PLASTICHE, MATERIE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

PLASTICHE, MATERIE (XXVII, p. 493; App. I, p. 492)

Adolfo QUILICO

Alle notizie già date, che si riferiscono prevalentemente ai diversi modi di lavorazione e alle applicazioni, si aggiungono qui notizie sulla preparazione, sulla struttura chimica e sulle proprietà fisiche.

Composti macromolecolari; loro modo di formazione. - Se si fa astrazione dai riempitivi, dai plastificanti, dai pigmenti e dai coloranti che nella maggior parte dei casi vengono aggiunti, le materie plastiche possono essere definite un gruppo di sostanze organiche naturali o artificiali non sempre chimicamente ben definite, caratterizzate dal possedere una struttura macromolecolare.

Dalle molecole semplici, a basso peso molecolare, si può arrivare in due modi alla formazione di complessi molecolari elevati: o per associazione, in seguito all'entrata in gioco di forze attrattive del tipo di van der Waals, oppure in seguito alla creazione di veri e proprî legami chimici tra le molecole semplici. Nel primo caso si formano complessi labili, facilmente dissociabili, nel secondo, che interessa il campo delle materie plastiche, gli edifici molecolari ottenuti (macromolecole) posseggono una stabilità talvolta assai considerevole.

Condizione indispensabile affinché una molecola semplice di un monomero possa trasformarsi in una grande molecola di un polimero, è che essa sia bi- o polifunzionale, contenga cioè almeno due gruppi o funzioni chimiche, attuali o potenziali, capaci di entrare in reazione e legare stabilmente tra loro le molecole del monomero. Questi gruppi possono essere uguali o differenti tra loro, e al processo possono prendere parte due o più tipi di molecole polifunzionali differenti con formazione di copolimeri. Molecole monofunzionali possono dare solo prodotti semplici; molecole bifunzionali possono associarsi in macromolecole lineari o cicliche:

Nel caso infine di monomeri tri- o polifunzionali è possibile la formazione di strutture reticolate tridimensionali, talvolta estremamente complesse, per es.:

Un tipo di bifunzionalità assai frequente è quello presentato dalle sostanze contenenti doppî legami che possono reagire come un radicale libero bivalente:

Nello stesso modo si comportano sostanze contenenti anelli facilmente apribili come gli ossidi d'alchilene, i lattoni, i lattami, ecc.

Le reazioni che conducono alla formazione delle masse plastiche possono ridursi a due tipi fondamentali: a) reazioni di polimerizzazione; b) reazioni di policondensazione.

Polimerizzazione. - Nel primo caso la formazione delle macromolecole avviene per somma delle molecole semplici di monomero, senza eliminazione di altri prodotti, per es., la polimerizzazione dello stirolo a polistirolo:

I prodotti ottenuti derivano allora dalla ripetizione di un elemento di struttura [ ] avente la stessa composizione del monomero. La reazione può interessare molecole differenti, e si ottengono allora dei copolimeri, per es., quelli cloruro-acetato di vinile:

La successione degli elementi di struttura differenti è per lo più casuale, ma vi sono dei casi (per es., copolimeri stirolo-anidride maleica) in cui si nota una periodicità ben definita, sull'esempio di quei prodotti di policondensazione degli amminoacidi che sono le proteine naturali.

Dal punto di vista del meccanismo della polimerizzazione si distinguono due tipi di reazioni, quella a gradini e quella a catena. Nel primo caso, con l'intervento di una seconda sostanza (che può essere un'impurezza o provenire dal catalizzatore impiegato) che va a creare un gruppo terminale, si forma inizialmente una molecola ben definita la cui lunghezza va crescendo ad un estremo per il graduale apporto di nuove molecole di monomero: così procede, per es., la polimerizzazione dell'ossido di etilene in presenza di tracce di metanolo:

Nel secondo caso invece, sull'esempio della reazione a catena tra Cl2 e H2, la molecola del monomero subisce un'attivazione (per azione della luce, del calore e di opportuni catalizzatori) e si addiziona a una molecola inattiva, dando un dimero attivato, e così via fino a che il processo si arresta in seguito alla formazione di una molecola inattiva. Di questo tipo è, per es., la polimerizzazione del cloruro di vinile. Tra i catalizzatori attivanti, specialmente usati sono i perossidi organici e inorganici, i persali, ecc., e si è potuto dimostrare che tali catalizzatori (o meglio i loro prodotti di decomposizione) rimangono stabilmente legati nella macromolecola sotto forma di gruppi terminali. L'arresto della reazione a catena può avvenire in differenti modi, e cioè per collisione e saldatura di due macromolecole attivate, o per fissazione del catalizzatore o di impurezze presenti che forniscono il gruppo terminale. Si comprende quindi come la lunghezza delle catene di polimero ottenute dipenda dal numero di molecole attivate presenti: i polimeri più elevati si ottengono, infatti, a bassa temperatura, in assenza di catalizzatori, con un processo assai lento. Il processo di polimerizzazione può essere rallentato o addirittura impedito dall'aggiunta di inibitori (particolarmente attivi sono alcuni fenoli), ai quali si ricorre frequentemente per evitare la polimerizzazione dei monomeri nelle operazioni per la loro preparazione e purificazione.

