STILLER, Mauritz

Enciclopedia del Cinema (2004)

Stiller, Mauritz (propr. Moshe)

Melania G. Mazzucco

Regista cinematografico, di famiglia di origine russa, naturalizzato svedese, nato a Helsinki il 17 luglio 1883 e morto a Stoccolma l'8 novembre 1928. Autore barocco, epico e immaginifico, geniale sperimentatore di tecniche di ripresa, illuminazione e montaggio, scopritore di Greta Garbo, fu uno dei più originali maestri del cinema muto europeo, molte delle cui invenzioni furono riprese, e con maggior successo sfruttate, dai registi della generazione successiva.

Di famiglia ebrea, fuggita da un ghetto della Polonia orientale, rimase orfano a quattro anni e fu cresciuto dalla famiglia Katzmann, anch'essa ebrea, che lo adottò. Vissuto nella Finlandia occupata dai russi (1809-1919), a 16 anni esordì come attore allo Svenska Teater di Helsinki, quindi, fino al 1903, lavorò per il teatro svedese di Turku, ricoprendo una varietà di ruoli minori. Quando l'esercito zarista lo arruolò come coscritto, fuggì in Svezia con un passaporto falso. Dopo alcuni anni di anonimato, nel 1911 divenne impresario, regista e direttore teatrale, succedendo ad August Strindberg alla guida del Lilla Teatern. Affascinato dalle potenzialità del nuovo mezzo espressivo, esordì nel cinema fin dal 1912, quando fu scritturato, insieme al suo amico Victor Sjöström, dalla Svenska Biografteatern di Charles Magnusson (dal 1920 Svensk Filmindustri). In Svezia, girò 41 film, in gran parte perduti, fra cui Mor och dotter (Madre e figlia); De svarta mascherna (Le maschere nere); Den tyranniske fästmannen (La fidanzata tiranna), tutti del 1912; Vampyren (La vampira); Barnet (Il bambino), entrambi del 1913 e När svärmor regerar (1914, Quando comanda la suocera), nei quali fu talvolta impegnato anche come attore e sceneggiatore. Fra il 1913 e il 1914 girò anche numerosi film avventurosi (När kärleken dädar, Quando l'amore uccide; När larmklockan ljuder, Quando suona l'allarme; Bröderna, I fratelli; Gränsfolken, Popoli di confine; Det röda tornet, La torre rossa), per approfondire con Hans bröllopsnatt (1915, La sua notte di nozze) una linea di racconti morali e commedie satiriche dei costumi contemporanei, interpretate con brillante spregiudicatezza dagli attori, che avrebbe portato a perfezione con Balletprimadonnan (1916, La ballerina), Kärlek och journalistik (1916, Amore e giornalismo), Thomas Graals bästa film (1917, Il miglior film di Thomas Graal), che introduce il tema, fortunatissimo, del cinema sul cinema, Thomas Graals bästa barn (1918, Il miglior figlio di Thomas Graal) ed Erotikon (1920; Verso la felicità), antesignani delle sophisticated comedies. Ma il genere nel quale diede il meglio di sé fu il melodramma epico di origine letteraria. L'incontro decisivo fu con i romanzi di S. Lagerlöf, saghe ricche di fughe, colpi di scena, inseguimenti, tradimenti, assassini, scontri titanici fra uomo e natura, con personaggi lacerati fra vendetta e perdono, passione e dovere, colpa e redenzione. Da due opere della Lagerlöf S. trasse Herr Arnes pengar (1919; Il tesoro di Arne) e Gunnar Hedes saga (1923; Il vecchio castello). Dotato di un senso dell'immagine insieme lirico e visionario quasi prodigioso fra i suoi contemporanei, capace di rendere la natura (i boschi, la neve, il fuoco), lo spazio, la profondità di campo, la plasticità dei corpi e dei volti e di manipolare la luce come mai si era visto sullo schermo, S. fu un narratore vigoroso e dispersivo, solenne ed epico quanto ellittico e modernamente convulso: già in Herr Arnes pengar usò con di-sinvoltura il carrello circolare, la camera in movimento, il montaggio alternato, il flashback (l'eroina, rimossa, freudianamente, la scena dell'omicidio dei suoi parenti, solo a un tratto ricorda che l'uomo che ama è proprio il loro assassino), le coreografie delle masse (basti pensare al finale del film, con un corteo funebre attorno alla nave imprigionata dai ghiacci): tutti elementi che il cinema epico statunitense di David W. Griffith avrebbe portato al successo e quello di Vsevolod I. Pudovkin e Sergej M. Ejzenštejn alla perfezione artistica. Di un realismo magico risultarono le scene della caccia alla renna nel film del 1923, che scandiscono nel forsennato inseguimento la discesa nella follia del protagonista. Nel suo ultimo film tratto da un romanzo della Lagerlöf, Gösta Berlings saga (1924; La leggenda di Gösta Berling, noto anche con il titolo I cavalieri di Ekebù), il suo sofferto capolavoro, S. fece esordire, accanto a stelle come Gerda Lundequist e Lars Hanson, una sconosciuta diciassettenne studentessa all'Accademia d'arte drammatica, Greta Garbo. Il film, che inizialmente misurava 4500 metri, fu distribuito in due parti, poi mutilato e rimontato dalla produzione. Ne sono circolate varie versioni, e recentemente si è cercato di restaurare il montaggio originale (ricostruendo il film al 90%), ma la copia preparata dal regista non è stata mai più ritrovata. La struttura originale, comunque, prevedeva una complessa costruzione narrativa su storie parallele intrecciate. Nel film, tutti i temi di S. ritornano: si tratta ancora una volta di una storia crudele e violenta di smarrimento e redenzione, un'allegoria sulla colpa e sulla salvezza attraverso il dolore, in paesaggi spettacolari quanto ostili. Nonostante la Garbo non sapesse forse ancora recitare, S. riuscì a esaltarne la fotogenia e la sonnambolica bellezza. Deciso a fare della sua protetta (cui lo legava anche un complesso rapporto personale) una stella, la portò con sé a Berlino per il lancio del film e poi a Istanbul. Appresa la notizia del fallimento della casa di produzione S. accettò l'offerta di Louis B. Mayer, che gli propose di trasferirsi negli Stati Uniti, a patto che anche la Garbo venisse messa sotto contratto dalla Metro Goldwyn Mayer. Partirono per New York alla fine di giugno del 1925.

