MATEMATICA NON COMMUTATIVA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

MATEMATICA NON COMMUTATIVA


La seconda metà del 20° secolo ha visto lo sviluppo di una molteplicità di ricerche matematiche, alcune motivate da considerazioni puramente interne, altre ispirate da problemi della fisica, soprattutto quella quantistica, miranti a generalizzare varie teorie classiche in un contesto non commutativo. Per indicare l'insieme di queste teorie useremo la comune locuzione, corrispondente a un uso sempre più diffuso, di matematica non commutativa. Spesso, con una certa improprietà di linguaggio, si tende a identificare gli aggettivi 'quantistico' e 'non commutativo': tuttavia un uso acritico di tale identificazione può dar luogo a equivoci. Per es., la teoria dei gruppi non commutativi, la quale ha le sue radici nella matematica dell'Ottocento, è ben diversa da quella dei gruppi quantistici, sviluppata negli ultimi anni del 20° secolo. Nel seguito di questa voce verrà usato l'aggettivo 'non commutativo' o 'algebrico' per riferirsi a un'estensione di una teoria classica secondo le linee generali che saranno discusse nei paragrafi successivi, e l'aggettivo 'quantistico' per indicare un'estensione di una teoria classica che trova la sua motivazione nella fisica e che deriva da assiomi con un contenuto specificamente quantistico indipendenti dal modello matematico. Si potrebbe dire per analogia che, come il fatto di essere non euclidea per una teoria geometrica non implica che tale teoria sia 'relativistica', così una teoria matematica non commutativa non è necessariamente 'quantistica'.

Un caso emblematico è quello della probabilità. Nella fase iniziale di sviluppo della probabilità quantistica si è parlato di 'probabilità non commutativa' per indicare un'estensione puramente matematica del modello classico di probabilità ispirato alla teoria quantistica. Solo quando, alla fine degli anni Settanta, ci si è resi conto che tale nuovo modello corrispondeva a una concezione diversa delle leggi del caso, nella quale alcuni postulati impliciti nell'assiomatizzazione classica della probabilità risultavano non verificati, si è introdotta la locuzione probabilità quantistica: il termine quantistico serve a ricordare che l'introduzione del nuovo modello è motivata da ipotesi di natura non matematica ma fisica sulle leggi del caso, proprio come l'uso di geometrie non euclidee in astrofisica corrisponde a precise ipotesi fisiche sullo spazio. La probabilità algebrica è una teoria che include sia la probabilità classica, cui si riduce nel caso commutativo, sia quella quantistica.

Per altre generalizzazioni, riguardanti altri settori della matematica, questa chiarificazione concettuale non ha ancora avuto luogo; tuttavia in molti casi si cominciano a delineare teorie matematiche ricche e interessanti di per sé, indipendentemente dalle motivazioni e dai fondamenti assiomatici e con potenziali applicazioni alla fisica (per es., l'integrazione o la geometria). In questi casi si userà la definizione non commutativo.

Le estensioni non commutative di teorie classiche si inseriscono in due tendenze generali, che cominciano ad affermarsi nella prima metà del 20° secolo: da una parte l'algebrizzazione della matematica nel suo complesso, dall'altra la combinazione di strutture algebriche con strutture analitiche. Oltre a queste motivazioni, puramente interne, un ruolo fondamentale è stato svolto da problemi posti dalla fisica quantistica, sia per quanto riguarda l'esigenza di chiarire alcune questioni fondamentali, sia per le necessità sorte dallo sviluppo di un gran numero di settori specifici, quali la teoria dei sistemi quantistici dissipativi, la teoria dei campi (cioè il tentativo di sintetizzare relatività e teoria quantistica), la gravità quantistica e così via.

