MERCENARÎ

Enciclopedia Italiana (1934)

MERCENARÎ

Piero PIERI
Paola ZANCAN

. Non vi fu presso i Greci un'unica parola che li designasse; ma furon detti μισϑωτόν, μισϑοϕόροι, o ἐπίκουρον, o ξένοι, o στρατιῶται milites, tradussero i Latini, o peregrini milites), con termini che concorrono tutti a darne una definizione compiuta, rivelandone ciascuno un particolare aspetto: guerrieri, stranieri, prezzolati, ausiliarî.

Ignoto alla società omerica, il sorgere del mercenariato in Grecia è legato al sorgere delle tirannidi (fine del sec. VIII a. C. o principio del VII), in quanto milizie straniere stipendiate furono lo strumento di cui i tiranni solitamente si valsero per mantenere il potere violentemente instaurato, talora anche per instaurarlo. Con l'aiuto di mercenarî Pisistrato riacquistò definitivamente il potere; con 500 d'essi Milziade occupò il Chersoneso Tracio; una guardia del corpo avevano i Pisistratidi, e gran numero di stranieri erano al soldo di Policrate di Samo. Il sec. V, che s'apre con le guerre persiane, sperimenta le forze delle milizie cittadine. Ma ecco che già nell'ultimo quarto del secolo, nel corso della guerra del Peloponneso, compaiono di quando in quando, dalla parte ateniese e da quella spartana, milizie assoldate non cittadine: 1000 opliti peloponnesiaci con Brasida, 1000 peltasti traci a rinforzo degli Ateniesi nella campagna della Calcidica (424-423); Messenî, Mantinei, altri Arcadi, fuorusciti di Megara, e arcieri cretesi, e Etoli e Acarnani, e perfino Iapigi militavano al soldo degli Ateniesi nella spedizione di Sicilia; Arcadi mercenarî mandati dai Corinzî militavano invece in favore di Siracusa. Si confrontino le cifre riportate con quelle degli eserciti cittadini, si tenga conto che la guerra durò 27 anni, e sarà evidente che il mercenariato è ancora fenomeno d'assai scarso rilievo. Tuttavia fin d'ora s'avverte dond'esso abbia scaturigine, quali problemi esso sia chiamato a risolvere, in che esso trovi il suo limite; e quali ne siano gli intrinseci germi di corrompimento. Nel corso di questo secolo V, già durante le guerre persiane e più in questa del Peloponneso, le milizie cittadine s'erano rivelate insufficienti per la mancanza di truppe leggiere (basti ricordare la rotta di Spartolo e quella d'Egizio); insufficienti ancora per la poca propensione a intraprendere spedizioni di lunga durata in zone lontane, quando il pericolo di un'incursione nemica apparisse problematico e certo invece il danno d'una lunga assenza. A sanare tali insufficienze s'introdussero i mercenarî, che per un lato ebbero il carattere d'arma specializzata (le truppe leggiere s'arruolavano appunto da quelle popolazioni del nord, greche e barbare, che avevano frombola e giavellotto per arma nazionale, o dalla Tracia, che forniva peltasti, o da Creta, famosa in ogni tempo per i suoi arcieri); e d'altro lato di milizia permanente, o meglio senza limiti di tempo, arruolata fra quelli che l'indole e le condizioni economiche facevano propensi al servizio di guerra. Necessità militari, necessità economiche: ecco i due fattori onde il mercenariato ha vita e speranza.

Tutto ciò acquistò spiccato rilievo nei secoli IV e III. Già negli anni che seguirono immediatamente alla guerra del Peloponneso, mutate condizioni economiche, inasprite dappertutto per il grande sperpero di capitale e di lavoro dell'ultimo trentennio - e più in quei paesi che avevano carattere più schiettamente agricolo -, aggravatedalla concorrenza del lavoro schiavo, avevano reso la Grecia, e specie il Peloponneso, una fertile zona di arruolamento.

