impiccagione, annegamento, lapidazione, impalamento, squartamento.

Dell'immenso materiale giudiziario pittografato che dovette certamente esistere, non ci è giunto purtroppo quasi nulla; soltanto una piccola parte ci è rimasta nel Codice Mendocino e in qualche manoscritto conservato nel Museo Nazionale e nell'Archivio di stato di Messico.

La guerra. - Ogni giovane messicano era guerriero perché veniva educato alle armi, ma esisteva una vera classe professionale di combattenti che avevano avuto una più accurata preparazione. Ogni quartiere della città (calpulli) dava un certo numero di combattenti secondo la popolazione, comandati da un capo, allievo del calmecac, dove erano educati i figli dei nobili destinati ai posti di comando. I guerrieri scelti erano divisi in: achcauhtin (principi) con insegne scarlatte, cuauhtlin (aquile) con un casco a mo' di testa d'aquila, ocelotl (tigri) con una grossa e spessa veste di cotone a difesa, screziata come la pelle del giaguaro; queste tre classi abitavano presso il Tlacatecuhtli e lo seguivano da vicino in guerra.

Il capo supremo dell'esercito era il re, dal quale dipendevano sia le forze del Messico, che quelle dei due stati confederati di Tetzcoco e di Tlacopán; a lui seguivano capi minori. Dignità e classi erano vitalizie presso i guerrieri e davano loro diritti e privilegi grandissimi. Per dichiarare la guerra si usavano formalità e procedure speciali. Il re e i suoi consiglieri ne discutevano l'opportunità e le possibili conseguenze; s'inviavano ambasciatori al popolo nemico; per mezzo di appositi informatori o spie si cercava di avere ogni informazione, si radunava l'esercito, si celebravano sacrifici espiatorî, si distribuivano armi e vettovaglie. L'esercito era diviso in xiquipiili, cioè corpi di 8 mila guerrieri; un gran numero di tlamane era addetto alle salmerie. L'assalto, accompagnato da suoni di bellici strumenti e da grida, era violentissimo, a più riprese. Non esistevano né una vera strategia, né una tattica propriamente detta, tuttavia erano usate imboscate, finte ritirate, aggiramenti; più che di uccidere, si cercava di far prigionieri gli avversarî per sacrificarli in onore degli dei. I combattenti si riparavano dietro palizzate difese da fossati, oppure dietro vere muraglie a secco o calce; numerose e importanti opere fortificatorie sono rimaste a dimostrarci l'alto grado raggiunto dall'ingegneria militare, p. es. la gran muraglia di pietra viva e una specie di bitume, lunga 6 miglia, alta m. 2,50 e spessa 6 che difendeva la repubblica di Tlaxcala verso Messico; le fortezze presso Mitla, Monte Albán e molte altre.

Le armi difensive erano: lo scudo di legno o vimini, ornato per i nobili con le loro "imprese" come possiamo vedere nel bellissimo manoscritto fiorentino di Sahagún, conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana e nell'opera del Crane (Ancient Mexican Heraldry, in Science, XX, New York 1891) la corazza, spesso di cotone di grosso spessore o di cuoio di tapiro o di cervo; l'elmo o casco, per lo più a forma di testa d'animale (coyotl) di legno, pelle, o stoffa con ricchissimo pennacchio o fantastico cimiero cosparso, per i nobili o ricchi, di pietre scolpite e metalli preziosi incisi.

Le armi offensive erano: la lancia con punta d'osso, pietra o rame, la spada di legno con lamine taglientissime di ossidiana o di selce, l'arco con frecce, la fionda, il propulsore di dardi (atlatl), il giavellotto, che veniva vibrato per mezzo di una corda come il "telum amentatum" dei Romani. Ricchissimo l'abbigliamento dei guerrieri scelti, dei capi, dei re, grandi stendardi alti fino a 2 metri, adorni di piume recanti spesso l'effigie del totem tribale o l'arma del calpulli, precedevano i guerrieri i quali a essi davano un valore mistico (tiacochcalco) quasi soprannaturale. Tutte le armi erano conservate in vasti arsenali gelosamente custoditi.

Premî ai più valorosi erano il posto in uno dei tre ordini suddetti; insegne, vesti, ornamenti. Un codice militare severissimo regolava la disciplina; erano condannati a morte i vili, i disobbedienti e coloro che si attribuivano prigionieri fatti da altri. I prigionieri di guerra erano sacrificati agli dei o tenuti come schiavi.

Religione. - Mitologia e cosmogonia. - Difficile è lo studio dei miti dell'antico Messico, sia per la loro complessità, sia per le contraddizioni delle fonti. Si tratta di un animismo a forti influenze magiche e totemiche che sembra aver attraversato fasi diverse. Nel periodo pretolteco v'è un'invasione di miti olmechi e otomí a base astrolatrica che, in seguito, nel primo periodo tolteco, s'individualizzano con l'apparizione di Tlaloc, dio delle acque e di Huehueteotl, dio del fuoco. Quetzalcoatl appare in seguito, con Tetzcatlipoca e Huemác, l'eroe eponimo dei Toltechi.

Il sistema cosmologico consta di 13 cieli concentrici e sovrapposti, retti ciascuno da una divinità; dio supremo per eccellenza, Ipalnemoani (che dona la vita), irrappresentabile, che ha tutto in sé, contrapposto a Tlacatecolotl (gufo ragionante), spirito maligno. Il dio Ometecutli (due volte signore) e la moglie sua Omecihuatl (due volte signora) abitano il cielo più basso dei 13 suddetti, l'ordine dei quali è: 1-2. due cieli, dimora del creatore; 3. cielo del dio rosso o casa del dio del fuoco; 4. cielo del dio giallo, cioè del sole; 5. cielo del dio bianco, cioè del pianeta Venere; 6. cielo del dio dei morti (glaciale); 7. cielo del dio azzurro (il giorno); 8. cielo del dio verde-nero (la notte); 9. cielo del dio delle comete; 10. cielo del dio del sud o crepuscolare; 11. cielo del dio giallo; 12. cielo delle stelle e delle piogge; 13. cielo dell'aria o delle nubi.

La cosmogonia messicana ci è narrata da varî cronisti e storici della Conquista. Dalla coppia Omotecutli e Omocihuatl nacquero altri dei, ai due ultimi dei quali fu assegnato il compito di creare il mondo, la primo coppia umana, gli dei infernali e i 13 cieli suddetti. A questi seguirono gli dei delle acque, il gran serpente Cipactli, che portava sul dorso, in mezzo alle acque, la Terra. Appaiono quindi i giganti, si creano il sole e la luna, s'inizia la lotta fra gli dei e principiano le 4 0 5 epoche o "soli" che, con ordine vario, ma inizî e durate d'anni fissate, sarebbero: 1. Atonatiuh (sole d'acqua), il diluvio; 2. Tlachitonatiuh (sole di terra), in cui terremoti e carestie distruggono gli uomini; 3. Ehehecatonatiuh (sole d'aria), in cui uragani sterminano gli uomini che in parte si mutano in scimmie; 4. Tletonatiuh (sole di fuoco), in cui gli uomini si cambiano in uccelli; 5. il periodo durante il quale esiste e continua a esistere l'umanità attuale.

Divinità. - Quanto alle divinità principali, oltre alla coppia divina già menzionata, abbiamo anzitutto Tetzcatlipoca (lo specchio lucente), l'implacabile provvidenza; Tonatiuh, dio del sole, Meztli, dea della luna; Quetzalcoatl, dio del pianeta Venere e dell'aria; Xiuhtecutli, dio dell'anno, del fuoco, delle comete e della verdura; Centeotl, dea del mais; Cihuacohuatl, dea della terra; Mictlantecuhtli con la moglie Mictlancihuatl, coppia infernale; Huitzilopochtli, dio della guerra, Tlaloc, dio montano delle acque.

Esistevano inoltre moltissime divinità minori, per la caccia, per gli amori onesti, il dio della gioia, la dea dell'agave, la dea delle culle, la dea dei mosaicisti di piume, il dio degli orefici, la Venus impudica, ecc. Ogni mestiere, dignità, azione, tutte le forze della natura avevano una divinità protettrice. La divisione del mondo secondo i punti cardinali esisteva presso i Messicani e corrispondeva a una divisione della società in clan, protetti da totem e da dei che agivano sulle forze naturali delle parti dello spazio che erano, oltre le quattro dell'orizzonte, l'alto, il basso e il centro o mezzo, cioè sette, quanti erano i clan di Messico, ciascuno con il proprio dio.

Escatologia. - I Messicani credevano che dopo la morte incominciasse una nuova esistenza, varia secondo la condotta tenuta in vita e secondo il genere di morte. Quattro erano le dimore dell'al di là: 1. una specie di limbo ove, attorno a un albero colossale, erano tutti i bimbi nati morti o morti appena nati, che suggevano il latte scorrente dalle fronde; essi non crescevano e dovevano ritornare sulla terra e ripopolarla dopo l'estinzione del genere umano. 2. Il mondo sotterraneo (Mictlán), governato dalla coppia infernale, che accoglieva i morti di morte naturale non ributtante. Questi erano obbligati a passare fra monti irti di lame taglienti, colline nevose e deserti ventosi, colpiti da dardi o straziati da una tigre che divorava loro il cuore, per essere infine ricevuti dal dio Mictlantecuhtli a cui erano già state fatte offerte di fuochi, profumi e vesti; a tutto ciò seguiva poi il totale annichilimento. 3. Lo Tlalocán, luogo protetto da Tlaloc, delizioso e fresco, a cui erano destinati i morti colpiti dal fulmine, gli annegati, gl'idropici, i gottosi o affetti da tumori, che vi scorrevano beatamente l'esistenza. 4. Il cielo del sole, luogo meraviglioso, ove entravano i morti in battaglia, i prigionieri uccisi dai nemici, le vittime sacrificate agli dei, le donne che morivano di parto. I guerrieri dopo quattro anni di soggiorno ritornavano sulla terra mutati in colibrì; esisteva pure una metempsicosi per i mendicanti e i miserabili, che si cambiavano, dopo morti, in animali come ragni, scarabei, scarafaggi.

Sacerdozio. - Con tante divinità e riti lunghi e complicati, era naturale che vi fosse un sacerdozio assai numeroso; esso dipendeva da una specie di pontefice elettivo. Ogni divinità aveva i suoi sacerdoti ed esistevano inoltre un capo cantore e un direttore delle feste del calendario religioso; sotto di essi v'erano i tlamacazqui, accoliti, vicarî, sacrificatori, assistenti, ecc. Tutti menavano vita casta, fra le penitenze, i sacrifici e i digiuni. La divinazione e l'idromanzia erano in onore; si prediceva l'avvenire con i grani di mais o suonando corde armoniche. Esistevano anche stregoni, dividentisi secondo le loro attribuzioni; mangiatori di cuori, danzatorì con i morti, addormentatori ecc. I sacerdoti vestivano mantello e berretto neri, per insegne avevano un sacco di copale e tenevano in mano una specie di scettro. Il sacerdozio non durava tutta la vita, ma poteva cessare.

Esistevano anche sacerdotesse in posizione subalterna, adibite alla pulizia dei templi, alla custodia del fuoco sacro, al servizio dei sacerdoti, che vivevano in specie di monasteri sotto diaconesse, che ricordano le mamacuma del Perù; anche per esse il sacerdozio non era perpetuo e potevano sposarsi prima dei venti anni. L'ufficio principale del sacerdozio - dopo quello religioso - era di educare e istruire i figli dei nobili nel calmecac e negli altri collegi.

Idoli. - Gl'idoli di pietra, terracotta, legno, gemme, metalli erano sparsi largamente dappertutto, rozzi o fini, belli o brutti, terrificanti, spesso grotteschi, dipinti su tela, carta, legno. I primi templi erano monticoli di terra e pietre, in seguito vere piramidi e santuarî a una o più camere (teopán, teocalli); solo nella città di Messico ne esistevano, all'epoca della Conquista, duemila. Entro la cintura del complesso di edifici sacri di questa città, esistevano, oltre ai templi, magazzini, abitazioni dei sacerdoti, caserme, arsenali, collegi d'educazione, vivai, ecc.; va ricordato ancora il lugubre edificio detto Tzompantli, dove si deponevano le teste dei sacrificati. Il Conquistatore Anonimo (Ramusio, III, 300) ne lasciò una descrizione impressionante. I templi usufruivano di grandi rendite di terre a cui accudivano speciali lavoratori.

Culto. - Sappiamo già che esistevano, fra le pratiche del culto, una specie di battesimo per il neonato e una specie di confessione auricolare per liberarsi da meritati castighi, specialmente per colpe religiose. lmpastavano con farina di mais e sangue umano l'immagine di una divinità e se ne nutrivano, immaginando fosse la carne stessa del dio; si assoggettavano a penitenze austere, pungendosi con spine o punte di selce o ossidiana varie parti del corpo, specie la lingua, e spruzzandone di sangue gl'idoli per ingraziarsi le divinità. Per adorare usavano toccare il suolo col medio della destra, portando alla bocca la polvere; pregavano rannicchiati e volti a oriente.

Quanto ai sacrifici, si constatano nel Messico pratiche che dalle innocue offerte di prodotti della terra, passano gradualmente, attraverso sacrifici di animali, a quelli umani e in una proporzione davvero impressionante, anche se non si può interamente prestare fede agli storici che ci parlano di ecatombi di diecine di migliaia di vittime. Queste venivano lapidate, saettate, seppellite vive, strozzate, bruciate vive; lo strappamento del cuore per mezzo di una rapida incisione col coltello di selce era il sacrificio più comune. Spesso il sacrificatore fingeva d'essere il dio stesso, oppure la vittima aveva gli attributi della divinità, affinché con la morte s'incorporasse e s'identificasse con il dio stesso; comunemente si ammetteva d'ingraziarsi il dio sacrificandogli prigionieri e offrendogli la loro parte più nobile, cioè il cuore. I bambini erano specialmente sacrificati al dio Tlaloc, rinchiudendoli in grotte montane e facendoli morire d'ambascia e di fame sgozzandoli; raramente si sacrificavano le donne, solo in onore della dea Centeotl o Xilonen, decapitandole e rivestendosi il sacerdote-carnefice della pelle. Anche le scene d'antropofagia, che succedevano al sacrificio, si spiegano come continuazione del sacrificio espiatorio o rituale, poiché, essendo la vittima assimilata col sacrificio alla divinità, l'assorbimento di parte di questa veniva a corrispondere a una vera comunione con la divinità stessa.

Numerose e fastose le cerimonie religiose, nelle quali, mensilmente, si onoravano le varie divinità. In esse le processioni, le offerte, le preghiere, le penitenze, le danze, i sacrifici d'animali e di uomini davano un aspetto di grandiosità imponente. La più celebre era quella della fine del secolo (ogni 52 anni), in cui si festeggiava la rinascita di un altro periodo uguale. Durante i cinque ultimi giorni, i Messicani si davano a distruggere le suppellettili casalinghe, preparandosi alla fine del mondo. Sacrificavano l'ultima sera durante la culminazione delle Pleiadi, una vittima scelta, accendendo sul petto di essa un fuoco che serviva a far divampare il rogo, mentre sorgeva l'alba del nuovo secolo festeggiandolo con delirante tripudio; nei tredici giorni seguenti alla cerimonia si continuavano le feste con processioni, banchetti e si ripulivano e s'imbiancavano le case e venivano sostituiti gli utensili che erano stati distrutti.

Lettere e scienze. - Il sistema grafico, i manoscritti. - Sembra che anticamente i Messicani, per fissare e comunicare il pensiero, si siano valsi del sistema delle cordicelle a nodi sul tipo dei quipu peruviani e dei wampun, usati dalle tribù dell'America Settentrionale. Successivamente passarono allo stadio della scrittura pittorica nel quale rappresentavano determinati concetti con le figure di oggetti corrispondenti; poi allo stadio ideografico, nel quale il disegno diveniva simbolo (v. fig. a p. 987, nn. 2-14) e al momento della Conquista incominciavano a entrare nello stadio fonetico, componendo non solo ideogrammi, ma anche - alla fine - dei veri e proprî iconofoni. Giustamente si è confrontato il loro modo d'esprimersi ai rebus (fonetici), nei quali ogni parola o sillaba costituente i nomi dei luoghi persone, azioni, ecc., è rappresentata con figure di oggetti della stessa denominazione e della stessa consonanza, ma senza alcun rapporto con l'idea rappresentata. Per esempio, il nome di persona Cuetlaxihuitl è reso nella fig. a p. 987 col n. 18, che rappresenta una pelle d'animale (Cuetlax-tli) e piume d'uccello (ihuitl); il nome di luogo Huitzilopochco è reso col n. 30, cioè l'immagine del dio della guerra, e altre volte col n. 31, che rappresenta un colibrì (huitzitzilin), il quale distende l'ala sinistra (opochtli).