La teoria quantistica come meccanica non commutativa. - Molte linee di ricerca di m.n.c. hanno proceduto e procedono in modo totalmente indipendente e spesso non comunicante tra loro, in quanto a motivazioni, linguaggio e tecniche, salvo poi a intersecarsi e talvolta compenetrarsi gettando luce l'una sull'altra secondo meccanismi che spesso è facile razionalizzare a posteriori ma che, a priori, sono totalmente inattesi e costituiscono uno degli aspetti più misteriosi e affascinanti del pensiero matematico. Uno dei momenti più importanti in cui tecniche e linguaggi disgiunti si sono sintetizzati in un unico filone di ricerca di immensa portata, sia concettuale sia applicativa, si è avuto con la comprensione, da parte di W.K. Heisenberg (1925), che la meccanica dei quanti - la quale a quell'epoca era già al centro delle più avanzate ricerche fisiche da 25 anni - poteva essere interpretata come una generalizzazione non commutativa della meccanica classica basata su quelle che oggi vengono dette relazioni di commutazione di Heisenberg (Canonical Commutation Relations, CCR).

La meccanica quantistica è quindi il primo esempio di un'estensione non commutativa di una teoria commutativa (o classica) e, dato che molte delle caratteristiche di questa estensione si ritrovano nelle successive, è opportuno descriverne le principali linee concettuali. La meccanica classica descrive un sistema fisico (temporalmente omogeneo) mediante: (i) uno spazio degli stati S; (ii) una legge dinamica (Tt) (t[R) dove il parametro reale t viene interpretato come tempo e ogni Tt trasforma S in se stesso; e (iii) una famiglia !, di funzioni definite sullo spazio degli stati S e a valori reali, dette osservabili del sistema. Intuitivamente, se x è lo stato del sistema al tempo t₀, allora Tttx è lo stato del sistema al tempo t. Si richiede inoltre che TtTs5Tts. Tutte le affermazioni fisicamente significative sul sistema in questione si possono ridurre ad affermazioni del tipo: se all'istante t₀ il sistema si trova nello stato x, allora all'istante t l'osservabile f ha il valore f(Ttx).

La terna {S,(Tt)t[R,!} viene detta sistema dinamico classico. Il modello matematico di un tale sistema non è univocamente determinato da assiomi fisici, ma dipende dal tipo di informazioni che interessano relative all'evoluzione del sistema. Per es., nella meccanica hamiltoniana S è uno spazio euclideo reale di dimensione pari o, più in generale, il fibrato cotangente di una varietà differenziabile; nella dinamica topologica, S è uno spazio topologico generale; nella teoria ergodica S è uno spazio misurabile, e così via. In modo simile si introducono condizioni tecniche sulla dinamica (Tt) o sulle funzioni di ! (differenziabili, infinite volte differenziabili, continue, misurabili ecc.) che conducono a teorie, differenti negli aspetti tecnici, ma accomunate dal medesimo schema concettuale.

Si può sempre supporre che l'insieme ! delle osservabili classiche sia un'algebra involutiva di funzioni a valori complessi per le operazioni puntuali

(f1g)(x)5f(x)1g(x);fg(x)5f(x)g(x);f*(x)5f(x)

Ciò da un punto di vista matematico non è restrittivo poiché la legge dinamica f?f(Ttx) si può sempre estendere all'algebra generata dalle osservabili. Identificando un punto x di S con la funzione di valutazione δx in quel punto, definita su ! come

x,f8:5f(x);x[S,f[! [1]

si immerge S nel duale (algebrico) !* di !. Se un elemento Ê di !* è immagine di uno stato mediante la corrispondenza [1], allora oltre a essere un funzionale lineare su !, Ê gode delle seguenti proprietà: (i) se f[! è positiva, Ê(f) è un numero positivo; (ii) se f51 (la funzione costante uguale a 1), Ê(1)51. Un funzionale lineare su una *-algebra !, che gode delle proprietà (i) e (ii) appena enunciate, è detto uno stato su !. L'insieme degli stati su ! viene denotato S(!). Questo schema generale è arricchito e precisato dall'introduzione di ulteriori strutture topologiche, differenziali, misurabili e così via.

La meccanica statistica classica generalizza lo schema della meccanica classica nel senso che, invece di considerare stati della forma [1], considera stati più generali della forma

Ê(f):57Ê,f85ESf(x)Ê(dx);f[! [2]

dove Ê è una misura su S. Le condizioni (i) e (ii) in questo caso equivalgono a: (i9) Ê è positiva; (ii9) Ê(S)51. Queste due proprietà, unitamente ad alcune condizioni tecniche di continuità che qui non specificheremo, definiscono una misura di probabilità su S. Si noti che, in analogia con la [1], anche la [2] definisce un'immersione delle misure su S nel duale (algebrico) !* di !.

