MEDITERRANEO

Enciclopedia Italiana (1934)

MEDITERRANEO (fr. Mer Méditerranée; sp. Mar Mediterraneo; ted. Mittelländisches Meer o Mittelmeer; ingl. Mediterranean Sea; A. T., 9-10)

Giovanni PLATANIA
Roberto ALMAGIA
Enzo MINUCCI
Raffaele ISSEL
Fabrizio CORTESI
Umberto TOSCHI
Pietro SILVA

È il mare interno che, comunicando con l'Atlantico per lo Stretto di Gibilterra, s'insinua fra l'Europa meridionale, l'Africa settentrionale e l'Asia occidentale. È compreso fra le lat. 47° 16′ (estremità settentrionale del Mar d'Azov; 45°50′ estremità nord dell'Adriatico) e 30° 10′ (punto più intemo della Sirte) e fra le long. di 5° 37′ O. (C. Tarifa sullo Stretto di Gibilterra) e 40° 56′. (estremità orientale del Mar Nero; 36° 15′ al punto più interno del golfo di Alessandretta). La distanza fra i due estremi orientale e occidentale è di circa 3860 km.; la massima larghezza è di circa 1800 km.; la larghezza media può ritenersi di 700 circa. L'area totale del bacino è di circa 2.966.000 kmq.

La situazione intercontinentale del Mediterraneo è indicata esattamente dal nome già in uso presso gli scrittori latini, i quali tuttavia spesso lo designarono con l'appellativo di Mare internum, in contrapposto all'Oceano o mare esterno, o anche con quelli di Mare nostrun e Mare magnum. Tutti questi appellativi si trovano già nella letteratura greca nelle forme ἡ ἐντὸς ϑάλασσα, ἡμετέρα ϑάλασσα e ἡ μεγάλη ϑάλασσα. La prima è un'abbreviazione della espressione ἡ ἐντὸς 'Ηρακλειῶν στηλῶν ϑάλασσα; l'ultima corrisponde a una denominazione (gran mare) già in uso presso i Fenici e altri popoli semitici. Allorché la denominazione di "Mediterraneo" fu dai geografi applicata anche ad altri grandi mari intercontinentali (M. americano, M. australasiatico, M. artico), il Mediterraneo fu particolarmente designato come Mediterraneo Romano.

Il Mediterraneo fu da epoca assai remota teatro di un'intensa navigazione: Fenici e Greci lo percorsero quasi in ogni senso, ma lungo tempo trascorse prima che se ne riconoscesse la caratteristica di mare chiuso. È difficile ricostruire quale concetto se ne formarono i Fenici; per quanto riguarda i Greci le conoscenze dell'età omerica sono ben lontane dall'estendersi all'intero suo perimetro: il bacino occidentale è conosciuto in piccola parte anche nell'Odissea; il Mar Nero è creduto un seno dell'Oceano esterno e tale forse dapprima anche l'Adriatico. Il movimento di espansione dei Greci, iniżiatosi nel sec. VIII o forse ancora prima, con la fondazione di fattorie e colonie su quasi tutte le spiagge mediterranee, con i conseguenti rapporti commerciali allacciati con tutti i popoli costieri condusse alla conoscenza dei lineamenti fondamentali del bacino; nel sec. VII certamente il Mar Nero è riconosciuto come mare chiuso, al pari dell'Adriatico; alla fine di quel secolo si riconoscono anche le coste settentrionali del Tirreno e del Mar Ligure (del 600 a. C. circa è la fondazione di Marsiglia), e poco dopo i Greci raggiungono lo stretto di Gibilterra, dove già assai prima di loro erano pervenuti i Fenici.

La più antica geografia ionica (Anassimandro, Ecateo) conosce già il Mediterraneo come un mare chiuso da ogni parte, in comunicazione con l'Oceano soltanto per le colonne d'Ercole. Ma sulla figura e sulle dimensioni del Mediterraneo gli antichi geografi ebbero sempre notizie inesatte; in connessione con gli errori generali circa la determinazione delle longitudini, essi gli attribuirono una estensione esagerata nel senso ovest-est, come si può vedere dalla rappresentazione che si rileva dalle carte di Tolomeo. Le carte del più alto Medioevo dànno figurazioni per diverse ragioni del tutto alterate; e inquinate da gravi errori sono pure quelle delle carte arabe (p. es., Edrisi), influenzate del resto da Tolomeo. La cartografia nautica italiana dà invece, sino dai primordî del sec. XIV, una figurazione molto esatta di tutto il contorno del Mediterraneo; le rappresentazioni delle carte nautiche sono il fondamento principale per la graduale correzione degli errori tolemaici fatta dai geografi e cartografi del sec. XVI. (V. cartografia, e relative carte).

Geologia. - L'origine del Mediterraneo va ricercata in quel grande mare, Tethys, che già nelle antichissime età precambriche separava un continente boreale, l'Atlantide periartica, da un esteso continente australe brasiliano-etiopico.

I grandi piegamenti del Paleozoico interessano in parte l'area della Tetide, dislocandone i sedimenti e riducendo l'estensione del Grande Mediterraneo, che appare a noi nel Carbonico superiore, dopo il corrugamento ercinico, con contorni meno incerti.

La fauna di Balia-Maaden, a S. del Mar di Marmara, è classica per caratterizzare i sedimenti di mare largo e profondo, avvenuti in seno alla Tethys, durante questo periodo (Moscoviano e Uraliano marino), in contrapposto ai depositi continentali e litoranei, con carbone fossile, sviluppati altrove (Vestfaliano e Stefaniano dell'Europa occidentale).

Il mare aperto s'estende dall'area delle grandi catene dell'Asia centrale, attraverso il Caucaso, l'Armenia e l'Asia Minore, a gran parte del bacino mediterraneo. In Russia, fra gli Urali e il Carbonico produttivo dei dintorni di Mosca, esiste un largo seno marino, e nell'area tirrenica le acque circondano un antico massiccio ercinico - di cui rimangono oggi solo scarsi avanzi (Arcipelago Toscano, Sardegna, Calabria, Peloritani) raggiungendo da una parte le Alpi Carniche, dall'altra la Spagna (Asturie, Huelva).

Le grandi linee di questa configurazione della Tethys carbonifera si mantengono fino all'inizio del grande diastrofismo alpino. Non senza alterne e varie vicende; già il Permico vede estinguere, per successivi ritiri verso il centro e verso il S., il braccio marino russo, nella cui area subentra il regime lagunare già imperante nel N. dell'Europa occidentale. Nell'area più propriamente mediterranea si hanno pure notevoli mutamenti e l'area siciliana è raggiunta dal mare (Permico marino del Sosio), che all'incontro non sembra più estendersi sopra la Spagna e l'Algeria. Nel bacino himalayano perdura il regime di mare largo e profondo e dal Salt Range (Panjab) ci è nota la più completa serie di Permico marino.

Nel Trias troviamo isolato dalla Tethys un mare interno germanico separato dal mare aperto da una sottile linea di terre che si allunga fra il Massiccio Boemo e la Sardegna attraverso i nuclei ercinici delle Alpi e la Corsica (Catena Viana di Gümbel). Tutta l'area emersa subisce intanto l'azione continua dei processi erosivi che ne spianano la superficie, agguagliando gli ultimi residui dei rilievi paleozoici, specie ercinici; avvenimento che predispone la grande invasione marina che si verifica nel periodo successivo (Giurassico), un completo episodio di trasgressione e regressione marina. Il mare circonda il nucleo antico iberico (Meseta) approfondendosi a S. e a N. in due vasti golfi nella regione subbetica (prov. di Alicante) e ai margini dell'area cantabrico-pirenaica. Anche il Massiccio Ercinico risparmiato dal mare carbonifero (Sardegna, Corsica e Calabria) subisce l'ingressione marina, e in Russia un largo seno marino, ripristinato sopra l'area del mare paleozoico, isola un vasto continente sino-siberiano (Continente dell'Angara), comprendente quasi tutta l'Asia a N. della Catena himalayana.

Il clima è differenziato, e questa vastissima Tethys, almeno nella sua parte che giunge a N. fino al Massiccio Centrale, ai Vosgi e al Massiccio Boemo, costituisce una provincia tropicale con le sue caratteristiche costruzioni coralligene. Al di fuori delle aree più prossime alle terre (epicontinentali), il mare giurese si mantiene notevolmente profondo, anzi segna nell'area strettamente mediterranea un aumento di profondità rispetto ai periodi precedenti.

Nel Cretacico si verifica una nuova generale ingressione marina e il mare invade vaste aree dell'Africa del Nord, estendendosi nella regione del Sahara fino al Mar Rosso e favorendo lo stabilirsi di comunicazioni fra la Tethys e i bacini somali, indiani e malgasci.

Nei periodi più antichi della successiva era terziaria (Paleogene) ha luogo il diastrofismo alpino, il quale solleva, dislocandone intensamente i depositi, vaste aree della Tethys. Da questi complessi fenomeni si origina il Mediterraneo neogenico. Per quanto riflette le condizioni del mare nel Paleogene notiamo che il sollevamento alpino non si svolge con le stesse modalità su tutta l'area della Tethys, producendo l'emersione dei Pirenei e dei monti di Provenza prima, e poi delle Alpi e delle altre catene di tipo alpino (Atlante, Cordigliera Betica, Giura, Carpazî, Appennino, Caucaso, ecc.).

Con l'inizio del Neogene (Miocene) troviamo le Alpi edificate nei loro grandi tratti, ma il mare ancora le circonda, formando a nord uno stretto corridoio (depressione perialpina). Il Mediterraneo comunica meno largamente con l'Atlantico per un supposto stretto nord-betico attraverso la regione del Guadalquivir, e a sud per una depressione sud-riffana che sembra permanere per tutta la durata del Miocene, mentre lo stretto nord-betico si trova chiuso nel Miocene superiore (conglomerati continentali di Granata e Pontico gessoso-zolfifero di Lorca presso Murcia). Nell'Europa orientali si delineano dei grandi bacini chiusi a regime caspico abitati da una caratteristica fauna samiatica. Da questa si passa, nel corso del Miocene superiore, a faune sempre più di tipo salmastro e lagunare (Meotico e Pontico) sino a giungere, nel basso Danubio, a faune addirittura lacustri (Daciano). Nella regione italiana si verificano condizioni speciali che permettono la deposizione di gesso e zolfo (formazione gessoso-zolfifera del Pontico).

Nel Pliocene si ha in genere ingressione marina sopra le terre, salvo nei bacini orientali dove anzi subentra un regime lacustre, e si può riconoscere l'esistenza di un lago pannonico (pianura ungherese), di un lago dacico (basso Danubio) e di un lago egeo che comprende il Mar di Marmara e buona parte del Mare Egeo e nel quale vive una speciale fauna d'acqua dolce (Levantino), la cui discendenza si ritrova attualmente in qualche lago della Penisola Balcanica e nel Lago Bajkal. Si chiude definitivamente la comunicazione atlantica attraverso lo stretto sud-riffano e si stabilisce quella di Gibilterra. Il Mediterraneo ha ancora estensione e limiti assai diversi dagli attuali, e mentre traversa in più punti la penisola italiana, forma vasti golfi lungo la costa francese e spagnola in corrispondenza dello sbocco attuale dei maggiori fiumi (golfo del Varo, del Rodano, del Rossiglione, dell'Ampurdan e del Llobregat).

Nel Quaternario il Mediterraneo raggiunge la configurazione attuale. In quasi tutto il suo bacino si hanno tracce di sollevamenti che talora hanno portato i depositi marini ad altezze notevoli (Calabria: 1200 m.), mentre la distribuzione delle faune fossili, specie la presenza in esse di grossi mammiferi della fauna africana, lascia supporre l'esistenza di ponti peninsulari sommersi verosimilmente in epoche a noi assai vicine (ponte siculo-maltese-tunisino). Si hanno anche prove di avvicendamenti climatici che hanno condotto all'immigrazione alterna, nel Mediterraneo, di specie fredde dal nord (Cyprina islandica), e di forme proprie dei mari caldi (Strombus bubonius, ecc.) provenienti dal sud.

Suddivisione. - Batimetria. - La penisola italiana con la Sicilia dividono naturalmente il Mediterraneo in due bacini, l'occidentale e l'orientale; essi comunicano per il Canale di Sicilia o di Tunisi, largo circa 145 km., con profondità non superiori a 400 m., in molti luoghi cosparso di banchi e di secche, e per lo Stretto di Messina.

Il bacino occidentale è diviso a sua volta, dalla dorsale su cui sorgono la Corsica e la Sardegna, in due parti: il Mare Balearico, detto talora anche Mare Esperico, e il Tirreno. Nel Mare Balearico la piattaforma continentale ha notevole sviluppo solo fra le Baleari e la costa iberica (soprattutto nel Golfo di Valenza) e poi nel Golfo del Leone, altrove si riduce di solito a una fascia sottile. A nord dell'Algeria recenti sondaggi acustici hanno rivelato uno zoccolo a pendenza fortissima (1750 m. di profondità a soli 55 km. da Algeri); pendenze anche maggiori si hanno al largo della Provenza (2000 m. di profondità a 22 km. da Tolone). Le massime profondità tra Maiorca e la Sardegna superano i 3000 m. in un'area molto ristretta (massima 3068 m.). Un'appendice occidentale del Mare Balearico è il Mare di Alborán tra la costa iberica e quella marocchina (massima profondità m. 1875); un'appendice nord-orientale il Mar Ligure, molto profondo fin presso alla costa della Riviera. Anche sull'allineamento C. Teulada (Sardegna)-is. Galita (Algeria) si hanno profondità prossime a 3000 m., ma in genere il canale tra la Sardegna e l'Africa, principale comunicazione tra il Mare delle Baleari e il Tirreno, ha una profondità superiore a 1000 m. solo nella parte mediana larga in media una cinquantina di km. Il Tirreno è più profondo: comprende un'assai vasta area sotto i 3000 m., con la profondità massima di 3640 m.; la piattaforma continentale è assai ristretta salvo intorno all'Arcipelago Toscano. Per contro la piattaforma si estende largamente a sud della Sicilia, fino a oriente di Malta, là dove uno zoccolo a forte pendio scende verso le grandi profondità del bacino orientale. Quivi le massime profondità si trovano in fosse allungate di solito da ovest a est, cioè parallelamente ai rilievi montuosi di Creta e dell'Asia, ai quali si raccordano con pendenze ripidissime. Lo Ionio, intorno al quale la piattaforma è limitatissima, ha vaste aree sotto i 3000 m. con la massima profondità di 4058 m.; più a est la fossa di Matapan scende a 4404 m. (sondaggi della Pola a 35° 44′ lat. N. e 21°45′ long. E.); la fossa di Candia scende a 3310 m., quella di Rodi a 3864, quella di es-Sollum a 3127 m. Il Mar di Levante ha in genere profondità minori (fossa di Cipro 2635 m.); la piattaforma continentale è peraltro anche qui pochissimo estesa salvo in corrispondenza al Delta del Nilo.