Esistevano naturalmente, molti segni convenzionali fissi per rappresentare cose astratte: elementi, meteore, azioni, stati d'animo; si aggiunga la grande importanza data dal colore della pittura; per esempio, l'ideogramma atl, tinto in verde-celeste, significava acqua, in rosso, sangue. Per apprezzare il vero valore di questo sistema, bisogna osservare il legame che aveva con la tradizione orale di cui era ausiliario; forse la grande facilità dell'iconografia la fece preferire al rappresentare l'oggetto con il suo iconofono.

Il primo a parlare dei manoscritti e della grafia in essi adoperati, fu Pietro Martire d'Anghiera (De Orbe Novo, Parigi 1587, IV dec.) che li descrive assai esattamente. Si tratta di grandi strisce larghe da 10 a 20 cm., di pelle di cervo, carta d'agave, tela di cotone o d'altro vegetale, spalmate di una specie di vernice gessosa e lunghe più metri, ripiegantisi su sé stesse come un paravento o un ventaglio in modo da formare le dimensioni di un libro in 8° di 2-300 pagine. Queste strisce dipinte da ambo le parti, con vivi colori, appartengono al genere grafico misto, contengono cioè iconofoni e disegni, spesso con le date del calendario azteco ai margini della pagina. Si tratta per lo più d'annali, calendarî rituali, atti processuali, catasti, tributi, notizie meteorologiche, astrologiche o magiche. Essi si dividono, per l'età, in anteriori o posteriori alla Conquista; per l'origine, in aztechi, mixtechi, zapotechi, ecc. Fra i manoscritti precolombiani che ci interessano di più, vi sono le Mappe Tlotzín e Quinantzín d'argomento storico, il Codice Borgia (Bibl. Vaticana) e il Codice Vaticano B, commentato da E. Seler nel 1902. La Biblioteca universitaria di Bologna possiede il Codice Cospiano (Roma, Danesi 1899). Altro manoscritto prezioso il Codice Nuttall, già dei Medici, ora in Inghilterra, pubblicato con note da Zelia Nuttall nel 1902; d'argomento cronologico, genetliaco e cosmogonico è il ms. messicano Borgiano della "Propaganda Fide", edito dal Loubat a Roma (1898). Fra i posteriori alla Conquista, si ricordano il famoso Codice Telleriano-Remense che si trova alla Biblioteca Nazionale di Parigi, d'argomento storico-religioso, pubblicato dal Hamy nel 1899, il Codice Vaticano A (ed. Loubat), il Codice Vergara, d'argomento economico, il Codice Mendoza, importante per la storia e per i costumi, il Codice Hamburgense, di recente scoperto, commentato e pubblicato da Th. W. Danzel. Esistono molti altri manoscritti, senza contare i numerosi catasti e documenti di argomento simile, altri ne esistono forse in biblioteche o archivî, specialmente in Italia, sconosciuti o dimenticati. I documenti grafici di cui ora si parla, sono, del resto, un minimo avanzo di un'enorme massa di materiale pittografico esistente al tempo della Conquista e costituente gran parte dello scibile dei Messicani.

Letteratura. - L'unica lingua del Messico di cui sia giunto fino a noi qualche cimelio letterario, salvo poche e trascurabili eccezioni, dopo la maya, è la nahuatl che volgarmente, viene detta messicana o azteca. Era la più importante d'ogni altra per ricchezza, armonia, plasticità.

Facilitata da un simile prezioso strumento, la letteratura dei Messicani - popolo immaginoso e ardente - in un ambiente che, per dolcezza di clima e magnificenza di cielo e di panorami, era uno dei più mirabili del mondo, deve aver raggiunto un livello assai elevato. Alcuni inni religiosi, due canti fra i molti composti dal re poeta Nezahualcoyotl e riportati dal suo discendente, il cronista Ixtlilxochitl, da P. B. de Sahagún e da altri, e tradotti da D. G. Brinton, da E. Seler, da R. De Grasserie, da L. Castillo Ledón - mentre si attende la tanto promessa edizione completa di Mariano G. Rojas - sono, insieme con i Cantares de los Mexicanos, manoscritti della Biblioteca Nacional di Messico, e ad alcuni discorsi, orazioni e canti elegiaci, quanto di meglio ha potuto giungere sino a noi. Questa produzione continuò nonostante la censura religiosa, sino a oltre trent'anni dopo la Conquista.

I Messicani coltivavano con passione anche l'eloquenza e la studiavano con cura sino da fanciulli: P. B. de Sahagún ci ha riportato alcuni discorsi di re e di dignitarî, pieni di grazia e di dignità per quello che si può giudicare dalla traduzione spagnola e attraverso le inevitabili alterazioni. Esisteva pure una poesia drammatica per teatri all'aperto, della quale ci lasciò relazione Acosta, di genere grottesco, in cui erano messi alla berlina ammalati e storpî imploranti la salute dagli dei o erano rappresentate scene buffonesche con attori travestiti da animali, che terminavano, in genere, con danze generali. Secondo il Preuss, alle coreografie messicane si dovrebbe attribuire un carattere fallico, come cerimonia di fecondazione della Terra-madre.

Le scienze. - Non si può in senso ristretto, parlare di matematica e neppure d'aritmetica messicane, rimaste allo stato rudimentale, per quanto i grandi lavori idraulici e architettonici dimostrino una conoscenza pratica notevolissima, confermata nel campo astrocronologico dall'ammirabile calendario. Il sistema numerico era vigesimale, i numeri dall'1 al 5 si scrivevano con punti, il 20 con una specie di bandiera, il 10 con una losanga, il 400 con una penna o piuma; secondo che si tolgano un quarto, una metà o i tre quarti delle barbe, significa il 100, il 200, il 300; l'8000 è rappresentato da una borsa. Né molto sappiamo delle conoscenze astronomiche dei Messicani; certo si è che essi conobbero la causa dell'eclissi del sole, usarono lo gnomone e fissarono i punti solstiziali ed equinoziali della levata e del tramonto del sole e calcolarono la culminazione di certi astri, per esempio delle Pleiadi. Conoscevano i principali pianeti e su Venere fondarono parte della loro cronologia (anno venusino), e alcune costellazioni, come quella del Toro, delle Pleiadi, del Centauro e le circumpolari; chiamavano le comete "stelle fumanti" e la Via Lattea "veste cosparsa d'astri".

Il Sole era stato divinizzato e fatto sede dei guerrieri morti in battaglia; il novilunio faceva credere al sonno della Luna, mentre nelle macchie di quest'astro credevano di scorgere il corpo di un coniglio scagliatovi dagli dei.

La meteorologia è semplice e fantastica; il vento soffia da varie parti ove si trovano l'inferno e il paradiso e vi presiedono divinità; il tuono, la folgore, le nuvole e la pioggia sono attribuiti al dio Tlaloc e ai suoi ministri; l'arcobaleno era un arco in muratura di varî colori; la neve era pronostico di nuove raccolte; le nuvole bianche annunziavano la grandine, che i maghi potevano scongiurare con i loro sortilegi. L'anno era diviso in tre stagioni: xopan (stagione delle verdure), tonalco (entra il sole) che durava 10 dei loro 18 mesi, e itztictonalco (tempo freddo e asciutto). Del calendario messicano, che nonostante molteplici studî presenta ancora molti punti oscuri e controversi, è stato detto altrove (v. calendario): avevano un calendario civile, di uso comune al tempo della Conquista, e un calendario sacro, il tonalamatl, che era stato senza dubbio il calendario primitivo, basato in origine sui movimenti della Luna. Il 17 dicembre 1790 fu scoperto, in uno scavo dalla piazza maggiore Città di Messico, un grosso disco, unito a un blocco quadrangolare, di basalto olivino, del diametro di m. 3,60, del peso di 24.000 kg. e dello spessore di m. 1, la cui faccia era meravigliosamente scolpita e che volgarmente fu chiamata la "pietra del sole" o il "calendario azteco" e che diede occasione a lunghe e dotte discussioni. Nel centro risalta la faccia del sole, con la lingua fuori, che significa la luce; nel secondo circolo vi sono le 4 età del mondo, nel terzo le figure dei giorni del mese, nel quarto il quinario venusino, ossia ogni quadretto rappresenta le cinque traslazioni del pianeta; il quinto, il numero 104 del "doppio secolo", il sesto un numero di 416 anni solari, il settimo i corpi dei serpenti xiuhcoatl, sul cui corpo sono segnati 260 punti del tonalamatl e i 365 giorni dell'anno civile. Esso contiene inoltre alcune costellazioni e altri simboli cronografici.

La medicina era in mano specialmente dei sacerdoti che avevano metodi e trattati, ma tutto il popolo conosceva le virtù dei semplici e ne usava largamente. Naturalmente non mancavano le pratiche magiche, in grande onore specialmente nelle credenze dette nahualtín da cui deriva la parola "nagualismo". Esisteva un corpo di medici specialisti di cui sappiamo poco, che viene descritto dai manoscritti messicani e dovevano esistere - benché non ci siano giunti - vasti e complessi formularî farmacologici. I Messicani non s'interessarono molto d'anatomia. Curavano gl'infermi in grandi ospedali che erano nelle principali città e conoscevano i vantaggi di certe cure: dieta, massaggi e l'ipocausto, per ferite, piaghe, morsi di animali velenosi, distorsioni o fratture, erano ben praticati; usavano perfino degli anestetici come l'yautli peyotl. Conoscevano gomme, droghe, erbe medicinali, nonché rimedî tratti da animali e da minerali. Le conoscenze loro di botanica sembra fossero particolarmente notevoli; avevano giardini botanici, collezioni sistematiche di piante; esiste tutta una letteratura sull'uso dei fiori, come elemento decorativo, rituale e medicinale. Poche notizie abbiamo sulle terribili epidemie che desolarono l'Anahuac in epoche precolombiane; come è assai discussa l'esistenza della sifilide prima della Conquista.

Arte. - Architettura. - Cortés, il Conquistatore Anonimo, Pietro Martire e altri, ci raccontano meraviglie delle grandi città incontrate: Messico, Tlaxcala, Cholula, Tetzcoco, e le loro relazioni sono troppo concordanti per potere essere tacciate di esagerazione. I fabbricati costituenti il palazzo del re di Tetzcoco, si stendevano per circa 1 km. e per 800 m., erano circondati da un muro alto 6 m. e di m. 1,80 di spessore; contavano vasti cortili e un porticato di marmo; le pareti degli appartamenti reali erano incrostate d'alabastro e di stucchi a smaglianti colori e coperte di tappezzeria, di pelli, e piume.

Questi palazzi contenevano 300 appartamenti; all'interno erano foderati di legni preziosi; il cemento usato è, ancor oggi, duro come granito. La collina di Tetzcotzinco serba ancora le rovine mirabili delle terrazze e dei giardini pensili di una villa che doveva essere magnifica e di un arditissimo acquedotto. Il già citato Conquistatore Anonimo ci descrive la grandiosità della capitale, Messico-Tenochtitlán, cui sono attribuite 60.000 case e 300.000 abitanti; Cortés, nelle lettere a Carlo V, ricorda anche Cholula con 40.000 ab., irta di 400 torri, e la sua grande piramide, la maggiore massa innalzata dall'uomo. Le rovine di alcune località - specialmente nella regione di Messico e nel paese dei Maya - ci confermano quanto si venne affermando dai suddetti scrittori: Teotihuacán (Messico) con le due grandi piramidi del Sole e della Luna e il tempio di Quetzalcoatl Tlaloc; il tempio fortezza di Xochicalco (Morelos), la piramide di Papantla o del Tajín (Veracruz), la necropoli di Mitla (Oaxaca), il tempio-torre di Tepoztlán (Morelos), la fortezza di Monte Albán (Oaxaca), per dire solo di taluna, fra le più note sparse nella regione. Le grandi piramidi, a differenza delle egizie, erano tronche e a più piani, messi in comunicazione con scale, costruite a strati alternati di pietrisco, di cemento e di adobe - grossi mattoni cotti al sole - il tutto ricoperto da una fitta crosta di cemento che ha resistito, in parte, agli elementi e al tempo; su queste piramidi erano costruiti i templi, per lo più di forma cubica o parallelepipeda, a più camere, dalle muraglie massicce con poche aperture, con un tetto di grosso spessore e un alto cimiero traforato con grazia. E così si dica per i palazzi del re, dei principi e dei capi.

L'ingegneria sembra avesse raggiunto un notevole grado di sviluppo, pur non avendo fatto uso dell'arco e della vòlta; si prestò pure alla costruzione di ponti di legno o di pietra, di dighe destinate a impedire le disastrose inondazioni del lago di Tetzcoco e di grandiose fortificazioni.

Scultura e pittura. - La scultura dei Messicani è in gran parte elemento decorativo e quasi integrante dell'architettura e non si può dire che abbia dato - salvo in qualche eccezione - dei risultati molto brillanti, forse però una gran parte delle migliori opere andò distrutta dagli Spagnoli. Essa, mentre nella decorazione ornamentale raggiunse spesso effetti pieni di grazia e di bellezza, in generale, nella raffiggurazione umana, rivela, almeno nei primi tempi, rozzezza di concezione, incuria di proporzioni e scorrettezza di linee, puerile ricercatezza nei particolari e accessori. Ma in seguito s'assiste, nelle opere degli ultimi decenni precedenti alla Conquista, a un vero progresso nella tecnica, che si va affinando: gli errori si correggono, si ferma la fantasia esuberante della concezione e si giunge a vere opere d'arte come la testa dell'uomo morto e la testa del guerriero Aquila (v. aztechi), che sono capolavori d'espressione e di abilità, e la maschera d'onice verde del Museo nazionale d'antropologia ed etnologia di Firenze. Dobbiamo, d'altronde, giustificare in parte le evidenti sproporzioni della scultura antropomorfa e zoomorfa, che tendeva a mantenere i caratteri arcaici imposti da un canone tradizionale nell'iconografia specialmente religiosa. Si aggiunga infine una specie di morbosa tendenza, assurta a vero culto, per la rappresentazione veristica delle deformità naturali o artificiali del corpo umano e delle malattie che l'affliggono. I Messicani adoperavano l'ossidiana e la selce per scolpire il basalto, la lava, la trachite, il porfido, l'alabastro, ecc., ma preferivano plasmare cemento e stucco e terracotta. Fra le migliori opere dell'arte scultoria di figura, dedicata quasi esclusivamente alla rappresentazione di dei o sacerdoti, si ricordano, oltre alle due teste suddette, il "Calendario" o "Pietra del Sole", l'idolo della dea Coatlicue alto tre metri, l'idolo colossale di Omecihuatl, alto metri 3,15, la pietra cilindrica di Tizoc di un diametro di m. 2,65, l'"Indio triste", la grande testa che ha un metro di diametro della dea Coyolxauhqui, e altre innumerevoli più piccole e variamente lavorate, da una sommaria sbozzatura alla più diligente e fine elaborazione.

Della pittura ci è rimasto pochissimo, tanto nel campo della decorazione come nella pittografia, per la poca resistenza del materiale al tempo e per la facilità della sua distruzione da parte degl'iconoclasti europei. Imperfetta quest'arte, più delle altre, nell'interpretare la natura; più che nella scultura, il dogma religioso e il convenzionalismo ideografico la ostacolarono, togliendole la libertà, in cui il genio degli artisti avrebbe potuto imprimere la propria personalità. E neppure nella decorazione l'artista si sentì libero, perché dominò in lui il dovere religioso, fissandogli forme, linee e colori. Tuttavia troviamo talvolta belle composizioni e abili combinazioni di tinte. Le cose migliori rimasteci dei pittori messicani, oltre alle pittografie di alcuni codici, sono gli affreschi del tempio dell'agricoltura e della Casa de Barrio a Teotihuacán e le pitture religiose, astrologiche e cronologiche di Mitla.

La ceramica e le arti minori. - I Messicani raggiunsero un alto livello nella ceramica, benché non abbiano conosciuto l'uso del tornio e della ruota. Le loro primitive stoviglie ricordano quelle dei cavernicoli e dei "pueblos" ma, in seguito, vanno perfezionandosi e si possono confrontare con quelle del Perù e dell'antico Egitto. Il materiale ne è scelto, mescolandosi l'argilla con sgrassanti, la lavorazione accurata; per il vasellame si usava il blocco cilindrico scavato all'interno e dalle pareti assottigliate, o una serie di colombini o uno solo a spirale e anche un cesto di vimini spalmato di creta fuori e dentro e bruciato sul fuoco in modo da mantenerne la forma anche dopo la sua scomparsa. Le forme sono infinite, spesso simboliche, convenzionali, in cui spesso traspare la personalità del vasaio; in genere zoo-, fito- e antropomorfiche, meno spesso con ricche applicazioni; la decorazione a mano libera, svariatissima: geometrica, serpentina, a greche, ecc.; la colorazione vivace a tinte accese, l'ingobbio vi si depositava come una vernice vetrificante, la cottura in più modi, a pieno fuoco, a fuoco ossidante o riducente, con varie qualità di legna. Le maestranze erano quasi tutte di donne ceramiste. Le migliori ceramiche erano di Cholula, di Tetzcoco, di Teotihuacán e dei paesi dei Mixtechi e Zapotechi.

