MENINGITE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

MENINGITE (XXII, p. 858)

Gino FRONTALI
Guido SOTTI
Gino FRONTALI

Meningite tubercolare. - Alla descrizione del quadro clinico di questa affezione, dobbiamo aggiungere qualche notizia relativa agli studî che sono valsi a modificarne il concetto.

Patogenesi. - In generale la meningite tubercolare era considerata come un fenomeno parziale di una disseminazione di bacilli tubercolari per via sanguigna (disseminazione ematogena) e come una manifestazione terminale della tubercolosi miliare acuta. Non si escludeva peraltro l'eventuale diffusione per contiguità o per via linfatica da focolai ossei, dall'orecchio medio, oppure da conglomerati tubercolari encefalici. Secondo il Rich (1933) invece, nella maggior parte dei casi, la meningite si svilupperebbe per diffusione di bacilli tubercolari nel liquido cerebro-spinale da preesistenti focolai latenti, localizzati nella sostanza nervosa, che avrebbero avuto origine fino dal momento in cui si formava il complesso primario, in rapporto con una precoce metastasi ematogena. Basterebbe lo scarico di esigue quantità di materiale tubercolare da questi focolai precedentemente latenti sulle meningi sensibilizzate da uno stato d'intensa allergia, per determinare una diffusa infiammazione ed una cospicua essudazione siero-linfocitaria. D'altra parte, una diffusione fittissima di tubercoli minuscoli, addirittura microscopici, per impregnazione attraverso gli spazî linfatici che circondano vasi e cellule nel sistema nervoso centrale, con scarsa diffusione in altri organi, è stata recentemente ammessa da G. Sotti. Inoltre non sembra indispensabile che all'arrivo di bacilli tubercolari nella circolazione cerebrale segua una meningite tubercolare. Si può anzi assistere anche alla formazione di tubercoli lungo i vasi retinici, rilevabili all'esame del fondo oculare, ed alla loro regressione e scomparsa sotto l'influanza d'un trattamento chemioterapico efficace senza che si sviluppino sintomi di meningite (G. Frontali). In realtà la disseminazione di tubercoli miliarici rilevabile a livello delle leptomeningi è spesso sproporzionata all'entità dell'essudazione, alla quale si debbono la maggior parte dei sintomi, compresi quelli mortali. Da ciò il concetto che gran parte del quadro della meningite tubercolare sia legata a reazioni allergiche.

Nelle fasi terminali della malattia si assisteva a manifestazioni encefalitiche, che si rivelavano con estesi fenomeni paralitici, ipertonie muscolari, alterazioni neuro-vegetative, alle quali non si prestava sufficiente attenzione, quando precedevano di ore o di pochi giorni la morte. Il protrarsi della affezione invece, come è reso possibile dal trattamento chemioterapico, può dar luogo alla formazione di conglomerati con sintomi a focolaio e determinare alterazioni di arteriole terminali (endoarterite obliterante) con conseguente scarsa irrigazione sanguigna (ischemia) e necrosi con rammollimento di più o meno vasti territorî encefalici. Tali alterazioni assumono ora importanza notevole, in quanto rappresentano alterazioni non reversibili di fronte al trattamento chemioterapico.

Decorso. - In passato, salvo casi eccezionali, dal momento in cui venivano constatati i sintomi meningitici e veniva accertato che il liquido cerebrospinale alla puntura lombare usciva sotto pressione aumentata, limpido o leggermente corpuscolato per la presenza di numerosi linfociti, formava il reticolo fibrinoso (del Mya) e vi si trovava il bacillo di Koch, l'affezione assumeva un decorso progressivo tendente all'obnubilamento del sensorio fino al coma, al dimagramento fino alla cachessia e, con un passaggio dal polso raro ed aritmico iniziale al polso frequente, con un'elevazione febbrile terminale fino ai massimi gradi segnati dal termometro clinico, conduceva a morte. I rari casi in cui il decorso si protraeva o regrediva, davano luogo anche essi a riacutizzazioni con esito letale. Questo quadro impressionante si modifica e dimostra di cedere ad un trattamento chemioterapico appropriato. I soli agenti, che abbiano dimostrato di esplicare un'influenza sul processo tubercolare sono i preparati sulfamidici sul tipo del solfone (promin) e del promizol, l'acido paraminosalicilico e soprattutto la streptomicina. Il solfone da solo non ha dimostrato di influire in senso curativo sulla meningite tubercolare; mentre esso esplica influenza evidente sopra una piccola percentuale di casi di miliare tubercolare (Frontali). Invece la streptomicina ed in particolare l'associazione streptomicina solfone (C. Cocchi, Frontali) dànno luogo a modificazioni importanti del quadro morboso sia della miliare, sia della meningite tubercolare. Nel caso della miliare la quasi totalità dei soggetti trattati (anche i lattanti nel primo anno di vita) presenta una regressione fino a scomparsa del disegno micronodulare all'esame radiografico del torace, uno sfebbramento completo, un aumento regolare e costante del peso corporeo. La durata dell'esperienza con questo metodo di cura è peraltro troppo breve perche si possa ancora parlare di guarigione definitiva. Nella meningite tubercolare, dal momento in cui s'inizia il trattamento, si modificano le caratteristiche cliniche della malattia e quelle anatomo-patologiche.