A N. del bacino orientale, comunicante con lo Ionio per mezzo del Canale d'Otranto, si estende l'Adriatico la cui profondità, nella parte meridionale, oltrepassa 1000 m. (massima 1205 m.), laddove la parte settentrionale appartiene per intero alla piattaforma continentale (v. adriatico). Mentre questo è nell'insieme un mare di sedimentazione, l'Egeo ha una morfologia che tradisce la sua origine e ha stretti rapporti con i rilievi delle terre che l'attorniano come il Tirreno. Con una profondità media assai mediocre, presenta buche o fosse isolate con profondità sino a 2194 m. a N. di Creta, a 1296 a sud della Calcidica, a 1261 a S. di Scio (v. egeo).

Meno profondo è in genere il Mar di Marmara, tra i Dardanelli e il Bosforo; tuttavia in una stretta fossa a SO. dell'isola Prinkipo esso scende a 1170 m. a NO. del Mar Nero è molto estesa la piattaforma continentale, colmata a meno di 100 m. dal Danubio e dai fiumi russi; laddove nella parte meridionale esiste una grande fossa allungata con profondità che superano 2000 m. (massima 2244 m.). I dati areometrici e volumetrici, secondo E. Kossinna, sono.

I nomi dei singoli bacini nei quali il Mediterraneo si divide risalgono in parte all'età classica (Ligure, Tirreno, Ionio, Adriatico, Egeo); alcuni sono entrati nell'uso nel Medioevo (Mar di Marmara, detto nell'età antica Propontide; Mar di Levante); d'introduzione più recente è il nome Mare Balearico. Per le condizioni di profondità e per la descrizione particolare, v. alle singole voci.

Depositi di fondo. - I depositi di fondo del Mediterraneo hanno in generale aspetto differente da quelli delle profondità oceaniche. Nel Mare Balearico il fondo è ricoperto di fango bruno, relativamente povero di carbonato di calcio verso le coste africane, più ricco verso le Baleari, la Corsica e la Provenza.

O. B. Boggild, esaminando i saggi di fondo raccolti dalla Thor, trova che i fanghi di grandi profondità hanno consistenza sabbioso argillosa. La quantità di carbonato di calcio si aggira intomo a 50% e non dipende dalla profondità, né dalla distanza della terra. I materiali vulcanici sono meno abbondanti di quanto non ci si attenderebbe. I grani più grossi dei campioni sono quasi esclusivamente foraminiferi e coccoliti. Gli organismi silicei si riscontrano in quantità piccolissima. Si trovano in gran numero minerali secondari con frequenza decrescente secondo questo ordine: calcite, glauconite, dolomite, pirite, gesso.

I depositi di mare profondo nel Mar Nero hanno caratteri particolari, per lo sviluppo d'idrogeno solforato, l'abbondanza dei costituenti ferrosi, la rarità di composti calcarei.

Storia delle ricerche fisiche. - Le ricerche fisiche eseguite nel Mediterraneo sono state numerose: dopo le prime, compiute dal bolognese Luigi Ferdinando Marsigli, nel 1706-7, nel mare presso Marsiglia, sono da ricordare quelle di De Saussure (1780) a Genova e a Nizza, di Dumont d'Urville, sull'Astrolabe (1833) nelle adiacenze dello Stretto di Gibilterra di Aimé (1841-45) vicino ad Algeri, del cap. Spratt nell'Egeo (1845 e 1861), di Forchhammer (1865), del Cialdi sull'Immacolata Concezione (1865) che fece misure di salsedine anche in acque profonde. Poi, nel 1870, cominciò il ciclo delle grandi esplorazioni, come quelle inglesi della Porcupine e della Shearwater sotto la direzione del Carpenter (1870 e '71), le cui osservazioni formarono la base della conoscenza intorno alle condizioni idrografiche del Mediterraneo. Egli fu il primo a riconoscere che in fondo a questo mare si trova un esteso strato d'acqua omotermico, con temperatura alquanto più elevata nel bacino orientale che nell'occidentale; nello strato sovrapposto a questo la temperatura varia con le stagioni e questa variazione si estende a profondità intorno a 200 m. nel bacino occidentale e a circa il doppio nell'orientale. Le misure moderne hanno dimostrato che le condizioni oceanografiche sono più complesse.

Seguirono le ricerche austriache nell'Adriatico e nello Ionio (1874, '76, '80), la spedizione francese della Trazailleur (1881), l'italiana della Washington, comandata dall'ammiraglio Magnaghi (1881), cui si debbono accurate ricerche di temperatura e di correnti a grandi profondità, quella del Makaroff sulla Vitiaz, la crociera della Pola diretta da Luksch e Wolf (1890-93), quella della Taurus (1894) diretta dal Natterer. Nel sec. XX due campagne idrografiche di fondamentale importanza furono eseguite dalla nave danese Thor nell'inverno 1908-09 e poi nell'estate 1910; a esse si debbono osservazioni e indagini in tutti i campi dell'oceanografia fisica e della biologia marina. Numerose crociere furono condotte anche dal principe Alberto di Monaco con le navi Hirondelle e Principessa Alice e col concorso di studiosi di varie nazioni; e anche l'Eider del Museo oceanografico di Monaco esegue indagini periodiche ininterrotte.

Oggi tutte le più importanti nazioni che si affacciano al Mediterraneo hanno creato comitati e istituti per studî talassografici. Le crociere promosse dal Comitato talassografico italiano, diretto da Giovanni Magrini, principalmente nell'Adriatico, hanno dato una compiuta conoscenza delle condizioni idrografiche di esso. L'Istituto oceanografico spagnolo esplora le acque del bacino occidentale e dello stretto di Gibilterra; la regia nave talassografica Marsigli ha compiuto nel 1922-23 notevoli osservazioni soprattutto sulle correnti alterne di marea nello Stretto di Messina sotto la direzione di F. Vercelli. Una Commissione internazionale per l'esplorazione scientifica del Mediterraneo, sorta nel 1915, coordina oggi le ricerche delle varie nazioni soprattutto nel campo biologico.

Proprietà fisiche. - Il Mediterraneo ha in genere acque limpide e con prevalenza di colorazioni verso l'azzurro; ciò è in rapporto con la scarsità di apporti fluviali e con la povertà di plancton. Le aree a più intensa colorazione azzurra si hanno nel Mare Ionio, nella Grande Sirte, nel Mar di Levante (o di Forel); colorazioni più chiare (2-3 Ferel) nel Mare Balearico, nel Tirreno, nell'Egeo; colorazioni verdastre o giallastre in vicinanza dei maggiori delta e nel Mare di Alborán dove penetrano acque atlantiche.

Nel bacino centrale e orientale si riscontra anche la maggiore trasparenza: la visibilità supera i 50 m. nel Mar di Levante (presso le coste della Siria e a sud di Cipro), raggiunge 40-45 m. sulle coste libiche e anche in alcuni punti del Tirreno (Capri), mentre si mantiene fra 30 e 40 nell'Adriatico, fra 20 e 25 nel Mar di Marmara; il Mar Nero è anche più opaco.

La temperatura dell'acqua in superficie è, se prendiamo le medie annuali, leggermente più elevata di quella dell'aria sovraincombente; ma, esaminando l'andamento nel corso dell'anno, si osserva che di solito l'acqua è più calda dell'aria nel periodo invernale (ottobre-marzo), più fredda nel periodo estivo (aprile-settembre); la differenza supera di rado i 2°. Ma in aperto Mediterraneo anche nel mese più freddo la temperatura non scende sotto 12° e nel Mar di Levante tocca i 17°. Naturalmente nei limiti della piattaforma continentale le temperature sono assai più basse (5°-7° nell'Adriatico settentrionale, 8°-9° nel Golfo del Leone). D'estate (agosto) si hanno temperature di 24°-25° nel bacino occidentale, di 27° nel Mar di Levante. Le variazioni stagionali della temperatura dell'acqua superficiale sono considerevoli: 10°-15° nel bacino occidentale e ancora più nel bacino orientale, dove sembrano crescere procedendo verso est, fino a raggiungere 20° nel Mar Nero. Quivi, e ancor più nel Mar d'Azov, non si verifica il fenomeno del riscaldamento invernale delle acque (rispetto all'aria sovraincombente); pertanto i due mari, ma molto di più il Mar d'Azov, gelano nell'inverno.

Le oscillazioni diurne della temperatura non si risentono al disotto di 25-30 m.; le variazioni stagionali non si avvertono al disotto di uno strato di spessore un po' variabile nei diversi bacini, ma all'ingrosso corrispondente alla profondità della soglia dello stretto di Gibilterra (300 m. circa) attraverso la quale avvengono gli scambî di acque con l'Atlantico. Al disotto di questo strato il Mediterraneo è sostanzialmente omotermico (temperatura uniforme fino al fondo di circa 13°). Le ricerche del Nielsen hanno per vero mostrato che questa omotermia non è assoluta; vi è, a quanto sembra, un lievissimo aumento di temperatura nelle acque abissali (a partire da 2500 m.) nel bacino orientale, aumento già notato dal Magnaghi e attribuito a riscaldamento adiabatico per compressione dell'acqua che s'inabissa.

Nel Tirreno il valore assoluto della temperatura dell'acqua è alquanto minore che nel bacino orientale, a tutte le profondità. Alla profondità di 2000 m. e più la temperatura è di 0°,5 più bassa nel Tirreno che nel Mar di Levante, e 0°,4 più bassa che nello Ionio. Il Mar Nero (v.) ha un comportamento tutto proprio e diverso.

Per l'evaporazione in genere assai intensa e per la scarsezza di acque dolci influenti il Mediterraneo ha in genere una salsedine molto elevata rispetto a quella delle acque atlantiche. Nel Mare di Alborán, per l'influenza di questa, si ha una salsedine del 36,5 a 37 per mille; ma il valore cresce verso E., fino a 38 e 39 nel bacino centrale, nell'orientale e nell'Egeo. Nella cartina annessa sono tracciate le isoaline dell'acqua superficiale, per il luglio 1910, secondo le ricerche danesi della Thor.

L'Adriatico ha salsedine minore, per il considerevole apporto di acque fluviali. Il Mar Nero, alla superficie ha salsedine molto bassa (18 a 18,5 per mille) e la corrente superficiale del Bosforo immette quest'acqua poco salata alla superficie del Mar di Marmara, mentre in quest'ultimo le acque profonde, provenienti dall'Egeo, hanno salsedine più elevata. Nel Mar Nero lo strato inferiore da 700 m. al fondo, è sensibilmente omoalino (circa 22,4).

La salsedine, nel Tirreno e nello Ionio, mostra un aumento col crescere della profondità, con un massimo a 250-500 m., dopo di che decresce lentamente e diviene costante nello strato profondo (da 2000 m. in giù) che è in tutto il Mediterraneo omoalino ancora più che omotermico.

Correnti. - L'intensa evaporazione delle acque mediterranee, principalmente nel bacino orientale, non interamente compensata dalle piogge e dall'apporto di acque dei fiumi, determina l'all'afflusso d'acqua atlantica attraverso lo stretto di Gibilterra, afflusso che diviene più veloce durante l'estate e l'autunno.

L'acqua atlantica, per l'azione deflettente della rotazione terrestre, muove verso E. seguendo la costa africana, passa nel bacino orientale, mentre una parte di essa corre lungo le coste della penisola italiana verso la Liguria e un'altra parte, piegando verso N. lungo le coste occidentali della Sardegna si congiunge poi con la corrente proveniente dal Mar Ligure, e bagna le coste della Francia e della Spagna volgendo infine verso S. Si hanno così nel bacino occidentale due circolazioni superficiali in senso ciclonico (cioè nel senso inverso al moto degl'indici dell'orologio), una nel Tirreno e l'altra nel Mare Balearico. La corrente superficiale nel bacino orientale segue il suo corso verso E. lungo le coste dell'Egitto, della Palestina, della Siria e della Caramania, penetrando poi nell'Egeo, nel quale il movimento alla superficie ha carattere anch'esso di una rotazione ciclonica. A S. della Grecia la corrente litoranea piega verso O. tra la Morea e Creta, indi verso NO., penetrando nell'Adriatico attraverso il Canale d'Otranto, come corrente di compensazione verso N., in senso inverso alla corrente di densità uscente dall'Adriatico, la quale risulta dal mescolamento con acque fluviali nella parte settentrionale di questo mare. Quest'ultima corrente, dopo avere seguito le coste orientali, calabre e sicule dell'Italia, volge verso SE. e congiungendosi con le acque atlantiche provenienti da O., piega verso E. lungo le coste della Tripolitania, della Cirenaica, dell'Egitto. Così anche nel bacino orientale la corrente di masse acquee meno salse circola nel senso ciclonico come corrente litoranea (v. la cartina annessa).

Questo, nelle grandi linee, è il quadro delle correnti superficiali del Mediterraneo tracciato dal Nielsen, secondo gli studî della spedizione danese sulla temperatura e la salsedine, confermati anche dai lanci di bottiglie galleggianti.

Risulta così verificata l'antica affermazione, esposta per la prima volta nel 1696 da Geminiano Montanari, dell'esistenza di una corrente litorale che nelle coste mediterranee è diretta da sinistra verso destra di chi guarda il mare dalla spiaggia. La eccezione la costa meridionale della Sicilia, secondo l'affermazione del Nielsen, che viene avvalorata dai risultati di precedenti esperimenti con bottiglie galleggianti lanciate nello Ionio da O. Marinelli,. G. Stefanini e L. Marini. Per esaminare l'ipotesi del Nielsen che al largo del Golfo di Napoli un ramo della corrente volga a O., verso le coste meridionali della Sardegna, ha fatto esperimenti con lanci di galleggianti, e ne ha esaminato e discusso i risultati, G. Marinelli del R. Istituto superiore navale di Napoli.