Dalle miniere i Messicani estraevano argento, piombo, stagno e rame; l'oro veniva tratto dalle sabbie dei fiumi; il rame serviva come strumento (ma era poco usato), l'argento e l'oro per ornamenti e gioielli. Pietre preziose ne avevano in abbondanza: giadeiti, turchesi, smeraldi, ametiste, diaspri; con l'ossidiana facevano lame taglienti, lime, armi, specchi e utensili, conoscevano le perle d'ostrica e l'ambra; con la pirite fabbricavano piccoli specchi d'uso pratico o rituale.

Assai comuni le arti del filare e del tessere il cotone e altre fibre, per esempio, delle agavi, e dei peli di coniglio e di cane: producevano tele grosse e anche fini a vivaci colori per le loro vesti, mantelli, coperte, ecc. Conciavano le pelli dei mammiferi, d'uccelli e di rettili; tingevano con la cocciniglia (nocheztli) e con sostanze vegetali e minerali che fissavano con allume di rocca e il succo glutinoso della pianta detta tizauhtli. Con le fibre intrecciavano stuoie, calzature, copricapi, canestri. Ma ci è giunto ben poco di tali arti e le conosciamo soltanto attraverso le pitture e la ceramica che le riproduce.

Specialmente nella lapidaria minuta i Messicani raggiunsero un progresso notevolissimo; le pietre più dure venivano da essi squisitamente lavorate per mezzo dello smeriglio, del corindone; celebri gli smeraldi di Cortés, magnifiche le gemme lavorate del Museo nazionale d'antropologia di Firenze; due teschietti di cristallo di rocca si trovano nel Museo del Trocadero e al British Museum. I mosaici in pietre dure, di oggetti per lo più rituali, specialmente maschere, e di cui abbiamo solo una cinquantina di notevolissimi esemplari a Roma, a Berlino, a Messico, a Londra, a Copenaghen, a New York ecc., sono veramente preziosi per la finezza e leggiadria del lavoro. Il più meraviglioso di questi è il disco scoperto nel 1928, contenente 3200 turchesi ed esistente oggi al Museo nazionale di Messico. Esistono poi infiniti esemplari accuratamente lavorati di piccole sculture, per lo più feticci, idoletti, mascoidi, pettorali, ornamenti per labbro (tentetl), per il mento, per il naso in pietre dure e gemme.

Nell'oleficeria i Messicani non appaiono inferiori ad alcun popolo del mondo orientale; anche i pochi oggetti d'oro rimastici dal saccheggio degli Spagnoli, che li fondevano, formano l'orgoglio dei musei che li posseggono idoletti, feticci, amuleti, gioielli; celebre il tentetl a testa d'aquila del Civico Museo di Torino e gli aurei scoperti testé dal prof. A. Caso a Monte Albán. Gli orafi (tlatlalianime) erano insuperabili incastonatori di gioie e battevano, scolpivano, cesellavano, bulinavano il metallo con un'arte insuperata e conoscevano benissimo tutta la tecnica, ora perduta, di una perfetta fusione a cera. Infine, l'arte originale, caratteristica in cui i Messicani eccellevano era il musaico di piume, opera di ammirabile pazienza e di singolare buon gusto (v. musaico).

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IL MESSICO POSTCOLOMBIANO

Storia.

La conquista e il periodo coloniale. - Cristoforo Colombo nel suo quarto viaggio aveva incontrato presso la costa settentrionale del Honduras e più precisamente presso l'isola di Guanaya una grande nave dei Maya, ma tutto intento alla ricerca del passaggio all'India, aveva continuato verso mezzodì senza risalire allo Yucatán. E anche gli altri navigatori che mossero successivamente dall'Hispaniola o dalla Giamaica, ricercarono tutto il contorno del Mar Caribico senza avventurarsi nelle acque a nord di Cuba. Soltanto nel 1513 Juan Ponce de León scopriva la penisola della Florida e quattro anni più tardi, nel 1517, Francisco Hernández de Córdoba, per incarico di Diego Velázquez, governatore di Cuba, raggiungeva la costa dello Yucatán al Capo Catoche e la seguiva fino all'odierno Campeche (Champotón), toccando così per primo le terre messicane. L'anno dopo, e precisamente il 20 aprile 1518, partiva da Matanzas una nuova spedizione agli ordini di Juan de Grijalva e con la guida di Alaminos, pilota della spedizione precedente; essa, giunta a Champotón, continuava diretta a ovest e quindi a nord, esplorando prima la costa del Tabasco e il Río Grijalva e poi la costa di Veracruz, rientrando a Cuba sul finire di quello stesso anno. Seguiva la spedizione di Hernán Cortés (v.) che, partito con una flotta di 11 navi, il 18 febbraio 1519 dal Capo San Antonio, estremo occidentale di Cuba, si dirigeva dapprima all'isola di Cozumel, dove liberava il padre Girolamo de Aguilar, che era caduto prigioniero dei Maya nel 1511, e che gli rese poi importanti servizî come interprete, e quindi navigando attorno allo Yucatán raggiungeva la foce del Grijalva dove con una battaglia sanguinosa sconfiggeva e sottometteva gli abitanti di quella regione. Continuando in seguito la navigazione, il 21 aprile 1519 il Cortés sbarcava con tutte le sue forze nel luogo dove ora sorge la città di Veracruz.

Non è qui il caso di fare la storia della conquista; dopo una serie di memorabili imprese e di lotte disperate, il 13 agosto del 1521, costretta la città di Messico a capitolare, il Cortés se ne impadronì definitivamente con tutto il dominio degli Aztechi costituendo con esso il viceregno della Nuova Spagna.

I problemi che scaturirono dalla conquista furono naturalmente differenti per i conquistatori e per i conquistati. La politica dei conquistatori dovette tendere ad acquistare la maggiore autonomia possibile, compatibilmente col loro attaccamento per la Spagna; ad assicurare il dominio della Spagna sui paesi conquistati; a organizzare il governo di questi e portarne più lontano i confini. Avvenne così che le loro aspirazioni politiche individuali, quelle locali e quelle della Spagna entrarono subito in contrasto. Nella vita economica sorsero presto gravi conflitti fra i conquistatori e gli indigeni, fra quelli e le istituzioni politiche e religiose della monarchia. La stessa conversione al cristianesimo mise i conquistatori non solo in conflitto con le antiche religioni, ma persino con le istituzioni per mezzo delle quali la cristianizzazione si era effettuata, che rivaleggiavano fra loro e con le altre istituzioni pubbliche, come anche con gl'individui sui quali si era estesa la loro azione. Questi antagonismi, più o meno coperti durante l'epoca coloniale, si espressero nell'aspirazione all'indipendenza del paese, e con l'indipendenza molti di essi ebbero la loro conclusione, mentre altri seguitarono a esistere e spiegarono anche dopo la loro azione.

Già prima di aver preso la città azteca di Tenoxtitlán, Cortés e i suoi compagni avevano fondato le prime colonie; quella della Villa Rica de la Veracruz nel 1519, fu, sulle prime, puramente una finzione legale, per rendere indipendente Diego Velázquez, il governatore di Cuba, con cui Cortés aveva combinato la sua spedizione. Dopo che fu introdotto nel Messico, con la fondazione di questa colonia, il regime municipale della Spagna, e dopo che questa nuova colonia fu messa sotto la dipendenza del re, essa cessò di dipendere da Cuba. E la spedizione di Cortés, il cui governo immediato rimase nelle mani degli Spagnoli che la costituivano e che portò al potere la persona stessa di Cortés, è stato il punto di partenza del concetto della sovranità locale dei consigli municipali (ayuntamientos) delle nuove città che furono fondate dopo: il governo delle quali, idealmente indipendente, benché soggetto a più alta autorità, fu l'origine virtuale delle aspirazioni democratiche dell'America Centrale spagnola, conciliato, durante tutta l'epoca coloniale, col patriottismo che legava i conquistatori alla Spagna.

Il primo atto di Cortés, dopo la presa dell'area lacustre, già occupata dalla città di Tenoxtitlán, fu di fondare la nuova città nello stesso posto dell'antica: ciò che dava all'atto un particolare carattere spirituale. E siccome l'antica città era stata conquistata con l'aiuto di un gran numero d'indigeni; e la nuova nazione, ora all'inizio della sua esistenza, poteva svilupparsi solo con la collaborazione degli Spagnoli con gl'indigeni, Cortés invitò subito gran numero di questi a stabilirsi presso la nuova città, sotto il governo diretto di autorità indigene designate dagli Spagnoli e dipendenti da essi. L'organizzazione politica locale che in tal modo fu stabilita e che venne riprodotta nelle altre città spagnole e indigene fondate dopo, assicurava il predominio agli Spagnoli, per il grande prestigio che essi godevano come conquistatori e per la loro cultura superiore; per l'appoggio che essi prestavano in caso di pericolo; per i rinforzi che ricevevano di crmtinuo, mediante i nuovi colonizzatori provenienti dalla Spagna e dalle Antille; per la superiorità delle loro armi e per i robusti edifici, strategicamente dominanti, che essi costruivano nelle loro città.

D'altra parte, la reciproca compenetrazione delle attività delle due razze, non solo nelle città importanti, ma anche nei piccoli paesi, dove le piante e i semi importati cominciarono a essere coltivati insieme con quelli del paese, con l'aiuto di animali e di strumenti di lavoro, pure importati; e anche nelle lontane imprese compiute dagli Spagnoli con l'aiuto degl'Indiani a scopo di ricognizione e di conquista, fece sì che, fin d'allora, si avviò la fusione degl'interessi opposti degli Spagnoli e degl'Indiani. Ciò apparve già, nel doppio nome spagnolo e indigeno, di varie colonie, allora fondate, e dei quartieri di esse. D'altra parte già Cortés aveva cercato, per assicurare la sua conquista, d'impedire che, anche senza la volontà o la consapevolezza del principe indiano, Cuauhtemotzin, gl'indigeni cercassero di raggrupparsi attorno a lui, in opposizione agli Spagnoli: e perciò lo sacrificò insieme col signore di Tacuba, fingendo di credere che essi ordissero cospirazioni contro di lui, durante la spedizione nelle Hibueras (febbraio 1525).

L'espansione della conquista cominciò prima che fosse presa l'antica Città di Messico; e cominciò specialmente per opera delle spedizioni militari mandate da Cortés verso il sud, nel territorio che oggi forma lo stato di Morelos. Poi proseguì nel paese dei Mixtec e nel Guatemala, per opera di Pietro de Alvarado; nel paese dei Mixtec, ancora, per opera di Francesco de Orozco; nello Yucatán e nel Campeche, con i Montejos; in Colima, in Coatzacoalcos e nell'Honduras, con Cristóbal de Olid. Lo stesso Cortés si spinse, nel 1522 e nel 1523, verso NE. per disputare al governatore Francesco de Garay la ricca provincia del Pánuco: e nel suo passaggio, conquistò le fertili terre di Metztitlán. Nel 1535, s'imbarcò in Acalpulco e, dopo essere sbarcato nella Bassa California, fondò la colonia di La Paz.

La grande avanzata verso il nord, iniziata con le terribili scorrerie di Nuño de Guzmán, che s'impossessò delle terre di Jalisco e proseguì oltre, fu proseguito da Francesco Vazquez de Coronado. Per incarico del viceré Antonio de Mendoza, egli fece dal 1540 al 1542, un viaggio di esplorazione che, iniziato da Compostela, la prima capitale nella Nuova Galizia, fondata nel 1535 da Nuño de Guzmán, continuò attraverso il Nayarit, Sinaloa, Sonora, le alte giogaie del Nuovo Messico e le praterie orientali delle Montagne Rocciose, fino al Kansas, mentre varî dei suoi compagni erano inviati in altre spedizioni collaterali, in una delle quali Cárdenas scoprì il Gran Cañón. La spedizione di Giovanni Rodríguez Cabrillo e Bartolomé Ferrelo, fatta nel 1542, pure per ordine del viceré Mendoza, arrivò fino al 42° grado di latitudine nord; e quella che lo stesso viceré affidò a Ruy López de Villalobos e che aveva riconosciuto le Isole Filippine e occupatene alcune, si completò nel 1564 con la spedizione fatta da Michele López de Legazpi, che partì da Acapulco.

Intanto, esploratori, missionarî, minatori e pastori procedevano rapidamente da Messico verso l'interno del territorio. Nel 1548, fu fondata Zacatecas; nel 1563, Durango; nello stesso anno e nei seguenti, Francesco de Ibarra esplorò le montagne e le miniere della Sierra Madre Occidental e arrivò a Casas Grandes, dopo di aver compiuto molti altri atti di audacia. Aperta così la via alle spedizioni, Antonio de Espejo, un ricco abitante di Messico, arrivò nel 1582 e nel 1583 fino al Nuovo Messico, di cui la conquista e la colonizzazione, combinata col viceré, il secondo Luigi de Velasco, fu compiuta da Giovanni de Oñate, che estese (1596-1608) i dominî della Nuova Spagna fino al Nuovo Messico e al Kansas, fondandovi le prime colonie. Prima e dopo di questi, la Nuova Spagna si allargò anche a N. e NE. del Pánuco: nel 1565, fino a Saltillo; nel 1590, fino a Monclova. Dopo, vi fu una sosta: ma nel 1655 la marcia proseguì; e in seguito, benché un certo numero d'Indiani si mostrassero ostili, molti altri chiamarono con insistenza i missionarî, inviando a tale scopo degli emissarî dal territorio più in là del Río Bravo, a Saltillo, Parral, Guadalaiara e Messico. Durante il viceregno dell'arcivescovo fra Payo Enríquez de Rivera, nel 1674, fu incaricato della conquista e dei primi lavori della colonizzazione Antonio Balcárcel Riva de Neira Sotomayor, che, con l'aiuto degl'indiani Coahuilteco, avanzò al di là del Río Bravo e si poté convincere che le ostilità delle varie tribù indiane fra di loro li rendevano inadatti ad una vita in comune. Poco dopo, nel 1680, ebbe luogo il grande sollevamento dei zuñi nel Nuovo Messico. Ma gli altri Indiani, tre anni dopo, si presentarono varie volte in Paso del Norte per sollecitare i missionarî e stabilire rapporti con i conquistatori: dopo di che, il movimento in avanti della Nuova Spagna attraverso il Texas fu compiuto dal maestro di campo Giovanni Domínguez de Mendoza e da varî francescani; come anche, dal 1686 al 1690, dal governatore di Coahuila, Alonso de León e Damiano Menzanet, del Collegio di Santa Cruz di Querétaro. Ventisei anni dopo, nel 1716, l'occupazione definitiva del Texas da parte degli Spagnoli e Messicani segnò il limite occidentale della Luisiana francese.

Intanto, al NO. i gesuiti avevano iniziato nel 1590 i loro lavori missionari. Nel 1644, essi avevano 35 missioni a Sinaloa e Sonora, e nel 1687 Eusebio Chino arrivò alla Pimeria Alta ed esplorò il paese fino all'Arizona e alla Bassa California, unendolo alla chiesa cattolica e alla Nuova Spagna e aprendolo alla conoscenza degli Europei.

La naturale tendenza dei primi conquistatori a rendersi indipendenti fece sì, che, sebbene l'imperatore avesse nominato Cortés "governatore generale della Nuova Spagna e delle sue provincie", fino dal 15 ottobre 1522 Olid si fosse ribellato contro di lui e l'avesse posto nella necessità d'intraprendere nel 1524 la sua sfortunata spedizione nelle Hibueras, per ridurlo all'obbedienza. Intanto, durante la sua assenza dalla Città di Messico, gl'incaricati di governare in suo nome si erano rifiutati di riconoscersi reciprocamente ed erano addivenuti ad aspre lotte intestine, che spinsero il governo spagnolo ad affidare il governo del paese a un'udienza (consiglio amministrativo). Essendo la prima udienza (dal dicembre 1527 al dicembre 1530) risultata non di uomini di governo, ma di gente cupida e ambiziosa, l'imperatrice Isabella decise di nominare un viceré, che fu U. Antonio de Mendoza, sostituendolo tuttavia, prima che egli potesse recarsi a compiere il suo incarico, con una seconda udienza (dal dicembre 1530 all'ottobre 1535), migliore della prima, in cui eccellevano Sebastiano Ramírez de Fuenleal, vescovo di Santo Domingo e Vasco de Quiroga, che governarono con grande saggezza.

Fatta la conquista del Messico da uomini che la compirono per conto proprio e per il loro proprio benefizio, avvenne che essi cercarono di rifarsi delle spese fatte e dei pericoli corsi, e chiesero a Cortés terre e Indiani. Cortés cedette alle loro esigenze e, nel 1522, stabilì nella Nuova Spagna il regime di repartimientos e di encomiendas.