È di questo tempo il primo grande esercito di mercenarî greci, i celebrati "diecimila" (più esattamente: 9-10.000 opliti, e oltre 2000 peltasti) che al soldo di Ciro il Giovane marciarono attraverso la Siria e la Mesopotamia contro il re Artaserse. Senofonte ha cura di rilevare ch'esso era costituito di giovani di buona famiglia, in grado di equipaggiarsi riccamente nell'armatura oplitica, venuti per spirito di avventura, attirati dalla fama di Ciro. Ora non è dubbio che non saranno mancati elementi mossi dall'indole avventurosa, ma la grande maggioranza anche in questo caso dovette essere spinta all'estero dalla necessità. Già è significativo che tra essi prevalessero i Peloponnesiaci, Arcadi e Achei, proprio quelli che più soffrivano delle mutate condizioni economiche; ma anche più è significativo che i reduci non si dispersero quando venne meno il fascino della fama di Ciro e dell'impresa avventurosa; bensì, abbandonato appena il suolo asiatico, si misero al soldo di Seute re di Tracia, e passarono poi, in numero di 6000, a Tibrone spartano, e finalmente a Dercillida e ad Agesilao. Comunque, nel corso del sec. IV la massa di coloro che dovevano cercare nel servizio di guerra il mezzo di sussistenza, vendendosi di volta in volta al maggiore offerente - fosse esso di Grecia o di Persia, d'Egitto o di Sicilia - crebbe più e più: fino a diventare minaccia e pericolo (Isocr., Fil., 121). Alessandro al Granico se ne troverà di contro 20.000, a Isso 30.000. I "diecimila" non erano stati un'eccezione. Li avevano preceduti nei tempi più prossimi i Greci mercenarî al soldo di satrapi persiani d'Asia Minore; e, prima ancora che il regno di Persia fosse instaurato, su quel medesimo suolo d'Asia, dei Carî erano stati al servizio dei re di Lidia; e già fino dalla metà del sec. VIl mercenarî greci (Carî e Ioni, al dire d'Erodoto) erano stati lo strumento per il quale Psammetico aveva ricostituito in unità l'Egitto, sul quale poi i successori di lui s'erano appoggiati, fino alla conquista dell'Egitto da parte dei Persiani. Altri Greci (Peloponnesiaci) erano emigrati verso occidente, dove, già nella prima metà del sec. V, i tiranni di Sicilia contavano truppe mercenarie assai numerose; e di nuovo v'affluivano ora, all'aprirsi del IV, al soldo di Dionisio I.

Quanto agli stati dell'Ellade, anche lì, in corrispondenza dell'aumentata offerta d'uomini, troviamo un impiego di mercenarî in proporzioni sempre maggiori: 6000 ne contava Giasone di Fere, armata permaneme, cui in caso di guerra s'aggiungevano le forze dei Tessali; i Focesi, nella guerra sacra, arruolavano 20.000 fanti e 500 cavalieri; in gran prevalenza mercenarî erano i soccorsi inviati dagli Ateniesi a Olinto. Quest'uso sempre più esteso e sempre più abituale di soldati di mestiere portò grado a grado a una profonda trasformazione: come i gregarî avevano cessato d'essere cittadini, e dunque non erano più gli elettori e i giudici del loro generale, così il capo cessava d'essere uomo politico. A soldati di mestiere, capo di mestiere: uomo di guerra, condottiero. Quello che vincola al condottiero i suoi uomini è il soldo e la vittoria e la preda; la necessità di procurare tale soldo, e campagne fontunate e frequenti, allenta viceversa i legami tra il generale e la sua patria. Atene offre più d'un esempio di questi nuovi capi, sempre più indipendenti dalla repubblica, sempre più pieni d'iniziativa e d'arbitrio, che vivono per lo più lontani dall'Attica: Timoteo, Ificrate, Carete. L'arte militare talvolta sembra guadagnarne, poiché la minore dipendenza del capo dai suoi uomini si traduce in una maggiore autorità, che consente l'esperimento di nuove fogge d'armatura o di nuovi modi di combattere: si pensi ai manipoli di Senofonte, ai peltasti d'Ificrate. Ma a queste innovazioni, che pure dànno buona prova e che rispondono a un'esigenza reale, toglie o attenua efficacia l'essere applicate a elementi occasionali, non a un organo istituzionale; i manipoli di Senofonte non ricompaiono più; i peltasti ancora, ma solo in eserciti mercenarî, mentre quelli cittadini conservarono l'armatura pesante.

