MECCA

Enciclopedia Italiana (1934)

MECCA (arabo Makkah; A. T., 91)

Ferdinando MILONE
Ernst KUHNEL
Giorgio LEVI DELLA VIDA

È la città santa dell'islamismo, alla quale convengono, almeno una volta nella loro vita, tutti i fedeli che ne abbiano la materiaie possibilità. Situata a 21° 30′ di lat. N. e 40° 20′ all'incirca di longitudine E., a poco meno di un centinaio di km. dalla sponda orientale del Mar Rosso, è oggi una delle due capitali dell'Arabia Saudiana.

L'affluenza dei pellegrini - un centinaio di migliaia l'anno - viene circa a raddoppiare la popolazione della città, valutata, secondo le più recenti e accurate statistiche, a 130.000 ab. circa. E poiché la regione è eminentemente povera ger agricoltura e priva quasi del tutto d'industrie, se si eccettuino le poche fabbriche di ceramiche e di oggetti religiosi, basterebbe il solo rifornimento dei viveri ad alimentare un intenso commercio. Tale bisogno di viveri, unito alle possibilità di scambio che offre l'affluire di gente d'ogni parte del mondo musulmano, trasforma la città, nei periodi dei pellegrinaggi, in uno dei più grandi mercati dell'Oriente.

La città si trova a 360 m. s. m., a occidente dell'orlo rialzato dell'altopiano arabico, tra brulle colline di roccia cristallina e ampie distese sabbiose. Nelle sabbie si disperdono, di solito, le acque del uadi nel cui letto sorse la Mecca; ma talora, arricchite dalle piogge per effetto dei monsoni provenienti dal mare, esse scorrono impetuose, e più di una volta arrecarono gravi danni alla città.

Questa si presenta allo straniero assai meglio delle altre città dell'Oriente: le strade, per dar sfocio alla fiumana di pellegrini che vi si riversano nei tre mesi dopo il ramadān, sono ampie e ben battute; non prive di bellezza artistica le case, quasi sempre di pietra. La città, però, è incapace di contenere la popolazione che vi si agglomera in quel periodo dell'anno e che in buona parte si riversa sotto misere tende, alla periferia. La Mecca ha forma trapezoidale ed è divisa dalla Grande Moschea in città alta e città bassa; la domina poco discosta, nel SE., una fortezza quadrangolare. La principale meta dei pellegrini è la Grande Moschea. Specie nei tempi andati, un simile ammassamento di individui di diversa provenienza, per lo più sudici, malnutriti e indeboliti per il lungo cammino attraverso le sabbie del deserto sotto i raggi ardenti del sole, provocava gravi epidemie, che oggi la vigilanza sanitaria degli Europei cerca, per quanto possibile, di evitare.

La Grande Moschea (al-masgid al-ḥarām) è sita nell'abitato in una depressione del terreno. Il gigantesco cortile, circondato da portici, con 150 cupolette, è decorato da sette minareti di stile osmanlio: ebbe l'attuale aspetto all'epoca del Sultano Selīm II (1522-77). In un recinto interno lastricato si trova la Ka'bah, cubo in pietra grigia, le cui pareti esterne sono ricoperte da un tappeto (kiswah) nero a iscrizioni ricamate. Ha il tetto sostenuto all'interno da tre colonne lignee; nell'angolo orientale vi si conserva la "pietra nera", considerata dagli Arabi reliquia nazionale ancor prima dell'introduzione dell'islamismo. Vi sorge accanto un muro semicircolare e intorno si stende un porticato con un ampio portone. Nel cortile della moschea si trovano inoltre: la sacra fonte Zemzem, che guarisce ogni male, il pulpito (minbar), il "sepolcro di Abramo" (Maqām Ibrāhīm), piccolo padiglione a cupola, e le tombe (maqām) degl'imān delle tendenze ortodosse islamiche, formate di semplici tettoie. Questi diversi edifici minori non sono disposti secondo un piano prestabilito, ma ditribuiti abbastanza arbitrariamente nel grande cortile; sì che l'intero complesso non potrebbe venir definito moschea nel senso architettonico.

Il sacro luogo fu destinato da Maometto a moschea nel 630 ed ebbe già nel 683 l'attuale sistemazione; fu però poi ampliato con la demolizione delle case circostanti e arricchito di alcuni dei ricordati edifici.