L'attitudine di Carlo V, sull'inizio, fu diversa. Nella sua cedola di Valladolid, del 26 giugno 1523, egli dichiarò che "giacché Dio, Nostro Signore, aveva creato gl'Indiani liberi e non soggetti, egli non poteva metterli in encomienda né fare di essi una ripartizione". Però non gli fu possibile imporre questo suo concetto. Tuttavia la seconda udienza ridusse le ripartizioni e le facoltà degli encomenderos, ordinò che non si continuasse a bollare a fuoco gl'Indiani come fossero schiavi; ottenne che si aumentasse l'introduzione del bestiame, dei cavalli, dei buoi e delle bestie da lana, che, oltre ad essere utili agli Spagnoli, dovevano agevolare a molti nomadi il passaggio alla vita pastorale e agli agricoltori l'uso dell'aratro. Infine, fondò nuove colonie; la più importante, Puebla de los Ángeles, nel 1530, del frate francescano Toribio Buenavente (più conosciuto col nome di Motolinio).

Un encomendero avrebbe dovuto essere un protettore ed educatore degli Indiani che gli venivano affidati. In realtà, gl'Indiani erano obbligati a pagargli un tributo, corrispondente a ciò che gli altri Indiani dovevano pagare al governo e che la seconda udienza ridusse a due reali al mese. Insieme a buoni encomenderos ve ne erano di cattivi: per cui contro l'istituzione delle encomiendas si levarono proteste, soprattutto dai domenicani. Ricordiamo quelle del vescovo fra Bartolomeo de las Casas. Un atteggiamento loro proprio assunsero i francescani. Opponendosi a tutte le esazioni di cui gl'Indiani erano vittime, essi sostenevano che il miglior modo di difenderli consistesse nel rendere ereditarie le loro encomiendas, per lo meno a favore della generazione subito seguente; e nell'ingrandire i possessi degli encomenderos in modo da rendere difficili gli abusi verso gl'Indiani. Anche i missionarî si volsero all'assistenza e difesa degl'Indiani, insegnando loro il catechismo, gli elementi della cultura spagnola, le arti e i mestieri, la lingua castigliana parlata, il latino, le prime norme dell'arte del governo dei popoli indigeni. Sopra tutti si distinsero in tale attività Pietro di Gand, che resse per circa 50 anni la scuola da lui fondata a Tecoco e poi a Messico, che era insieme primaria, secondaria e normale, e Bernardino di Sahagún, nella scuola di Santa Cruz di Tlatelolco, fondata nel 1536 dal vescovo Juan de Zumárraga e dal viceré Mendoza. In quest'ultima scuola e fuori della scuola fra Bernardino chiamò a suoi collaboratori degli Indiani, per gli studi preparatori e la compilazione di quella sua Historia de las cosas de Nueva España, che fa di lui uno dei più grandi fondatori dell'etnologia americana.

Abolita la schiavitù con la bolla di Paolo III del 2 giugno 1536, che merita il nome di Bolla della libertà, pubblicate il 20 novembre 1542 le Nuove Leggi, che non solo proibivano la schiavitù ma ponevano termine alle encomiendas, il viceré Mendoza si vide costretto a sospenderne l'esecuzione per la resistenza degli encomenderos. Tuttavia il suo successore, Luigi de Velasco, ottenne nel 1551 che fosse resa la libertà agl'Indiani ancora schiavi. C'era però da risolvere la questione delle proprietà degl'Indiani. La corona di Spagna aveva ordinato piu̇ volte che esse fossero rispettate: tanto quelle private degli antichi signori, quanto quelle comunali dei villaggi indigeni, il cui usufrutto veniva ripartito ai capi di famiglia assegnatarî dei varî lotti, sotto condizione che non se ne allontanassero e li coltivassero. Certo, l'attitudine del papa e dei numerosi difensori degl'Indiani, specialmente dei vescovi e dei frati; il meraviglioso spirito di dedizione con cui si consacravano all'assistenza ed educazione loro uomini di ammirevole virtù come era il vescovo fra Giovanni de Zumárraga (1468-1548) e il vescovo Vasco de Quiroga (1470-1565); la dottrina con cui ne studiavano e descrivevano la vita investigatori così perspicaci come Bernardino de Sahagún, ebbero per effetto non solo di salvare dalla distruzione le razze indigene - il che si deve pure alla sollecitudine dei migliori fra i primi viceré (Antonio de Mendoza, 1536-1550, e Luigi de Velasco, 1557-1564) - ma di attirarli al cristianesimo, di comunicare loro la cultura europea e di incorporarli nella nuova popolazione, come lavoratori, come partecipi delle imprese di esplorazione e di ampliamento della colonia e ad altre attività.

Il fatto più importante originato dalla conquista fu la formazione di razze miste, delle quali il componente principale, perché più dell'altro numeroso, era l'indigeno. Nei primi anni della colonia, le unioni fra Spagnoli e Indiani pare che fossero favorite: sebbene si provvedesse a separare gl'Indiani dai bianchi, in parte col fine di impedire che i primi fossero sopraffatti dai secondi. Ciò nonostante, il numero dei meticci si moltiplicò sempre più, fino a costituire il 22% di tutta la popolazione, nel 1810. Anche la razza negra importata concorse a formare la popolazione: ma essa si diluì rapidamente in mezzo all'indigena; e pochi indivídui la rappresentavano, quando si conquistò l'indipendenza. Questi meticci, nonché i creoli, cioè i bianchi nati nella Nuova Spagna, si trovarono, soprattutto nel sec. XVII, quando essi erano già molto aumentati, in condizioni di inferiorità economica e sociale. Per essi non furono costituite proprietà immobiliari, come furono per i primi colonizzatori; ad essi venivano generalmente preferiti gli Spagnoli; i meticci, poi, erano considerati una razza inferiore. Questa condizione in cui si venne a trovare un gran numero d'individui, inasprì molto il carattere di una parte di essi, creò un lievito di malcontento, spinse soprattutto i creoli ad acquistare dagli Spagnoli le terre non ripartite e non possedute dagli Indiani o mal difese da loro.

Nel centro e nel sud del paese, dove si era più sviluppata la cultura indigena, il cristianesimo si propagò rapidamente, grazie alla buona disposizione che manifestarono per esso un gran numero di antiche popolazioni, e grazie soprattutto ai frati francescani (1523), domenicani (1526) ed agostiniani (1533). Fra questi ultimi, si distinse fra Alonso de la Veracruz (1504-1584), professore all'università di Messico e fondatore del Collegio di S. Paolo e di varie importanti biblioteche. Il N. e il NO. vennero per molti anni evangelizzati dai gesuiti (1572), il padre provinciale dei quali, Pietro Sánchez, fondò in Messico (1573) il Collegio di S. Pietro e Paolo. In seguito, vennero a dipendere dai gesuiti quasi tutti i centri di educazione secondaria e superiore della Nuova Spagna.

Ogni elemento che costituiva il sistema di governo del paese si trovava di fronte altri elementi; e anche la volontà del re incontrava ostacoli, quando toccava gli interessi delle più importanti categorie sociali. Ciò nondimeno finiva col prevalere quel che corrispondeva agl'interessi superiori della vita pubblica; per es. le encomiendas furono abolite definitivamente nel 1729. Il re nominava o richiamava i viceré e le più alte autorità civili, ed esercitando il suo diritto di patronato, nominava pure i dignitarî ecclesiastici. Come organo ausiliario del suo governo, egli aveva il Consiglio delle Indie (Consejo de Indias), tanto per la Nuova Spagna, quanto per gli altri possessi della Corona; e da questo consiglio uscivano le nomine di alti funzionarî; da esso avevano conferma quelli minori. I viceré, in apparenza signori assoluti della Nuova Spagna, rare volte duravano nella loro carica per più 10 anni, e generalmente meno di sei. Nella seconda metà del sec. XVIII si distinsero per la loro abilità e per la loro energia singolare Francesco de Güemes y Horcasitas, conte di Revillagigedo (1746-1755), Carlo Francesco de Croix, marchese de Croix (1766-1771), Antonio de Bucareli y Ursúa (1771-1779) e Giovanni Vincenzo de Güemes Pacheco de Padilla, secondo conte di Revillagigedo (1789-1794). Il governo dei viceré, durante tutta l'epoca coloniale ebbe una grande continuità, dovuta principalmente alle relazioni che i viceré lasciavano ai loro successori, per informarli sullo stato del viceregno; all'obbligo dei viceré di ascoltare le opinioni dell'udienza anche quando non le seguivano, e di discutere ogni ordine di affari con i relativi organi amministrativi; infine, al fatto che, giunto il termine della loro carica, essi venivano, se necessario, sottomessi a un "juicio de residencia" per assodare eventuali responsabilità. Nella Nuova Spagna, vi erano due udienze: quella del Messico e quella, di Guadalajara, la seconda subordinata alla prima, che divideva col viceré alcune funzioni del governo del Messico e lo sostituiva durante le sue vacanze.

Gravi e diventati in certo modo cronici i difetti del governo coloniale, consistenti nella condizione di disuguaglianza e inferiorità in cui erano tenuti dagli Spagnoli i creoli, i meticci, gl'Indiani e i negri dal punto di vista giuridico, economico, sociale. E tale disuguaglianza e inferiorità si venne accentuando dopo la fine del '500, poiché il progresso della cultura dei bianchi li allontanava sempre più dagl'Indiani e da una parte considerevole dei meticci. Ma non ostante tutto questo, la colonia presentava, nel 1767, condizioni assai prospere. Ne erano prova l'abbondanza dei suoi prodotti naturali, la bellezza delle sue città, il pregio artistico delle sue chiese, edifizî governativi, collegi, case signorili, ecc.; la generosa ospitalità che esse esercitavano; la vita fastosa dei proprietarî di miniere e di fattorie e i loro estesi possessi terrieri, le gare letterarie durante le festività celebrate in occasione del giuramento dei re; lo stato fiorente delle lettere, che ebbero per geniale rappresentante, nella seconda metà del sec. XVII, suora Giovanna Inés de la Cruz, e quello delle scienze, di cui erano esponenti cospicui Carlo de Sigüenza y Góngora nel sec. XVII, e Giuseppe Antonio Alzate nel sec. XVIII; l'abbondanza delle opere stampate nel paese, di ogni argomento e anche in lingue indigene; l'esistenza di un'università, fondata 30 anni dopo la conquista, e inaugurata nel 1553, che fu un vivaio di uomini di scienza e di lettere.

Questo era il quadro del viceregno, arrivato già ai suoi limiti geografici, quando improvvisamente, nella notte del 23 giugno 1767, avvenne l'espulsione dei Gesuiti, che erano generalmente amati e stimati e avevano nelle mani l'educazione secondaria e superiore della colonia nonché l'evangelizzazione dell'estremo NO. del territorio. Tale misura era frutto delle nuove idee a cui il governo della monarchia borbonica si ispirava; frutto del despotismo illuminato, che pretendeva di fare la felicità del popolo, seguendo più un astratto ideale di bene che non le effettive esigenze e la volonta del popolo stesso. Imposta con la forza dal viceré marchese de Croix, l'espulsione dei gesuiti accrebbe il sentimento d'indignazione della popolazione della colonia. Varî gesuiti messicani, che si erano rifugiati in Italia (F. S. Clavijero, A. Cavo, F. S. Alegre), si poterono dedicare a scrivere la storia della loro patria, mentre altri (Landivar) la decantavano in ispirati poemi. E questo contribuì a formare la coscienza nazionale messicana, già albeggiante nelle opere di suor Giovanna Inés de la Cruz e nella storia dell'antico Messico scritta, nello stesso tempo che quella di Clavijero, dal frate agostiniano mariano Veytia. Espulsi i gesuiti, essi furono sostituiti dai domenicani nelle missioni della Bassa California, a nord-ovest; e dai francescani nell'alta California, diretti da fra Junípero Serra, fondatore insieme con i suoi compagni, di quelle missioni intorno a cui sorsero poi quasi tutte le città del territorio, che forma ora la parte occidentale degli Stati Uniti.

I confini del viceregno, che erano arrivati nel sec. XVI fino al nord del Panamá, e che per un certo tempo avevano anche compreso, sotto la dipendenza del viceré, il Venezuela, le Antille, le Filippine (dal 1565 al 1584), vennero ad abbracciare la Luisiana in seguito al trattato di Parigi del 1783. Dopo le sfortunate campagne del governatore della Luisiana, Bernardo de Gálvez, più tardi viceré del Messico (1785-1786), i confini arrivavano fino alla Florida, che è stata pure, benché solo di nome, dipendente del viceregno. Ritornata sotto la Francia la Luisiana nel 1802 e decretata nel 1812 l'annessione della Florida agli Stati Uniti, dopo che essa aveva espresso la sua volontà in questo senso, la frontiera settentrionale della Nuova Spagna venne a stendersi nel 1821 dalla Luisiana all'Oregon. Prima, l'energico Giovanni Battista Anna, durante il governo del viceré Antonio de Bucareli y Ursúa, aveva già aperto le comunicazioni di terraferma da Sonora al N. di California e portato a S. Francisco la colonia messicana, che fondò quella città nel 1776. E mentre si facevano dalla Spagna e dalla Nuova Spagna maggiori concessioni di libertà al commercio e si aprivano nuovi porti, soprattutto fra il 1756 e il 1776, veniva iniziato un cambiamento nel difettoso governo interno della colonia, con l'introdurvi il sistema delle intendenze, importate dalla Francia prima nella Spagna e poi a Cuba. Con questo sistema si cercò di decentralizzare all'interno il governo di ognuna delle dodici intendenze, nelle quali venne diviso il paese, e la comandancia costitulta per le tre lontane provincie del N., e di centralizzarlo invece nei rapporti con la Spagna. Tutto ciò in correlazione alle ordinanze del 1786, elaborate secondo il progetto di Giuseppe de Gálvez, visitatore della Nuova Spagna dal 1765 al 1771. Ma la nuova organizzazione, rivolta soprattutto a evitare gravi abusi delle autorità minori e a rendere più efficace l'amministrazione finanziaria e lo sfruttamento della colonia a vantaggio della Spagna, aggiunse esca al malcontento degli abitanti del Messico: e tanto più che un'ordinanza disponeva ci fosse "in ogni paese degl'Indiani, che facesse capo a qualcuno dei distretti nei quali sono divise le provincie", un sotto-delegato "necessariamente spagnolo". Questa disposizione dispiacque ai creoli e alla rimanente parte della popolazione messicana, e accentuò ancora di più il distacco già esistente fra le stirpi del paese, sempre più consapevoli della loro disuguaglianza di diritti e desiderose, perciò, di uguaglianza.

Nel complesso organismo della Nuova Spagna, come negli altri dominî spagnoli, l'unica forza che teneva uniti tutti era il re, in cui si incarnava la vita pubblica, e specialmente agli occhi degli Indiani e anche degli Spagnoli e dei creoli, ma non dei meticci, egli rappresentava una specie di ultimo rifugio e difesa, una specie di ultimo ricorso terrestre. C'era la persuasione generale che, se le autorità della colonia commettevano atti ingiusti, esse potevano essere rimosse dai loro posti; e generalmente venivano rimosse dopo un certo tempo per volontà del re, capace di annullare le forze più gagliarde, come aveva fatto, almeno in apparenza, con i gesuiti. E questa persuasione, che era a base della vita della colonia, mise capo all'assolutismo, che trovò la sua più alta espressione sotto il regime delle intendenze.

Perciò quando, improvvisamente, la Spagna rimase senza re, poiché coloro che potevano esserlo per legge erano caduti in potere di Napoleone, disparve l'unico elemento di coesione fre le classi e la madre patria: allora le colonie iniziarono la lotta per l'indipendenza, che fu vera guerra civile e doveva portare al loro distacco dalla metropoli. Il 12 settembre 1808 Francesco Primo Verdad y Ramos, sindaco del consiglio municipale di Messico, dichiarò che, scomparsi i monarchi, il potere sovrano dei paesi doveva essere assunto dai consigli municipali, essendo questi gli organi del governo che più direttamente rappresentano il popolo, ed essendo il popolo "immortale". Reso vano questo primo sforzo verso l'indipendenza, che trovò debole appoggio presso il viceré Giuseppe de Iturrigaray, poi rimosso dagli Spagnoli che erano a capo della colonia, la proclamazione dell'autonomia fu fatta dal parroco Michele Hidalgo y Castilla, non più per la ragione casuale della scomparsa dei re, ma per la ragione antica e perentoria della disuguaglianza in cui la popolazione della colonia era tenuta e dell'aspirazione di tutti alla libertà. Divampò la guerra, il 16 settembre 1810. Dieci mesi e mezzo dopo Michele fu fucilato; e fu fucilato pure, dopo 5 anni e 5 mesi, il suo grande continuatore, il sacerdote meticcio Giuseppe Maria Morelos, anima del primo sforzo di organizzazione repubblicana del Messico. Gli indipendenti rimasero pressoché vinti: fino a che, giurata nuovamente, il 9 marzo 1820, la costituzione del 1812 da Ferdinando VII e iniziatasi nella Spagna una politica risoluta contro il clero, Agostino de Itúrbide proclamò col Plan de Iguala, il 24 febbraio 1821, l'indipendenza, la conservazione della chiesa cattolica, contro il predominio della quale si stavano elaborando già delle misure violente nella metropoli, e l'unione di tutti gli abitanti del paese. Cooperarono in questa politica tanto i sopravvissuti del movimento iniziale, a capo dei quali era Vicente Guerrero, quanto coloro che già erano stati suoi avversarî, e gli stessi Spagnoli. Accettato il Plan de Iguala da Giovanni O' Donojú, l'ultimo viceré del Messico, che firmò con Itúrbide, il giorno 24 agosto di quell'anno, i trattati di Córdoba, l'entrata trionfale in Messico dell'esercito liberatore, il 27 settembre 1821, suggellò la conquistata indipendenza.