Queste correnti hanno peraltro, in generale, piccole velocità, (intorno a 300 m. per ora), velocità la quale può essere ridotta o accresciuta dal soffiare di venti forti persistenti, i quali, anzi, pòssono anche talvolta invertire il senso del moto delle acque. Solamente la corrente dell'Atlantico, entrante per lo Stretto di Gibilterra che volge, come si è detto, verso ESE. ed E. lungo la costa settentrionale dell'Africa, ha grande velocità, intorno a 1500 m. per ora variabile con le stagioni, e persiste sempre nella medesima direzione.

Lo studio di questi movimenti superficiali delle acque mediterranee ha importanza per gli studî di geografia fisica e biologici.

In base ai risultati delle indagini fatte precedentemente e di quelle eseguite dallo Schmidt nelle crociere danesi, il Nielsen dà anche un quadro dei movimenti delle acque intermedie del Mediterraneo.

Secondo le ricerche del Natterer, la grande percentuale di ossigeno, anche nelle maggiori profondità del bacino orientale del Mediterraneo, dimostra che quivi la circolazione verticale è attiva. Da queste analisi e da quelle dei bromuri si conclude che l'acqua superficiale, movendo verso E. lungo le coste africane, raggiunge, per la considerevole evaporazione estiva, un alto grado di concentrazione, e raffreddandosi poi nell'inverno, si abbassa fin nelle regioni profonde di questo bacino.

Nel Mar Nero la circolazione verticale si estende dalla superficie fino a soli 100 m. di profondità; nel Mar di Marmara essa è ancora meno profonda, ma durante l'inverno si abbassano fino alle maggiori profondità grandi masse acquee provenienti dall'Egeo.

Nella parte orientale dell'Egeo si verificano condizioni che mantengono la circolazione verticale fino al fondo, come si desume dall'alta percentuale di ossigeno. Nell'Adriatico e nella parte centrale e settentrionale dello Ionio la circolazione verticale è attiva, come pure nel Mar di Levante.

In generale la ventilazione delle acque profonde del Mediterraneo deriva dalla mescolanza di masse acquee ricche di ossigeno, provenienti dalle regioni settentrionali del bacino.

Nel Mediterraneo occidentale le masse d'acqua intermedia provengono da E., dallo Ionio, onde l'afflusso procede lungo il fondo, sulla dorsale fra Tunisi e la Sicilia; esso è perciò limitato al ristretto canale, profondo almeno 400 m., tra il Banco Avventura e il Capo Bon. Il moto verso O., a questo livello, è ostacolato dal dosso che si estende da Biserta verso il Banco Skerki, e le acque perciò piegano verso N. Le acque intermedie dall'estremità della Sicilia prima si estendono verso la parte SE. del Tirreno e quindi sulla parte centrale del bacino, donde effluiscono, in massima parte attraverso il canale di Sardegna e in piccola parte tra l'Elba e la Corsica, nel Mar Ligure. Escludendo quest'ultimo ramo, si può dire che il moto di rotazione delle masse intermedie del Tirreno è ciclonico.

Nel Mare Balearico la massa principale delle acque intermedie piega verso N. lungo le coste occidentali della Sardegna e della Corsica; poi volge verso NO. e O., unendosi, al largo delle coste francesi, con le acque provenienti dal Mar Ligure e infine piega verso SO. e S. Il moto delle acque intermedie è dunque, anche qui, come nel Tirreno, una rotazione ciclonica, in parte alterata dal fatto che un ramo di questa sottocorrente volge verso O. nel Mare di Alborán e quindi verso lo Stretto di Gibilterra.

Questo strato intermedio in tutto il bacino occidentale è considerevolmente meno sviluppato nell'inverno che nell'estate, anzi nella seconda metà dell'inverno esso quasi sparisce per il mescolamento con le acque superficiali fredde; un nuovo afflusso - che è massimo in autunno - dal bacino orientale produce un aumento persistente della circolazione della sottocorrente fino al nuovo raffreddamento superficiale.

Pervenute allo stretto di Gibilterra, le masse d' acqua intermedia costituiscono la corrente sottomarina che muove verso occidente, sboccando nell'Atlantico. Il Nielsen calcola che la quantità annua d'acqua mediterranea affluente nell'Atlantico sia di 50.000 kmc., perciò non molto minore di quella (59.000 kmc.) che affluisce dall'Atlantico verso il Mediterraneo come corrente superficiale. La corrente, pervenuta nell'Atlantico, per effetto della rotazione terrestre, non continua il suo corso verso occidente, ma volge verso la parte settentrionale del Golfo di Cadice, piegando poi verso NO. e NNO. e formando uno strato intermedio con un massimo di densità e di temperatura. Le ricerche della Thor hanno rintracciato questo strato a circa 1000 m. di profondità, fino a SO. dell'Irlanda.

Maree. - L'ampiezza della marea nel Mediterraneo è piccola, e non raggiunge 1 metro, salvo in alcuni punti della Tunisia e, nelle sizigie, a Venezia e a Chioggia.

I primi studî teorici sulle maree del Mediterraneo furono eseguiti da R. A. Harris, nel 1897. Qualche anno più tardi G. H. Darwin espresse l'opinione che questo mare dovesse considerarsi come un lago chiuso, non influenzato dallo Stretto di Gibilterra, e che le maree dovessero essere determinate come oscillazioni di due laghi comunicanti corrispondenti ai due principali bacini.

Molti altri autori compirono ricerche teoriche sulle maree: lo stesso Harris nel 1900 e 1904, L. de Marchi, Krümmel, Sterneck, G. Grablovitz, G. Defant, G. Magrini, M. Tenani (1930).

Nei bacini del Mediterraneo, come in tutti i bacini chiusi o parzialmente chiusi, la marea si manifesta come effetto di oscillazioni stazionarie. Nel bacino occidentale questa oscillazione avviene intorno a un asse nodale tra Algeri e Cabo de la Nao in Spagna in modo che, quando a occidente di questa linea si ha l'alta marea (3 ore circa sulle coste spagnole), a oriente si ha la bassa marea; il bacino orientale oscilla intorno a una linea meridiana passante a O. di Creta; l'Adriatico intorno a una linea trasversale passante a S. d'Ancona; l'Egeo intorno a una linea trasversale a N. di Lero; il Mar Nero intorno a una linea mediana disposta quasi lungo il meridiano.

Nei punti vicini all'estremità della linea nodale l'alta marea avviene in ore di transizione tra le ore dell'alta marea a un'estremità del bacino e l'ora dell'alta marea all'estremità opposta. E le linee cotidali (ossia le linee che congiungono i punti del mare in cui l'alta marea si presenta alla stessa ora), formano un'anfidromia, perché passano per un punto, detto anfidromico, ruotando (nell'emisfero boreale) nel senso inverso a quello degl'indici dell'orologio.

Nel Canale di Sicilia, nel tratto che congiunge i due bacini occidentale e orientale, si ha un'anfidromia col centro nell'isola di Pantelleria; le altre anfidromie, dell'Adriatico, dell'Egeo, del bacino orientale, sono indicate nell'annessa figura esposta dal Tenani, nella quale i numeri romani, e, nelle linee delle anfidromie, i numeri arabi, rappresentano il ritardo, in ore, dell'alta marea, alle sizigie, rispetto al passaggio della luna al 15° meridiano E., per il Mediterraneo, e per il Mar Nero al suo meridiano centrale.

Clima. - Il Mediterraneo è situato geograficamente nella zona temperata calda; ma i rilievi montuosi da cui esso è in gran parte circondato rendono assai complesso il regime delle correnti atmosferiche, producendo diversi climi regionali. Tutto il contorno settentrionale è soggetto ai movimenti atmosferici alpini. Le parti meridionali costituiscono invece il mare di deserto, per la vicinanza delle regioni desertiche a S. e a SE.

I mari che si protendono di là dai Dardanelli sono soggetti a un clima continentale estremo, con elevate temperature estive e basse invernali, con il congelamento delle acque superficiali, persistente per due mesi nella parte N. del Mar Nero, per tre o quattro mesi nel Mare d'Azov. Eccettuati questi e la parte settentrionale dell'Adriatico, il clima del Mediterraneo presenta lievi escursioni: le basse temperature invernali sono attenuate per effetto del maggiore riscaldamento dell'acqua superficiale e viceversa le alte temperature estive sono attenuate dalle masse d'acqua più fresche.

La vicinanza di terre elevate, di bacini marittimi, di deserti dà origine a diversi venti locali: il mistral della Provenza, che soffia quando la pressione barometrica è bassa nel Mediterraneo e alta sulla Francia, e batte le coste dal Mare Balearico al Mar Ligure; la bora dell'Adriatico; la bora del Mar Nero, alle falde SO. del Caucaso; gli etesî dell'Egeo; il solano, vento di E. sulla costa orientale della Spagna; lo scirocco che soffia in Sicilia, Tunisia, Algeria; il ghibli della Tripolitania e della Cirenaica; il khamsīn delle coste egiziane; il leveche della Spagna. Questi ultimi venti caldi raggiungono talvolta grande intensità e trasportano, anche a grandi distanze, una considerevole quantità di polvere dei deserti.

La nebbia non è frequente se non d'estate negli stretti e in fondo ai golfi.

Nella parte meridionale del Mediterraneo non sono molto rari i fenomeni di miraggio, come la fata morgana dello Stretto di Messina, il sarab della Grande Sirte.

Nella distribuzione annuale delle precipitazioni acquee v'è un regime denominato mediterraneo, in quanto che si trova quasi su tutto il bacino. Detto tipo si ritrova anche per vero nei due emisferi alle latitudini medie e forma la zona di passaggio dai regimi tropicali a quelli delle latitudini elevate. Esso è caratterizzato da piogge abbondanti d'inverno e da scarsezza in estate fino quasi alla secchezza completa per più mesi successivi.

A causa dello spostamento delle zone delle calme subtropicali, il bacino del Mediterraneo nell'estate è sottoposto alle medesime influenze della zona desertica, mentre nell'inverno gli anticicloni tropicali sono spinti verso l'Equatore e, essendo bassa la pressione, i venti di ponente possono invadere liberamente la regione mediterranea apportandovi delle precipitazioni.

A seconda della stagione con maggiori precipitazioni, si distinguono due sottotipi: marittimo e continentale; nel primo le maggiori piogge si hanno nell'autunno e nel secondo nell'inverno. Nel tipo marittimo si riscontrano inoltre spostamenti del mese più piovoso dell'anno a mano a mano che si procede verso levante. Un'altra variazione notevole si ha nella quantità annua della pioggia.

Nelle classificazioni climatiche si distingue un tipo che si chiama mediterraneo perché predomina sul bacino mediterraneo e presenta particolare andamento della temperatura e delle precipitazioni acquee. Durante il periodo invernale frequenti depressionî solcano il bacino e apportano piogge continue e intense; verso la fine di autunno e l'inizio della primavera le depressioni apportano anche temporali con scariche elettriche frequenti e talvolta sono violenti specie sulle regioni meridionali. L'alternarsi di masse d'aria calda e umida con masse d'aria fredda e asciutta fa sì che la temperatura diurna presenti forti variazioni; e complessivamente si verifichi grande variabilità termica di modo che in giorni successivi si possono avere temperature molto differenti. Non sono rari venti molto forti tra maestro e tramontana che favoriscono rapidi abbassamenti di temperatura. Non mancano i venti sciroccali che nel periodo invernale apportano abbondante umidità mentre nel periodo estivo sono caldi e asciutti.

L'estate del Mediterraneo si distingue per la grande siccità e per le elevate temperature che ricordano quelle tropicali.

La vicinanza del deserto libico da una parte e dall'altra i rilievi montuosi delle regioni occidentali e in misura meno pronunciata quelli delle regioni orientali, creano particolari condizioni locali, con l'anticipare il periodo delle piogge e col rendere più lungo il periodo asciutto o con l'aumentare l'escursione fra le temperature estive e quelle invernali.

Tutto ciò permette di distinguere nel clima mediterraneo parecchi sottotipi, alcuni dei quali sono stati largamente illustrati da omogenee serie di osservazioni meteorologiche mentre altri sono conosciuti attraverso caratteristiche regionali.

Si può anzitutto distinguere il tipo provenzale dove dai −6° di gennaio si giunge ai 22° di luglio e dove il maestrale (vento impetuoso di nord-ovest) provoca profondi abbassamenti termici; tanto aprile quanto ottobre sono i mesi più piovosi.

Nel tipo riviera le variazioni diurne e annuali della temperatura sono più limitate: raramente si hanno temperature inferiori a 0°; cosicché in nessun mese la temperatura media è al disotto di 0°. Durante l'inverno vi è poca umidità e le piogge sono poco frequenti, mentre in autunno e al principio della primavera sogliono essere più frequenti.

Nel tipo tirrenico le variazioni di temperatura sono più accentuate; l'inverno è piuttosto umido e le piogge sono più frequenti ín novembre e in dicembre.

Nel tipo marittimo, che si estende dalle coste spagnole fino a quelle algerine, la temperatura è mite in inverno e molto calda nell'estate; manca la pioggia per l'intera stagione calda. I venti di tramontana sono violenti e sulle Baleari raggiungono notevoli intensità e frequenza.

Nel tipo ionico le temperature estive sono meno elevate, mentre quelle invernali sono miti; la mancanza di pioggia s'estende anche fino a sei mesi e i venti di scirocco rendono l'aria pesante durante il periodo di maggiore caldo. Le più copiose precipitazioni sono in dicembre e gennaio.

Nel tipo libico le temperature medie sono più elevate tanto in inverno quanto in estate e l'escursione annua è forte poiché nei mesi più caldi si raggiungono temperature molto elevate con estrema secchezza. Le precipitazioni sono scarse e il massimo si raggiunge in gennaio e in febbraio. Questi caratteri sono accentuati sull'Egitto, cosicché alcuni sogliono riunire queste ultime regioni in un unico sottotipo.

Nel tipo siriano si ha la transizione tra il clima mediterraneo marittimo e quello desertico con l'allungamento del periodo di siccità e con l'elevazione della temperatura.