A Hollywood non riuscì mai ad ambientarsi ed entrò nelle antipatie della major per il forte ascendente che esercitava sulla giovane attrice. Mentre la Garbo iniziava la carriera statunitense, S. fu costretto ad aspettare mesi inattivo, e quando finalmente gli fu data la possibilità di dirigerla in The temptress (1926; La tentatrice), nonostante le magnifiche sequenze realizzate, fu presto licenziato per le sue intemperanze e la sua incapacità di rispettare il piano di lavorazione, e il film fu terminato da Fred Niblo. La MGM non gli rinnovò il permesso di lavoro. Disperato, S. accettò la proposta di Erich Pommer di passare alla Paramount, per la quale diresse Hotel Imperial (1927; L'ultimo addio) e The woman on trial (1927; L'accusata), con la bellissima diva polacca Pola Negri. Nonostante le difficoltà personali e professionali, e l'intento dichiaratamente commerciale, i film americani di S. presentano un notevole interesse, sia per la potente atmosfera sia per i geniali movimenti di macchina. Dirigeva una sceneggiatura di Josef von Sternberg, The street of sin (1928; La via del male), con Emil Jennings, quando venne allontanato, ancora per una lite con lo studio. Il film fu completato dallo sceneggiatore. Ammalato e separato dalla Garbo, S. ripartì per l'Europa sognando di riprendere la sua attività, e con tale intento si stabilì a Stoccolma, dove ben presto morì.

Bibliografia

B. Idestam-Almquist, Den svenska filmens drama (Il dramma nel film svedese), Stockholm 1939.

B. Idestam-Almquist, Classics of the Swedish cinema, Stockholm 1952.

H. Pensel, Seastrom and Stiller in Hollywood; two Swedish directors in silent American films 1923-1930, New York 1969.

G. Werner, Mauritz Stiller och hans filmer 1912-1916 (Mauritz Stiller e i suoi film 1912-1916), Stockholm 1969.

B. Idestam-Almquist, Sjöström & Stiller, Helsinki 1984.

G. Werner, Mauritz Stiller: ett livsöde (Mauritz Stiller: un destino), Stockholm 1991.

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