Sul come avvenisse l'arruolamento dei mercenarî non abbiamo notizie precise. Pare che di solito gli stati richiedenti inviassero dei loro arruolatori (ξενολόγου, συλλοξεῖς), i quali percorrevano i varî paesi offrendo alto soldo, promettendo largo bottino. Quale fosse il soldo consueto in questo periodo, non sappiamo. Un secolo addietro i diecimila ricevevano 1 darico al mese, che sarebbe 5 oboli al giorno; nel corso del sec. IV il soldo sembra avere oscillato dai 4 ai 6 oboli al giorno, ch'era la mercede media giornaliera di un operaio. Doveva essere consuetudine che in un paese non si potesse fare leva senza averne ottenuto il permesso dalle autorità; talora il diritto di levare mercenarî era oggetto di una clausola nei trattati d'alleanza tra due stati (tra Rodi e Ierapitna, 220 a. C.; tra Eumene II di Pergamo e il κοινὸν τῶν Κρητῶν, del 139-138 a. C.). Qualche volta il compito degli ξενολόγον si riduceva al mettersi d'accordo con un condottiero che s'impegnava a condurre un certo numero d'uomini a una data determinata, e riceveva intero il soldo per la campagna da intraprendersi. Nei luoghi in cui più spesso si facevano leve di mercenarî, si formarono veri e proprî mercati: a Corinto, al capo Tenaro; più tardi ad Aspendo, sulle coste della Panfilia.

Era vietato a un mercenario servire contro la sua patria? Si è detto di sì, si è detto anzi ch'era questo uno degli articoli del ius gentium nei secoli IV e III, e se ne è trovata la prova nella punizione inflitta da Alessandro ai Greci che al Granico avevano servito nell'armata persiana e s'erano battuti contro i fratelli di Grecia e di Macedonia. Ma si badi che se Alessandro punì come rei d'alto tradimento i mercenarî greci in servizio del barbaro, ciò fu in forza non di un congetturabile generico ius gentium, ma di una clausola precisa del trattato d'alleanza stipulato a Corinto tra Filippo e la Lega dei Greci, clausola che interdiceva il servizio militare presso uno stato nemico alla Lega o a Filippo, pena l'esilio e la confisca dei beni. Che Alessandro operasse proprio in conformità di tale clausola, è provato dal fatto che quando, alla morte di Dario, vennero in sue mani i Greci che avevano militato per il barbaro, giudicò rei solo quanti s'erano arruolati dopo la costituzione della Lega di Corinto; gli altri, quanti erano entrati in servizio prima, lasciò tornare in patria. Comunque, va da sé che non si sarà accordato il permesso di far leve a ξενολόγοι di paesi nemici; e che d'altro lato la confisca dei beni e l'esilio e ogni altra pena non potevano trattenere dall'arruolarsi i poverissimi e gli esuli.

L'impresa di Alessandro, che fece appello a tutte le forze di Macedonia e di Grecia, trasse su suolo asiatico, in successive riprese, anche moltissimi mercenarî. Si calcola che il loro numero tra il 334 e il 328 superasse i 44.000: Greci, la maggior parte, ma non è escluso che v'entrassero anche Asiatici delle zone più ellenizzate, e in ogni caso armati alla greca. E intorno ai 60.000 si calcola fossero i mercenarî, greci e traci, rimasti in Asia nel 324 a presidio delle provincie (Beloch). Furono insediati, insieme con barbari dei dintorni, nelle colonie fondate da Alessandro, attuandosi così, mezzo secolo più tardi, il voto d'Isocrate che le terre del gran re divenissero patria ai senza patria.