Nel tipo ellenico si riscontra un clima piuttosto continentale con temperature invernali rigide e temperature estive elevate. Le piogge cadono abbondanti in autunno e in inverno. Sono frequenti i venti forti di tramontana, gelidi, tanto che le acque presso le coste di Salonicco talvolta sono gelate. Il periodo asciutto normalmente s'inizia in aprile.

Fauna. - Fra i mari temperati-caldi il Mediterraneo è meritamente celebrato per la varietà notevole della sua fauna; d'altra parte la sua popolazione animale, dal punto di vista quantitativo, è di regola più povera di quella dell'Atlantico e dei mari che bagnano le coste settentrionali d'Europa. Osservatori recenti hanno confermato il fatto attribuendolo alla scarsità relativa di sostanze fertilizzanti (nitriti, nitrati, fosfati, ecc.) che favoriscono la produzione dei vegetali marini, e per tramite di questi anche lo sviluppo rigoglioso delle associazioni faunistiche.

Come mare marginale dell'Atlantico, il Mediterraneo trae di regola i suoi caratteri faunistici da quelli dell'oceano comunicante, ma, grazie a condizioni fisiche e morfologiche peculiari, presenta qualche caratteristica sua propria. Per quanto si riferisce al bentos (al quale aggiungeremo anche i pesci di fondo), l'Ortmann considera il Mediterraneo come una sottoregione della regione africana occidentale. Accettando in massima tale criterio non si esclude tuttavia che singoli gruppi, conformemente al loro comportamento fisiologico e al loro passato geologico, dimostrino affinità più spiccate con la fauna di regioni più settentrionali dell'Oceano Atlantico. Comunque si può citare in ogni grande gruppo bentonico un certo numero di specie, le quali, per quanto finora si conosce, risultano esclusive del Mediterraneo. Fra gli elementi faunistici molto noti se pure non peculiari, del litorale mediterraneo, ricorderemo la spugna officinale (Euspongia officinalis var. mollissima), il corallo (Corallium rubrum), diffuso soprattutto nelle regioni meridionali di questo; la granzevola (Maja squinado) e l'aragosta (Palinurus vulgaris); parecchie specie di pesci a vivaci colori che nuotano lungo la scogliera sommersa e soprattutto sulle praterie di Posidonia (Serranus, Labrus, Crenilabrus, Iulius, ecc.), spigole (Labrax lupus Cuv.), orate (Chrysophrys aurata) e cefali (Mugil sp.) prosperano in particolar modo negli stagni salati del litorale. Sappiamo oggi che il Mediterraneo alberga anche una fauna profonda la quale, nelle località meglio esplorate già a 200-300 metri di profondità assume i caratteri di fauna abissale vera e propria; essa comprende i gamberi rossi (Aristeomorpha foliacea e Aristeus antennatus), i Polycheles (Crostacei decapodi a occhi rudimentali) i Pesci Macruridi (fra i quali il piccolo e luminescente Himenocephalus italicus Gigl.), ecc. Si ritiene che la differenza di regime termico impedisca alle specie delle grandi profondità dell'Atlantico di propagarsi al di qua della soglia di Gibilterra, ove, a pari quota, le acque mediterranee sono più calde di 10° circa. Del plancton mediterraneo fanno parte svariatissime forme animali, in prima linea i Copepodi, soprattutto durante la metà più calda dell'annata, mentre nella metà meno calda lussureggiano le Diatomee e le Peridinee. Le variazioni del plancton, oltre che dalle condizioni locali sono regolate dall'afflusso d'acqua atlantica, la quale convoglia nel Mediterraneo, secondo cicli determinati e soprattutto in autunno, un gran numero di forme allogene (in parte subtropicali) e dalla possibilità in cui queste si trovano di sopravvivere e di propagarsi al di qua dello Stretto di Gibilterra. Le specie più vistose del macroplancton animale, Sifonofori, Ctenofori, Eteropodi, sogliono affiorare alla superficie in primavera; fra le grandi meduse più conosciute si vedono nuotare in estate la Rhizostoma pulmo o in autunno la Cotylorhiza tuberculata. Per quanto si riferisce ai pesci pelagici e migratori, le coste del Mediterraneo sono annualmente visitate da grandi banchi di acciughe Engraulis enchrasicholus e di sardelle (Clupea vulgaris); sono mediterranee le località classiche per la pesca del tonno (Thynnus thynnus L.) e del pesce spada (Xiphias gladius L.).

Piccole differenze regionali in seno alla fauna mediterranea non bastano ad alterare il carattere eminentemente omogeneo di questa. Si possono citare alcune specie di Molluschi proprî delle coste africane a O. di Gibilterra, le quali si estendono lungo le coste d'Algeria e del mezzogiorno della Spagna senza raggiungere la regione media e l'orientale. Né dimenticheremo lo scaro (Scarus cretensis) dalla brillante livrea verde, che abbonda nel Mediterraneo orientale mentre capita solo eccezionalmente nell'occidentale. Si può aggiungere che le regioni mediterranee meridionali e orientali subiscono una lenta e limitata infiltrazione da parte di poche specie della fauna eritrea, le quali, essendo altamente euriterme ed eurialine riescono ad attraversare il Canale di Suez superando la barriera soprasalata frapposta dai Laghi Amari e a penetrare nel Mediterraneo. Finalmente nell'Adriatico superiore, e soprattutto nell'estremo golfo di questo, la fauna è quantitativamente più ricca e qualitativamente più povera in virtù della selezione graduale che ivi si esercita a danno delle specie che non tollerano la diminuzione, sempre più accentuata da NE. a SO., di temperatura, di salsedine e di profondità dell'acqua; mentre negli strati profondi del Mar Nero ogni traccia di vita è spenta per mancanza d'ossigeno e abbondante sviluppo d'idrogeno solforato.

Vegetazione e flora. - La conoscenza generale della flora e della vegetazione del Mare Mediterraneo, se è ricca di notizie frammentarie riferentisi particolarmente a determinate zone specialmente costiere, è povera di dati riassuntivi e sintetici.

Dalla vegetazione di terraferma si passa a quella marina attraverso le associazioni vegetali delle lagune salmastre e delle paludi costiere.

Secondo F. R. Kjellman si possono distinguere tre zone: 1. zona litorale, scoperta a marea bassa; 2. zona sublitorale, che dal livello delle più basse maree giunge a 20-30 m. di profondità; 3. zona elitorale che va dal limite inferiore della precedente sino a 50-80 m. dove generalmente si arrestano le alghe: alcune di esse si spingono però fino a oltre 200 m. Fra la seconda e la terza zona si comprende facilmente che non vi sono limiti netti. Secondo O. Drude le zone vengono chiamate: zona litorale superiore, zona litorale inferiore e zona profonda e corrispondono a quelle del Kjellman. Nel Golfo del Quarnaro il Lorentz ha distinto sei zone: la sopralitorale, la litorale superiore, la litorale sommersa (che va fino a 2 m. di profondità e comprende 282 specie, cioè l'82% delle Alghe marine della zona), i bassifondi da 2 a 15 m., e due zone profonde: una da 15 a 30 m., l'altra al di sotto dei 30 m.

La vegetazione è costituita da un piccolo numero di Fanerogame, sei in tutto (Cymodocea nodosa, Posidonia oceanica, Zostera marina, Z. nana, Althenia filiormis e Ruppia maritima) e tutte appartenenti alla famiglia Najadacee e fissate ai fondi sabbiosi e fangosi ove formano delle vere praterie sottomarine che vanno da 2 a 30 m. di profondità: la P. oceanica è la più abbondante ed è quella che giunge a maggiore profondità. Le Alghe, che costituiscono la grande massa della vegetazione marina, sono in parte fissate al fondo sabbioso o fangoso (come la Caulerpa prolifera) o alle rocce, in 'parte vivono epifite su altre alghe (su un esemplare di Cystosira barbata nel Mediterraneo sono state trovate 115 altre alghe), in parte costituiscono, insieme a numerosi organismi animali il plancton che può essere distinto in plancton costiero e d'alto mare e consta prevalentemente di Cianoficee, Diatomee, Peridinee. Le Alghe che si spingono più profondamente sono in generale le Rodoficee.

Col variare delle stagioni variano le formazioni in una stessa località, analogamente a quanto succede nella vegetazione terrestre: presso la superficie il periodo vegetativo va dall'autunno alla primavera e il riposo coincide con l'estate; quando discendiamo a 50-100 m., il periodo vegetativo va dall'estate all'inverno e il riposo da febbraio ad aprile.

Nella vegetazione marina mediterranea troviamo elementi atlantici giunti attraverso lo Stretto di Gibilterra (Sargassum bacciferum) e elementi giunti attraverso lo Stretto di Suez dal Mar Rosso.

Distribuzione della popolazione. - Venticinque sono all'incirca i complessi politici che si affacciano sulle coste del Mediterraneo. Fra essi alcuni (I) vanno considerati come stati affatto o prevalentemente mediterranei (Italia con la Libia e le isole Egee, Grecia, Albania, Turchia, Egitto). Altri (II) sono costituiti di paesi pure totalmente mediterranei ma legati con vario vincolo di soggezione a stati: a) parzialmente o b) totalmente extramediterranei; al gruppo a) si ascrivono l'Algeria la Tunisia, la Siria, dipendenze della Francia, il Marocco spagnolo, l'Ucraina, la Crimea, la Ciscaucasia, la Georgia membri della U.R.S.S.; mentre nel gruppo b) sono incluse le dipendenze britanniche (Gibilterra, Malta, Cipro, Palestina). Altri infine (III) sono stati, che pur affacciandosi più o meno ampiamente al Mediterraneo, si stendono: a) verso l'interno dell'Europa o b) verso l'Atlantico, partecipando con maggiore o minore larghezza di condizioni ambientali estranee. Al gruppo a) si assegnano la Romania, la Bulgaria, e la Iugoslavia; al gruppo b) la Francia e la Spagna. Della Romania e Bulgaria si vossono considerare mediterranei, in buona parte, la Bessarabia e la vallata del Danubio inferiore, poi le altre valli fluenti al Mar Nero e quella della Marizza; della Iugoslavia tipicamente mediterranea è la cimosa dalmatica, e le si può aggiungere la bassa valle del Vardar (Macedonia). Costituiscono la parte mediterranea della Francia la valle del Rodano con quelle dei suoi affluenti alpini, il versante SE. delle Cevenne e le provincie meridionali fino a Tolosa (circa 1/7 del territorio complessivo). Della Spagna la massa maggiore (circa 2/3) partecipa delle condizioni di vita mediterranee, all'infuori dell'orlo biscaglino e in genere del NO. In un gruppo c) si possono elencare ad memoriam l'intera U. R. S. S. e il rimanente del Marocco. E un quarto gruppo può farsi degli stati minimi (v. tabella).

All'ingrosso la popolazione complessiva dei paesi mediterranei così definiti raggiunge 160 milioni d'individui su quasi 4.500.000 kmq. (escludendo le zone desertiche dell'Egitto e del Sud algerino e libico). Densità media dei paesi mediterranei quindi 36 ab. per kmq., superata di gran lunga nell'Italia (133) e nella valle del Nilo (400) e notevolmente nell'Ucraina (69), nella Francia meridionale, nella Bulgaria (53) e in genere nei paesi europei. Di poco superiori la Palestina, la Georgia e Cipro; gli altri paesi inferiori.

Comunque in tutti questi paesi resta notevole il fatto che la popolazione tende ad addensarsi lungo le coste, benché notevoli tratti di queste siano o siano stati malarici (Italia, Albania, Grecia, Anatolia, ecc.). Il fatto è tanto più avvertito, anzi, quanto minore è la densità generale dei singoli paesi, con la sola facilmente comprensibile eccezione dell'Egitto, dove pur tuttavia il triangolo fra Alessandria, Porto Said e Cairo addensa un'enorme massa di abitanti. Ma in Spagna l'orlo della Granada, della Valenza e Catalogna, come nella Penisola Balcanica l'orlo dalmatico, nell'Anatolia quello egeo (Smirne) e quello pontico, in Libia quello cirenaico e tripolino, come anche in Tunisia e in Algeria, spiccano in netto contrasto col retroterra ove la popolazione si rarefà nella meseta di Spagna, nella Bosnia, Serbia, Macedonia, nell'altipiano centrale anatolico sino a trapassare nell'interno di taluni paesi, come la Siria, la Libia, l'Algeria, al più tipico deserto.

Né il fatto manca di rivelarsi anche nei paesi di più alta densità generale. Così in Italia accanto alla Pianura Padana i massimi addensamenti si riscontrano in Liguria, in Campania, lungo il litorale adriatico, presso le coste della Sicilia; la Francia mediterranea mostra pure il massimo addensamento sulla Costa Azzurra e oltre sino alle foci del Rodano.

L'addensamento si rivela anche con la concentrazione degli abitanti in nuclei urbani, i quali si allineano numerosissimi lungo le coste o a breve distanza da esse. Delle 22 città italiane con oltre 100.000 ab., ben 14 (contando anche Roma) sorgono in immediata vicinanza del mare e nessuna delle altre ne dista oltre 200 km. Delle 9 di Spagna, 3 sono sul Mediterraneo,4 ne distano meno di 200 km. Sono sul mare tutte e tre le città greche con oltre 100.000 abitanti, le due turche, una delle tre siriane, due delle tre egiziane, l'unica della Tunisia, le due dell'Algeria. In complesso le città di oltre 100.000 ab. sulle coste mediterranee sono 34 con circa 121/2 milioni di abitanti. Entro i 200 km. dalla costa è poi un'altra ventina di città con quasi 5 milioni di ab. (v. tabella seguente).

E ancora si sono trascurate, in questa rassegna, perché non raggiungono i 100.000 abitanti, alcune città anche politicamente ed economicamente importanti, come Durazzo e Tirana; Costanza, Varna Novorossijsk, Batum; Giaffa e Gerusalemme; Tripoli. In ogni modo, anche da questo solo accenno, s'intende come l'indice dell'urbanesimo delle popolazioni tipicamente mediterranee sia elevato: superiore al 10% se riferito alle sole città di oltre 100.000 ab.