Policondensazione. - La formazione delle lunghe catene ha luogo qui per interazione tra i gruppi funzionali (−COOH, −NH2, −OH, ecc.) dei monomeri, accompagnata dall'eliminazione di una o più molecole di una sostanza che nel caso più frequente è l'acqua. I gruppi reagenti possono coesistere nella stessa molecola (es. formazione di poliammidi da a1-amminoacidi), oppure trovarsi in due tipi differenti di molecole (es. formazione di poliesteri da acidi bibasici e glicoli):

Le policondensazioni sono reazioni a gradini, con formazione, sin dall'inizio, di molecole definite che si allungano man mano che procede la reazione. Nella maggior parte dei casi ci si trova di fronte a veri e proprî equilibrî, e per raggiungere elevati gradi di polimerizzazione è necessario eliminare l'acqua o gli altri prodotti della condensazione:

Talvolta la reazione di policondensazione propriamente detta è preceduta dalla formazione di prodotti di addizione (vedi, ad es., la formazione di derivati metilolici da fenoli e formaldeide o da urea o melamina e formaldeide). Questi, che vanno considerati come veri monomeri polifunzionali, sono poi capaci di condensarsi tra loro dando origine a strutture reticolate assai complesse.

Peso molecolare medio, grado di polimerizzazione. - I processi di polimerizzazione e di policondensazione descritti conducono a una miscela di macromolecole costruite sullo stesso schema, ma corrispondenti a un differente grado di polimerizzazione. Poiché le proprietà fisiche e meccaniche dei polimeri dipendono in notevole misura dalla loro grandezza molecolare, è necessario un breve cenno dei metodi che permettono una misura del loro peso molecolare medio. Misure crioscopiche, ebullioscopiche ed osmotiche sulle soluzioni in adatto solvente dànno in alcuni casi risultati plausibili, per pesi molecolari non troppo elevati. Di più recente introduzione sono i metodi basati sulla misura della velocità di sedimentazione e di diffusione. Comunemente si ricorre alla misura della viscosità delle soluzioni dei polimeri. Si chiama viscosità specifica ηsp. il rapporto

ove ηc rappresenta la viscosità della soluzione del polimero alla concentrazione c e ηo quella del solvente puro. Il rapporto

è una funzione lineare della concentrazione, secondo l'espressione (Huggins):

ove ηi, chiamata viscosità intrinseca, è legata c al peso molecolare M del polimero dalla semplice relazione: ηi = K Ma, ove K e a sono costanti. In molti casi a può essere assunto eguale a uno e si ricade allora nella nota formula di Staudinger che esprime la semplice proporzionalità tra M e ηi.

Infine il dosamento dei gruppi terminali, quando questi si prestino per la loro natura (ad es. gruppi −OOH, −OH, −NH2, ecc. titolabili) permette in alcuni casi la determinazione per via chimica del peso molecolare medio del polimero.

Influenza dflla grandezza molecolare e della struttura del polimero sulle sue proprietà fisiche e meccaniche. - Il comportamento termico e meccanico delle sostanze macromolecolari è in stretta relazione oltre che con la natura del monomero, con il loro peso molecolare medio, con la legge di distribuzione dei pesi molecolari veri e con il tipo di struttura lineare o tridimensionale. I polimeri lineari sono solubili e termoplastici e possono quindi essere fusi, estrusi, filati allo stato fuso o di soluzione. I polimeri tridimensionali sono invece insolubili e termoindurenti e possono quindi essere foggiati una sola volta. Si passa talvolta volutamente da una forma all'altra, mediante trattamenti che creano legami trasversali (per es., vulcanizzazione del caucciù).

La solubilità è assai influenzata dai legami trasversali che, anche in numero piccolissimo, rendono insolubile il polimero (vedi polistiroli). Influenza analoga, per quanto meno accentuata, ha la presenza di ramificazioni.