Morto Alessandro, i Diadochi nelle lotte per il dominio si servono essenzialmente di mercenarî che, attirati dalle ricchezze dell'Asia e dell'Oriente, non aderiscono a nessuna causa né idea, ma solo mirano all'alto soldo, per il quale non si fanno nessuno scrupolo di passare da un capo all'altro: da Eumene ad Antigono, da Demetrio a Pirro, da Demetrio a Seleuco; dopo una battaglia il vincitore arruola nel suo esercito i resti dell'armata vinta. Venendo ài monarcati ellenistici, mentre in Macedonia l'uso di mercenarî si mantenne sempre limitatissimo, in Asia e in Egitto, in caso di guerra, si procedeva di solito all'arruolamento di Greci, e più tardi anche di Galati, che dovevano servire di rinforzo all'esercito permanente. Cessato il pericolo, questi mercenarî di solito venivano congedati; ma l'Egitto ne mandava un certo numero nelle colonie militari, o a presidio dei possedimenti esteri dei Tolomei; fino a che, nel sec. II, le forze mercenarie divennero la parte prevalente delle milizie tolemaiche, e si divisero in due gruppi, che avevano stanza a Tebe e in Cipro (queste ultime divise in aggruppamenti a carattere etnico, ciascun ethnos essendo organizzato a κοινόν: κοινόν dei Cilici, dei Lici, dei Cretesi, dei Traci). Mercenarî non mancarono a servizio dei re di Pergamo (un'iscrizione ci conserva l'accordo tra Eumene I e i capi dei mercenari) insorti contro di lui, Or. Gr. Inscr. Sel., 266), né al soldo della Lega achea, ove le successive rifome militari del 217 e del 208-7 miravano appunto a dividere fra cittadini e assoldati il compito della difesa (v. achea, lega). In Atene al principio del sec. III vi è un apposito stratego ἐπὶ τοὺς ξένους e mercenarî furono a Sparta sotto Cleomene e di nuovo sotto Nabide. La Lega etolica, di regola, non ne usò. Buona parte dell'esercito di Cartagine, anche degli ufficiali, al tempo delle prime lotte con Roma, dovette certo essere formata di mercenarî greci, oltre a contingenti gallici, balearici, ecc.

Roma, forte dei cives e dei socii, solo tardi ricorse all'aiuto di mercenarî, quando l'urto con l'arte militare ellenistica dei Greci e dei Cartaginesi fece sentire la mancanza di armi specializzate; arcieri e frombolieri s'arruolarono presso popoli da lungo famosi nell'arco e nella frombola: Cretesi, Rodiesi, Baleari, Liguri. Anche queste truppe assoldate, come i contingenti mandati da popoli amici, si dissero auxilia (v. ausiliarî) e s'ebbe sempre cura che il loro numero, vario secondo i bisogni, non diventasse rilevante.

Che fin dal tempo di Mario gli eserciti romani in un certo senso siano da considerare eserciti di mercenarî, si è detto e ripetuto; ma se è vero che, esistendo la mercede, il servizio militare, che di diritto era stato sempre aperto a tutti i cives, diventava di fatto accessibile anche ai proletarî (e dunque poteva essere considerato e ricercato come fonte di lucro), resta però che si trattava di servizio regolare non occasionale, sotto consoli e tribuni, non sotto condottieri, e soprattutto i gregarî erano cives, non stranieri. E anche quando in epoca imperiale non solo per le coorti ausiliarie, ma anche per le legioni, si fecero leve soprattutto tra i provinciali, anche allora e legionarî e ausiliarî attraverso la milizia conseguivano di solito il diritto di cittadinanza, questi all'atto del congedo, quelli già al momento dell'arruolamento. D'altra parte i Germani, che costituivano la guardia del corpo dei primi Cesari (e che potrebbero far pensare alle guardie mercenarie dei tiranni di Grecia), erano schiavi, possesso privato del princeps; e gli equites singulares, che più tardi li sostituirono, erano provinciali, ma, entrando in questo corpo degli equites, ricevevano il nome dell'imperatore, e insieme il ius latinum. È verso la metà del sec. II d. C. che i barbari del confine dell'impero cominciano a entrare nell'esercito romano: piccoli contingenti dapprima, mandati da qualche popolazione barbarica e dipendente, sul fondamento d'un foedus. Questi foederati, che ricevevano il soldo dall'amministrazione imperiale, ma rimanevano sotto i loro capi, crebbero via via di numero e di peso, fino a formare, al tempo di Giustiniano, la parte maggiore dell'esercito: sono Unni, Eruli, Vandali, Goti, Slavi, Persiani, Armeni, Arabi, Mauri; forza militare delle più temibili, ma viziata dai mali congeniti al mercenariato: infedeltà, indisciplina, spirito di rapina.

