MELEGNANO

Enciclopedia Italiana (1934)

MELEGNANO (nell'ant. ortogr. Marignano; A. T., 20-21)

Alberto BALDINI
Manfredo VANNI

Importante borgata della Lombardia, situata sul Lambro a 88 m. s. m., nella pianura, a 17 km. a SE. di Milano, alla cui provincia appartiene. Il paese è modesto nelle sue costruzioni; sono tuttavia notevoli: il castello, già visconteo, poi dei Medici, che lo ampliarono nel 1535; la chiesa prepositurale, secondo la tradizione una delle cento chiese fondate da S. Giulio d'Orta nel sec. IV che, ricostruita nel 1418, vanta un Battesimo del Cristo del Bergognone; il bel ponte a un solo arco, sul fiume Lambro, il quale attraversa il paese. Un ossario monumentale, opera del Barcaglia (1904) ricorda la battaglia dell'8 giugno 1859 tra Francesi e Austriaci, e un monumento di G. Mozzanica (1929) i caduti della guerra mondiale.

Il comune nel 1921 aveva una popolazione di 7486 ab. (di cui 6806 nel capoluogo, il resto sparsi nel territorio comunale), salita a 8688 ab. nel 1931. È centro agricolo, commerciale e industriale importante; nel suo territorio (4,39 kmq.) si producono biade, lino formaggi, bestiame. È stazione della ferrovia Milano-Lodi.

Battaglie di Melegnano. - Battaglia del 13-14 settembre 1515, detta anche di Marignano. - Combattuta fra le truppe di Massimiliano Sforza e i Franco-Veneziani, in contesa per la supremazia in Italia. Francesco I di Valois, poco dopo salito al trono, era sceso in Italia con un esercito di circa 60.000 uomini e 75 bocche da fuoco, capitanato dal maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. V'era fra i guerrieri più in vista anche il Bayard. Dopo alcuni scontri fortunati quell'esercito era penetrato in Lombardia. Un corpo di 30.000 mercenarî svizzeri al soldo dello Sforza aveva tentato invano di sbarrare il passo ai Francesi e pure vano era stato il tentativo di truppe napoletane-spagnole, comandate da Raimondo de Cardona, di arrestare fra Mincio e Adige un corpo veneziano che tendeva a dar la mano ai Francesi. Continuando gl'invasori a muovere verso Milano, uno scontro decisivo divenne inevitabile. I Francesi si trovavano nel pomeriggio del 13 settembre accampati attorno a Melegnano, quando furono attaccati dagli Svizzeri avanzanti su tre dense colonne, noncuranti del fuoco micidiale dell'artiglieria francese che gli Svizzeri assaltarono e in parte catturarono. Fra alterne vicende di attacchi e contrattacchi, la giornata si concluse senza risultati decisivi. Della notte profittarono i Francesi per riorganizzare le truppe scompigliate e appostare più indietro le bocche da fuoco. All'alba del 14 gli Svizzeri ripresero l'attacco con rinnovato vigore, tenacemente contenuti dai Francesi. La lotta oscillava ancora incerta, quando giunse sul campo la cavalleria dei Veneziani, inviata innanzi, con felice intuito, dal generale supremo della Serenissima, Bartolomeo d'Alviano, la quale entrò subito in azione. All'inattesa aggressione gli Svizzeri credettero di aver contro tutte le forze di Venezia e risolvettero di ripiegare su Milano.

La vittoria di Melegnano e la conseguente caduta di Milano diedero ai Francesi il possesso della Lombardia (trattato di Noyon, 1516). Per le perdite subite dai combattenti (12.000 Svizzeri e 6000 Francesi rimasero sul terreno), per la valentia e l'eroismo dei guerrieri che vi presero parte, questo fatto d'armi passò alla storia come "battaglia di giganti". Così la definì lo stesso Trivulzio.

Combattimento di Melegnano dell'8 giugno 1859. - Dopo la battaglia di Magenta (v.) il generalissimo austriaco A. Gyulai - per ordine ricevuto dall'imperatore Francesco Giuseppe - ripiegò l'esercito nella direzione della bassa Adda, di dove gli sarebbe stato più agevole riunirsi ai rinforzi che già, dall'interno dell'impero, affluivano a Verona; e coprì il fianco settentrionale di questo movimento con una brigata (Roden) spinta a Melegnano; gli alleati Franco-Sardi marciarono lentamente su Milano, dove le prime truppe arrivarono tre giorni dopo la vittoria riportata al passaggio del Ticino (7 giugno). Il giorno seguente (8 giugno), mentre Vittorio Emanuele II e Napoleone III facevano acclamati il loro ingresso nella capitale lombarda, il I corpo d'armata francese (maresciallo A. Baraguay d'Hilliers) riceveva ordine di puntare su Melegnano per scacciarvi il distaccamento austriaco. L'azione doveva essere sussidiata dal II corpo francese, che aveva compito di largo aggiramento per l'est; un altro corpo francese (il IV) doveva seguire il movimento del I corpo e sostenere lattacco qualora ne fosse richiesto. Per causa di ingombri stradali, il I corpo francese giunse solo alle ore 18 dinnanzi a Melegnano, i cui margini, organizzati a difesa dal Roden, erano occupati da 5 battaglioni austriaci in modo molto vantaggioso con appoggio al Lambro, ai canali irrigui e alla robusta cinta del cimitero. Dato l'appressarsi della sera, il maresciallo francese volle affrettare il successo e ordinò alla divisione centrale (Bazaine), affiancata subito dopo dalla divisione di sinistra (Ladmirault), di attaccare con masse di fanteria, senza un'adeguata preparazione dell'artiglieria. Pur subendo perdite assai forti, gli assalitori - data la grande prevalenza numerica - ebbero ragione, in poco meno di due ore, della difesa. I combattenti della brigata Roden furono (al momento di ripiegare nella direzione di Lodi) spalleggiati da una brigata fresca (Boer) accorsa al cannone e poterono disimpegnarsi senza grave danno. La divisione di destra del I corpo francese (Forey) non poté concorrere, causa il terreno acquitrinoso, che con alcuni tiri di artiglieria; al II corpo mancò il tempo per svolgere la predisposta manovra aggirante; il IV corpo non partecipò all'attacco, non essendosi richiesto il suo intervento. In definitiva concorse alla battaglia meno di un sesto delle forze messe in movimento. Strategicamente senza utilità (per riconoscere la posizione nemica sarebbe stata sufficiente una ben condotta esplorazione e lo sloggiare il reparto fiancheggiante austriaco non poteva avere alcun effetto sulle operazioni ulteriori dei Franco-Sardi) il combattimento di Melegnano fu tatticamente un semplice attacco frontale in cui si dimenticò, per di più, il principio dell'economia delle forze. Caddero 1000 Francesi (dei quali 800 della divisione Bazaine), mentre gli Austriaci perdettero circa 400 fra morti e feriti e oltre un migliaio di prigionieri. Dopo il combattimento il grosso delle forze austriache proseguì la ritirata oltre la bassa Adda verso il Mincio, e i Franco-Sardi ripresero l'avanzata verso est, a cavallo della direttrice Milano-Brescia. Due settimane dopo avveniva la doppia battaglia di Solferino e di San Martino.

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