Le proprietà meccaniche sono assai influenzate dal p. m. e assumono valori molto bassi per gradi di polimerizzazione inferiori a 100. Altro fattore importantissimo per il manifestarsi di buone proprietà meccaniche è la disposizione orientata, parallela, delle macromolecole, che può essere determinata mediante un conveniente stiramento a freddo (vedi nylon, in questa App.). Il passaggio da una struttura caotica a una orientata è nettamente rivelabile con i raggi X: per es., la gomma in condizioni normali dà un fotogramma d'interferenza del tipo amorfo, quando è stirata uno del tipo cristallino.

Sotto l'aspetto delle caratteristiche fisico-meccaniche che ne determinano il campo di applicazione, gli alti polimeri possono essere ricondotti a tre tipi fondamentali: a) fibrosi, b)plastici, c) elastici. I prodotti più importanti, classificati secondo questo criterio, sono:

Si comprende che tali divisioni non sono rigide e che lo stesso polimero può, a seconda del modo di preparazione e dei trattamenti subìti, essere adatto all'uno piuttosto che all'altro degli impieghi.

I metodi di polimerizzazione. - Il processo di polimerizzazione ha luogo in molti casi per prolungata conservazione del monomero (es. stirolo). Per ragioni pratiche di risparmio di tempo e per ottenere polimeri della grandezza molecolare media desiderata, si opera quasi sempre con catalizzatore. La polimerizzazione può essere fatta:1) in blocco, 2) in soluzione, 3) in emulsione, 4) in sospensione.

La polimerizzazione in blocco è condotta sul monomero puro allo stato liquido; difficoltà del processo sono, operando su masse ragguardevoli, lo smaltimento del calore di reazione, la necessità di un continuo controllo dell'andamento della polimerizzazione. Si ha però la possibilità di ottenere blocchi di notevoli dimensioni di polimero perfettamente limpido, trasparente, esente da inclusioni gassose. Nella polimerizzazione in soluzione sono eliminati gl'inconvenienti sopra indicati, però il campo limitato di temperatura e la diluizione, che rende meno probabile la collisione tra le molecole del monomero, rallentano il processo; i polimeri ottenuti hanno generalmente peso molecolare più basso, ed è difficile l'eliminazione totale del solvente. La polimerizzazione in emulsione, che va sempre più diffondendosi, elimina molti degl'inconvenienti accennati. Emulsioni acquose del monomero (ottenute con adatti disperdenti) addizionate del catalizzatore si trasformano in lattici che possono essere usati tal quali in molte applicazioni e che, coagulati ed essiccati, dànno il polimero in forma solida pulverulenta. Il processo di polimerizzazione in sospensione differisce dal precedente per l'assenza degli emulsionanti che possono rimanere nel polimero e influire sfavorevolmente su alcune caratteristiche (ad es., la limpidezza, il potere dielettrico, ecc.). Il monomero è mantenuto sospeso in un liquido non solvente mediante opportuna agitazione, e le goccioline di monomero si trasformano in sferette o perle di polimero perfettamente puro con notevole regolarità di dimensioni; queste vengono separate per filtrazione o decantazione, lavate e seccate.

Classificazione delle materie plastiche. - Possono essere prese in considerazione, come criterî distintivi, le caratteristiche fisico-meccaniche, la natura chimica, i processi di preparazione, il campo pratico di applicazione. Si adotta qui la seguente classificazione, che tiene conto dell'origine e concilia abbastanza bene le varie esigenze: A) materie plastiche naturali o derivanti da trattamenti chimici o fisici di sostanze naturali aventi già struttura macromolecolare; B) materie plastiche sintetiche, derivanti da processi di polimerizzazione di monomeri semplici della stessa specie o di specie diverse (copolimeri); C) materie plastiche sintetiche, derivanti da processi di policondensazione (in genere, con eliminazione di acqua) di molecole semplici di una o più specie chimiche.

Alla prima categoria appartengono: a) esteri ed eteri cellulosici; b) prodotti di condensazione delle proteine con le aldeidi; c) masse plastiche lignino-cellulosiche; d) resine naturali e modificate.

Alla seconda categoria: a) prodotti di polimerizzazione e copolimerizzazione delle olefine e arilolefine (politeni, oppanoli, polistiroli, caucciù sintetici, ecc.); b) prodotti di polimerizzazione di derivati alogenati non saturi (cloruro di polivinile, teflon, ecc.); c) prodotti di polimerizzazione di alcooli, esteri o eteri non saturi (alcooli polivinilici, acetato di polivinile, poliacrilati e polimetacrilati, resine alliliche, ecc.); d) poliuretani, caprolattame.