Concludendo, gli stati di Grecia non solo non ostacolarono il mercenariato, ma anzi dal loro ristretto e sterile concetto della cittadinanza furono condotti a darvi incremento; poiché, crescendo gl'imperi, e non moltiplicandosi correlativamente i cittadini, divenne indispensabile cercare nel mercenariato uno strumento che s'adeguasse alle cresciute esigenze militari. Laddove Roma, grazie al fecondo principio della cittadinanza comunicabile, non già che comprimesse quanto nel mercenariato c'era di vitale e di necessario, ma trasformava lo strumento, che è sempre un corpo estraneo, in membro del suo stesso corpo. Onde resta vero che il mercenariato ha origine e occasione da necessità militari da un lato, necessità economiche dall'altro, ma né le une né le altre sono sufficienti al suo fiorire, se vi si oppongano gli statuti politici.

Bibl.: Grecia: H. Droysen, Heerwesen und Kriegführung der Griechen, Friburgo in B. 1889, p. 74 segg.; A. Bauer, Griechische Kriegsaltertümer, 2ª ed., Monaco 1893; H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, Berlino 1908; B. Müller, Beiträge zur Geschichte d. gr. Söldnerwesens bis auf die Schlacht bei Chäronea, Strasburgo 1908; K. Grote, Das griechische Söldnerwesen der hellenistischen Zeit, diss., Jena 1913; A. Martin, in Daremberg e Saglio, Dictionn. d. antiq. gr. et rom., III, pp. 1784-1802; G. Busolt e H. Swoboda, Griechische Staatskunde, 3ª ediz., Monaco 1920-26; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ediz., passim; J. Kromayer e G. Veith, Heerwsen u. Kriegführung der Griechen und der Römer, Monaco 1928.

Egitto: D. Mallet, Les premiers établissements de Grecs en Égypte au VIIe siècle, Parigi 1893 (in Mémoires della Missione archeol. franc. al Cairo, XII, fasc. i); J. P. M. Meyer, Das Heewersen der Ptolemaeer und Römer in Ägypten, Lipsia 1900; W. Schubart, Quaestiones de rebus militaribus quales fuerint in regno Lagidarum, diss., Breslavia 1900, e in Archiv. del Wilcken, II, p. 147 segg.; J. Lesquier, Les inst. milit. de l'Ég. sous les Lagides, Parigi 1911.

Roma: H. Schiller e M. Voigt, Die römischen Staats-, Kriegs- und Privataltertümer, Monaco 1893, p. 227, segg.; J. Marquardt, De l'organisation militaire chez les Romains, ed. francese, Parigi 1891; H. Delbrück, op. cit.; J. Kromayer e G. Veith, op. cit.; per il periodo imperiale da Augusto a Diocleziano: H. Dessau, Geschichte der römischen Kaiserzeit, I, Berlino 1924, p. 266 segg.; G. L. Cheesman, The auxilia of the Roman imperial army, Oxford 1914; J. Lesquier, L'armée romaine d'Égypte d'Auguste à Diocletien, Cairo 1918; per il periodo dopo Diocleziano: R. Grosse, Römische Militärgeschichte von Gallienus bis zum Beginn der byzantinischen Themenverfassung, Berlino 1920; E. Stein, Geschichte des spätrömischen Reiches, I, Vienna 1928. Vedi inoltre in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., gli articoli: Mercennarii, Exercitus, Dilectus, Auxilia.

Sui mercenarî al soldo di Cartagine: O. Meltzer, Geschichte der Karthager, Berlino 1879-1913, I, pp. 192-297; II, pp. 114-44.

