DI CAPUA, Matteo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DI CAPUA, Matteo

Gianfranco Formichetti

Non abbiamo notizie precise sulla data di nascita del D.: lo Spampanato ci informa che nel 1595 aveva ventisette anni. Si può dunque supporre che egli sia nato a Napoli intorno al 1568, anche perché questa data non contrasterebbe con quelle che ufficialmente possediamo e che riguardano gli anni successivi. Apparteneva ad una delle più nobili e illustri famiglie del Regno; il padre Giulio Cesare aggiunse al titolo ducale (concesso al suo bisavolo Matteo) quello di principe di Conca che era stato concesso dal re Filippo nel 1566.

Ebbe per maestri il nobiluomo Sertorio Pepi per la cultura letteraria e il medico Giovan Paolo Vernalione per quella scientifica. Trascorse gli anni giovanili alternando studio, ozio e divertimento come tutti i giovani della nobiltà napoletana; per le ricchezze possedute e per l'abilità paterna nel 1589 poté permettersi un matrimonio che lo nobilitava e arricchiva ulteriormente: la sua consorte donna Giovanna di Zuñiga Pacheco, figlia di Pietro conte di Miranda, e di Giovanna Pacheco de' Cabrera, era doppiamente legata al viceré di Napoli don Giovanni Zuñiga, conte di Miranda, essendone nello stesso tempo nipote e cognata. Il giorno delle nozze lo stesso viceré accompagnò la sposa al palazzo dei Di Capua. La casa del D. era una delle più belle ville napoletane, sita di fronte alla chiesa di S. Pietro a Maiella, nella parte alta di Napoli, disponeva di uno stupendo giardino e di un particolare luogo di divertimenti dove si giocava "alla racchetta" e "al pallone". Vissuta la giovinezza nello splendore e nella magnificenza che la nobile gioventù partenopea poteva permettersi, non cambiò certo vita dopo il matrimonio.

Alla morte del padre, avvenuta a Pozzuoli il 9 maggio 1591, il D. divenne principe di Conca e soprattutto titolare di un'entrata annua di 60.000 ducati che lo facevano tra i più ricchi - se non il più ricco - di Napoli. La ricchezza traspariva oltre che dallo sfarzo degli arredamenti e degli interni della villa impreziosita da arazzi e quadri di Raffaello, Tiziano, Michelangelo, Sebastiano del Piombo, anche dalla gran quantità dei componenti la "famiglia". La casa del D. era riferimento obbligato per gli intellettuali e per i nobili napoletani. Lo stesso Torquato Tasso, che in quegli anni dava inizio al tentativo di recuperare la dote materna, frequentava casa Di Capua alternandola a quella più familiare del Manso.

Il D. dedicò molta attenzione all'illustre poeta, dal quale si sentiva affascinato. Fece addirittura predisporre per lui alcune stanze del suo palazzo; e solo l'opposizione netta del padre impedì l'ospitalità. Giulio Cesare non riteneva infatti conveniente ospitare il figlio di un ribelle. Durante il soggiorno a Roma del 1589 Tasso scrisse al D. per chiedergli 30 scudi (Lettere, IV, n. 1138, p. 209): questi oltre a dargli la somma gli comunicava le sue imminenti nozze (ibid., n. 1140, p. 212). Il 4 nov. 1589 il poeta si rivolgeva direttamente al D. per avere un nuovo aiuto economico (ibid., n. 1185, p. 258); in calce alla lettera il nobile napoletano, che ormai ben conosceva il suo carattere, scriveva: "Darli fin a cento scudi ma a poco a poco". Tasso, informato dell'avvenuto matrimonio del D., gli fece pervenire un rescritto reale nel quale si sollecitava l'esame della sua situazione ereditaria. La risposta del D. si fece attendere, fino a quando l'improvvisa morte del padre fece riaprire le porte di casa Di Capua. Il D., imparentato con il viceré, occupava ormai una evidente posizione di privilegio. A metà gennaio, con un accompagnatore inviatogli dallo stesso D., Tasso muoveva da Roma alla volta di Napoli. Alla fine di febbraio del 1591 era intanto nato il primogenito del D. e Giovanna al quale era stato dato il nome del nonno Giulio Cesare. E la venuta del Tasso in casa Di Capua coincise con il primo onomastico del bambino al quale il poeta dedicò alcune poesie profetizzando per lui un futuro di imprese gloriose, come consuetudine. Tasso in questa occasione riutilizzò un sonetto composto per uno dei figli del duca Vincenzo Gonzaga, altro suo patrono (Solerti, p. 699). La stupenda ospitalità del principe di Conca era occasione per il Tasso di primeggiare in quell'aristocraticissimo salotto nel quale si riunivano i nomi più prestigiosi della nobiltà e intellettualità napoletana. Lo stesso D. scrisse versi d'occasione in risposta a Camillo Pellegrini (Rime di Camillo Pellegrini il vecchio, primicerio di Capua, ms. della Bibl. naz. di Napoli, XIII, D. 18).