Alla terza categoria: a) resine fenolico-aldeidiche; b) resine ureiche e melaminiche; c) resine gliceroftaliche, maleiche, terilene; d) poliammidi (nylon); e) tioplasti; f) siliconi; g) resine aldeidiche.

Per le fibre cellulosiche e proteiche naturali, per i varî rayon, per i caucciù naturali e sintetici, il nylon, i siliconi si rimanda alle singole voci, ove questi argomenti hanno avuto trattazione a parte

A) Materie plastiche derivanti da sostanze naturali.

Esteri ed eteri cellulosici a struttura macromolecolare. - Dei derivati cellulosici, hanno interesse per la fabbricazione delle masse plastiche: 1) Nitrato di cellulosa, preparato per nitrazione con miscela solfonitrica come è già stato descritto (XXIV, p. 850) e usato per vernici e per la preparazione della celluloide. Per le vernici è adatto un estere contenente all'incirca 2,5 gruppi nitrici per ogni residuo C6H10O5, fortemente degradato fino ad avere pesi molecolari compresi tra 10.000 e 30.000 allo scopo di ottenere soluzioni poco vischiose. In questo impiego la nitrocellulosa è impastata con un opportuno plastificante (solitamente ftalato di butile) e col solvente in modo da arrivare a paste, contenenti il 30-35% di nitro, che vengono poi diluite dai fabbricanti di vernice; oppure si mette in commercio in scaglie contenenti solo il plastificante. Le vernici nitrocellulosiche hanno avuto un grande sviluppo nonostante la scarsa resistenza alla luce e l'infiammabilità dei films ottenuti. La celluloide, uno dei plastici artificiali più anticamente noto, viene preparata impastando insieme, in mescolatore chiuso, 100 parti di nitrocellulosa, 40 p. di canfora e 80 p. di alcool. La pasta, filtrata su tele metalliche, viene laminata, incorporando anche i pigmenti e le eventuali materie coloranti, e i fogli ottenuti, sovrapposti e pressati a 70° ÷ 90° e a circa 30 atm., si saldano insieme in una massa che può essere lavorata a freddo, stampata a caldo e anche soffiata in stampi. Ha buone caratteristiche di durezza, resistenza, elasticità e impermeabilità, però è infiammabile e a 165° si decompone con sviluppo di vapori nitrosi.

2) Acetato di cellulosa, ottenuto per acetilazione, con anidride acetica in soluzioni di acido acetico e H2SO4 come catalizzatore, dei linters di cotone o dei cartoni di cellulosa da legno. Si forma un triacetato che viene parzialmente saponificato a diacetato per la preparazione del raion d'acetato. Nell'impiego per masse plastiche (rhodoid) si usa un prodotto contenente intorno a 2,5 gruppi acetilici per ogni gruppo C6H10O5: la procedura è analoga a quella descritta per la celluloide; come plastificanti si usano la triacetina, lo ftalato di metile o gli arilfosfati. Si pone in commercio in blocchi, cilindri, fogli e anche in polvere da stampaggio.

Si usa anche per vernici, il cui impiego va crescendo lentamente, in sostituzione dei prodotti alla nitro, rispetto ai quali offrono il vantaggio della difficile infiammabilità, maggiore resistenza al calore, migliori caratteristiche dielettriche. Altri esteri cellulosici recentemente introdotti sono l'aceto-butirrato, l'aceto-propionato e il propionato, assai adatti alla preparazione di vernici anche per la maggiore compatibilità con le resine e i plastificanti. Le pellicole ottenute sono molto elastiche e subiscono nell'essiccamento una forte contrazione (da cui l'impiego in vernici tendi-tela per aerei).

3) Eteri cellulosici; si ottengono per introduzione di residui alchilici o alchilarilici nei gruppi -OH della cellulosa, ciò che può essere realizzato per azione dei corrispondenti solfati o cloruri (solfato di metile, cloruri di etile, di benzile, ecc.) sulla sodio cellulosa. D'interesse pratico per masse plastiche sono l'etilcellulosa, polvere bianca solubile in alcool e nei comuni solventi delle vernici (anche idrocarburi). Può servire per vernici, per films e per lo stampaggio. Analoghe proprietà ha la benzilcellulosa. Recentemente è stata posta in commercio la carbossimetilcellulosa (etere O-glicolico), ottenuta per azione dell'acido monocloroacetico sulla sodio cellulosa. Proprietà caratteristica è la solubilità negli alcali diluiti e in acqua: le soluzioni vischiose così ottenute ricordano quelle di gomma arabica e sono adatte alla preparazione di addensanti, collanti, disperdenti per l'industria tessile.