L'area della Nuova Spagna era allora di più di 4.000.000 di kmq. La popolazione, calcolata (1810) da Navarro Noriega in 6.122.454 abitanti, comprendeva circa 70.000 Spagnoli, circa un milione di creoli, 3.700.000 Indiani e un milione e mezzo di meticci.

La disuguaglianza economica e politica del paese in rapporto alla Spagna e quella di quasi tutti gli abitanti in rapporto agli Spagnoli che erano nel Messico, avevano costituito il difetto essenziale del regime durante il viceregno. L'unificazione del paese e la formazione della coscienza individuale e collettiva di esso, come un tutto collegato col mondo civile, in virtù della lingua spagnola, della religione cristiana e della capacità di governarsi da sé, sono il risultato durevole della conquista spagnola e della cooperazione degli elementi costitutivi della Nuova Spagna, e ne spiegano, con la sopravvivenza di varî antichi antagonismi, la storia ulteriore.

Il Messico indipendente. - L'Itúrbide nel 1822 convocò un congresso e in questo, approfittando della lotta fra monarchici (esponenti della grande proprietà e dell'alto clero) e liberali, divisi questi a loro volta fra scozzesi (aristocratici e clericali) e yorkinos (repubblicani democratici e federalisti, appoggiantisi soprattutto sulla massa meticcia), si faceva nominare dai monarchici imperatore col nome di Agostino I. Contro di lui però insorgeva ancora nel dicembre dello stesso anno (1822), alla testa dei liberali, un altro generale, Antonio López de Santa Ana; il quale, con un nuovo colpo di stato militare, metteva fine all'effimero impero e dava al Messico con la costituzione del 4 ottobre 1824, modellata sullo stampo di quella americana, la forma repubblicana. Sorta dai pronunciamenti militari in un paese dalle tradizioni monarchiche, in mano della grande proprietà latifondista e del clero, privo di borghesia, costituito d'una stragrande maggioranza d'Indiani e meticci abbrutiti e d'una esigua minoranza soltanto di bianchi, la nuova Repubblica messicana (che la Spagna riconoscerà soltanto nel 1836, per quanto fino dal novembre 1825 le ultime sue truppe l'avessero evacuata) era destinata ad attraversare un periodo caotico di agitazioni e di anarchia prima di consolidarsi (dal 1821 al 1857 il Messico ebbe 6 forme di governo, 55 ministeri e 250 insurrezioni!).

Lotte di capi (Santa Ana; Anastasio Bustamante; Nicolas Bravo; il meticcio Vicente Guerrero, scacciato dal seggio presidenziale e fucilato a Oaxaca nel 1831) e di fazioni più che di partiti (monarchici e repubblicani prima; centralisti e federalisti poi, aristocratici e clerico-militari i primi, democratici c anticlericali i secondi); presidenze effimere e dittature ricorrentisi; tentativi di restaurazione spagnola e complicazioni con l'estero (nel 1839 una squadra francese bombardava e occupava Veracruz); contrasti sanguinosi tra i vari elementi della popolazione (nel 1828 verranno espulsi in una sola volta 20 mila aristocratici spagnoli), riempiono quella scena politica e sociale messicana, di cui la moglie del primo ministro spagnolo al Messico, Calderón de la Barca, una scozzese, ci ha lasciato nel suo diario Life in Mexico (1842) la più vivace pittura. Dietro la scena però fermenta, forza cieca, invisibile e incosciente, ma irresistibile, la razza conculcata (meticci e Indiani), che va sollevandosi dalla secolare abbiezione, specie dopo la proclamazione dell'uguaglianza legale fra Bianchi e Indiani (1833) e l'abolizione della schiavitù dei negri (1835). Quest'ultima riforma solleva contro la repubblica i piantatori del Texas (1836) i quali si staccano dal Messico e, mercé l'appoggio caloroso dell'aristocrazia schiavista degli Stati Uniti, riescono a battere con Sam Houston le truppe messicane (lo stesso presidente Santa Ana il 21 aprile 1836 viene fatto prigioniero e tenuto in prigionia alcuni mesi) e a mantenere l'indipendenza del paese fino a che il Texas (più di 814 mila kmq.) non viene annesso addirittura agli Stati uniti d'America (1845). Il conflitto messicano-americano derivatone porgeva agli Stati Uniti l'ambita occasione d'una guerra di conquista, altrettanto facile quanto ingiusta, contro il Messico. Che se il generale Zachary Taylor, varcata la frontiera settentrionale, non riusciva a occupare il paese soprattutto per mancanza di strade, sulla capitale di questo marciava risolutamente il generale Winfield Scott, dopo essere sbarcato a Veracruz e avere smantellato Chapultepec, invano difesa eroicamente. La guerra finiva col trattato di Guadalupe Hidalgo (2 febbraio 1848), per il quale il Messico doveva cedere agli Stati Uniti il Nuovo Messico e la California (più di 1.338.000 kmq.) per un indennizzo irrisorio di 15 milioni di dollari, oltre al condono di altri 3 milioni e mezzo rappresentati da reclami privati americani. Cinque anni dopo (1853) gli Stati Uniti, con la "compra Gasden", acquistavano per 10 milioni di dollari altri 116 mila kmq. circa di territorio messicano, rlducendo alla linea attuale la frontiera settentrionale del Messico.

Questo intanto, umiliato e discorde, rimaneva dopo la guerra per sette anni sotto l'influenza o la dittatura del Santa Ana; finché la marea crescente degli avversarî non costringeva costui a rifugiarsi nell'isola di Cuba. La repubblica attraversava allora un altro periodo di disordine e di anarchia, che consigliava l'adozione di una nuova costituzione politica (1897), in virtù della quale l'anno dopo (1858) saliva alla presidenza per via di successione, nella sua qualità di presidente della Suprema Corte, Benito Juárez. Era questi un avvocato di puro sangue indiano, nato da un peón 52 anni prima (1806), da fanciullo garzone di un libraio che lo aveva avviato agli studî ecclesiastici, da lui poi disertati per quelli legali, governatore energico dello stato nativo di Oaxaca nel 1847; ministro delle Finanze sotto il presidente Juan Álvarez nel 1853. Ferocemente avversato dal partito conservatore, che riusciva per tre anni ancora a conservare col generale Miguel Miramón la stessa capitale, B. Juárez, politico di non comune capacità costruttiva, si dava ad attuare ardite riforme (separazione della Chiesa dallo Stato; matrimonio civile; nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, ecc.) ma doveva lottare contro nuove insurrezioni e far fronte a inveterate difficoltà finanziarie, che terminavano col portare alle più gravi complicazioni internazionali in seguito alla decretata sospensione del pagamento dei debiti esteri e ai reclami per danni dei sudditi stranieri. Alle proteste non tardava a seguire l'intervento militare straniero; il quale, iniziatosi nel 1861 con un'azione dimostrativa delle tre potenze interessate (Inghilterra, Francia e Spagna) in base alla convenzione di Londra, terminava, dopo la denuncia di questa, con l'azione militare esclusiva della Francia, che per ragioni politiche, dinastiche e perfino private, di alti personaggi interessati ai prestiti messicani pericolanti, mirava a stabilire nel Messico una monarchia costituzionale ereditaria da essa controllata, con l'arciduca Massimiliano d'Austria come imperatore. Il 7 giugno 1863 i Francesi, arresasi Puebla, entravano col generale E.-F. Forey nella capitale, donde Benito Juárez col governo si ritirava a S. Luis Potosí; e l'anno dopo, col favore della parte clerico-conservatrice del paese, legalizzante il movimento costituzionale, l'impero era un fatto compiuto: il 12 giugno 1864, l'imperatore Massimiliano d'Austria entrava in Messico con l'imperatrice Carlotta. Pupillo dello straniero invasore, ingolfatosi esso pure in debiti insolvibili, combattuto dalle forze repubblicane rimaste in armi, l'effimero impero, che si reggeva sulla punta delle baionette francesi, cominciò a precipitare da quando gli Stati Uniti, fino allora impegnati all'interno nella guerra di secessione, cominciarono ad adottare una politica più risoluta di opposizione all'intervento francese nel Messico (dicembre 1865) e Napoleone III, preoccupato dalla minaccia prussiana dopo la cacciata dell'Austria dalla Germania (1866), annunciava che col 1867 le truppe francesi avrebbero evacuato il Messico. Sotto la pressione incalzante delle armi repubblicane, le quali col generale Porfirio Díaz muovevano ormai ad assediare la stessa capitale, Massimiliano si trasferiva a Querétaro, dove il 16 maggio 1867 si arrendeva ai repubblicani per essere sottoposto il mese dopo a una corte marziale in base a una legge del 1862 contro i nemici della repubblica. Il 14 giugno 1867 la corte lo condannava a morte insieme con i generali Miramón e Tomás Mejía; e le condanne, nonostante gli sforzi dei partigiani, le proteste dei rappresentanti diplomatici, gli appelli degli stessi Stati Uniti, veniva eseguita il 19 successivo al Cerro de las Campanas presso Querétaro. Il 20 giugno anche la Città di Messico capitolava e il 15 luglio 1867 vi rientrava B. Juárez per tentarvi vanamente, in mezzo a nuove sedizioni di generali ambiziosi e nuove difficoltà internazionali e finanziarie, l'opera di restaurazione del paese, che tre anni di guerra avevano terminato di rovinare. Rieletto presidente nel 1871, B. Juárez moriva nel 1872 per rimanere, pure con le sue colpe, nella coscienza del popolo messicano come uno dei padri della costituzione e della patria. Dopo una presidenza agitata di Sebastiano Lerdo de Tejada, successore del defunto in quanto presidente della Suprema Corte e continuatore della politica anticlericale di lui, il potere col novembre 1876 passava nelle mani di Porfirio Díaz per restarvi, di fatto, sino al 1911.

Sorto in armi contro il presidente Lerdo, riportato alla presidenza da un'elezione che il presidente della Suprema Corte tacciava di fraudolenta, P. Díaz, il quale si era ribellato già a Juárez per le ripetute sue presidenze, veniva eletto regolarmente presidente nelle elezioni del 1877, fatte su una piattaforma di opposizione al sistema della rieleggibilità del presidente, per ritornare lui stesso e per sempre alla presidenza nel 1884, essendosi nel frattempo modificata la costituzione in modo da permettergli la continuazione legale dell'ufficio: tra il 1880 e il 1884 aveva tenuto la presidenza Manuel González ma con un governo costituito in maggioranza di partigiani devoti dello stesso Díaz. Indiano, come il Juárez, e della sua razza conoscitore profondo, altrettanto umile di origine quanto aristocratico d'istinto, nato per il comando e al comando allenatosi nella carriera delle armi, P. Díaz cominciava col liberare il paese, fino allora in preda all'anarchia, dal brigantaggio politico e non politico che lo infestava, attingendo dalle stesse bande armate vinte e disperse una magnifica forza di polizia, i cosiddetti "rurali", a ulteriore presidio dell'ordine pubblico e del pacifico sviluppo economico del paese. Riordinava quindi governo e amministrazione, ponendo le singole comunità indiane sotto un capo, il jefe, responsabile, e della jefatura facendo il pernio del sistema elettorale per avere, in un congresso senza opposizione, lo strumento legale del suo potere assoluto. Promoveva infine il progresso economico del paese mediante il risanamento finanziario e monetario (a questo giovava la creazione, nel 1882, del Banco Nacional), le costruzioni ferroviarie (fino allora il Messico non aveva che la ferrovia di Puebla costruita nel 1869 e quella da Veracruz a Messico aperta il i° gennaio 1873), gl'incoraggiamenti e i favori alla produzione petrolifera. Macchina governativa più che organizzazione politica fondata su partiti o classi sociali (fu detta il governo dei ricchi, ma in effetti della proprietà fondiaria o mineraria non fu emanazione ma tutto al più guardiana), la dittatura del Díaz, sboccante fatalmente in un'oligarchia, di cui il cerchio ristretto dei cosiddetti cientificos (così denominati da un sedicente cientifico schema di governo) si accaparrava tutti i favori negli uffici pubblici, negli appalti, nelle concessioni petrolifere e ferroviarie, nei prestiti pubblici, ecc., nulla invece faceva in un trentennio per le classi inferiori. Restava col "peonaggio" la servitù di fatto degl'Indiani (5 milioni su 9 e mezzo scarsi di popolazione nel 1873; 5 e mezzo su 13 e mezzo nel 1900); restava la miseria economica, intellettuale, morale e fisiologica del popolo con i salarî oscillanti fra i 40 e i 50 céntavos, cioè dai 20 ai 25 cents di dollaro, al giorno, con l'analfabetismo (l'80% della popolazione), con l'instabilità della famiglia (base di essa un matrimonio civile privo nella coscienza indiana di ogni valore) e il vagabondaggio, con la morbilità e mortalità straordinaria (nella stessa città di Messico era tre volte superiore a quella delle città nordamericane); restavano infine insoluti o inaspriti ancora più i grandi problemi del paese, dal tributario al fondiario, al petrolifero, iniqua la ripartizione delle imposte; antisociale quella della proprietà fondiaria, antinazionale la proprietà mineraria, la petrolifera in particolare, in mano prevalentemente degli stranieri (ancora nel 1914 su 647 milioni di pesos investiti nelle imprese minerarie, 29 soltanto appartenevano a Messicani, mentre i ⅔ del totale erano di cittadini degli Stati Uniti). Nessuna meraviglia pertanto che il Messico dovesse ripiombare nel disordine e nell'anarchia (dal 1911 al 1932 si succederanno ben 18 presidenze tra provvisorie ed effettive!) il giorno che, col Díaz, fosse rovinato il suo sistema.

Questo avveniva nel 1911, a pochi mesi di distanza dal giorno che l'onnipotente presidente, ormai ottantaduenne, aveva celebrato (1910) davanti al mondo, ammirato della stabilità politica e del progresso economico del Messico, il primo centenario dell'indipendenza. Promotore della rivolta era Francisco Madero, uscente da una famiglia di ricchi proprietarî fondiari, il quale, imprigionato nel giugno 1910, riusciva ad evadere dal carcere e a rifugiarsi oltre il confine, a San Antonio, dove preparava più risolutamente la rivoluzione; al suo ritorno in patria verso la fine dello stesso anno, metteva a ferro e fuoco il Messico intero, accomunando in uno stesso impeto sanguinoso la dittatura del Díaz e l'ordinamento economico-sociale esistente.

Dimessosi e imbarcatosi a Veracruz per la Francia P. Díaz, che moriva poi a Biarritz (1915), e creatosi un presidente provvisorio in Francisco de la Barra, l'8 giugno 1911 faceva il suo ingresso nella capitale, fra l'entusiasmo del popolo, Madero, che nell'ottobre veniva eletto regolarmente presidente. Dopo un anno o poco più d'una presidenza contrastata, che audaci e per di più male congegnate misure agrarie di ripartizione delle terre rendevano più agitata e invisa alla classe ricca, Madero veniva nel 1913 rovesciato, arrestato e, durante il trasporto in un penitenziario, assassinato non si sa bene come e per ordine di chi, ma certo per mano di seguaci d'un ribelle suo generale e successore nella presidenza, Victoriano Huerta, il quale per tale fatto non veniva riconosciuto dagli Stati Uniti. Due giorni dopo l'assassinio di Madero, del resto, un partigiano di lui, il generale Venustiano Carranza, insorgeva contro V. Huerta e dopo alterne vicende sue e dello sconvolto paese (presidenze provvisorie e governi di fatto, anche simultanei: moti agrarî; interventi diplomatici e militari stranieri, ecc.) arrivava al governo, come "primo capo" nel 1914 e presidente provvisorio nel 1915. Nonostante le più aspre difficoltà interne e le gravi complicazioni con l'estero (intervento militare americano) il Carranza, alla testa del partito costituzionalista, riusciva anzi a consolidarsi e a guadagnarsi, col ristabilimento dell'ordine politico ed economico, l'acquiescenza, se non la fiducia, delle classi proprietarie dapprima ostili; così da poter procedere nel 1917 alla redazione d'una nuova costituzione (quella vigente) nella convenzione nazionale di Querétaro, composta tutta di costituzionalisti, ma con netta prevalenza fra essi della corrente radicale, imbevuta di idee socialiste quanto inesperta di governo, sulla corrente conservatrice e militarista.