Sui mercenarî dei re del Ponto: E. Meyer, Geschichte des Königreichs Pontos, Lipsia 1879; Th. Reinach, Trois royaumes de l'Asie Mineure (Cappadoce, Bithynie, Pont), Parigi 1888; id., Mithridate Eupator roi du Pont, ivi 1890.

Medioevo ed epoca moderna.

La milizia mercenaria è una caratteristica specialmente dei periodi a economia monetaria e a regime assolutistico, e si lega quindi soprattutto, nell'Europa, al sorgere e al consolidarsi dello stato moderno. Solo alla fine del Medioevo, perciò, i mercenarî acquistano vera importanza. Il che non toglie che forme di mercenarismo si abbiano anche con l'economia cosiddetta naturale: in questo caso i mercenarî sono pagati, anziché con danaro liquido, con terre o prodotti naturali. Così le colonie militari ai confini del nuovo impero di Carlomagno, così la colonia saracena di Lucera, fondata da Federico II nel 1224. Lo stesso feudalismo rappresenta, fino a un certo punto, il mercenarismo legato all'economia terriera; appena questa è superata, torna in auge il mercenarismo vero e proprio. L'esercito feudale si può considerare come un esercito mercenario permanente, sempre a disposizione del capo, in presenza e assenza. Il che non toglie che a volte gli stessi signori feudali assoldassero elementi forestieri, come Ungari e Normanni. Mercenarî e avventurieri ingrossavano poi gli eserciti normanni in Inghilterra e in Italia, gli eserciti delle crociate, gli eserciti svevi e di Carlo d'Angiò. I nostri comuni si servirono forse di mercenari a cavallo sino dalle prime spedizioni del Barbarossa, ma specialmente nella seconda metà del sec. XIII: in Toscana, dopo il 1281 la Lega guelfa ha un vero esercito mercenario permanente, che deve proteggere la lega da eventuali aggressioni e inquadrare i contingenti cittadini. Pure l'aspetto del mercenarismo varia molto attraverso i secoli. Nel sec. XIV sono caratteristiche le grandi compagnie di ventura che scorrazzano in Francia e in Italia specialmente, simili quasi a stati autonomi, e, sotto l'aspetto economico, a vere corporazioni, sebbene soltanto consumatrici e non produttrici. A queste seguono compagnie organizzate e guidate da privati, che si pongono al servizio dei varî stati. Questa forma di mercenarismo trova la sua giustificazione in due concetti generalmente diffusi: quello medievale della guerra privata, e l'altro, che allo stato non spetti che un numero limitatissimo di funzioni; così che anche la preparazione e condotta della guerra dev'essere lasciata all'opera di appaltatori privati. Di conseguenza, il raccogliere soldati spetta a veri intermediarî, quali sono i condottieri. Ma ciò anche perché la prassi guerresca del tempo, con lo straordinario vantaggio della difensiva, richiede la guerra di logorio. E questa è una guerra lunga, mentre i contingenti feudali, anche quando sono numericamente sufficienti, sono tenuti a ferme troppo brevi. I condottieri dunque rispondono presso lo stato del numero, armamento, rendimento degli uomini raccolti. La guerra può quindi essere condotta per le lunghe; diviene un'operazione finanziaria, e si traduce in un vero razionalismo economico. E ciò che era effetto, diviene a sua volta causa, e gli eserciti mercenarî sempre più contribuiscono a una prassi guerresca lenta e studiata: il condottiero ha interesse a condurre in lungo le guerre, e ad arrischiare meno che può il suo capitale; e lo stesso interesse ha lo stato fìnanżiariamente più forte. Nel sec. XV però è visibile la tendenza agli eserciti mercenarî permanenti: questo può significare l'eliminazione vera e propria dei condottieri e dei contingenti feudali, e sia la sostituzione di veri mercenarî permanenti con ufficiali governativi, come nelle "compagnie d'ordinanza" di Carlo VII in Francia, sia la trasformazione dei condottieri in nuova nobiltà feudale, legata quindi al paese, insieme con i soldati ai quali spesso si concedono terre (come a Milano