Etnografia. - Il nucleo maggiore e più compatto fra i popoli mediterranei è costituito da quello italiano: oggi sono circa 42 milioni d'individui nel solo regno, oltre a 1.250.000 emigrati sparsi negli altri paesi (particolarmente in Francia, quasi 1.000.000, in Tunisia circa 100.000 e in Egitto circa 50.000), cui si debbono aggiungere 300.000 còrsi, mezzo milione circa di nizzardi, 50.000 dalmati, 240.000 maltesi, 152.000 ticinesi e circa 50.000 altri svizzeri italiani, poi 30.000 fra cittadini sammarinesi, monegaschi e vaticani.

In complesso quindi gl'Italiani del Mediterraneo possono contarsi in poco meno di 45 milioni. Sommati gl'Italiani con i Francesi (40.000.000), con gli Spagnoli (oltre 23.000.000) e con i Romeni (18.000.000), il gruppo neolatino (127 milioni) appare dominante di gran lunga, tanto più se s'aggiungono Albanesi (1.000.000) e Greci (7.000.000), i quali pure si muovono storicamente nell'orbita del mondo latino. Anche sottraendovi quella parte di Francesi, Spagnoli e Romeni che non possono considerarsi per dimora pienamente mediterranei, il gruppo comprenderebbe sempre almeno 90.000.000 d'individui.

Accanto a questo, numericamente formidabile appare il gruppo slavo, costituito principalmente dagli Ucraini (31.500.000) e dagli Slavi meridionali (14.000.000), cui vanno uniti i Bulgari d'origine orientale ma slavizzati (6.000.000): in tutto circa 52.000.000.

In terzo luogo viene l'elemento orientale, col quale termine riuniamo gruppi assai complessi e frammentati, d'origine semitica (Arabi, Israeliti), uroaltaica (Turchi) e discendenze aborigene variamente mescolate e modificate (Berberi, Araboberberi, Copti, Siriani, ecc.). Questa massa può calcolarsi in complesso in 42.000.000 di individui, i nuclei maggiori restando costituiti dai Turchi (10.000.000 circa) e dagli Arabi o arabizzati del Levante e del Nordafrica.

Dal punto di vista religioso, primeggiano i cattolici, poi gli ortodossi e i musulmani; seguono le numerose minori sette cristiane dell'Oriente e altri gruppi secondarî.

Le sedi. - Si è detto come le popolazioni mediterranee tendano ad addensarsi lungo le coste. Distingueremo pertanto anzitutto sedi litoranee e sedi interne. Nelle une e nelle altre tuttavia la situazione che provoca i massimi addensamenti è quella pedemontana, sia al contatto fra i rilievi e le coste, sia a quello fra monte e piano. Le sedi litoranee sono caratterizzate dalla maggiore varietà di funzioni che assommano, quali centri di popolazioni dedite alla navigazione, alla pesca, al commercio, all'industria e anche all'agricoltura. Raggiungono il massimo sviluppo i centri localizzati lungo le coste basse e salubri, e anche alcuni di quelli, che pure situati nelle insenature di coste alte, si trovino allo sbocco di vie di penetrazione all'interno. Centri piuttosto poveri, quasi esclusivamente pescherecci, si allineano lungo i tratti di costa bassi e insalubri.

Nell'interno situazioni tipiche (accanto alle pedemontane accennate, come lungo tutto l'orlo della Pianura Padana) sono quelle di piano (ove prevale la dispersione delle dimore rurali), quelle di collina e della bassa montagna (per le quali fattore dominante della localizzazione è la distribuzione delle risorse idriche, a causa della grande estensione delle regioni aride o semiaride) e quelle della montagna (a rosario lungo i maggiori fiumi, o aggruppate nelle caratteristiche conche, come nell'Appennino e nella Balcania). Distinzioni si debbono ancora vedere a seconda della piovosità, onde si passa dalle plaghe di diffuso popolamento in villaggi e casali alle oasi sparse delle regioni desertiche d'Africa e d'Asia.

Influiscono sull'agglomeramento delle sedi anche condizioni storiche, come i lunghi periodi d' insicurezza delle campagne e delle coste e la frammentazione della vita comunale e feudale.

I tipi delle costruzioni si adeguano principalmente alla distribuzione dei materiali. Nell'antichità prevalsero i legnami, ma ormai da molti secoli l'area di tali costruzioni si è ristretta a piccole e sparse zone d'alta montagna. Nelle zone piane, pedemontane e collinose, si è fatto sin da antico largo uso dei laterizî, così in Italia, come in Spagna, in Romania, ecc., oppure di procedimenti affini meno progrediti fra le popolazioni più arretrate (argilla impastata, fango, insieme con pietrame, legnami, canne e frasche, ecc.). I laterizî vengono anzi a sostituirsi con una certa frequenza ȧnche al materiale, che resta il più tipico e diffuso, cioè la pietra di cava e il ciottolame. La persistenza di forme antiche degli abitati (con le loro viuzze e piazzette pittoresche) sta in rapporto con l'uso di questi materiali di lunga durata.

Fra le costruzioni caratteristiche del mondo mediterraneo si notano quelle connesse col costume religioso: le chiese monumentali, i grandiosi conventi, la grande dispersione delle chiesette, cappelle, pilastri votivi dell'Europa cristiana, cui fanno riscontro le moschee, le qaṣbah, i marabutti delle regioni musulmane. Tipica è la localizzazione di santuarî sulle prominenze dei promontorî, in tutte le età, particolarmente lungo le coste frastagliate italiane e greche. Nota distintiva ai centri conferiscono le torri campanarie e di difesa nelle regioni cristiane e gli svelti minareti in quelle musulmane. Altre costruzioni tipiche sono connesse col commercio: i mercati dei centri europei, molto affini ai sūq e bazar di quelli orientali, e in questi ancora le stazioni carovaniere (caravanserragli).

Pesca. - La pesca nel Mediterraneo è ben lontana dall'avere l'importanza che ha nei mari settentrionali d'Europa, sia per la ristrettezza della piattaforma continentale, calcolata a 7700 kmq. in tutto il Mediterraneo, sia per la natura dei fondali, prevalentemente argillosi e molto irregolari, che non consentono l'uso dei più redditizi strumenti di cattura, sia anche per la già ricordata povertà di plancton.

La pesca è bensì molto varia, ma anche assai dispersa e di mediocre rendimento e si pratica ancora con imbarcazioni e arnesi sovente notevolmente arretrati. Esercitata in misura maggiore o minore da tutte le popolazioni rivierasche europee, la pesca viene pure condotta anche presso molti tratti delle coste africane e asiatiche, malgrado che agl'islamiti sia inibito usare il pesce per l'alimentazione. Consumate fresche sono le più numerose varietà di pesci, dal pescecane al merluzzo, ai naselli, alle sogliole, ecc. Vengono anche conservate, invece, sardine, sardelle, acciughe (Provenza, Liguria, coste tirrene e iberiche).

Si distinguono dalla pesca litoranea e d'alto mare quelle che si esercitano stagionalmente con apprestamenti fissi (pesca del tonno, mediante le tonnare, frequenti specie lungo le coste della Spagna, delle isole italiane, dell'Africa minore e della Libia) e quelle dei "frutti di mare" strappati al fondo delle acque basse e calde insieme con le spugne (Egeo, coste libiche e levantine), i coralli (sfruttamento tipico del Mediterraneo, specie nel Golfo di Napoli, presso le coste della Sicilia e delle isole egee).

Anche l'organizzazione commerciale della pesca è tuttavia rimasta nella maggior parte dei paesi mediterranei piuttosto arretrata, nonostante qualche progresso negli ultimi anni. Soltanto l'Italia conta ormai una discreta flotta di motopescherecci, ché generalmente la pesca viene da per tutto condotta con velieri.

Il prodotto della pesca mediterranea, dato il forte consumo di tutte le popolazioni non islamiche, è ben lontano dal bastare ai bisogni delle popolazioni che si affacciano a questo mare, e però una notevole importazione di pesce fresco e conservato affluisce dai paesi nord-occidentali d'Europa e anche da oltre oceano.

Navigazione. - L'altissimo sviluppo di coste di quasi tutti i paesi mediterranei, la frequenza delle isole, i facili accessi dall'interno a punti innumerevoli di ben riparato approdo, la rarità delle nebbie, sono tutti elementi che sin da tempi antichissimi hanno spinto le genti mediterranee al mare.

Da ciò gli scambî attivissimi fra le popolazioni rivierasche, mediante i quali sono poi rapidamente venute a contatto economie tipicamente diverse, come quelle dell'Occidente europeo e del Levante asiatico. In antico alcuni popoli particolarmente vivevano di questi scambî, integrandoli non di rado con la pirateria, ma anche con la diffusione di colonie commerciali e demografiche, indi con l'organizzazione di grandiose unità economiche, culturali e politiche.

La funzione commerciale resta fra le preminenti tuttora in modo particolare per i paesi situati al centro di questo ambiente comune, cioè anzitutto per l'Italia e anche per la Grecia.

Il tonnellaggio delle navi mercantili di oltre 100 tonn. lorde si calcolava nel 1931 in 3.336.000 tonn. per l'Italia e 1.398.000 per la Grecia. Oltre 3 milioni e mezzo ne contava la Francia e 1.227.000 la Spagna, paesi peraltro in buona parte affacciati ad altri mari. Agl'inizî è la flotta mercantile iugoslava e modesta è pure quella sovietica del Mar Nero.

Largo campo rimane quindi anche alle maggiori flotte occidentali nel traffico enormemente attivo della navigazione mercantile entro e attraverso il Mediterraneo.

Il massimo contributo a esso è dato dalla grandiosa corrente che attraversa il Mediterraneo, penetrandovi dallo Stretto di Gibilterra per uscirne col Canale di Suez alla volta del Mar Rosso, dell'Oriente asiatico e dell'Africa orientale, e che si alimenta ancora dei numerosi rivoli confluenti dai porti settentrionali del Mediterraneo stesso (Barcellona, Marsiglia, Genova, Venezia, Trieste anzitutto).

All'incontro di questa corrente un'altra muove da questi ultimi porti verso Gibilterra per smistarsi poi nelle due direzioni dell'America, Settentrionale e Meridionale, con qualche propaggine minore a costeggiare l'Africa occidentale o verso il Mar delle Antille e, per il Canale di Panamá, alle coste americane del Pacifico.

Una terza corrente piuttosto notevole si distacca da queste nel Mediterraneo centrale per volgere all'Egeo, agli Stretti e al Mar Nero, oppure al Levante.

Notevoli scambî infine sono stabiliti fra le opposte sponde, specie tra la Francia e l'Africa minore in suo dominio; fra l'Italia, Tunisi, la Libia e l'Egitto; essi tendono anzi a intensificarsi d'anno in anno.

Porti. - I maggiori porti della Penisola Iberica affacciati al Mediterraneo sono Barcellona, massimo emporio della Spagna (movimento nel 1930 tonn. milioni di stazza), importatore di numerose materie prime ed esportatore di lanerie e cotonate, e Valenza, sbocco di notevole zona agricola (agrumi, uve, vini). Interessano ancora il Mediterraneo, in quanto si trovano in vicinanza del suo ingresso: Cadice e Gibilterra, scali per i traffici transatlantici. Sulla costa francese primeggia Marsiglia (movimento nel 1930 tonn. 13.633.000 di stazza), presso lo sbocco della valle del Rodano, cui si accompagnano a occidente il porto peschereccio di Sète, a oriente Tolone (prevalentemente militare), e Nizza. Sulla costa ligure disputa a Marsiglia il primato mediterraneo il porto di Genova (oltre 10 milioni tonn.), importatore di carbone, grano, cotone, lana, ed esportatore dei manufatti italiani tessili, meccanici, ecc:, sussidiato da quello di Savona (carboni). Scendendo verso la costa tirrenica s'incontrano prima La Spezia (porto militare), poi Livorno, sbocco della Toscana, e Napoli (pure una decina di milioni di tonn. stazza di movimento), secondo porto della penisola.

Nell'Adriatico primeggiano i due porti settentrionali di Venezia e Trieste (oltre 4 milioni ciascuno). Il retroterra di codesti due porti con quello di Genova interessa ampiamente l'Europa centrale (Svizzera, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria).

Alquanto diminuito è il traffico di Fiume, che fu sino al 1915 il porto dell'Ungheria, e ancora agl'inizî del suo sviluppo è Susak, il porto iugoslavo smembrato da essa. Primeggia sulla costa dalmata Spalato, ancora però mal collegato all'interno.

I porti dell'Adriatico centrale e meridionale hanno traffico modesto; vi primeggiano Bari e Brindisi, seguiti da Ancona. Porti dell'Albania sono Durazzo e Valona.

Notevole movimento hanno i porti greci di Patrasso, che attira il traffico del Canale di Corinto, del Pireo (Atene) e di Salonicco allo sbocco della valle del Vardar. Attivissimo è ancora il traffico di Istambul (oltre 6 milioni e mezzo di tonn. stazza). Porti secondarî della Turchia sono Samsun nel Mar Nero e Smirne nell'Egeo. Ancora nel Mar Nero si contano Burgaz e Varna, porti della Bulgaria, Costanza della Romania, Odessa dell'Ucraina (grano), Batum della Transcaucasia (petrolî).

Nel Mar di Levante i porti più attivi sono quelli che dànno accesso alla Siria (Alessandretta, Tripoli e specialmente Beirut) e alla Palestina (Caifa e Giaffa).

Venendo alle coste dell'Africa incontriamo dapprima Porto Said, scalo obbligato all'ingresso del Canale di Suez, e pertanto esclusivamente porto di transito, poi l'attivissimo porto di Alessandria (oltre 5 milioni tonn. stazza di movimento), importatore di manufatti occidentali ed esportatore di cotone, granaglie, prodotti agricoli varî.

Sulle coste libiche Bengasi e Tripoli dànno rispettivamente accesso alla Cirenaica e alla Tripolitania, ma il loro raggio d'influenza verso l'interno ha perduto l'importanza dei tempi in cui essi erano sbocco delle carovaniere dal centro dell'Africa. Discreto è invece il traffico di Tunisi e ancor più quello dei porti algerini, dove Orano segna un movimento non molto inferiore a quello dei massimi porti della sponda europea, seguito dappresso da Algeri, poi da Bona. Scarsa importanza commerciale hanno invece gli scali del Rif, servendosi il Marocco piuttosto degli attivi porti atlantici di Tangeri e Casablanca.