Le statistiche americane (Hinshaw, Feldman) e quelle inglesi (Cathie) finora pubblicate e fondate sul trattamento con sola streptomicina ad alte dosi sono, in complesso, meno confortanti di quelle italiane (C. Cocchi, G. Frontali, A. Omodei-Zorini) per l'alta percentuale di morti, recidive, esiti in idrocefalia, in sordità e cecità.

Bisogna considerare che il trattamento può incominciare in varî momenti dell'evoluzione del processo meningitico: dai primi sintomi che rendono possibile una diagnosi sicura, fino alle ultime fasi in cui la morte è prossima. Col trattamento duplice (streptomicina + solfone) si può calcolare che circa 1/3 dei casi non selezionati va a morte e questi sono generalmente quei casi venuti al trattamento con ritardo. Però anche nei casi in cui il trattamento s'inizia tardivamente, esso non rimane privo d'influenza, poiché la sopravvivenza può protrarsi per mesi (essa è di solito inversamente proporzionale al ritardo con cui si è iniziata la cura) e può accompagnarsi alla regressione di molti o della maggior parte dei sintomi, come ad es. della miliare polmonare, dove essa esiste, o dei noduli coroidei. Il peggioramento terminale in questi casi può essere riferito (in base a reperti d'autopsia) ad una nuova disseminazione foltissima di noduli quasi microscopici nei centri nervosi, a blocco degli spazî aracnoidei a varî livelli oppure ad incidenti bulbari.

Circa 2/3 dei casi trattati sopravvivono e fra questi un'aliquota (25%) presenta complicanze come il blocco o conseguenze remote, come l'idrocefalo o la cachessia postmeningitica con liquido cerebrospinale ormai normalizzato. Queste due entità ben note come esiti di meningiti meningo- o pneumococciche erano sconosciute, naturalmente, nel caso della meningite tubercolare. Gradi moderati di idrocefalo interno con dilatazione del III ventricolo e svasamento della sella turcica possono associarsi ad una sindrome adiposogenitale. Circa il 40% invece migliora progressivamente fino alla scomparsa di tutti i sintomi; nel 20% dei casi scompaiono anche quelli a carico del liquido cerebrospinale.

Il ricupero della coscienza dal coma (durato talvolta persino un mese e più) si alterna però in alcuni casi con episodî di tipo amenziale con disorientamento nello spazio e nel tempo, con manifestazioni allucinatorie terrorizzanti, improvvise crisi di pianto e di riso spastico, di carpolalia, ecc. Nei casi che si rendono asintomatici si assiste ad una riduzione progressiva della febbre fino a temperature normali, ad un aumento dell'appetito e del peso corporeo fino a 1-1 1/2 kg. al mese. Il metabolismo basale in questi casi può abbassarsi fino a −15, −40%, dando luogo spesso ad una vera pinguedine. L'allergometria nel corso del trattamento non dimostra modificazioni significative (Frontali). L'esperienza non è ancora abbastanza lunga per consentire di affermare che la scomparsa dei sintomi meningitici rimanga stabile. Una minoranza di casi ha presentato recidive dopo 6 e più mesi di completo benessere. Anche le recidive possono essere condotte a regressione; ma presentano spesso maggiore resistenza al trattamento.

Anatomia patologica. - Al tavolo anatomico la flogosi meningea si presenta in forma essudativa ed in forma proliferativa quasi sempre associate. La prima si rivela con la presenza, negli spazi al disotto della aracnoide in corrispondenza della losanga ottico-chiasmatica, di essudato fibrinoso più o meno imbibito, di aspetto reticolato e gelatinoso, grigio, con sfumature giallastre. La seconda si differenzia per il reperto di minuti nodulini, miliarici o submiliarici, opachi e translucidi a luce incidente, isolati o disposti a filiera o addensati in varî punti della pia meninge e, con maggiore frequenza, lungo la scissura di Silvio (tubercolosi meningea).

Caratteristiche dell'essudato sono: la sede; la tendenza a diffondersi verso la scissura interemisferica anteriormente e, posteriormente, verso il ponte, i peduncoli e verso la parte più elevata del verme superiore del cervelletto; i rapporti con le cisterne della base e con le vie di deflusso del liquor. Da questi rapporti e dalla obliterazione delle vie di deflusso derivano l'edema cerebrale e l'idrocefalo interno con dilatazione dei ventricoli. La composizione dell'essudato varia durante il decorso della malattia. Nelle forme acutissime la imbibizione sierosa è più manifesta, il contenuto in fibrina più scarso e prevalgono i linfociti su altri elementi. In tempi successivi il colorito tende al giallastro, la fibrina è più addensata e nel reticolo si trovano mononucleati e grandi cellule di tipo macrofagico.