e un po' a Venezia), o anche solo mercenarî tenuti pure in tempo di pace, sia pure a stipendio ridotto (Venezia). Oppure sorgono altre forme di mercenarismo: quello degli Svizzeri, ceduti per lo più in massa dallo stesso governo federale a uno stato amico (sistema delle licenze); o quello che il Machiavelli chiama degli "ausiliarî": cessione delle proprie milizie o dei proprî mercenarî forestieri a uno stato amico. C'è poi ora la tendenza a obbligare i mercenarî temporanei a sottostare a ufficiali di nomina regia: così le "bande" francesi del sec. XVI e i lanzichenecchi hanno il divieto di costituirsi in gruppi autonomi, simili a quelli del sec. XIV, e devono lasciarsi inquadrare da ufficiali regi o comunque da cadetti della feudalità, in nome del re, e giurare fedeltà al re stesso. Anche ora però il fattore economico influisce molto sulla composizione degli eserciti: gli Svizzeri concepiscono la guerra come un'emigrazione temporanea estiva: fanno, contro la regola generale, guerre corte e grosse, e tornano a casa a passare l'inverno col gruzzolo e col bottino. Rifuggono perciò dalla guerra lenta: cosi il Lautrec è obbligato nel 1522 alla non voluta battaglia della Bicocca dal dilemma degli Svizzeri: o soldo, o battaglia. E così pure il Pescara è obbligato alla battaglia di Pavia (1525) dall'impossibilità di pagare i soldati e dal conseguente pericolo dello scioglimento del suo esercito. Ma tale strategia, annientatrice non dietro un piano e una matura concezione di guerra, ma in seguito a imposizioni contingenti, non poteva rassomigliare in nulla a quella moderna di Napoleone e di Moltke! Ancora nelle guerre di Fiandra e dei Trent'anni il generalissimo spagnolo o imperiale riunisce a sue spese l'esercito, oppure con anticipazioni del governo, servendosi di colonnelli che funzionano come intraprenditori regi, ma alle sue dirette dipendenze. I soldati giurano fedeltà al re, ma considerano il generale o il colonnello come il loro vero signore. Il generale ha dunque una doppia autorità, dall'alto e dal basso. Da ciò la sistematica diffidenza del governo: Giovanni d'Austria, Alessandro Famese e soprattutto il Wallenstein sono casi tipici di questo inguaribile sospetto. La stessa diffidenza, del resto, da cui erano stati circondati in altro tempo due altri grandi condottieri di mercenarî, Belisario e Narsete, e, in Italia, in tempi più vicini, il Carmagnola, Iacopo Piccinino, Paolo Vitelli. Però già alla fine del sec. XVI, con Maurizio d'Orange si ha un nuovo passo verso la forma degli eserciti permanenti veramente statali, con un corpo d'ufficiali governativo, istruito in speciali scuole di stato. Ma in generale gli eserciti finivano col costare molto e rendere relativamente poco a cagione della loro piccolezza: i colonnelli frodavano sistematicamente l'erario, tenendo sotto le armi la metà o meno delle cifre concordate e mettendo sfrontatamente, nelle mostre, a figurare come soldati regolari, dei vagabondi presi per l'occasione. Specialmente si diffonde nel sec. XVIII l'uso dei reggimenti di mercenarî forestieri, svizzeri, tedeschi, irlandesi, còrsi, albanesi. Di tal fatta ne ebbe in Italia il risorto regno di Napoli. Tutte queste milizie mercenarie però, ad onta dei loro difetti, permettono eserciti migliori e meglio addestrati che nel Medioevo. L'arruolamenlo e l'organizzazione lasciata ai privati sono un avanzo e una continuazione della guerra privata. Ma poi il diritto di fare guerra rimane solo allo stato, come peraltro è dello stato il materiale d'artiglieria e gran parte delle altre armi. Solo le grandi compagnie coloniali, società private, possono fare la guerra nelle colonie con eserciti mercenarî privati. Gli eserciti non sono emanazioni del popolo, e le guerre sono guerre di gabinetto, fatte dai governi appunto con uno strumento proprio e indipendentemente dal consenso o no dell'opinione pubblica. Tuttavia l'esercito