Porti notevoli per la pesca, per il transito, ecc., si hanno anche nelle isole, come Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, Messina e Catania, Corfù, La Canea, Rodi, Famagosta (Cipro).

Comunicazioni continentali. - Non altrettanto felici si possono dire le condizioni naturali della viabilità interna dei paesi mediterranei. L'asperità e frammentarietà del paesaggio, l'estensione delle aree desertiche e subdesertiche vi oppongono ostacoli frequenti e gravi, che soltanto la tenace volontà degli abitanti ha valso in parte a superare. Ma ancora, non soltanto in Asia e in Africa, dove si vanno ricalcando le orme dei grandiosi reticoli stabiliti nell'età classica e romana, poi sommersi nel decadere dell'islamismo, sibbene anche nella Balcania e nell'Iberia le strade sono in larghe zone mancanti o deficienti.

I paesi del bacino occidentale hanno raggiunto un notevole sviluppo ferroviario. Caratteristica delle reti sono le linee litoranee. Con la sola soluzione del Rif spagnolo, sì può dire che tutto il giro delle coste del Mediterraneo occidentale, da Fiume a Tunisi, sia accompagnato dalla ferrovia. Queste linee si allacciano variamente fra loro attraverso le penisole per mczzo di altre trasversali e si collegano poi con le reti dell'Europa centrale mediante parecchie ardite ferrovie di montagna. Un tale sistema facilita vieppiù l'intima coesione di codesti paesi col mare.

Nel bacino orientale prevalgono invece linee dirette dall'interno ai maggiori sbocchi, conservando quindi la caratteristica principale di vie di penetrazione, oppure di vie in servizio di grandi interessi internazionali. Il contrasto si coglie vivace nell'Adriatico, dove, trovandosi fra l'un bacino e l'altro, si fronteggiano la linea litoranea italiana e quelle di penetrazione iugoslave e albanesi (queste in costruzione o soltanto in progetto).

Traffico aereo. - Il mondo mediterraneo è divenuto, sino dagl'inizi dell'aeronavigazione commerciale, teatro d'un intenso traffico aereo. Vi hanno concorso particolarmente il disegno obbligato delle grandi rotte imperiali della Gran Bretagna, dell'Olanda e della Francia e lo sviluppo di un'attività tipicamente mediterranea dell'aeronavigazione italiana. Seguendo i moli naturali dell'Italia e della Grecia, si spingono verso l'Egitto, la Palestina e la Siria le linee britanniche, olandesi e francesi, prolungandosi poi alla volta delle Indie; sul bacino occidentale trasvolano le linee francesi verso l'Africa mediterranea e atlantica, mirando al golfo di Guinea e all'America Meridionale. La rete italiana disegna nei cieli mediterranei due grandi assi, da oriente a occidente (da Istambul e da Rodi verso Barcellona e Cadice) e da nord a sud (dall'Europa centrale a Tunisi, Tripoli e Bengasi), distendendosi in maglie complesse che annodano in Roma i trafficci aerei di tutti i paesi mediterranei, Bulgaria, Turchia, Grecia, Albania e Tunisia, Francia e Spagna.

Aeroporti d'intenso traffico sono ormai particolarmente quelli di Istambul, Atene, Cairo, Venezia, Milano, Roma, Genova, Marsiglia, Barcellona (v. la carta delle linee aeree sotto la voce europa).

Il Mediterraneo nella geografia politica. - La vetusta antichità e la complessità della storia dei paesi mediterranei, movendo dal fondamento naturale dell'intima varia loro differenziazione regionale e subregionale, si riflette tuttora in una multiforme e numerosa suddivisione politica, che, nel mondo, ha soltanto un certo riscontro nell'Europa centrale e occidentale. Fra stati indipendenti e dipendenze di varia natura si contano intorno al Mediterraneo non meno di 25 unità politiche, fra le quali, accanto a complessi di grandiosa mole per area e popolamento, sopravvivono staterelli minuscoli, relitti dell'età feudale e comunale (Andorra, Monaco, S. Marino, M. Santo) e minuscole unità dell'impero britannico (Gibilterra, Malta) o s'insinuano forme rappresentative dell'autonomia di piccole nazioni (Albania), qua e là legate ancora a complessi maggiori (Georgia, Crimea, Libano) o appena distinte per peculiarità più amministrative che non propriamente politiche (Catalogna).

Nondimeno il coordinamento di codeste unità in complessi politici maggiori è di fatto particolarmente vigoroso nel bacino occidentale, dove questi sostanzialmente si riducono a tre: il dominio francese (Francia, Marocco, Algeria, Tunisia), il dominio spagnolo (Spagna e Marocco spagnolo) e l'italiano (Italia e Libia). Per tutte e tre queste potenze è evidente la tendenza all'altra sponda, cioè l'espansione verso le rive meridionali del Mediterraneo situate dirimpetto alla madrepatria. La frammentarietà è ancora assai pronunciata nel restante bacino, al quale si affacciano, fra grandi e medî, otto stati indipendenti (Iugoslavia, Albania, Grecia, Bulgaria, Romania, Unione Sovietica, Turchia, Egitto), oltre a nuovi membri degli stati di Francia (Siria), d'Inghilterra (Palestina, Cipro) e d'Italia (Isole Egee, Saseno).

Osservando le coste, notiamo come la massima loro lunghezza sia dominata dall'Italia, per effetto del suo enorme sviluppo costiero; circa 9000 km. di cui quasi 4000 nel continente, 3500 nelle isole e 1600 in Libia. Segue la Francia. con 3700 km. (615 nel continente, 630 in Corsica, 2000 in Africa, 46o in Asia). Vengono poi in quest'ordine Grecia, Turchia, Spagna, Unione Sovietica, ecc.

La Gran Bretagna, sola fra gli stati extramediterranei, possiede tratti di costa in questo mare. Essi non raggiungono il migliaio di km., ma consentono a questa potenza di controllare la vita politica ed economica del Mediterraneo da posizioni strategiche di vitale efficacia, quali le porte sull'Atlantico (Gibilterra) e sul Mar Rosso (Canale di Suez) e la strozzatura fra il bacino occidentale e quello orientale (Malta) oltre che il trapasso dalle vie di mare a quelle di terra per le Indie (Cipro, Palestina).

Nel bacino occidentale può quindi dirsi raggiunto un assetto non soltanto politico-amministrativo, ma anche economico e civile con apparenze di stabilità, per l'equilibrio delle tensioni politiche espansive dei maggiori stati. Resta tuttavia il fatto che paesi intensamente popolati come l'Italia, incontrano sbocchi insufficienti alle possibilità della propria fecondità demografica, mentre la Francia, paese con declinante natalità, si serve delle sue ampie dipendenze africane, unite dalle coste del Mediterraneo a quelle del Golfo di Guinea, anche per rafforzare la propria potenza militare col contributo delle popolazioni di colore, fra le quali può levare numerose e agguerrite truppe e rapidamente trasportarle in Europa.

Nel bacino orientale invece è tuttora aperta una vivacissima, anche se oggi pacifica lotta, da un lato per la penetrazione dei commerci e delle influenze culturali, finanziarie, commerciali dei grandi popoli dell'Occidente, dall'altro per l'autodeterminazione e l'affermazione di nazioni locali, che si rinnovano. Le conseguenze della guerra mondiale vi hanno eliminato le ingerenze dirette della Germania, e l'insurrezione musulmana con l'appoggio russo fra 1919 e 1921 ha segnato limiti a quelle francesi e britanniche, più ristretti di quanto non si potessero pensare dopo lo sfacelo dell'impero ottomano. La Gran Bretagna particolarmente ha dovuto rinunciare al controllo ambito sugli Stretti e al protettorato sull'Egitto, ma conserva, per quanto estranea al Mediterraneo, e anzi forse per quest0, un'importante funzione equilibratrice. Dal proprio punto di vista, la politica mediterranea inglese resta tuttavia un momento della sua politica mondiale marinara e, in secondo luogo, di quella particolare connessa col suo dominio dell'India.

Nondimeno l'attività iniziata con la politica delle proclamazioni, dei mandati e delle "zone d'influenza", rinunciando alle più aperte affermazioni politiche e armate, continua sotto altra veste e, certo, con meno hrillanti prospettive e fortune per coloro che aspiravano alle egemonie. In questo nuovo giuoco la Germania ha ripreso posto, lanciando le avanguardie del suo commercio e del suo tecnicismo in Russia, in Romania, in Bulgaria, in Turchia, in Persia. Ma particolarmente si è avvantaggiata della nuova situazione l'Italia, cui, anche appunto per la scarsa parte avuta nel periodo delle scatenate brame di rapina, sono rimaste o andate molte simpatie fra i popoli orientali. Il suo commercio e la sua emigrazione hanno ripreso con rinnovata fortuna le vie del Levante, sorrette dall'azione potente e illuminata del governo fascista, ricostruttore anche in questo campo delle devastazioni portate dall'incuria e dall'incapacità dei predecessori.

Definita ogni questione territoriale con la Iugoslavia, la Grecia, la Turchia, l'Egitto; completata l'occupazione della Libia, tutta una rete di trattati politici e commerciali è venuta a consolidare le basi della nuova vita mediterranea dell'Italia, permettendole anzi di assumere talora il compito di mediatrice fra contrastanti interessi (come fra Turchia e Grecia).

Ricordiamo così i trattati di alleanza e cooperazione economica con l'Albania (1925-1927) i trattati d'amicizia con la Grecia, la Turchia, la Romania, l'Ungheria, la Bulgaria, l'Egitto, il trattato col quale veniva riconosciuto luogo all'Italia nel regime internazionale di Tangeri (1928) prima negato. Le diffidenze e gli ostacoli, per non dire le ostilità maggiori a questa politica di collaborazione sono insorti per parte della Francia e della Iugoslavia sua alleata. Malgrado il sacrificio della Dalmazia e del diritto a un sicuro predominio dell'Adriatico, i tentati patti d'amicizia con la Iugoslavia sono dopo qualche anno caduti, contro lo stesso interesse di questo paese che trova nell'Italia il massimo sbocco dei suoi traffici. Dal lato della Francia la politica mediterranea dell'Italia conta alcune questioni assai gravi, tuttora aperte malgrado le promesse fatte nell'ora del pericolo. Principali sono:1. lo statuto degl'Italiani in Tunisia, tuttora soggetti a un regime provvisorio tacitamente prorogato fra brevissime scadenze; 2. la definizione dei confini libici nel Sud-Ovest e Sud; 3. l'accordo sulle reciproche proporzioni degli armamenti navali, negandosi dalla Francia il principio di una necessaria parità dell'Italia con qualsiasi altra potenza mediterranea, pur accettata una prima volta alla conferenza di Washington. Attenta cura esige infine dall'Italia l'opera di snazionalizzazione dei suoi figli tentata pertinacemente in molti paesi, anzitutto in Francia e nelle sue dipendenze, in Dalmazia e a Malta. Per contrasto il prestigio morale e culturale di Roma e del regime fascista, che ne irraggia la potenza moralizzatrice e costruttrice, chiamano da ogni parte gli spiriti verso di essa, che ritorna in ogni più alta sfera il centro ideale del mondo mediterraneo.

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Storia.

Una vita mediterranea, intesa nel senso dell'esistenza di genti che sulle rive e nelle isole del Mediterraneo erano giunte a un certo grado d'organizzazione e di civiltà e a un'attività di scambi e di contatti attraverso il mare, può ormai essere accertata per l'età neolitica nell'ambito del bacino occidentale, e ciò in seguito ai risultati degli scavi compiuti in regioni dell'Africa nord-occidentale, della Spagna settentrionale, della Francia, in Liguria, in Sardegna, nelle Baleari.

Ma la regione mediterranea nella quale maturarono le prime grandi civiltà e organizzazioni statali la cui storia può essere ricostruita, sia pure a grandi linee per le epoche più antiche, resta sempre quella le cui rive si affacciano al Mediterraneo orientale e all'Egeo. Qui accanto alle civiltà formatesi dai millenni quinto e quarto a. C. sulle rive del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate e giunte attraverso il loro sviluppo politico a un'attività mediterranea, fiorì e crebbe quel popolo egeo-minoico la cui importanza, con centro a Creta, si delinea grande già nel terzo millennio a. C. e continua fino alla metà del secondo. Per opera di questo popolo, al quale deve ormai essere attribuito il vanto, già per lungo tempo attribuito ai Fenici, di avere per primo creato nel Mediterraneo orientale una solida potenza mercantile marinara, si ebbe una luminosa fase di vita e di storia mediterranea, nella quale il gran mare interno esplicò per la prima volta, in misura impressionante, la funzione di tramite per i contatti fra le genti di tre continenti.

Successivamente salivano a grande attività e civiltà lungo le coste dell'Asia mediterranea i Fenici, protesi dalla loro striscia di terra rupestre e portuosa verso il mare a trarne vita e ricchezza. Le straordinarie attività mercantili e marinare dei nuclei fenici si rivelano soprattutto nelle iniziative e nelle attività che partirono da Sidone e da Tiro. La fondazione di Cartagine, creatrice a sua volta d'un grande dominio mediterraneo, avvenuta per opera dei Tirî nel sec. IX, è l'espressione caratteristica di quell'attività marinara, espansiva, colonizzatrice fenicia, che si esplicò per lunghi secoli, dal XV all'VIII a. C., predominante nel Mediterraneo, anche quando le vicende politiche sottoponevano i Fenici al dominio degl'imperi formatisi alle spalle del loro territorio, e alla quale la vita mediterranea e la scienza nautica antica sono debitrici di progressi decisivi.