Materie plastiche da proteine e aldeidi. - La galalite, nota sin dal 1897, è un prodotto di condensazione della caseina del latte con la formaldeide. La caseina in polvere viene impastata in un omogeneizzatore con acqua, sostanze plastificanti di varia natura e pigmenti; la massa riscaldata a 80° viene estrusa a pressione attraverso una filiera di profilo voluto e i bastoni, tubi, ecc., tagliati nella lunghezza voluta vengono induriti per immersione in un bagno di formaldeide al 3%, mantenuto a temperatura costante tra 15° e 20°. La durata di questo trattamento varia da pochi giorni fino a 6 mesi, a seconda delle dimensioni degli oggetti. Questi vengono poi asciugati e lavorati meccanicamente. Si è riusciti a ridurre molto la durata dell'indurimento aggiungendo già in partenza formaldeide o allume. Al posto della caseina possono essere usate proteine vegetali (farina di soia sgrassata). Le proprietà e gl'impieghi sono noti (preparazione di bottoni, oggetti di fantasia, ecc.).

B) Prodotti di Polimerizzazione.

Derivati dalle Olefine e dalle arilolefine. - Hanno tutti in comune il modo di formazione:

e comprendono materie plastiche assai importanti e pregiate.

1. Polistiroli. - Derivano dallo stirolo (vinilbenzene), preparato industrialmente per deidrogenazione dell'etilbenzene a sua volta ottenuto da benzolo e etilene con la reazione di Friedel e Crafts:

Il monomero deve essere accuratamente purificato per liberarlo da tracce di divinilbenzene CH2=CH−C6H4−CH−CH2 che, a causa della formazione di legami trasversali, conduce a polistiroli insolubili. La polimerizzazione può essere fatta per via termica con o senza catalizzatori, ma assai più usate sono la polimerizzazione in emulsione (specie per la produzione di copolimeri del butadiene per gomma sintetica) e quella in sospensione. Il peso molecolare medio dei prodotti ottenuti varia grandemente a seconda delle condizioni di polimerizzazione usate: si va da 50 ÷ 60.000 per il polimero destinato a vernici a 120.000 per i prodotti di stampaggio, fino a 500 ÷ 600.000 nei copolimeri col nitrile acrilico e col vinilcarbazolo. Le masse plastiche polistiroliche sono limpide, incolori, rifrangenti. Hanno ottime caratteristiche dielettriche (trolitul), e l'elevata durezza ne permette anche l'uso per caratteri da stampa.

2. Politeni. - Sono vere e proprie paraffine normali recentemente ottenute per polimerizzazione dell'etilene ad elevatissime pressioni (fino a 1500 ÷ 2000 atm.) e in assenza di catalizzatori:

Il peso molecolare può raggiungere 40.000. Hanno l'aspetto di una paraffina dura, difficilmente scalfibile, che rammollisce solo sopra i 100°. Per le eccezionali caratteristiche di inerzia chimica, potere dielettrico, resistenza meccanica anche a basse temperature, hanno trovato importanti applicazioni nel campo elettrotecnico (radar, isolamento di cavi, ecc.) nonostante il prezzo ancora elevato. Si lavorano per fusione, stampaggio, estrusione, laminazione, ecc.

3. Oppanoli. - Sono così denominati i prodotti di polimerizzazione dell'isobutilene:

ottenuti per trattamento a bassa temperatura con AlCl3 o BF3, e si presentano a seconda del grado di polimerizzazione (il p. m. varia da 3000 a 300.000) come olî vischiosi o masse simili al caucciù. Caratteristica dei prodotti liquidi è che essi mantengono quasi invariata la loro viscosità entro larghi limiti di temperatura: sono quindi usati come aggiunte agli olî lubrificanti per migliorarne le proprietà. I tipi gommosi sono usati da soli o in miscela con gomma naturale o sintetica per isolamento di cavi elettrici e hanno la proprietà di conservare la loro elasticità tra −50° e +100°. A questo tipo appartiene la butyl rubber, prodotta su larga scala in America.