mercenario non rafforza solo lo stato all'estero, ma anche all'interno. Frena o doma gli elementi turbolenti, dà la quiete e la sicurezza alla gente tranquilla che lavora e produce. In parte è anch'esso del resto una forma di salariato, fenomeno dell'economia capitalistica. Dopo il 1650 i mercenarî sono in generale povera gente, obbligati a lunghe ferme, tenuti sotto una disciplina rigida, spesso brutale. L'esercito mercenario si trasforma nell'esercito di caserma o di mestiere. Solo ora del resto si ha il vero soldato dì mestiere, nettamente separato dall'imbelle borghese, e pressoché incapace, una volta entrato nella vita militare, di procurarsi da vivere in altro modo. Lo svilupparsi della burocrazia statale contribuisce a inquadrare meglio i nuovi mercenarî permanenti e a provvedere regolarmente al loro alloggio, nutrimento, armamento. Con la rivoluzione francese e le sue leve in massa e soprattutto poi con le riforme prussiane, l'esercito mercenario tende dapprima a essere un esercito di professionisti, ufficiali e sottufficiali, che inquadra un certo numero di soldati estratti a sorte e obbligati a ferme lunghissime, poi un esercito di professionisti, pure ufficiali e sottufficiali, destinati a istruire le classi annualmente chiamate sotto le armi e i relativi ufficiali inferiori (che in guerra formano i nove decimi degli ufficiali inferiori combattenti) e a formare i quadri superiori dell'esercito, sia in pace sia per la guerra. In questo modo nello stato moderno gli elementi mercenarî e quelli di leva, gli uni e gli altri figli della stessa nazione, si trovano fusi insieme nel comune amor di patria e dalla comune fedeltà allo stato. E le guerre non sono più statali, ma nazionali; gli scarsi elementi mercenarî di bassa forza ancora sopravvissuti sono ormai ridotti a funzioni di polizia. In alcuni paesi, come Germania e Francia, la nuova burocrazia militare ha avuto la tendenza ad allargarsi ed estendere le sue funzioni fuori del campo strettamente militare, come pure a considerarsi al disopra dello stato e a spingerlo a una politica imperialistica e avventurosa: il fenomeno noto col nome di "militarismo". Questa tendenza era già negli eserciti delle monarchie assolute dei secoli XVII e XVIII; non esisteva invece negli eserciti mercenarî precedenti, facili a sciogliersi, e troppo poco legati allo stato che li assoldava momentaneamente e al paese che li ospitava. In complesso i mercenarî sono passati dalla forma degli eserciti puramente occasionali a quella degli esercitì privati occasionali e permanenti, quindi statali permanenti e infine eserciti statali permanenti d'inquadramento. Ma del resto quest'ultima forma trova già dei precedenti. Eserciti mercenari che inquadrano le leve locali si hanno in Francia già nel sec. XV, a Venezia nello stesso tempo e in Toscana al tempo della milizia del Machiavelli, e pure in Germania e in Inghilterra, specialmente nel sec. XVIII. Sono i cosiddetti "eserciti misti". Talora i mercenarî si trasformano in aristocrazia militare o in vera casta militare: giannizzeri, sterlizi, mamelucchi, samurai. Nella pratica il distacco tra guerrieri di casta, guerrieri proprietarî fondiarî, mercenarî veri e proprî non è ben netto. Oggi il mercenarismo vero e proprio di vecchio stampo è ridotto alle colonie ed è alla base di quasi tutti i dominî coloniali; e del resto in quasi tutti gli stati della civiltà asiatica o africana l'esercito ideale è pur sempre quello mercenario, sia che abbia la sua mercede in natura sia in denaro.

Bibl.: Oltre alle opere ricordate alle voci compagnie di ventura; condottieri, v. specialmente, E. Boutaric, Institutions militaires della France avant les armées permanentes, Parigi 1863; W. Sombart, Krieg und Kapitalismus, Monaco e Lipsia 1913; P. Schmilthenner, Krieg und Kriegführung im Wandel der Weltgesch., Potsdam 1930; P. Pieri, La crisi militare ital. nel Rinasc., Napoli 1934.