La costituzione del 1917, mentre dal punto di vista dell'ordinamento politico non si allontanava gran che da quella del 1857, dal punto di vista economico-sociale conglobava deliberatamente nella carta fondamentale del Messico, per meglio garantirle, le più radicali riforme in materia ecclesiastica, fondiaria, di legislazione del lavoro, di diritti e doveri degli stranieri. Il principio della nazionalizzazione delle risorse del sottosuolo, consacrato all'art. 27 della nuova costituzione, sollevava contro il governo le compagnie estere; mentre nuove ostilità dell'estero gli procurava la politica messicana favorevole, durante la guerra mondiale, alla Germania, la quale aveva tentato perfino di spingere Messico e Giappone contro gli Stati Uniti. Nel 1920 il Carranza veniva assassinato e al potere saliva il generale Álvaro Obregón, aspirante durante la sua presidenza (1920-24) a due fini mal conciliabili fra loro: il riconoscimento degli Stati Uniti, negato fino a che non fosse risolta la questione petrolifera; e l'attuazione del programma rivoluzionario consacrato in blocco nella costituzione del 1917. Passata nell'aprile 1923 una legge che riconosceva la validità delle concessioni petrolifere fatte a stranieri anteriormente al 1° maggio 1917, salvo l'obbligo di convalidarle nel triennio successivo alla nuova legge, e regolata mediante l'accordo del 15 agosto 1923 la vertenza petrolifera in armonia con i deliberati d'una precedente conferenza internazionale al riguardo; avviata del pari a soluzione, mercé l'opera del ministro del Tesoro, Adolfo de la Huerta, tutta la spinosa materia dei reclami stranieri, pendenti sino dal 1868, mediante gli accordi di Parigi e di New York con banchieri esteri e conseguente nomina di apposite commissioni internazionali; il generale Obregón veniva riconosciuto dagli Stati Uniti.

Nuove e più gravi complicazioni però sorgevano nel frattempo all'interno in seguito alla rigida applicazione di tutta la legislazione antiecclesiastica, federale e di stato, donde la lotta col clero e col Vaticano, in specie dopo l'espulsione dal Messico del legato pontificio, monsignor Ernesto Filippi (1923). Intanto, rotti gli accordi stretti in vista delle elezione presidenziali del 1924 fra i tre candidati, (il cosiddetto "triumvirato di Sonora": de la Huerta, Obregón e Calles) saliva alla presidenza regolarmente, ma fra gli sconvolgimenti di una nuova guerra civile, Plutarco Elías Calles, portato dalla corrente radico-socialista degli agrarî nazionali. Terminata nel 1925 la guerra civile con la vittoria del governo, appoggiato dagli Stati Uniti, e migliorato il ritmo del lavoro grazie alla ferma attitudine del Calles, il quale, mentre continuava la politica fondiaria demolitrice della grande proprietà (al 1931 erano 6 milioni e ⅓ gli ettari di terre pubbliche o confiscate distribuite a famiglie lavoratrici raggruppate in villaggi costituenti una specie di unità agraria comunistica), stroncava gli scioperi minerarî e petroliferi svolgentisi in forme non considerate legali dalla costituzione del 1917; riardeva più grave la guerra religiosa. Sorgeva una Chiesa apostolica messicana, scoppiavano di conseguenza in molte località - tra cui la stessa capitale - lotte accanite fra separatisti e cattolici, si applicavano infine spietatamente le più restrittive misure antiecclesiastiche. La stessa situazione internazionale s'intorbidava di nuovo, nei rapporti in specie con l'Inghilterra (uccisione di sudditi e confische di proprietà inglesi) e - peggio ancora - con gli Stati Uniti (legge americana restrittiva dell'immigrazione messicana che nel solo 1924 aveva portato in California 500 mila individui indesiderabili; sequestro di proprietà americane; scoperta soprattutto d'un accordo messicano-giapponese in materia immigratoria e marittima ostile agli Stati Uniti). Dalle manifestazioni ufficiali americane contro la nuova legislazione restrittiva della proprietà straniera del suolo e del sottosuolo, che doveva entrare in vigore col 1° gennaio 1927, la petrolifera, e col 21 gennaio, la fondiaria (il 97% delle 31 mila proprietà minerarie era ancora in mani straniere), si arrivava il 30 ottobre 1926 alla dichiarazione-ultimatum in materia del ministro americano Kellogg, la quale spingeva il Congresso messicano a emendare, in senso accettabile dagli Stati Uniti, gli articoli 14 e 15 della legge sul petrolio, sia pure dopo che la Suprema Corte li aveva dichiarati incostituzionali.

Eletto intanto un'altra volta, ma non arrivato alla presidenza l'Obregón, perché caduto vittima dell'attentato di un fanatico (luglio 1928) e avendo dichiarato il Calles che egli non avrebbe ripresentata la sua candidatura, il Congresso eleggeva il 1° dicembre 1928 a presidente provvisorio Emilio Portes Gil. A questo succedeva nel 1930 come presidente effettivo Pascual Ortiz Rubio; e, dimessosi questi dopo due anni (1932), il Congresso eleggeva a succedergli per il resto del termine presidenziale (1932-34) il generale Abelardo Rodríguez.

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Letteratura.

Periodo coloniale. - Dopo qualche decennio dalla sua costituzione, il viceregno della Nueva España vantava già un movimento didattico assai progredito. Il primo governatore, Antonio de Mendoza, e il primo arcivescovo, Juan de Zumárraga, ne furono i principali e generosi promotori. Nel 1551, per il loro intervento, era fondata l'università, che si apriva all'insegnamento nel 1553, con professori di teologia e di dialettica, di grammatica e di retorica, alcuni umanisti di larga dottrina, come A. de Veracruz, discepolo di Luis de León, altri più pensosi della realtà storica, sociale o giuridica, come Bartolomé Frías de Albornoz, spirito d'organizzatore. La cultura ripercorre, non come lontano riflesso, ma come attiva partecipazione, le vie battute dal pensiero spagnolo; dall'Europa provengono uomini e insegnamenti che presto si acclimano nel nuovo suolo. Dapprima questa vita intellettuale d'importazione tende a fissarsi stabilmente e a costituirsi un proprio ambiente, con un senso forte e chiaro della necessità degli studî, che ancora non si riscontrava negli altri paesi dell'America spagnola. Il numero dei libri che vi si stampano, le edizioni castigliane che vi si diffondono e vi si ripubblicano, la dimora di scrittori che dalla terra madre portano nella "Nuova Spagna" con flusso continuo le correnti di quella loro ampia e attuale cultura, documentano il formarsi di un'educazione mentale e spirituale con caratteri vivi e concreti. Gutierre de Cetina, Eugenio Salazar de Alarcón, Juan de la Cueva, Mateo Alemán visitarono più volte il viceregno, e qualcuno vi si fermò anche a lungo, diffondendovi il gusto della propria arte: dalla lirica leggiera, tra petrarchesca e popolareggiante dell'uno, alla poesia affettiva dell'altro; dalla commedia di quello spirito spregiudicato che fu J. de la Cueva, al romanzo avventuroso e picaresco dell'ultimo. Ma se elevato era, verso la fine del Cinquecento, il grado della cultura messicana, e sempre aperti erano i suoi interessi intellettuali, essi tuttavia ritardavano a tradursi in un'opera organica e originalmente indigena, che sapesse penetrare la poesia e il dramma che questa terra e la sua storia imprigionavano dentro di sé. I primi scrittori che nascono e si educano nel Messico, si muovono tenacemente sulla traccia delle lettere castigliane, e nell'imitazione fedele che sa di studiosa emulazione anziché di interna esigenza spirituale, non hanno occhi per vedere le immagini della loro terra né sanno ascoltare le nuove voci, che invece cominciavano ad affiorare nel Chile, ad es., o nell'Argentina, che erano, dal punto di vista della cultura generale, più tardivi e più disgregati. I poeti, rimatori più che altro, del sec. XVI e in parte del secolo seguente, con a capo quel Francisco de Terrazas, che pare sia stato il primo a scrivere nel natio Messico, non possono costituire tutti insieme la letteratura d'una particolare civiltà, neanche in forma incipiente. Più che alla poesia, le loro opere appartengono alla storia dell'erudizione, compreso quel poema, prosaico e faticoso, di A. de Saavedra Guzmán (El Peregrino Indiano, 1599), che qualche tratto puramente cronachistico poté offrire agli scrittori posteriori in cerca di motivi storici e aneddotici. Tuttavia, proprio col volgere del sec. XVI, s'intravede qualche documento artistico più direttamente messicano, se non per valori originalmente spirituali, almeno come materiale testimonianza della lingua, della cronistoria, e perfino, entro certi limiti, del clima morale della colonia. I Coloquios espirituales (1610) di Fernán González de Eslava, che dovette svolgere la sua attività nella seconda metà del Cinquecento, attestano la presenza di un teatro messicano di sicura derivazione spagnola e propriamente andalusa, ma già con forti coloriture idiomatiche e con frequenti riferimenti alla vita coloniale; mentre il livello intellettuale a cui era giunto il paese è meglio rivelato dalla singolare figura di Bernardo de Balbuena, di educazione squisitamente messicana, anche se di nascita spagnola: non tanto per il suo maggior poema, il virgiliano e ariostesco Bernardo (1624), quanto soprattutto per l'opera più giovanile, La grandeza mexicana (1604), che traduce, sebbene ancora entro gli schemi classici e i moduli letterarî, la sua simpatia per la vita pittoresca e paesistica del Messico, vista tuttavia nei suoi aspetti provinciali ed esteriori. Ma l'attività propriamente poetica si moveva sempre nella cerchia della pura e schematica imitazione, tanto più arida e impersonale, in quanto i modelli spagnoli più facili e più accessibili portavano i segni di quella decadenza spirituale e di quel vano impreziosirsi del gusto che sono particolari dell'estetica del Seicento. Anzi nel progressivo intellettualizzarsi dell'elemento lirico, il fatto letterario si estraniava sempre più violentemente dalle ispirazioni concrete, cosicché ne rimanevano escluse tutte ouelle esperienze che potevano sorgere da una diretta adesione agli aspetti morali e sentimentali della terra messicana. La stessa suora Juana Inés de la Cruz (1651-1695), che riassume nella sua forte personalità le più vive e più fresche tendenze del secolo, messicana per nascita, per educazione, per l'ambiente religioso, cortigiano e intellettuale che la circondava, appartiene piuttosto alla più generale cultura spagnola, che a quella particolare del suo paese. Tuttavia in lei si rispecchiavano e si rinsaldavano le migliori energie contemporanee, e complessivamente la sua poesia - che andava dal teatro alla lirica popolaresca - costituì un potente strumento di educazione letteraria, che il classicismo del Settecento non seppe sostituire, ma anzi rese sempre più limitato e accademico.

Periodo romantico ed età moderna. - Ma entro il clima romantico, in quell'accensione che invadeva tutte le vie dello spirito e investiva tutte le idealità, si rinnovava potentemente la coscienza morale e civile e con essa la cultura e la poesia. La vita letteraria scendeva dagli ambienti puramente intellettuali e penetrava negli strati popolari, agitando aspirazioni collettive e concrete e interpretando esigenze etiche, sociali e nazionali che urgevano nella coscienza di tutti. Assieme al giornalismo militante e letterario, la poesia drammatica e narrativa divenne anche il più efficace e rapido mezzo di propaganda politica e di educazione umana, oltre che espressione di individuali momenti lirici; il poeta assumeva i motivi sentimentali dalla viva realtà storica e contemporanea, e l'opera lirica frugava e rendeva palpitante d'attualità il patrimonio leggendario e tradizionale del Messico. Gli Aztechi, i tiranni della civiltà indigena, e i primi conquistatori, avventurieri "feroci e crudeli", ma anch'essi dall'animo indomito, irruppero ora nella poesia e nel teatro a rappresentare la figura del despota e del guerriero, sullo sfondo del popolo indiano, idillicamente ingenuo e primitivo, simbolo di mitezza e di sacrificio. Contribuì a promuovere e tonificare queste energie spirituali e intellettuali la presenza di J. M. Heredia, il grande esule cubano, che proprio durante il suo esilio nel Messico adattava qualche lavoro del teatro francese, tutto sonoro di spiriti ribelli, democratici e antimonarchici, e lanciava qualcuna delle sue liriche patriottiche e veementi; ma a trapiantare veramente questa letteratura romantica nel suolo messicano fu I. Rodríguez Galván, che nella sua precoce e breve giovinezza (1816-1842) tentò il dramma, il racconto e la lirica, le forme più vitali e più feconde. Temperamento prevalentemente lirico, egli colse gli aspetti sentimentali e melodrammatici agli albori della conquista e agl'inizî dell'indipendenza, soprattutto nella Visión de Moctezuma, nella Profecía de Guatimoc, nel Privado del Virrey, in Muñoz visitador de México: poesia drammatica e passionale che, anche nella foga oratoria che la riveste, sa trovare un equilibrio umano e la malinconica dolcezza del sacrificio che si proietta nella storia in un lontano avvenire. Autore più divulgatore e più popolare, fertile d'intrecci e di adattamenti, fu Fernando Calderón y Beltrán (1809-1845), rivolto di più a derivare temi e situazioni dalle altre letterature (García Gutiérrez, Espronceda, Lamartine), anziché ad approfondire quelle risorse più propriamente nazionali e quel colore locale che Rodríguez Galván intuiva proprio allora con piena coscienza. Una volta penetrata, la corrente romantica si estendeva rapidamente, con l'inevitabile maniera in essa implicita, determinando un'abbondante fioritura declamatoria, verbosa e astratta, di cui il tempo ha fatto giustizia, ma che più palesemente tradiva quelle abitudini tribunizie e retoriche di cui non erano esenti neanche gli scrittori più misurati e che anzi allora si annidavano in tutte le letterature dell'America latina, pregiudicandone seriamente l'intera tradizione. Nell'entusiastica e indisciplinata ebbrezza dei nuovi ideali, che per la maggior parte si limitavano a negare e disgregare e soltanto in pochi agivano come impulso riedificatore, la poesia venne a poco a poco perdendo quei contatti con il più concreto contenuto spirituale, e la stessa forma estetica smarrì la disciplina della meditazione. Cosicché quel movimento politico e letterario che si venne delineando e consolidando come reazione a questa crisi e in nome di vecchi ideali - ordine civile, equilibrio morale, restaurazione della fede religiosa, senso classico della poesia - che i novatori tacciarono di accademico e tirannico conservatorismo, fu invece, per alcuni rispetti, di salutare correttivo alla vita generale della nazione, e, in particolar modo, a quella intellettuale, portandovi un più largo senso del reale. Ne fu capo, politico e letterario insieme - il che dimostra la profonda e unitaria necessità di questa nuova disciplina - José J. Pesado (1801-1861), e ne furono convinti assertori, fra gli altri, Manuel Carpio (1791-1860), A. Arango y Escandón (1821-1883), José M. Roa Barcena (1827-1908), l'attività dei quali penetra nel cuore dell'Ottocento. Essi conservarono i legami con la tradizione, introdussero di nuovo gli elementi etici, sociali, e soprattutto religiosi del passato, richiamarono i modelli dell'arte classica, ma anch'essi furono permeati dalla nuova cultura, che intendeva rintracciare le proprie origini nazionali e la propria essenza popolare nella vita più propriamente indigena, nella storia anteriore alla conquista, nel folklore e nelle leggende di sapore arcaico e locale. Se il Pesado traduceva la Bibbia e la Gerusalemme Liberata del Tasso, rifaceva, peraltro, Lamartine e Manzoni; e se la sua indole fantastica era orientata decisamente verso le forme classiche, egli rielaborava anche, con inconscia sensibilità romantica, i relitti dell'antica poesia azteca, creando l'interesse per la lirica indigena (Los Aztecas, 1854), intesa nella più assoluta purezza di trama e di sentimento: il fiore più fragile e più odoroso della letteratura messicana. E così, mentre A. Arango poetava su assunti cristiani ed evangelici, il Roa Barcena, anch'egli collaboratore della rivista cattolica La Cruz - organo del partito conservatore -, raccoglieva con uno stile tra erudito e aneddotico le Leyendas mexicanas e interpretava con acuta adesione Hoffman e Byron.