Lo sviluppo delle attività marinare dei Fenici venne a intrecciarsi nel Mediterraneo orientale col tramonto della civiltà egeocretese e col sorgere della civiltà micenea, che ebbe il suo centro d'origine nella regione intorno al Golfo dell'Argolide, a Micene, a Tirinto, a Orcomeno, ad Argo, e la sua sfera d'irradiazione nelle isole e fin sulle coste dell'Asia Minore, dove nella zona vicina all'imboccatura dell'Ellesponto si era sviluppato un altro centro di potenza e di civiltà, esso pure notevole e con caratteri affini ai micenei: il centro asiatico che faceva capo a Troia. La civiltà micenea erede, per certi caratteri e forme, della civiltà egeo-cretese crollata verso il 1400 a. C., ne continuò le attività marinare, specialmente verso le coste dell'Asia Minore e verso l'Ellesponto, arrivando nel sec. XII a. C. all'urto con il regno di Troia, e alle lotte rese immortali dall'epos omerico. In esse, al di là dell'episodio leggendario al cui centro sono Paride ed Elena, è da vedere la prima manifestazione delle lotte per il possesso e il controllo degli Stretti e delle vie verso il Mar Nero e la Russia meridionale, lotte destinate a rinnovarsi attraverso i secoli e i millenni fino ai nostri giorni e ad avere tanta importanza nella storia mediterranea. L'urto, se finì con la distruzione del regno asiatico, infiacchì anche le energie degli assalitori, come è legittimo arguire dal fatto che nel periodo successivo alla caduta di Troia, anche la civiltà e la potenza micenea si avviarono al tramonto tra la fine del XII e il sec. XI. Si apre allora l'epoca tumultuosa e oscura nella quale le regioni, già centro della civiltà micenea, subiscono l'invasione cosiddetta dorica, apportatrice di genti nuove e guerriere, che conoscevano il ferro, e di sconvolgimenti, tra i quali la civiltà micenea crolla del tutto e le forme di vita regrediscono e decadono, e comincia un faticoso travaglio d'adattamento tra elementi vecchi e nuovi, destinato a sboccare, dopo circa tre secoli, nella formazione del nuovo popolo greco. In questo periodo dalle regioni, alle quali si può ormai dare il nome di Ellade, si determina un primo movimento migratorio che, attraverso le isole gettate come piloni d'un grande ponte sull'Egeo, porta gruppi di genti greche a insediarsi sulle coste dell'Asia Minore in stretto contatto con gli elementi e gli organismi asiatici del retroterra, tra i quali doveva poi emergere e predominare il regno di Lidia.

All'inizio del primo millennio a. C. l'Egeo è quindi nel Mediterraneo orientale il centro d'una vita intensa, nella quale confluiscono, insieme con le tracce delle spente civiltà di Creta e di Micene elementi egiziani e fenici, propaggini dei grandi imperi succedutisi nelle regioni della Mesopotamia e della Cappadocia, e le energie del nuovo popolo che si sta formando nella parte meridionale della Penisola Balcanica e tende a propagarsi nelle isole e nelle coste dell'Asia Minore. In questo mondo in fermento, ricco di tracce gloriose di antiche civiltà e di giovani fresche energie, fiorisce la poesia omerica, che specialmente nei canti dell'Odissea è l'esaltazione dell'importanza raggiunta dal Mediterraneo come centro di vita e via di comunicazione tra i popoli.

Il vigore espansivo degl'Indoeuropei verso il Mediterraneo si manifestò dal sec. VIII in poi sia con la formazione e l'ascesa delle genti greche e della loro civiltà, che si propagarono anche verso la Sicilia, l'Italia meridionale e la Gallia, sia con l'ascesa delle genti di Media e di Persia avanzanti dall'altipiano iranico. La potenza persiana, sovrappostasi a quella dei Medi alla metà del sec. VI, aveva presto ragione delle resistenze dell'ultimo impero babilonese e ne conquistava i territorî, donde con rapidi balzi successivi riusciva a estendersi su tutto il regno di Lidia (546), sulle terre di Siria e di Fenicia, e infine sull'Egitto ormai decaduto dall'antica potenza (525). Sorgeva così l'immenso impero dei Persiani, che sotto la preminenza e la direzione d'una stirpe aria conglobava le genti, quasi tutte di razza semitica, popolanti le regioni verso il Mediterraneo orientale, e dava inizio a un'altra fase importantissima di vita mediterranea, nella quale ha posto anche il famoso urto greco-persiano, preparato dai contrasti che l'espansionismo dei Persi nell'Asia Minore venne a sollevare con le popolazioni greche della costa dell'Asia Minore e delle isole.

Intanto, nel centro del Mediterraneo anche la penisola italiana si era avviata a risveglio di vita e di civiltà. Greci, Fenici ed Etruschi, variamente insediati fra il sec. VIII e il VI nelle regioni italiche, tendevano del pari a un'attività marinara, non solo di traffici ma anche di ulteriori espansioni e conquiste. Da ciò contrasti e conflitti, finché la lotta di predominio sul Tirreno venne a circoscriversi fra la più potente colonia greca, la dorica Siracusa, e la più potente colonia fenicia, la tiria Cartagine, che già si erano affrontate a Imera nel 480 in uno scontro in cui la vittoria era rimasta ai Siracusani.

Questo conflitto punico-siracusano nel Mediterraneo centrale si trovò a coincidere col conflitto di più vasta risonanza greco-persiano nell'Egeo. La vittoria siracusana d'Imera, che ricacciò i Punici dalla Sicilia orientale e dalle agognate rive dello Stretto di Messina, è dello stesso anno della vittoria ateniese di Salamina, che ricacciò le armate di Serse dalle coste dell'Attica. Le ulteriori fasi e vicende delle lotte punico-siracusane nelle terre e nelle acque di Sicilia si svilupperanno dalla fine del sec. V alla fine del IV, culminando con le spedizioni di Agatocle in terra d'Africa, delle quali si può a buon diritto affermare che segnarono le vie ad Attilio Regolo e a Scipione. Nello stesso periodo nel Mediterraneo orientale il conflitto greco-persiano passava dalla fase in cui l'iniziativa e l'azione offensiva erano state dei Persiani, alla fase opposta, finché sullo scorcio del sec. IV la forte monarchia militare formatasi in Macedonia riusciva a riunire in un fascio sotto la guida di Alessandro le genti e le energie elleniche, e le conduceva alla grande gesta antipersiana che, iniziatasi in Asia Minore, doveva procedere nel breve giro d'un decennio fino al Nilo e fino all'Indo, abbattendo l'impero di Ciro e di Dario e creando, sotto l'insegna e l'impronta dell'ellenismo, l'immenso dominio che comprendeva dalla Penisola Balcanica fino al Golfo Sirtico tutte le coste e le terre europee, asiatiche e africane gravitanti nel bacino orientale del Mediterraneo; costruzione colossale, sorpassante di gran lunga per vastità e per mole gl'imperi mediterranei delle epoche precedenti: l'egiziano, il babilonese, l'assiro, il persiano.

Se la costruzione colossale non sopravvisse alla morte precoce del grande creatore (323 a. C.), sui suoi frammenti, dopo un cinquantennio di sconvolgimenti e di lotte, riuscirono a formarsi e a consolidarsi organismi politici e statali nei quali l'impronta ellenica, pur mescolandosi con i caratteri locali, permaneva evidente, tanto da poter permettere di affermare con ragione che la gesta straordinaria di Alessandro aveva avuto come conseguenza durevole e importantissima l'ellenizzazione del mondo gravitante sul bacino orientale del Mediterraneo. Vediamo infatti all'inizio del sec. III a. C., in tale bacino, le tre grandi monarchie ellenistiche d'Egitto, di Siria, di Macedonia, e accanto ad esse in Asia Minore stati secondari come il regno di Pergamo, in Grecia e nelle isole città indipendenti e leghe quali l'etolica e l'achea. Tutto questo vasto mondo, travagliato da contrasti e da rivalità, crea nel Mediterraneo orientale una situazione agitata, destinata a placarsi e a sistemarsi in un ordine nuovo e più solido di quello creato da Alessandro, solo quando avanzerà da occidente la forza unificatrice e la disciplina di Roma.

Questa forza si era venuta lentamente ma incessantemente preparando nell'Italia centrale sulle rovine dell'antica potenza umbra ed etrusca, mentre Siracusa e Cartagine erano impegnate e assorbite nelle alterme vicende del loro secolare conflitto. E Roma si presenta a prendere nella lotta antipunica il posto di Siracusa quando dopo il periodo di Agatocle, morto nel 289, la potenza siracusana era in irreparabile declino. Cartagine appariva allora con i suoi possessi africani disseminati dal confine cirenaico fino allo Stretto di Gibilterra e con le sue occupazioni strategiche e mercantili nelle coste iberiche e nelle grandi isole tirreniche, la maggiore potenza del Mediterraneo occidentale, mentre Roma cominciava appena a sviluppare una certa attività marinara in seguito all'estensione del suo dominio sulle ponolazioni mercantili e marinare dell'Italia meridionale, i cui interessi dovevano da Roma essere tutelati. Fra la talassocrazia cartaginese, tendente dopo il declino di Siracusa a impadronirsi anche della Sicilia e dello stretto di Messina, e l'iniziata attività mercantile e marinara di Roma chiamata a un'azione mediterranea dagl'interessi di una parte importante e vitale del suo dominio, il conflitto era inevitabile.

Scoppiò infatti nel 265 a. C. e durò accanito per più di un secolo fino alla distruzione di Cartagine (146 a. C.), allargandosi dal Mediterraneo centrale verso l'occidentale e verso l'orientale attraverso una fatale concatenazione di eventi.

Caduta Cartagine, le occupazioni compiute e le influenze esercitate da Roma nelle grandi isole mediterranee sulle coste della Provenza, della Spagna, dell'Africa del Nord, della Siria, dell'Asia Minore e della Grecia avevano creato le fortissime basi dell'unità mediterranea romana, che si completerà con le conquiste di Cesare e di Ottaviano al momento della costituzione dell'impero. Da quel momento, per circa quattro secoli, la vita e la storia del Mediterraneo si assommano nelle vicende e nello sviluppo della. civiltà e dell'organizzazione politica e sociale dello stato romano. E questo Mediterraneo unitario romano diviene anche il campo propizio per la propagazione della religione di Cristo, che, affermatasi sulle coste orientali, trova, nei mezzi di comunicazione e negli ordinamenti creati da Roma, le vie per diffondersi rapidamente verso occidente e per preparare il proprio trionfo.

La grandiosità e la forza della costruzione, con la quale Roma aveva risolto a vantaggio suo e della civiltà il problema del Mediterraneo nel mondo antico, si rivelarono non soltanto nei secoli dello splendore e della potenza dell'impero, ma anche nelle impronte e nelle tracce che ne restarono nei periodi successivi al crollo di tale potenza, e ciò dal sec. V in poi. In quel secolo il complesso dei paesi e dei popoli affacciantisi sul bacino orientale del Mediterraneo, in cui l'impronta ellenica ed ellenistica era rimasta più viva, si staccano definitivamente dal complesso dell'impero per organizzarsi in una vita a sé intorno alla nuova Roma, Costantinopoli, mentre i paesi del Mediterraneo occidentale diventano l'uno dopo l'altro, dall'Africa del Nord alla Spagna, alla Gallia, alla stessa Italia, campi d'avanzata e d'occupazione dei popoli germanici: Vandali, Visigoti, Svevi, Burgundi, Franchi, Ostrogoti, calanti dalle loro fredde e selvagge regioni verso il sole e la civiltà del Mediterraneo. Ma anche fra questi barbari invasori e conquistatori l'impronta romana non viene distrutta, anzi s'impone: i regni da loro fondati si basano in parte sugli ordinamenti e le leggi di Roma, si chiamano regni romano-barbarici, e uno dei loro principi, Teodorico, vagheggia il sogno della riunione dei varî regni con legami che in certo senso facciano rivivere nel Mediterraneo occidentale l'unità del sistema di Roma. Intanto un tentativo per ricostruire completamente tale unità si prepara a Costantinopoli per opera dell'imperatore Giustiniano (526-565), che riconquista all'impero l'Africa, l'Italia, parte della Spagna occidentale. Ma questo tentativo di ricostituzione dell'unità mediterranea cade con la morte dell'imperatore, mentre nuovi barbari, i Longobardi, occupano una parte della penisola italiana e mentre nella lontana Arabia nasce Maometto, animatore d'un formidabile movimento religioso e politico, destinato a portare profondi sconvolgimenti nella situazione e nella storia del Mediterraneo.

Dal sec. VII al IX secolo, infatti, l'islamismo appare come la forza più importante nel Mediterraneo. Affacciatosi sulle rive orientali in Siria subito dopo la morte del profeta (632), in settanta anni il movimento islamico - a potenziare il quale e ad avviarlo a mirabili forme di civiltà contribuirono, accanto all'elemento arabo, elementi siriaci, persiani, egiziani, accomunati nella fede e nell'ardore di conquista - si propaga a nord verso l'Asia Minore tendendo a Costantinopoli, si estende dall'altra parte verso sud varcando il deserto sinaitico e conquistando tutta l'Africa settentrionale e risalendo poi nella Penisola Iberica fino alle catene dei Pirenei. Nell'anno 717, quando le schiere islamiche da una parte sono all'attacco di Costantinopoli e dall'altra parte varcano i Pirenei puntando verso il cuore della Francia, il movimento islamico si presenta come un formidabile tentativo per avviluppare tutto il bacino del Mediterraneo, ricongiungendo nelle terre d'Europa le due punte estreme del duplice sforzo tentato da ovest e da est; tentativo che, se fosse riuscito, avrebbe reso il Mediterraneo un lago islamico, come nei secoli precedenti era stato un lago romano.

La caduta del tentativo, determinata a est dalla resistenza vittoriosa di Costantinopoli e ad ovest dal trionfo di Carlo Martello a Poitiers, lasciò però l'islamismo padrone della Siria, dell'Africa settentrionale e della Spagna, e capace di conquistare e di mantenere le grandi isole da Cipro alle Baleari, mentre il cristianesimo si manteneva nelle rimanenti zone mediterranee. Dai centri islamici del Mediterraneo s'irraggiava una grande luce di civiltà e di floridezza, della quale a stento poteva reggere il paragone Costantinopoli rimasta pur sempre metropoli importantissima, mentre il mondo cristiano del Mediterraneo occidentale era nel faticoso travaglio di elaborazione d'una nuova civiltà attraverso la commistione degli elementi romani e barbarici. Da quel travaglio si levò primamente l'annuncio d'una nuova luce, quando Carlomagno strinse in unità nel Mediterraneo occidentale Italia, Francia e parte della Spagna, e rinnovò con l'incoronazione a Roma l'impero; e la luce divenne vivida e piena quando nel sec. XI, dietro le orme segnate dalle repubbliche marinare italiane con le lotte antimusulmane nelle isole tirreniche e nell'Africa del nord, il cristianesimo occidentale mosse alla riscossa contro l'islamismo e all'avanzata verso oriente attraverso l'epopea delle crociate (secoli XI-XIII).