Nel clima cortigiano di casa Di Capua non mancò per il padrone di casa la bella amante: Laura Filomarino, cugina del D., era rimasta vedova giovanissima: con lei il titolato cugino ebbe una relazione dalla quale nacque Annibale (allevato segretamente a Vico Equense), che vestì l'abito ecclesiastico e che godette di un'eredità di 2.000 ducati di entrate annui. Mentre era ospite del D., Tasso concludeva la Gerusalemme conquistata. Il compimento dell'opera segnò l'inizio di screzi e dissapori tra i due. Non sappiamo precisamente cosa accadesse; possiamo solo osservare che Torquato Tasso non dedicò la Conquistata all'ospite che gli aveva consentito la tranquilla stesura (dedicherà l'opera ai nuovi patroni romani, i cardinali Aldobrandini) né intratterrà rapporti con il D. nell'ultimo soggiorno napoletano del 1595.

In quell'anno un episodio non del tutto chiaro movimentò casa Di Capua: Colantonio Stigliola, architetto di palazzo, durante una conversazione si lasciò andare a pericolose considerazioni sulla fede. Per questo venne arrestato e incarcerato su denuncia del gesuita Claudio Migliaresi, consultore del tribunale dell'Inquisizione di Napoli. Nell'agosto la testimonianza del D. rafforzò le accuse di eresia nei confronti dello Stigliola che verrà condannato. Non è da escludere che un atteggiamento così deciso nei confronti dell'accusato derivasse anche dal rischio che si potesse accusare l'ambiente di casa Di Capua di pratiche esoteriche, certamente diffuse a Napoli in quegli anni; tutto questo anche perché dal 1580 Colantonio Stigliola nell'educazione del giovane D. aveva avuto dal padre di questo, Giulio Cesare, il compito di maestro della sfera. La lettura della sfera era molto praticata e diffusa negli ambienti aristocratici e religiosi e lo Stigliola era molto esperto in quest'arte.

Un'altra stella brillò nel salotto di casa Di Capua: un giovane che si avviava ad ereditare in campo europeo la fama di Torquato Tasso, Giovan Battista Marino. Dal 1592 frequentò i salotti più prestigiosi di Napoli, quello di casa Manso e quello dei Di Capua. E proprio in quest'ultimo affinò la sua preparazione intellettuale, grazie alla fornitissima biblioteca e ai prestigiosi personaggi con i quali poté entrare in contatto. Dalla seconda metà del 1596 divenne segretario del principe e visse lo splendore della vita cortigiana. Proprio in questi anni maturerò il progetto dell'Adone.

Nel 1597 il D. ricevette il titolo di grande ammiraglio del Regno. Nel mese di maggio assisté impotente all'arresto del Marino. Nonostante le pesanti accuse (sodomismo, violenza su una fanciulla), grazie all'intercessione del principe - dopo un solo mese di detenzione - il poeta poté tornare in casa Di Capua e riprendere l'incarico. Passarono solo due anni e Marino fu di nuovo arrestato; questa volta il D. non intervenne e sospese definitivamente ogni rapporto con il poeta. Per il D. stava però iniziando la parabola discendente. Al contrario del padre, intaccava sempre più le pur notevoli ricchezze. Gli ultimi anni della sua non lunga vita si colorarono di tinte fosche. Una sua amante, Giovanna Pignone, moglie di Giovanni Pignatelli, fu avvelenata e uccisa dai fratelli del marito che poi tentarono di uccidere anche il D.; ma delle "arghibugiate" sparategli contro la sera del 13 marzo 1604 fecero le spese due suoi servitori, uno dei quali rimase ucciso. Si trovava a Vico Equense quando si sentì mancare; ordinò di essere condotto a Napoli ma qui giunto, il 29 apr. 1607 morì.

Dei suoi tre figli, Dorotea fu marchesa di Campolattaro, Maria duchessa di Maddaloni, Giulio Cesare divenne terzo principe di Conca e grande ammiraglio del Regno. I tempi erano però cambiati, la corte ormai inesistente, enormi i debiti contratti; contrariamente a quanto predetto dal Tasso, il figlio Giulio Cesare non ebbe alcun successo e morì ingloriosamente nel novembre 1646 cadendo da cavallo.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Mss. Serra, vol. II, c. 819 (indicazione genealogica della famiglia Di Capua); Napoli, Bibl. naz., ms. XIII D. 18: Rime di Camillo Pellegrini il vecchio, primicerio di Capua; G. Bruno, Opere italiane, Il candelaio, a cura di V. Spampanato, Bari 1909, pp. 130-31; T. Tasso, Le lettere..., a cura di C. Guasti, Firenze 1852-55, ad Indicem; P. Vincenti, Teatro degli uomini ill. che furono grandi ammiragli nel Regno di Napoli, Napoli 1628, p. 73; C. Celano, Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli per li signuri forestieri, IV, Napoli 1792, p. 25; E. Ricca, La nobiltà del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1859, p. 138; B. Candida Gonzaga, Mem. delle famiglie nobili delle provincie meridionali d'Italia, I, Napoli 1875, p. 168; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, i suoi processi e la sua pazzia, I, Napoli 1882, pp. 95-96; II, p. 247;A. Solerti, Vita di T. Tasso, I, Torino 1895, ad Indicem; A. Borzelli, Il cavalier G. B. Marino, Napoli 1898, pp. 24-50, 211 -14;V. Spampanato, Sulla soglia del '600, Milano 1926, pp. 295 ss.

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