Si prospetta complessivamente, a metà dell'Ottocento, una molteplicità di forme letterarie, e si avverte un lievito d'interessi e di problemi nella vita più generale della cultura, che trovano piena rispondenza nel terreno articolato, e per qualche tempo anche torbido, delle lotte politiche e civili. ll progetto costituzionale del 1857 - la cosiddetta "Reforma" - permeò e penetrò di sé tutta la letteratura che divenne anch'essa arma di partito, con quel generoso fermento dell'immediata reazione sentimentale e con quel superficiale e caduco empirismo che essa stessa comportava. Nelle nuove vicissitudini il romanticismo liberale e democratico ritrovò i suoi momenti più felici, e l'eroismo ch'esso esaltava nella poesia fu accettato e attuato sulle vie e sulle piazze, durante le rivolte, di fronte ai plotoni d'esecuzione: proprio come il giovanissimo Juan Díaz Covarrubias (1837-1859), che ripeteva col dono della propria vita la vicenda del suo romanzo Gil Gómez el Insurgente. Le voci della storia e della passione politica irrompono nell'arte con gli atteggiamenti più diversi; lo scrittore è a un tempo uomo di governo e di azione, soldato ed educatore, poeta e polemista, come agli albori di una civiltà: è una gradazione di attività e di espressioni, che va dalla satira acre e irruente di Ignacio Ramírez (1818-1879), anticlericale e volterriano, crudelmente demolitore e con severe idealità storiche, alla prosa più riposata ma altrettanto realistica e disincantata di Ignacio M. Altamirano (1834-1893), che nella vita nazionale esercitò una vasta azione di maestro: con la fondazione del maggiore organo liberale (El correo de Mexico), con l'insegnamento universitario, e specialmente con la sua arte di psicologo e di moralista che si nasconde dietro uno scetticismo sociale e religioso. Si tratta di una coscienza pessimistica assai diffusa, specie negli anni dell'infelice sorte di Massimiliano d'Austria, senza fede e dominata da un oscuro fatalismo della natura e della società; come si rivela nell'espressione scarna e cruda di Manuel Acuña (1849-1873), suicidatosi non ancora venticinquenne, dopo di aver cantato con tetra desolazione la morte senza risveglio e senza aldilà (Ante un cadaver) e gl'istinti e gli ambienti che irretiscono l'animo e la volontà dell'uomo (El Pasado): non senza la pretesa di darne anche una dimostrazione scientifica e sociologica. È fondamento, appunto, della letteratura messicana adeguarsi e quasi fondersi nella concretezza della vita che fluisce, con tanta penetrante tenacia, che spesso non si può discriminare, specie nell'arte della prosa, l'elemento fantastico dalla pura cronaca. Da queste attitudini a riprodurre la robusta e multiforme realtà della storia, si è sviluppato il romanzo messicano, con una sua tradizione ampia, varia, sempre nuova nel contenuto se non sempre rinnovata nelle tendenze, e pronta a ritrarre le vicende, i problemi, i sogni della sua tormentata terra. Son rari i poeti che non abbiano tentato anche la prosa narrativa; in essa si son provati i migliori spiriti, che l'hanno intesa come interpretazione del loro tempo. Pur entro alle diverse scuole - sentimentali, storiche, naturaliste, psicologiche, autobiografiche, simboliste - l'arte della narrazione si costruisce e si fa da sé con un ritmo e un colore che si generano direttamente dalla vita contemporanea. Si ripercuote nella tradizione, anche se a distanza di anni e con intendimenti diversi, l'opera maestra di José J. Fernández de Lizardi (1771-1827), che fino d'allora aveva penetrato gli aspetti più essenziali e più attuali dell'anima messicana, seppure stilizzati in una visione realistica e picaresca. Anzi la traccia del suo celebre Periquillo Sarmiento è ripresa da Manuel Payno (1810-1894), in una serie di tipi e di quadri messicani, trattati con una fantasia tra naturalistica e sensazionale, temperata da un delizioso estro umoristico (El Fistol del diablo, Bandidos de Río Frío, ecc.). Più serio Luis Gonzaga Inclán (1816-1875), che in Astucia ha introdotto, con dovizia di toni e di colori, interi lembi di vita e di paesaggio prettamente locali; mentre riprende la maniera caricaturale e furbesca, con punte d'ironia e d'umorismo, che si estende anche agli elementi idiomatici, la prosa facile e arguta di José T. de Cuéllar (1830-1894). L'arte di Justo Sierra "senior" (1814-1861), che sa ancora di leyenda storica, con certe preoccupazioni confessionali (La hija del Judío), si fa più sentimentale man mano che ci s'inoltra nell'Ottocento: F. Orozco y Berra (1822-1851), quasi autobiografico, Florencio del Castillo (1828-1863), di temperamento femmineo, Pantaleón. Tovar (1828-1876), con una tenerezza familiare e borghese, ne sono i più chiari rappresentanti, per quanto la loro voce sia soverchiata dal romanzo storico-sociale, più quadrato e più corpulento, in cui la vita s'immetteva senza liriche solitudini, ma nel suo pieno rigoglio drammatico.

Il periodo francese conclusosi tragicamente nel 1867, fu rielaborato nei suoi lati sentimentali, patriottici, partigiani, militari perfino, con attenta, minuta e partecipe drammatizzazione: da Juan A. Mateos (morto nel 1914), che ne fu narratore fedele e sapiente per la sua oculare testimonianza (El Cerro de las campanas), ad Alfonso M. Maldonado (nato nel 1849), descrittore moraleggiante, sorretto da un'esperienza giuridica e sociale (Nobles y plebeyos); da M. Sánchez Mármol (1839-1912), artista ricco di contenuto umano e mosso da simpatie popolari, che indagò con agilità pittorica gli aspetti nazionalisti, operai e agresti della stessa vicenda, incorporata nel quadro d'un dissidio morale (Antón Pérez), a V. Riva Palacios (1832-1896), il generale che, dopo di aver fatto fronte con una schiera di forti agl'invasori, combattendo anche contro la fame, l'indigenza e la più desolata disperazione, ne dettò l'eroica storia con un pathos che fa dimenticare la mentalità militaresca dell'autore (Calvario y Tabor, 1868). È una gradazione di stati d'animo e di rielaborate visioni storico-passionali, che toccano il limite estremo di pura e superficiale finzione con M. Domínguez e J. Rivera y Río o di schietta e popolare documentazione con H. Frías (nato nel 1870) e L. González Obregón (nato nel 1865), scrittore d'interessi biografici e aneddotici; fino a diventare vera e propria storiografia, nella sensibilità filologica e costruttiva, specialmente con J. Garcia Icazbalceta (1825-1894), erudito e poligrafo di solida preparazione e dì ampio respiro, e con A. Chavero (1841-1906), che avendo studiato il regno degli Aztechi e investigato l'intera antichità del Messico, ne trasse con felice intuito artistico qualche dramma di gusto romantico (Quetzalcoatl, 1878; Xochitl, ecc.). Ma il genere storico-narrativo, che ormai si estenuava nella curiositȧ o nell'astratta stilizzazione di epoche, di figure e d'ideali, doveva rinnovarsi tornando ancora una volta al libro di costume e di carattere (Angel E. Campo: 1868-1908; C. Rodríguez Beltrán, ecc.), e soprattutto orientandosi verso la grande sorgente naturalistica, che costringeva a guardare il volto fisico e morale dell'uomo, le ombre e le angustie della sua vita, le strettoie e i pregiudizî della realtà sociale, le anomalie dello spirito e il capriccio della natura, con uno stile più aderente alle cose e più vicino al linguaggio parlato e all'azione sceneggiata: fra tutti - sia quelli più propriamente naturalisti, come J. López Portillo (1850-1923), sia quelli ancora romantici, borghesi e sentimentali, come R. Delgado (1853-1914), uno dei più ariosi e nobili narratori -, lo scrittore più vivace e più ricco di problemi sociali, etici e psicologici, è Federico Gamboa (nato nel 1864), che possiede una sua tecnica forte e analitica, stilisticamente matura e fermentata da molteplici interessi.

Tuttavia chi rappresenta meglio il periodo letterario dell'Ottocento che s'inoltra, con i suoi valori passionali e melodrammatici, in cui la rievocazione storica si colora di leggenda e di lontananza, è José Peón y Contreras (1843-1907), inventore fertilissimo di avventure amorose immerse in un'atmosfera idillicamente coloniale, con quei motivi e quelle tendenze ch'erano puro retaggio del romanticismo e più direttamente agivano sull'animo popolare. Più che i suoi racconti n prosa o in verso (Romances dramaticos, 1880; Pequeños dramas, 1887; Trovas Colombinas, 1891), costituiscono la sua migliore opera i suoi drammi, che, oltre al loro valore di poesia, ebbero anche grande importanza storica per la restaurazione della vita e della tradizione teatrale. Ma in lui il lirismo è prevalente: nella distensione morale e sociale, al di fuori della lotta dei partiti e nel raccoglimento successo all'ansia febbrile della politica e della rivolta, la poesia, espressione individuale e tutta interiore, ritornava a contemplare gli aspetti teneri e lievi, le emozioni brevi e melanconiche, i piccoli e misteriosi momenti della più fragile realtà sentimentale. Più che il canzoniere di Juan de Dios Peza (1852-1910), troppo distratto dalla varietà prosaica del suo contenuto, che oscilla tra interessi didattici e certa delicata attenzione alla vita infantile, e più che l'ispirazione di Manuel J. Othón (1858-1906), che fonde in una visione unitaria e con felice simultaneità di percezione le voci della natura e le indefinite risonanze del suo spirito, interessa la personalità di M. Gutiérrez Náiera (1859-1895), il poeta della più squisita e raffinata sensibilità, che Rubén Darío e i modernisti riconobbero della loro stessa natura aristocratica e della loro stessa maniera accesa eppur leggiera, misteriosa eppur trasparente, "composita" e tuttavia schietta. Della sua generazione e suoi discepoli sono gli altri poeti, non pochi e tutti fortemente segnati da una loro salda personalità, come il lussureggiante e sensuale S. Díaz Mirón (1853-1928), il classicheggiante e parnassiano E. González Martínez (nato nel 1871), Alfonso Reyes (nato nel 1889), scrittore drammaturgo di concezioni audaci, e soprattutto Amado Nervo (1870-1919), il poeta più complesso e più originale, d'una trasparenza umana cangiante, internamente agitata e continuameme ansiosa di luce, con una spiritualità mistica e panteistica, fervida sempre di nuove e più divine ascese e trepida tuttavia di riposo e di abbandono, purificata da ogni residuo di quella sensualità e di quella mollezza che sono proprie del "modernismo", e avvolta in una delicatezza pudica e confidente. Con lui la letteratura del Messico ha superato i confini dell'America e si è affacciata alle soglie della poesia universale.

Bibl.: Per i testi si veda: M. Menéndez y Pelayo, Antología de poetas hispano-americanos, Madrid 1893; Antología de poetas mexicanos, a cura dell'Accademia messicana, Messico 1894; Antol. del Centenario, ivi 1901-10; Las cien mejorès poesías mejicanas, ivi 1914; G. Estrada, Poetas nuevos de México, ivi 1916; Antología de la poesía mexicana moderna, a cura di J. Cuesta, Messico 1928. Si cfr. M. Menéndez y Pelayo, Historia de la poesía hispano-amer., I, Madrid 1911, pp. 21-173; L. G. Urbina, La liter. mex. durante la guerra de la indep., ivi 1917; J. B. Iguiniz, Bibl. de novelistas mexicanos, Messico 1926; J. Jiménez Rueda, Hist. de la liter. mex., ivi 1928; A. Coester, Historia literaria de la América española (traduz. dell'inglese di R. Tovar), Madrid 1929.

Arte.

Nei tre secoli della dominazione spagnola l'architettura seguì nel Messico le vicende che ebbe nella madrepatria. Tuttavia le forme architettoniche messicane si mantengono distinte da quelle spagnole per una loro impronta particolare, dovuta soprattutto agli artigiani indigeni i quali già possedevano, prima della conquista spagnola, una grande abilità e uno stile tutto proprio, di cui le tracce, se non le conseguenze, si troveranno anche nelle nuove forme importate. D'altronde anche le condizioni fisiche in molte regioni del Messico erano simili a quelle della Spagna e favorirono un uguale sviluppo dell'architettura.

Secolo XVI. - L'architettura del sec. XVI presenta soprattutto caratteri medievali; ne restano conventi e chiese di grandiosa semplicità. Dinnanzi agli edifici si stende un'immensa piazza o cimitero elevato, circondato da una grossa muraglia merlata: nel centro sorge una grande croce. Simili piazze con la croce furono in realtà le prime chiese cristiane d'America (cimiteri delle chiese parrocchiali di Cholula, Tula, Actopan). L'ingresso principale della chiesa si apre al centro d'uno dei lati della piazza; il convento, contiguo alla chiesa, sorge in genere a destra di essa ed è sempre munito d'un portico esterno per rifugio dei pellegrini e per distribuzione di viveri e soccorsi ai poveri. Dal lato opposto al convento o addossata alla facciata della chiesa, vi è la "cappella aperta" con una o più arcate che le servono da facciata. Essa contiene solo un presbiterio con l'altare o, sulla sommità, un pulpito cui si accede dal lato del Vangelo. Altre quattro cappelle per i servizî funebri, ugualmeme aperte e costruite agli angoli del cimitero, completano il grandioso insieme. Tutte queste cappelle offrono la mescolanza più originale di tutti gli stili: il romanico, nella disposizione e nella struttura; il plateresco, l'ogivale e un misto di cristiano e indigeno nella decorazione. I costruttori indigeni, con la loro tecnica, saldarono e fusero il tutto in uno stile sui generis, straordinariamente interessante (cappelle nei cimiteri di Tlalmanalco, Atlarlauca, Actopan, Teposcolula, Huejotzingo e Calpan).

I conventi, a uno o due piani, erano circondati in tutti i lati da un chiostro o cortile con portici. Le chiese, a una sola navata molto alta, erano da principio a tetto, poi con vòlta a botte o a ogiva, nel solo presbiterio o in tutta la navata, hanno portali platereschi, segnatamente quelli di Acolmán, Yuririampúndaro e Actopan. Alcune hanno torri eminenti (Actopan; Ixmíquilpan); ma in molte non v'è che un campanile a ventola (chiese di Yucatán). Dei tetti a due spioventi, con un piccolo piano orizzontale nell'interno, che ricordano quelli mudejar in legno della Spagna, resta un ultimo esempio nella chiesa francescana di Tlaxcala.

Degli edifici civili del sec. XVI rimangono soltanto la facciata plateresca della residenza del governatore F. de Montejo a Mérida, i portici e le logge del palazzo di J. Cortés a Cuernavaca, e buona parte dell'edificio municipale di Atotonilco de Tula.

Nel sec. XVI gl'indigeni seguitarono a praticare la pittura nei codici, in forma di scrittura o di narrazione pittorica. Il primo pittore di qualche importanza venuto dalla Spagna fu il fiammingo italianeggiante Simone Pereyns, autore del retablo all'altar maggiore della chiesa del convento francescano a Huejotzingo. Egli lavorò tra il 1566 e il 1616 e le sue opere di brillante colorito, solide e di buonissimo disegno, influirono su tutti i suoi contemporanei. Il primo pittore spagnolo nato nel Messico fu Giovanni de Arrué, autore della decorazione dell'altar maggiore nella chiesa di Coatlinchan, a Puebla. Più importanti dei pochi retabli conservati le pitture murali dei conventi, sebbene molte ne siano andate distrutte. Ogni parte dei conventi era istoriata di affreschi, come a Epazoynca, con la rappresentazione di scene della Passione o di paesaggi biblici, inquadrati da cornici, medaglioni, ecc. In queste pitture, per la maggior parte scolorate, i caratteri delle diverse scuole spagnole sono fortemente mescolati con elementi fiamminghi e italiani: tutto è improntato da profondo sentimento religioso sebbene a volte non si tratti che di copie di quadri o di stampe europee.

La scultura del sec. XVI si può dividere in due gruppi. Nella decorazione degli edifici, intagliata in pietra, risalta soprattutto la tecnica indigena che semplifica le forme rendendole piane e non turba le linee generali dell'elemento architettonico a cui esse sono applicate. Il secondo gruppo comprende le decorazioni d'altari (maggiori o laterali intagliati in legno e dorati), di stile plateresco, con immagini dai panneggiamenti riccamente intagliati e dorati: e dovettero essere quasi tutte eseguite da Europei (altari maggiori di Huejotzingo, Xochimilco e Yanhuitlán).

Secolo XVII. - Il sec. XVII segna, nel Messico, l'apogeo dell'architettura. Le costruzioni erano più o meno sottoposte, nei loro progetti, all'approvazione della Spagna; e a ciò fu dovuta l'introduzione dello stile herreriano, che si rivela nelle torri e nella maggior parte delle facciate della cattedrale di Puebla, nella facciata posteriore della cattedrale di Messico, nella chiesa del collegio dei Ss. Pietro e Paolo nella medesima città e in altre parti di edifici importanti. Questo stile non riuscì però ad acclimarsi nel Messico, perché la sua austerità non si accordava con l'esuberanza dell'ambiente fisico e con l'amore del fastoso che fino dall'epoca precortesiana caratterizzava l'arte del Messico.