Mentre la sede della flogosi è importante per la diagnosi per alcuni sintomi precoci e per l'aumento della pressione endocranica, la rapida e tumultuaria insorgenza spiega la gravità del decorso e la quasi costante letalità dell'esito. Dal punto di vista biologico, le alterazioni della pia meninge dimostrano che, durante il decorso della infezione primaria o della tubercolosi miliarica, in una particolare condizione immunobiologica, il processo tubercolare tende a generalizzarsi.

Le mutazioni successive del quadro anatomico si concretano da un lato in condizioni evolutive diverse della flogosi essudatizia e dei tubercoli (sede, aspetto, organizzazione dell'essudato; topografia, forma e tendenza dei noduli a conglomerarsi) e dall'altro con l'apparire di lesioni specifiche ed aspecifiche a focolaio nei vasi e nel nevrasse, nonché di tipo regressivo ed abiotrofico - oppure occasionali ed accidentali - nel tessuto nervoso dovute al trattamento: ne derivano pertanto complicanze e sequele per cui si modifica, insieme al quadro anatomico, la caratteristica sintomatologia della leptomeningite tubercolare.

Posologia. - È ormai generalmente riconosciuto che il trattamento streptomicinico combinato con quello solfonico o con acido paraminosalicilico è decisamente superiore a quello con sola streptomicina nel trattamento della miliare e della meningite tubercolare.

Il solfone viene iniettato nelle vene a dosi che possono variare da i a 3 gr. al dì; mentre il promizol può essere somministrato per via orale alla dose di 25 centigr. ogni 6 ore, aumentando la dose gradualmente per mantenere nel sangue una concentrazione di 2-3 milligr. per 100 ccm. Anche l'acido paraminosalicilico viene somministrato per bocca alla dose di 5 centigr. per kg. ogni 6 ore.

Le dosi di streptomicina raccomandate dagli autori italiani variano da 300 a 600 milligr. al giorno (distribuite in 6 dosi, una ogni 4 ore) a seconda dell'età e del peso del bambino; mentre le dosi per via intratecale (endorachidea, cisternale o ventricolare) variano da 20 a 50 milligr. al dì. Queste dosi corrispondono circa alla metà di quelle inizialmente consigliate dagli autori americani (Hinshaw); recentemente però anche negli Stati Uniti si consigliano dosi simili a quelle indicate in Italia (Keefer). Negli adulti le dosi possono essere aumentate a 1 gr. al giorno per via intramuscolare ed a 100 milligr. per via intratecale. È stato attribuito alle dosi più basse adoperate dagli autori italiani una assai minore frequenza di manifestazioni tossiche (eruzioni eritematose di tipo istaminico, vertigini, sordità, amaurosi) riferibili al farmaco.

La posologia non può peraltro essere riferita al kg. di peso corporeo, né si può fare soltanto questione di dosi piccole o grandi. Occorre naturalmente raggiungere nel sangue circolante e nel liquido cerebrospinale determinate concentrazioni indispensabili per conseguire un effetto batteriostatico, cioè tale da inibire la moltiplicazione dei germi. Occorre perciò determinare correntemente la concentrazione della streptomicina nei liquidi organici con metodi sicuri e di facile maneggio (ad es. quello di O. Malaguzzi e Midulla).

In complesso dosi basse rischiano di provocare la resistenza del germe alla streptomicina; dosi elevate danno luogo a fenomeni irritativi o tossici (vere e proprie meningiti da streptomicina). Bisogna quindi condurre la cura con estreme cautele.

Il solfone probabilmente permette di abbassare le dosi di streptomicina, limitando al possibile la streptomicinoresistenza, poiché i due agenti batteriostatici intervengono in due momenti diversi della catena enzimatica che assicura la moltiplicazione cellulare.

L'altra condizione del successo è l'organizzazione di una perfetta assistenza. Finché tutti i malati di meningite tubercolare morivano a breve scadenza, si trattava di curarli nel senso di ridurre semplicemente al minimo le loro sofferenze. Ora che non debbono morire, l'assistenza deve assicurare la loro alimentazione, anche nel coma, per mezzo del sondaggio gastrico; deve provvedere alla puntura lombare o cisternale, appena si accenna una crisi ipertensiva; deve combattere con mezzi appropriati gli incidenti bulbari, ecc.

Prognosi. - Il problema della reversibilità del processo tubercolare sotto l'influenza della chemioterapia streptomicinica e solfonica appare risolto in senso positivo nel caso della miliare e della meningite tubercolare. Si tratta di stabilire fino a che punto questi risultati siano stabili. Appare sempre più evidente che il farmaco inibisce la moltiplicazione del germe; ma spetta all'organismo coi suoi mezzi di difesa di iniziare e condurre a termine il processo di guarigione. Ma si può parlare di guarigione definitiva? Grazie ai trattamenti sopra esposti si può dire soltanto che la miliare e la meningite tubercolare hanno cessato di essere necessariamente l'ultimo episodio della lotta fra l'organismo umano e il microbatterio della tubercolosi. Ma la disseminazione dei focolai rimasti attivi in organismi la cui allergia non è modificata può ripetersi.

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