Prodotti di polimerizzazione di derivati alogenati insaturi. - 1. Cloruro di polivinile. - È tra le moderne materie plastiche di più diffuso impiego. Si ottiene per polimerizzazione (di solito in emulsione acquosa sotto pressione) del cloruro di vinile, gassoso a temperatura ordinaria, preparato per addizione catalitica di HCl sull'acetilene:

Si pone in commercio come polvere bianca che rammollisce verso 85° e che opportunamente plastificata può essere stampata, trafilata, ecc. Il cloruro di polivinile ha come caratteristiche l'ininfiammabilità, l'elevata resistenza chimica agli acidi, agli alcali, alle soluzioni saline, agli agenti ossidanti. Può quindi servire nell'industria chimica per rivestimenti antiacidi (per temperature inferiori a 80°) per la preparazione di tubi in sostituzione del vetro, del grès e della gomma, nella preparazione di tessuti impermeabili, surrogati del cuoio, sostituti del linoleum per pavimenti, ecc. Per ulteriore clorurazione del cloruro di vinile in solvente inerte, si ottiene un prodotto adatto alla produzione di fibre (fibre P C) per tessuti antiacidi destinati all'industria chimica.

2. Politetrafluoroetilene. - Sotto il nome di teflon è stata di recente posta in commercio una fluoro paraffina CnF2n+2, prodotto di polimerizzazione del tetrafluoroetilene:

Si presenta come polvere granulare bianca che può essere stampata e pressata a 300°, e si ottiene così come massa bianca cornea di eccezionale resistenza agli acidi, agli alcali e agli agenti ossidanti anche a caldo (resiste a lungo all'acqua regia bollente). Questa sua inerzia chimica, unita alle buone caratteristiche meccaniche e di resistenza al calore, fanno del teflon un materiale ideale per l'industria chimica, per il quale si preconizza un grande avvenire.

Prodotti di polimerizzazione di esteri, eteri e alcoli non saturi. - 1. Acetato di polivinile. - E il derivato polivinilico che ha avuto per primo applicazioni industriali: si prepara per polimerizzazione dell'acetato monomero ottenuto per addizione dell'acido acetico sull'acetilene, ordinariamente in fase gassosa in presenza di acetato di Zn o di Cd supportati su carbone attivo:

La polimerizzazione condotta in soluzione, in emulsione, in sospensione o in blocco, con l'aggiunta di perossidi come catalizzatori, conduce a prodotti di peso molecolare variabile che può raggiungere 100.000. Si pone in commercio sotto forma di polvere, perle, pezzi limpidi e incolori, bastoni ottenuti per estrusione, lattici a mezzo disperdente acquoso che hanno quasi completamente sostituito le soluzioni in solventi organici. L'acetato di polivinile è sensibile all'azione del calore divenendo fragile a bassa temperatura, pastoso verso i 100°. Gl'impieghi sono molteplici: vernici, appretti, leganti per cuoio rigenerato, collanti varî, fogli interni per vetri di sicurezza, ecc. A causa della sensibilità al calore non è adatto allo stampaggio di oggetti.

L'acetato di vinile entra poi nella costituzione di copolimeri con il cloruro di vinile, uno dei quali, contenente l'85% di cloruro e il 15% di acetato, è particolarmente adatto all'impiego per fibre e viene fabbricato in notevole quantità in America sotto il nome di vinyon; con tale materia si preparano tessuti antiacidi, tele filtranti per l'industria chimica, ecc.

2. Esteri poliacrilici e polimetacrilici. - Si hanno due tipi di materie plastiche acriliche, ottenuti rispettivamente per polimerizzazione degli esteri (praticamente gli esteri metilici) dell'acido acrilico e dell'acido metacrilico:

L'acrilato di metile monomero è industrialmente accessibile con numerosi metodi, dei quali riportiamo i più importanti che partono dall'ossido d'etilene e dall'acido lattico (di fermentazione o di sintesi):

A questi si è aggiunto recentemente un altro procedimento assai promettente che parte dall'acetilene (sintesi di Reppe):

L'ossido di carbonio necessario è fornito sotto forma di Ni (CO)4.

Il metacrilato di metile si prepara da acetone e HCN:

La polimerizzazione, praticata come per l'acrilato, può condurre a masse plastiche perfettamente trasparenti e incolori, di aspetto simile al vetro, o a lattici adatti a svariati impieghi. I prodotti ad alto grado di polimerizzazione sono facilmente lavorabili meccanicamente e per la loro durezza, inalterabilità e resistenza all'urto trovano importanti applicazioni come vetri di sicurezza (per aeroplani e automobili) e vetri d'ottica, nella fabbricazione di apparecchi di protesi dentaria e di oggetti di uso domestico. I derivati metacrilici hanno durezza e punto di rammollimento più elevati dei corrispondenti derivati acrilici.