Storia. - Per quanto leggende, che in parte devono essere anteriori all'islamismo, ma che da esso ricevettero ampliamenti e diffusione, mettano in rapporto le origini storiche della Mecca e del culto della Ka‛bah (v.) con personaggi biblici (Abramo, Ismaele), nulla di sicuro si conosce intorno all'origine e alla storia di questa città fino a tempi di poco anteriori alla predicazione di Maometto. Perfino la sola notizia che sarebbe tramandata al suo proposito nella tradizione classica (la sua menzione in Tolomeo col nome di Macoraba) è tutt'altro che sicura. Sembra accertato che, in epoca imprecisata, ma forse in relazione col decadere dei regni dell'Arabia meridionale, a uno strato già antico della popolazione meccana si sia sovrapposta la tribù dei Quraish o Coreisciti, d'incerta origine, e che questa a sua volta abbia subito una trasformazione sociale, politica e religiosa per il sopravvenire di altri elementi provenienti dall'Arabia del nord (il semileggendario Quşayy, i cui discendenti avevano in tempi storici il monopolio del culto della Ka‛bah). Certo è che a questo culto, connesso senza dubbio con la presenza d'una sorgente, il pozzo di Zemzem, la Mecca dovette la propria importanza, non meno che al commercio carovaniero, organizzato da alcune famiglie della tribù dei Quraish le quali costituivano, con la loro preponderanza economica, una specie di governo oligarchico. Nell'allestimento delle carovane, per mezzo delle quali, dopo la caduta del regno dei Nabatei (v.) e di quello dei Liḥyān successo a questo, si compiva il commercio di transito tra l'Arabia meridionale e la Siria e la Mesopotamia, i Meccani trovavano la principale fonte della loro ricchezza; ma importanza non minore, anche dal punto di vista economico, aveva il pellegrinaggio annuale alla Ka'bah e la fiera che vi era connessa. La tradizione storiografica parla di minacce venute all'indipendenza meccana da parte degli Abissini stanziatisi nell'Arabia meridionale (v. etiopia: Storia), delle quali celebre specialmente la cosiddetta "spedizione dell'Elefante" che avrebbe avuto luogo nel 570 d. C. e certe relazioni, ora ostili ora pacifiche, col regno etiopico di Aksum non mancarono.

Il trionfo dell'islamismo (Maometto rientrò alla Mecca nel 9 eg., 630 d. C., ma non vi si trattenne e mantenne la sua capitale a Medina), facendo del piccolo centro perduto nel deserto arabo la città santa di una religione mondiale, ne aumentò straordinariamente il prestigio, ma non le conferì importanza politica, e ridusse quella economica all'afflusso di danaro portato dai pellegrini. Tagliata fuori dalla vita politica dell'impero arabo, la Mecca fu per un verso centro d'intrighi contro i califfi (sia, da principio, da parte dei membri dell'antica aristocrazia che l'ascesa dei nuovi dirigenti dell'islamismo aveva allontanati dal potere, sia, più tardi, dagli elementi più conservatori contro le tendenze innovatrici della nuova politica imperiale araba) e da essa mossero la ribellione contro il quarto califfo ‛Alī e quella che portò per breve tempo al potere l'anticaliffo Ibn az-Ẓubair; appunto contro questo l'energico ministro degli Omayyadi al-Ḥaggiāǵ (v.) osò portare assedio alla città santa, con grave scandalo dei fedeli (72 eg., 692 d. C.). Anche più tardi, nel 318 eg., 930 d. C., essa fu presa e saccheggiata dai Qarmaṭi, sciiti estremisti. Tuttavia la Mecca mantenne, con la sua posizione religiosa, la sua prosperità economica, e fu fatta segno di ogni sorta di donazioni e di abbellimenti monumentali da parte dei califfi e, più tardi, dei varî sultani dell'orbe musulmano. Col decadere del califfato, alcuni discendenti di ‛Alī, e Fātimah (insigniti in quanto tali del titolo di sceriffi) finirono, nel corso del sec. IV eg., X d. C., con l'acquistare la preminenenza nel governo della città, sostituendovi il governatore di nomina califfale. Se, in alcune circostanze, questo governo degli sceriffi ebbe qualche importanza politica (p. es. sotto Qatādah ibn Idrīs, alla fine del sec. VI eg., XII d. C., capostipite della dinastia mantenutasi fino ai nostri giorni), esso fu per lo più intento a sfruttare economicamente il pellegrinaggio, e accettò senza resistenza le varie dominazioni che si successero nell'Arabia centrale: così quelle degli Ayyūbidi, dei Mamelucchi, finalmente dei Turchi ottomani, i quali dalla conquista delle due città sante (923 eg., 1517 d. C.) videro ratificata la loro aspirazione a ricostituire l'unità dell'impero islamico. La storia della Mecca a partire dal sec. XVI è una serie monotona di contese tra gli sceriffi e i governatori turchi, la cui autorità viene, a seconda delle circostanze, più o meno limitata da quelli; un'importante parentesi è costituita dalla breve ma violenta occupazione dei Wahhābiti (1803-1813), che pose gravi ostacoli al pellegrinaggio e quindi al benessere materiale dei Meccani. La vittoria del pascià d'Egitto Muḥammad ‛Alī sul Wahhābiti ebbe pei conseguenza il temporaneo assoggettamento della Mecca all'Egitto, ma nel 1840 vi fecero ritorno i governatori turchi. L'ultimo degli sceriffi della Mecca, al-Ḥusain ibn ‛Alī, ribellatosi durante lo svolgersi della guerra mondiale al governo ottomano, riuscì a farsi riconoscere dalle potenze europee il titolo di re del Ḥigiāz; ma, vittima della propria ambizione, dovette nel 1924 abbandonare il regno e la sua capitale dinnanzi all'avanzata vittoriosa del sovrano del Neǵd Ibn Saūd. Da allora la Mecca, con resto del Ḥigiāz è rimasta in potere dei Wahhābiti, i quali tuttavia hanno avuto questa volta riguardo agl'interessi economici degli abitanti. Una certa ostilità regna tuttavia ancora, nelle classi dirigenti meccane, che l'abile politica di Ibn Sa‛ūd si sforza di calmare.

Bibl.: E. F. Gautier, Les villes saintes de l'Arabie, in Annales de géogr. 1918; C. E. Rutter, Holy Cities of Arabia, Londra 1928; C. Snouck Hurgronje, Mekka, L'Aia 1888-89, voll. 2, nuova ed. in ingl., Leida 1931.

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