Una nuova vita mediterranea si apre allora con i contatti tra Occidente e Oriente e con gl'insediamenti di quartieri e di colonie occidentali, soprattutto italiane, sulle coste musulmane dell'Africa e dell'Asia, mentre anche l'impero bizantino era penetrato e in parte dominato dai mercanti e dalle iniziative occidentali e doveva subire Genovesi, Pisani, Veneziani, insediati nell'Egeo, nel Bosforo e nel Mar Nero. È l'epoca nella quale le merci e i prodotti dell'India e dell'Estremo Oriente arrivando in quantità sempre più copiosa attraverso l'Asia occidentale o il Mar Rosso ai porti siriaci o egiziani, si diffondono nei paesi d'Europa attraverso il Mediterraneo, soprattutto per il tramite dei mercanti e dei navigatori italiani. Ai contatti e agli scambî economici s'intrecciarono contatti e scambî artistici e culturali, per cui gl'influssi orientali poterono penetrare in occidente accentuandovi il ritmo di sviluppo della civiltà. Di questa nuova vita mediterranea trasse i maggiori vantaggi l'Italia, assurgente tra gli splendori del Rinascimento al primato economico e artistico in Europa (secoli XIV e XV). Ma intanto nel Mediterraneo occidentale si formano, uscendo vittoriose dal secolare travaglio di lotte contro feudatarî inglesi e musulmani, le due forti monarchie nazionali di Francia e di Spagna, l'una e l'altra protese verso un'espansione mediterranea i cui possibili campi si trovano nell'Africa settentrionale e purtroppo anche nella penisola italiana; e ciò, mentre nel Mediterraneo orientale, contro l'impero bizantino indebolito e smozzicato dai colpi subiti per opera sia dei musulmani sia dei crociati occidentali, e dallo sviluppo aggressivo degli stati dei Serbi e dei Bulgari, si avanzano, distruttori ed eredi, i Turchi Osmanli. E queste trasformazioni nella situazione mediterranea si trovano a coincidere con lo sviluppo delle attività. di navigazione e di scoperta nell'Oceano Atlantico, le cui ripercussioni dovevano essere gravissime nella situazione mediterranea.

Tra la fine del sec. XV e la prima metà del sec. XVI le trasformazioni si presentano nel loro aspetto più completo e impressionante. Nel bacino orientale l'impero turco si estende dalla Penisola Balcanica alla Libia su tutto l'immenso arco di territori europei, asiatici e africani che già erano appartenuti all'impero romano d'Oriente; e la forza dei sultani si fa sentire anche sulla costa africana oltre la Libia, nelle terre di Tunisia, d'Algeria, di Marocco, fomentandovi e armandovi le resistenze contro i tentativi di avanzata spagnola, mentre sbarra agli occidentali con limitazioni e vessazioni e violenze le possibilità di sfruttamento dei mercati orientali, danneggiando soprattutto l'economia italiana. Nel bacino occidentale la lotta di supremazia tra Spagna e Francia si chiude a vantaggio della prima, che rimane predominante nella penisola e nelle isole italiane e mantiene alcuni punti d'appoggio nell'Africa del Nord, e con Filippo II capeggia il tentativo, di cui fu gran parte Venezia e di cui la vittoria di Lepanto (1571) fu il coronamento, per arrestare la minacciosa avanzata mediterranea dei Turchi dal bacino orientale all'occidentale. Il Mediterraneo rimane allora come diviso tra il predominio turco a est e il predominio spagnolo a ovest, mentre delle repubbliche italiane che tanta parte avevano avuto nella precedente fase storica, l'una, Genova, entra nell'orbita spagnola, l'altra, Venezia, profonde invano tesori di energie nella lotta per salvare dai Turchi i possessi insulari nel Mediterraneo orientale (Negroponte, Cipro, Candia). Ma intanto le nuove vie verso l'India scoperte dai Portoghesi lungo l'Africa, e la valorizzazione dei continenti americani oltre l'Atlantico, avevano spostato il centro della vita e dell'attività europea di là dallo Stretto di Gibilterra, togliendo al Mediterraneo gran parte dell'importanza avuta fino dai tempi più remoti, e colpendo con ciò alle basi la prosperità della penisola italiana, per la quale si aprono i tristi secoli della servitù politica e della decadenza economica.

La situazione mediterranea così formatasi subì mutamenti notevoli, e gravidi di ripercussioni profonde, all'inizio del sec. XVIII. A questo momento con le occupazioni di Gibilterra e di Minorca, sanzionate dal trattato di Utrecht (1713), l'Inghilterra, ormai divenuta la più forte potenza marinara e coloniale del mondo e vittoriosa contro la Francia e la Spagna, s'insediò nel Mediterraneo occidentale, cominciando a esercitarvi un'azione che durante tutto il secolo XVIII sarà costantemente diretta a opporsi alle monarchie borboniche di Francia e di Spagna. Nello stesso tempo, con la decadenza dell'impero ottomano e con l'avanzata dei Romanov verso il Mar Nero e il Bosforo e degli Asburgo verso l'Adriatico e il basso Danubio, si delinearono nel Mediterraneo orientale i nuovi aspetti della "questione d'Oriente" che mentre nel periodo precedente era stata caratterizzata dalla minaccia turca verso occidente, dal secolo XVIII in poi avrà come caratteri gli sviluppi dell'espansionismo delle grandi potenze verso i possessi ottomani, i loro accordi e rivalità e intrighi a Costantinopoli; il tutto destinato poi a complicarsi nel secolo XIX col risveglio e con i movimenti di riscossa delle nazionalità balcaniche.

La situazione di rivalità franco-inglese accentuatasi nella seconda metà del sec. XVIII attraverso le vicende delle guerre dei Sette anni e dell'indipendenza americana, sboccò durante il periodo rivoluzionario e napoleonico nel gigantesco conflitto che sconvolse anche la situazione mediterranea, in quanto diede per un certo momento alla Francia napoleonica una formidabile posizione col predominio in Spagna, nella penisola italiana, nelle coste adriatiche orientali, cui l'Inghilterra contrapponeva l'occupazione di Malta a rinforzo di quella di Gibilterra, e la prevalenza in Sicilia e in Sardegna, dove s'erano rifugiati Borboni e Savoia cacciati da Napoli e da Torino. Intanto nel bacino orientale aumentava ai danni dell'ormai vacillante impero turco la potenza della Russia, che si rafforzava verso il Mar Nero e proclamava le proprie aspirazioni su Costantinopoli e sugli Stretti e affermava la propria influenza sugli Slavi balcanici soggetti al sultano, fomentando e aiutando fra essi i tentativi di rivolta.

Concluso al Congresso di Vienna il turbinoso periodo dei rivolgimenti napoleonici, la situazione mediterranea registrò sul crollo del predominio francese un rafforzamento della posizione dell'Inghilterra, che non abbandonò Malta e tenne il protettorato sulle Ionie, e che, sospettosa ormai non più soltanto dell'espansionismo francese nel Mediterraneo occidentale, ma anche di quello russo nel Mediterraneo orientale, sulle vie dell'India, impostò la propria politica mediterranea in senso antifrancese in occidente, in senso antirusso in oriente, facendo perno sull'Austria, rivale della Francia nella penisola italiana e della Russia nella Penisola Balcanica. Ma accanto al problema italiano nel bacino occidentale e al problema balcanico nell'orientale, l'uno e l'altro suscitati e resi sempre più ardenti dallo sviluppo dei movimenti di nazionalità, si delineò un'altra serie di problemi mediterranei in seguito alla formazione e allo sviluppo di tendenze espansioniste europee sui territorî dell'Africa del Nord, dove i varî dominî musulmani, sia quelli in diretta dipendenza, sia quelli situati sotto una specie di alta sovranità del sultano, erano in piena decadenza. Di questo espansionismo europeo nell'Africa del Nord, destinato ad avere tanti sviluppi e a suscitare tante complicazioni fino ad oggi fu prima manifestazione l'impresa francese in Algeria (1830). Intanto, la formazione di nuovi stati balcanici (Serbia, Grecia) e il distacco dell'Egitto e la pressione della Russia sul Mar Nero e sugli Stretti mutavano profondamente la situazione nel Mediterraneo orientale, indebolendo la Turchia al punto da rendere possibile alla Russia nel 1853 il tentativo di liquidazione definitiva dell'impero ottomano e di calata al Mediterraneo, tentativo così pericoloso per le grandi potenze occidentali da determinare la loro unione a difesa della Turchia e per ricacciare la Russia dagli Stretti e rinserrarla e paralizzarla nel Mar Nero (guerra di Crimea, 1853-56). In questo stesso periodo nel bacino occidentale la crescente forza del movimento nazionale italiano preparava la formazione di un nuovo grande stato, e con ciò uno spostamento profondo della situazione.

Ma l'avvenimento che determinò il più radicale mutamento nella situazione mediterranea nel sec. XIX fu senza dubbio l'apertura del Canale di Suez (1869), che, creando una nuova via di diretta comunicazione marittima verso l'Asia meridionale e orientale, e cioè verso una delle mete dell'espansionismo europeo, ridiede al Mediterraneo gran parte dell'importanza avuta fino al sec. XVI e perduta per effetto della valorizzazione dell'Atlantico. Si aprì allora un periodo d'intensa vita mediterranea, caratterizzato da un enorme sviluppo di attività marinare e di traffici, dall'ascesa dei nuovi stati balcanici e soprattutto dell'Italia, da un'accentuata penetrazione europea nelle coste mediterranee asiatiche e africane, e da una febbrile attività politica internazionale, nella quale, accanto alle vecchie grandi potenze quali l'Inghilterra, la Russia, la Francia e l'Austria, entrano risolutamente anche l'Italia e la Germania. Tali aspetti della nuova situazione mediterranea appaiono in evidenza caratteristica nel decennio denso di eventi 1878-1887: il decennio del Congresso di Berlino, dell'occupazione inglese a Cipro e in Egitto e austriaca in Bosnia-Erzegovina, dell'insediamento francese in Tunisia, e della formazione della Triplice, fiancheggiata dall'Inghilterra di fronte alla Francia e alla Russia, le quali alla loro volta si avvicinano nel sistema della Duplice costituito nel 1892.

Questa situazione mediterranea continuò ad essere dominata nel bacino orientale dal contrasto anglo-russo e austro-russo e nel bacino occidentale dal contrasto anglo-francese, cui era venuto ad aggiungersi, in seguito all'insediamento della Francia in Tunisia, un contrasto italo-francese.

Ma all'inizio del secolo successivo lo sviluppo minaccioso dell'imperialismo tedesco, al quale gli Asburgo si erano legati in stretta solidarietà, determina un radicale mutamento, i cui caratteri sono visibili attraverso le due pericolose crisi del Marocco (1905-11) e della Bosnia-Erzegovina (1908-1909). Nel Mediterraneo occidentale la minaccia tedesca come preoccupa Parigi e Londra, così influisce a fare attutire la lunga rivalità anglo-francese, e ciò crea un'atmosfera nuova in cui non solo è possibile l'accordo tra l'Inghilterra e la Francia, ma sorgono anche altri patti italo-francesi, italo-inglesi e franco-spagnoli, in base ai quali vengono regolati rispettivamente a favore delle aspirazioni franco-spagnole, italiane, britanniche i problemi del Marocco, della Tripolitania-Cirenaica, dell'Egitto. Nel Mediterraneo orientale il progressivo accaparramento del vacillante impero turco per parte della politica della Germania insediantesi come potenza predominante a Costantinopoli e nell'Asia anteriore (ferrovia di Baghdād) e appoggiante le aspirazioni austriache a intensificare il Drang nach Osten, determina il ravvicinamento anglo-russo e l'appoggio concorde di Pietroburgo, di Londra e di Parigi al movimento di riscossa degli stati balcanici contro la Turchia, sboccato nelle guerre balcaniche del 1912-13. Così, al momento dello scoppio della guerra mondiale, nella situazione mediterranea si vede realizzato un sistema anglo-franco-italo-russo in contrapposizione agl'Imperi centrali e all'impero turco ridotto assai di territorio e di potenza, mentre la Penisola Balcanica è tutta organizzata in stati liberi e mentre l'Italia, insediata vittoriosamente in Libia e nelle isole del Dodecaneso, tende a esplicare un'attività mediterranea dal bacino occidentale verso l'orientale, sulle stesse vie già percorse con tanta gloria da Roma e dalle repubbliche marinare.

Alla fine della guerra mondiale, l'annichilimento della potenza tedesca e i crolli degl'imperi asburgico, russo e ottomano hanno determinato una nuova situazione mediterranea, tra i cui caratteri salienti troviamo, accanto alla distruzione quasi completa della dominazione turca in Europa, la formazione d'una nuova Turchia, solida e compatta in Asia Minore e nella zona degli Stretti, la preparazione di uno stato siriano, sia pure sotto il controllo della Francia, l'avviamento dell'Egitto all'indipendenza anche se entro limitazioni imposte dall'Inghilterra. Sono forze asiatiche e africane risvegliate e organizzantisi di fronte alle forze europee. Tra queste ultime si trova ormai in prima linea l'Italia, sicura nei suoi possessi dell'Africa settentrionale e dell'Egeo, protesa verso il Mediterraneo orientale a esercitarvi quella pacifica e feconda espansione di lavoro e di civiltà in cui rivivono le tradizioni più gloriose di Roma e del Rinascimento: l'Italia nuova, degna dell'antica e ritornata, come l'antica, protagonista nella storia del Mediterraneo.

Bibl.: O. Pedrazzi, Il Levante Mediterraneo e l'Italia, Milano 1925; G. Ambrosini, L'Italia nel Mediterraneo, Foligno 1927; G. De Luigi, Il Mediterraneo nella politica europea, Napoli 1927; U. Morichini, La civiltà mediterranea, Milano 1928; G. Vannutelli, Il Mediterraneo fonte della civiltà mondiale, Firenze 1932; E. W. Neumann, The Mediterranean and its problems, Londra 1927; Ch. Benoist, La question méditerranéenne, Parigi 1928; P. Herre, Weltgeschichte am Mittelmeer, Potsdam 1930; P. Silva, Il Mediterraneo dall'unità di Roma all'unità d'Italia, 2ª ed., Milano 1933.

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