3. Alcoli polivinilici. - Si ottengono per alcoolisi con CH3OH a moderate temperature in presenza di piccole quantità di acidi e di alcali dell'acetato polivinilico:

I prodotti ottenuti hanno caratteristiche differenti a seconda che la saponificazione è stata parziale o totale e a seconda del grado di polimerizzazione dell'acetato di partenza. Si passa così da prodotti completamente solubili in acqua e insolubili nei solventi organici, ad altri che si avvicinano all'acetato di polivinile. I termini solubili sono usati come emulsionanti, per l'apprettatura dei filati, nella preparazione d'inchiostri, ecc.; l'inattaccabilità dai solventi organici (in particolare idrocarburi) li rende adatti per rivestimenti, tubazioni ecc. destinati a venire in contatto con carburanti.

Derivati degli alcoli vinilici sono pure gli acetali polivinilici, che possono dare pellicole brillanti e resistenti e sono quindi usati per vernici e lacche, e gli eteri polivinilici, impiegati per vernici adesive e come plastificanti per nitrocellulose.

Resine fenolaldeidiche (fenoplasti). - Rappresentano un gruppo di materie plastiche noto da tempo (1907) e ancor oggi fabbricate su larghissima scala. Per quanto il fenolo e i suoi omologhi possano reagire con numerose aldeidi, praticamente hanno interesse solo quelle che derivano dalla formaldeide, subordinatamente dal furfurolo. La natura e le proprietà dei prodotti ottenuti dipendono, oltre che dal termine fenolico impiegato e dai rapporti fenolo/aldeide, dal tipo di catalizzatore usato. In ogni caso i prodotti primarî della reazione sono derivati metilolici del fenolo, mono, bi o trisostituiti:

Successivamente si ha una eliminazione di H2O e di CH2O con formazione di ponti −CH2− oppure −CH2−O−CH2− e ottenimento di prodotti diversi a seconda delle condizioni in cui si opera. In soluzione acida e con un eccesso di fenolo si formano prodotti solubili e termoplastici chiamati novolacche. Se si agisce in soluzione alcalina, si possono distinguere tre stadî della reazione. Nella prima fase la condensazione non è molto spinta e si forma una resina solubile fusibile (stato A); nella seconda fase cominciano ad apparire legami trasversali per cui il policondensato, pur essendo ancora fusibile, ha perso la solubilità (stato B); finalmente nell'ultimo stadio la quasi totalità dei gruppi metilolici ha reagito e si formano polimeri tridimensionali insolubili e infusibili, che possono essere schematizzati come segue e caratterizzano lo stato C:

Si comprende che con l'uso di fenoli sostituiti in posizioni tali da impedire la formazione di legami trasversali, la condensazione si arresta allo stato A di polimeri lineari. I prodotti del tipo A vengono usati per vernici, collanti, ecc.; quelli del tipo B per le polveri da stampaggio che passano allo stato C nell'impiego per azione del calore e di opportuni indurenti. Per quel che si riferisce ai particolari della preparazione e dell'impiego v. V, p. 888.

Resine ureiche e melaminiche (amin0plasti). - Sono prodotti di policondensazione dell'urea o della melamina con formaldeide. La reazione procede per gradi: in un primo tempo si formano prodotti intermedî di addizione solubili in acqua, le metiloluree, che successivamente passano, per eliminazione di H2O, a edifici complessi tridimensionali, insolubili e stabili al calore, come mostra lo schema:

In mezzo alcalino la reazione procede lentamente e può essere arrestata ad uno stadio in cui i prodotti sono ancora solubili in acqua (stato A). Questi prodotti, dopo essiccamento, possono essere trasformati, per mezzo di catalizzatori acidi combinati o no all'azione del calore, nei composti insolubili (stato B). A questi si proviene direttamente operando in partenza con catalizzatori acidi. I prodotti del tipo A vengono utilizzati come collanti (xilocolla) per legni compensati, e in soluzione per ottenere l'effetto antipiega nei tessuti; i prodotti B per polveri da stampaggio, mescolati con gli opportuni riempitivi. Le resine ureiche sono caratterizzate da una notevole resistenza al calore, dall'essere perfettamente inodore, dal fornire oggetti con superficie dura, lucente, resistenti all'acqua.