In quel secolo furono costruiti innumerevoli chiese, conventi, collegi e palazzi; fecero la loro apparizione la cupola e il barocco che si sviluppò a poco a poco fino a culminare nello stile churrigueresco del sec. XVIII. Vennero in uso i rivestimenti di azulejos, o lastrelle di maiolica. La fabbricazione di queste fu impiantata (1630) nella città di Puebla da Spagnoli, probabilmente Sivigliani, e sviluppata più tardi da operai della celebre industria spagnola di Talavera de la Reina. Si cominciano a coprire le cupole, le fasce inferiori delle mura e anche le mura intere di mattonelle e l'architettura del Messico prese quel colorito brillante così in armonia con quello degli edifici d'epoca precortesiana.

All'infuori delle cattedrali di Messico e Puebla, delle quali nel sec. XVII furono compiute le parti principali, e all'infuori di alcuni collegi, l'edificio più notevole del sec. XVII è la chiesa e il convento di S. Domenico ad Oaxaca, cui rassomigliano, solo per lo stile, la cappella del Rosario di S. Domenico, a Puebla e la cappella del Santo Cristo di Tlacolula ad Oaxaca.

Nella chiesa di S. Domenico, con vòlta a botte, è eccezionale la decorazione barocca dell'interno, ricca di cartigli traforati e di nastri, con figure di santi in altorilievo e a tutto tondo: vi dominano soli il bianco, il nero, e l'oro.

La dimora signorile, con un gran cortile al mezzo e, all'esterno, i balconi e un portale grandioso, si definisce chiaramente nelle sue forme e si moltiplica (case nelle città di Puebla e Pátzcuaro).

Nella pittura l'artista più notevole fu Baldasar de Echave Orio, nato in Spagna, presso Guipúzcoa, venuto alla fine del sec. XVI nel Messico, dove dipinse durante la prima metà del sec. XVII. Le opere più importanti che di lui si conservano nella galleria della Scuola di belle arti di Messico, decoravano in origine i retabli della chiesa di Santiago Tlaltelolco e della chiesa professa della città di Messico. I soggetti dei suoi quadri sono a preferenza martirî di santi, o scene della Passione e della vita della Vergine, trattati sempre con buon disegno e colorito brillante, talora con minuziosità fiamminga. Ma la varietà e anche i contrasti nella tecnica dei dipinti a lui attribuiti si deve, secondo scoperte recenti, al fatto che esistettero altri due pittori del suo stesso nome, le cui opere erano state attribuite a lui solo.

Da ricordare dopo l'Echave è Luis Juárez, che nacque e si formò nel Messico. Dipinse, a cominciare dal 1610, archi di trionfo per i viceré e quadri per i conventi, come quello della Merced nella città di Messico. Dei suoi numerosi quadri si conservano alcuni nella galleria della Scuola di belle arti di Messico (Sposalizio di S. Caterina; L'orazione nell'Orto, che è forse l'ultima delle sue opere). La sua pittura si confonde spesso con quella di Baldasar de Echave, ma è più gentile e vi risalta, talvolta in modo speciale, l'abilità nel riprodurre le stoffe.

Di grande importanza per il Messico fu il pittore andaluso Sebastiano de Arteaga, nato a Siviglia nel 1610, operoso nel Messico durante la seconda metà del sec. XVII. Scarse sono le opere che di lui si conservano e molto diverse tra loro; e ciò ha fatto dubitare ch'egli abbia veramente eseguito tutti i quadri che solitamente gli si attribuiscono. Nell'ultima opera sua, L'incredulità di S. Tommaso, risaltano tutte le qualità dello Zurbarán, al quale viene anche attribuita; invece Lo sposalizio (che si trova, come il quadro precedente, nella galleria della Scuola di belle arti di Messico) potrebbe essere attribuito piuttosto al pittore Baldasar de Echave.

L'influsso della pittura spagnola, segnato da Sebastiano de Arteaga, determinò nella pittura messicana del sec. XVII una seconda fase di cui fu rappresentante massimo José Suárez forse meticcio. Nelle sue opere si notano due periodi: uno che segue la scuola di Echave il Vecchio ma nel quale si vede l'uso di modelli in cui già si scorgono le caratteristiche della razza meticcia; l'altro che si accosta allo stile accentuatamente spagnolo e di vigoroso chiaroscuro del De Arteaga.

Nel sec. XVII la scultura conservò le qualità già segnalate per il secolo precedente, cioè il carattere decorativo e l'intiera unione con l'opera architettonica. Vi si notano un accentuato barocchismo e una generale mediocrità.

Secolo XVIII. - Trionfa nell'architettura lo stile churrigueresco, ossia l'ultima e più spinta forma del barocco spagnolo. Il barocco moderato, che nell'altare dei re nella cattedrale di Puebla presenta appena le colonne tortili all'italiana, va a poco a poco agitando le forme, accentuando i risalti dei profili e sovraccaricando di fogliami porte e altari, fino a raggiungere il più sfrenato stile churrigueresco nell'altare dei re della cattedrale di Messico, opera dello spagnolo Gerolamo de Balbás.

Intagli ricchissimi di legno e di pietra, dorature, ricami nei vestimenti delle statue, maioliche di varî colori sulle cupole, sui campanili, neì portali, sulle pareti e nei pavimenti, completano le caratteristiche di un'arte che nel Messico rappresentò la maggiore profusione di ricchezza. Molto numerose e svariatissime sono nel Messico le opere di questo stile; tuttavia vi si possono distinguere tre gruppi principali. In un primo gruppo, nonostante la profusione degli ornamenti, delle spezzature e curvature nelle forme, la colonna conserva la sua funzione di appoggio decorativo, anche quando sia di forma tortile. Nel secondo gruppo aumenta la profusione degli ornati e come appoggio si preferisce il pilastro churrigueresco che consta d'un pilastro propriamente detto cui è sovrapposto un elemento a balaustri che sostiene il capitello pseudocorinzio. Nel terzo gruppo riappare l'influsso indigeno che, in una tecnica propriamente messicana, interpreta liberamente le forme dei due gruppi precedenti.

Esempî del più accentuato influsso indigeno sono le facciate della chiesa di S. Monica a Guadalajara e della cattedrale di Zacatecas, nonché il cortile e la facciata della chiesa di S. Agostino a Querétaro. Opere massime per chiarezza delle linee generali e perfezione degli elementi di scultura sono la facciata della chiesa di Tepotzotlán, le facciate laterali (che attualmente servono d'ingresso) della chiesa di S. Francesco e il Sacrario metropolitano di Messico. Modelli per originalità di linea e ricchezza di particolari notevoli sono le facciate delle chiese della Santissima, di Santa Veracruz e di S. Giovanni di Dio a Messico; quelle di S. Diego e della Compagnia a Guanajuato, di Ocotlán a Tlaxcala. Infine, la massima ricchezza che degenera in vera e propria confusione si trova nelle chiese votive delle miniere di Valenciana e Taxco, e nel frontispizio interno della crociera nella chiesa del Carmine a San Luis Potosí.

La cupola è profusa negli edifici messicani con tale abbondanza, da costituire la caratteristica del paesaggio, ma solo nelle forme a casco ed emisferica, entrambe a unica copertura.

Lo stile churrigueresco, sebbene nel Messico finisca per mancare interamente di misura, conserva grande perfezione di profili e presenta ampî partiti o linee di composizione nell'altare del Cristo nella chiesa di S. Rosa a Querétaro o nell'altare della cappella nella chiesa del Carmine a San Luis Potosí. Trova inoltre piante che risolvono perfettamente i problemi architettonici, come nelle chiese parrocchiali di Taxco e del Sacrario metropolitano, nel Colegio de la Enseñanza a Messico e nella cappella del Pocito a Guadalupe, nei dintorni della capitale. Quest'ultima cappella riassume le principali qualità dello stile messicano del sec. XVIII: presenta un vivo senso di misura nella decorazione, bella ricchezza di forme, vivacità di colorito e una pianta magnifica la quale subordina la composizione generale alla tipica cupola messicana.

Nella pittura la transizione tra il sec. XVII e il XVIII è rappresentata nel Messico dai pittori Juan Correa, Cristóbal de Villalpando, Juan e Nicolás Rodríguez Juárez, questi ultimi due nipoti del pittore José Juárez. Il Correa e il Villalpando nei loro grandi quadri che coprono le pareti nella sacrestia della cattedrale di Messico, mostrano vigore di aggruppamenti, senso decorativo, amore del paesaggio. Dipinsero dal 1675 al 1714. Nicolás e Juan Rodríguez Juárez cominciano a rivelare l'influsso del Murillo (loro opere nella cattedrale di Messico).

Riassumono tutte le caratteristiche della pittura messicana del secolo XVIII José Ibarra (1688-1756), discepolo di Juan Correa, e Miguel Cabrera (1695-1768): la decadenza artistica dell'epoca è palese nelle loro opere sdolcinate e manierate, moltiplicate all'infinito, copiando talvolta servilmente stampe o riproduzioni di artisti europei. Chiudono il sec. XVIII Morlete Ruiz, Vallejo e Alcíbar, che seguirono la scuola del Cabrera.

Nella città di Puebla, che per importanza viene dopo quella di Messico, vi fu una scuola pittorica che ebbe fasi non differenti, ma fu inferiore per qualità e numero.

È infine da osservare che tutte le opere dei pittori del sec. XVIII, tolte dagli altari e dalle pareti per cui furono dipinte, appariscono ordinarie, senza disegno, stonate nel colore, ma dentro gli altari churriguereschi magnificamente intagliati e dorati, formano con essi un insieme armonico.

La scultura del sec. XVIII si riduce all'iconografia religiosa e alla profusione di fregi che coprono interamente porte e altari di pietra e di legno. Manca d'individualità, ma corrisponde assai bene al suo fine ornamentale. Come esempî eccezionali per finezza tecnica, si possono citare le sculture sulla facciata della chiesa di Tepotzotlán, a oriente di Messico, e, nella città di Oaxaca, quelle sulle facciate della cattedrale e della chiesa di S. Filippo.

Se durante tutto il periodo della dominazione spagnola nel Messico, le arti minori e le industrie artistiche formarono un importante seguito alle altre arti, nel sec. XVIII esse raggiunsero uno sviluppo particolarmente notevole, data la ricchezza e la prosperità di quel periodo. I mobili, i tessuti e i ricami, l'incisione e soprattutto l'orficeria, chiamata come in Spagna platería (argenteria), produssero innumerevoli opere di pregio cui gli operai indigeni o meticci diedero i loro particolari caratteri.

Secolo XIX. - Dutante il sec. XIX le belle arti hanno come loro centro nel Messico la Academia de Nobles Artes di S. Carlo della Nuova Spagna, fondata dal re Carlo III nella capitale del viceregno nel 1781. Il medesimo re aveva precedentemente fondato (1778) la scuola d'incisione presso la zecca e il pittore Miguel Cabrera aveva tentato d'istituire nel 1753 l'Accademia di pittura.

Già verso la fine del secolo XVIII si avverte contro il barocco una reazione nella quale ebbero la parte più importante l'architetto e scultore di Valenza Manuel Tolsá, fondatore della scuola di scultura nella ricordata accademia, e l'artista creolo Francisco Eduardo Tresguerras, incisore, pittore, scultore e soprattutto architetto, nato a Celaya, nel centro del Messico. Tolsá, ultimando le torri, la cupola, le balaustrate e i rosoni della cattedrale di Messico, diede proporzione e unità alle parti esterne di quel grandioso edificio, e col palazzo di Minería, severo e grandioso, nel quale non mancano alcuni barocchismi di buon gusto, rivelò quella forte personalità che lo pone al primo posto tra gli architetti spagnoli che influirono sullo sviluppo dell'architettura messicana. F. E. Tresguerras, nato in provincia, non ebbe se non le poche stampe e i pochi libri che potevano giungere alla sua piccola città. Con questi soli mezzi di preparazione costruì la chiesa del Carmine di Celaya, opera di rara unità e di gusto squisito, nella quale appartengono a lui anche tutti i particolari di scultura e di pittura. Questo rinascimento classico, non immune da reminiscenze baroccheggianti, segna la fine dell'epoca ispano-messicana, la quale fu per l'architettura del Messico specialmente gloriosa.

La pittura di Miguel Jimeno, anche lui insegnante nell'Accademia, sul quale forse influì Goya, non ebbe nei suoi discepoli larga risonanza e non fece che sviluppare un freddo accademismo.

La scultura raggiunge un grande sviluppo e piena padronanza di mezzi tecnici per l'impulso datole da M. Tolsá il quale, nella statua equestre di Carlo IV, nelle statue e nei gruppi che decorano la facciata della cattedrale di Messico, e nel Cipresso di quella di Puebla, seppe dare prove indiscutibili del suo ingegno. I suoi discepoli formarono gruppi o piccole scuole locali, che si distinsero, come quella dei Perrusquías y Arcés di Querétaro.

Epoca moderna. - La guerra d'indipendenza nel primo quarto del sec. XIX disperse gli alunni dell'Accademia di S. Carlo che parteciparono alla lotta; essi diedero tuttavia alcune opere, mostrandosi principalmente fedeli agli esempi del Tolsá. Tra gli artisti migliori di quel periodo si possono citare: il nobile indiano Patiño Ixtolinque, scultore, e Rodríguez Alconedo, cesellatore e pittore. Conquistata l'indipendenza, l'accademia rifiorì per poco, ma subito dopo ebbe vita stentata e decadde a causa delle lotte intestine che caratterizzarono il principio della vita autonoma del Messico.

Nella seconda metà del secolo Echevarría e Conto, presidenti della giunta direttiva dell'Accademia, diedero nuovo impulso all'istituzione chiamando varî professori europei, specialmente italiani per i caratteri della loro arte, anche se alcuni furono, per nascita, spagnoli: Pellegrino Clavé ed Eugenio Landesio, per la pittura; Manuel Vilar, per la scultura; Bagally e Périam, per l'incisione; Saverio Cavallari, per l'architettura. Questi professori, allievi di Minardi e Tenerani (il Cavallari era anche dotto archeologo e direttore dell'Accademia di Milano), crearono scuole di un aceademismo manierato, ma diffusero la conoscenza di tutti i mezzi del mestiere: solidità di modellato, accuratezza del disegno, tecnica del colorire e del marmo. Soltanto in architettura si produssero opere banali, nelle quali si perdettero del tutto le gloriose tradizioni precedenti. Gli allievi più notevoli dei ricordati artisti furono i pittori Salomé Pina e Santiago Rebull, che vennero a perfezionarsi in Europa. Del primo è da ricordare La Pietà; del secondo il Sacrificio d'Isacco e le eleganti Baccanti, dipinte nell'Alcázar di Chapultepec.

Discepolo di genio del Landesio fu il paesaggista José Maria Velasco, indubbiamente il più notevole artista del suo secolo nel Messico, che nei suoi quadri tradusse la luce e l'ambiente del paese e disegnò i grandiosi resti archeologici, le vedute d'insieme e i particolari delle rovine del Messico, contribuendo a suscitare entusiasmo per le opere antiche.

Dopo i maestri Pina, Rebull e Velasco, l'arte messicana oscillò tra diversi influssi; ma venne affermandosi una tendenza nazionalista della quale è esempio notevole Félix Parra con i disegni, gli acquarelli e i quadri a olio, nei quali rappresentò le rovine precortesiane del Messico ed episodî della conquista. Si ricorda di lui soprattutto il quadro che rappresenta fra Bartolomeo de las Casas.

Perduti nell'anonimo e con carattere veramente popolare sono venuti manifestandosi artisti spontanei che, senza pregiudizî di scuola, produssero nel Messico, alla fine del sec. XIX, opere caratteristiche e non prive di meriti. Sono quasi tutti ritratti di persone della classe media, pitture votive (retablos), che si contano a migliaia intorno agli altari delle immagini più venerate nelle chiese messicane.

L'entrata all'accademia del professore Fabrés, spagnolo di nascita ma educato a Roma, suscitò un certo fervore. Tra i suoi discepoli, come anche dal gruppo raccoltosi intorno al pittore Alfredo Ramos Martínez con tendenze impressionistiche, sorsero gli artisti che hanno cercato nel presente di creare una pittura nettamente messicana.

I rappresentanti più notevoli della pittura contemporanea nel Messico sono Diego Rivera e José Clemente Orozco, che hanno coperto con grandi affreschi le pareti del Ministero dell'educazione e della Scuola preparatoria, attirando molti altri nell'ambito delle loro tendenze. Personalità forti e diverse, essi hanno in comune la volontà di rivelare il movimento sociale moderno e specialmente lo spirito della rivoluzione messicana. Ambedue hanno dipinto negli Stati Uniti opere importanti.

Dall'epoca di Tolsá e Tresguerras, l'architettura e la scultura nel Messico si sono dimostrate notevolmente in decadenza. Recentemente sono stati compiuti studî per cercare di determinare una rinascita nazionalistica, giovandosi di elementi delle epoche precortesiana e ispanomessicana; ma sono molto scarse le opere di qualche importanza nelle quali queste tendenze abbiano avuto successo.