Qualità anche superiori, soprattutto per quel che si riferisce alla resistenza all'acqua, alla luce e al calore, posseggono le resine melaminiche di recente introdotte nella tecnica. Come materie prime servono ancora la formaldeide e la melamina (triammide cianurica), prodotto di polimerizzazione della cianamide che si ottiene scaldando la diciandiammide (preparata da calciocianamide) con NH3 anidra:

Anche in questo caso il trattamento con CH2O conduce dapprima a derivati metilolici solubili che passano poi a resine per eliminazione di H2O e formaldeide. Come per le resine ureiche il processo di condensazione può essere arrestato allo stadio desiderato agendo sulla temperatura e sulla reazione del mezzo. Le applicazioni sono analoghe a quelle degli aminoplasti ureidici.

Resine alchidiche (gliceroftaliche, maleiche, ecc.). - Hanno la costituzione di poliesteri, si ottengono per esterificazione di acidi organici bibasici (comunemente ftalico e maleico) con derivati poliossidrilici (glicerina, glicoli, pentaeritrite, ecc.). Considerando, ad es., le più importanti di esse, le gliceroftaliche, la condensazione con glicerina dell'anidride ftalica porta in un primo tempo a un poliestere lineare:

nel quale si inseriscono poi nuove molecole di anidride a dare ponti trasversali:

con formazione di prodotti insolubili e infusibili. Assai più importanti di queste resine gliceroftaliche pure, sono per la pratica le resine modificate, in cui gli −OH della glicerina sono in parte esterificati dall'acido ftalico e in parte da acidi grassi insaturi (da olio di lino, di legno, di pesce, ecc.). Esse trovano soprattutto applicazioni nel campo delle vernici, sia essiccanti all'aria sia al forno, e anche in quelle nitrocellulosiche. L'anidride maleica viene principalmente usata per la preparazione di prodotti acidi ottenuti per addizione dienica sugli acidi resinosi della colofonia. Gli acidi così ottenuti vengono poi esterificati con la glicerina nel modo solito. Le resine maleiche hanno particolari pregi di limpidezza, mancanza di colore, resistenza alla luce e trovano applicazione nel campo delle vernici.

Applicazione in un campo del tutto diverso e cioè in quello delle fibre tessili artificiali, hanno recentissimamente trovato i poliesteri dell'acido tereftalico col glicole etilenico:

che forniscono masse plastiche riducibili allo stato fuso in filamenti che, dopo stiratura a freddo, manifestano ottime caratteristiche di resistenza e di elasticità in tutto paragonabili a quelli del nylon col quale presentano evidenti analogie strutturali. Questa fibra è da poco prodotta in Inghilterra col nome di terilene.

Poliammidi (nylon): v. nylon, in questa App.

Tioplasti. - Trattando il cloruro di etilene con polisolfuri alcalini o alcalino terrosi (è adatto Na2S4), si ha la formazione di polisolfuri di etilene a lunga catena, utilizzati come succedanei del caucciù sotto il nome di tiocoli:

La reazione si conduce in soluzione alcolica o più comunemente in emulsione acquosa, ottenendo una specie di lattice del polimero che può essere coagulato per azione degli acidi. Le proprietà elastiche del tiocolo possono essere migliorate con trattamenti analoghi a quelli in uso per il caucciù. Nell'impiego, gli si aggiunge il 10 ÷ 20% di gomma naturale o sintetica. Gli usi sono quelli di sostituto del caucciù. Rispetto a questo ha il vantaggio di essere indifferente di fronte ai solventi organici; un inconveniente è l'odore caratteristico, sgradevole, dovuto a tracce di composti solforati volatili.

Siliconi: v. siliconi, in questa App.

Resine aldeidiche. - Sono note da lungo tempo e rappresentano prodotti di policondensazione dell'acetaldeide ottenuti per azione di reattivi alcalini. La loro costituzione non è ancora chiarita, ma si può supporre che rappresentino prodotti di ulteriore polimerizzazione e condensazione della crotonaldeide CH3−CH=CH−CHO. La resina somiglia nelle sue proprietà alla gomma lacca, come questa è solubile in alcool, esteri, chetoni e ha buone caratteristiche di lucentezza, durezza, resistenza alla luce. Viene quindi usata nella preparazione di vernici, per lacche e smalti.

Bibl.: F. Krczil, Kurzes Handbuch der Polymerisationstechnik, Lipsia 1940; H. Mark e R. Raff, High polymeric reactions, New York 1941; K. H. Mayer, Natural and synthetic high polymers, New York 1942; J. Delmonte, Plastics in engineering, 2ª ed., Cleveland 1942; H. R. Simonds, C. Ellis e H. Bigelow, Handbook of plastics, New York 1943; H. R. Simonds, Industrial plastics, New York 1943; C. Ellis, The chemistry of synthetic resins, voll. 3, New York 1935-44; A. Aita, Materie plastiche artificiali, Milano 1947.

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