In questo caso tutte le affermazioni fisicamente significative sul sistema in questione si possono ridurre ad affermazioni del tipo: se all'istante t₀ il sistema si trova nello stato Ê, allora all'istante t il valor medio dell'osservabile f è dato da

Ê(f 0 Ttt₀):5ESf(Tttx)Ê(dx)

Infine, anche la legge dinamica può essere formulata unicamente in termini dell'algebra ! definendo, per ogni istante t, l'applicazione

ut:!$!;ut(f)(x)5f(Ttx);x[S,f[!

Si vede facilmente che ogni ut è uno *-automorfismo di !, cioè un'applicazione biunivoca tale che:

ut(fg)5ut(f)ut(g);ut(f1g)5ut(f)1ut(g);ut(f*)5ut(f)* [3]

e che la famiglia (ut) è un gruppo a 1-parametro, cioè:

uts5utus;u₀(f)5f;;f[! [4]

Spesso la legge dinamica viene espressa in termini di un'equazione ottenuta derivando la funzione t?ut(f) (con f fisso in !); usando la [4] si trova

?tut(f)5δ[ut(f)];u₀(f)5f;f[! [5]

dove δ5d}dt)t5₀. Derivando le identità [3] si trova che δ è una *-de-

rivazione lineare su !, cioè valgono le uguaglianze:

δ(fg)5δ(f)g1fδ(g); δ(f1g)5δ(f)1δ(g); δ(f*)5δ(f)* [6]

per ogni f e g in un appropriato sottospazio di ! detto il dominio di δ.

Riassumendo: tutte le teorie deterministiche classiche, incluse la meccanica hamiltoniana e la meccanica statistica, sono descritte dal seguente schema algebrico generale. Un sistema dinamico algebrico è una terna {!, S, (ut)t[R} dove (i) ! è un'algebra involutiva; (ii) S#S (!) è un insieme di stati su !; (iii) (ut) (t[R) è un gruppo a un parametro di automorfismi di !.

Nel periodo tra il 1925 e il 1930, dai contributi di una molteplicità di autori, tra cui ci limitiamo a ricordare E. Schrödinger, W. Heisenberg, P.A.M. Dirac, E. Fermi, W. Pauli tra i fisici e H. Weyl e J.L. von Neumann tra i matematici, emerse chiaramente l'idea che questo schema generale includeva anche la teoria quantistica, qualora l'algebra ! fosse stata interpretata non come un'algebra di funzioni ma come un'algebra non commutativa.

L'algebra (implicitamente) considerata da Heisenberg, nel caso di un sistema con un grado di libertà, era l'algebra ! delle serie formali non commutative con generatori p,q,1 e relazioni

p*5p; q*5q; [q,p]:5qp2pq5i" [7]

dove "52πh (h costante di Planck). Quest'algebra ammette una rappresentazione concreta, detta rappresentazione di Schrödinger, tramite operatori su L²(R) (lo spazio di Hilbert delle funzioni a quadrato sommabile per la misura di Lebesgue). In questa rappresentazione gli operatori sono definiti come segue

(qf)(x)5xf(x) (operatore posizione)

(pf)(x)51]i?}]]]?xf(x) (operatore momento)

e la derivazione δ, che implementa la legge dinamica [5], è definita da un operatore autoaggiunto H5H*, detto hamiltoniana del sistema, mediante la formula

δ(a):5i[H,a]5i(Ha2aH) a[! [8]

Nel caso di sistemi a n gradi di libertà la rappresentazione di Schrödinger si realizza sullo spazio L²(Rn), delle funzioni complesse a quadrato sommabile rispetto alla misura di Lebesgue su Rn. Fissando una base di Rn, cioè identificando i punti di Rn con n-uple ordinate di numeri reali x5(x₁,…,xn), si definiscono gli operatori autoaggiunti

(qjf)(x)5xjf(x)

(phf)(x)51]]i ?}]?xh f(x)

che soddisfano le relazioni di commutazione di Heisenberg

[qj,ph]5δjhi" [9]

Introducendo poi gli operatori

q(x):5nj5qjxj; p(x):5nj5pjxj [10]

le relazioni di commutazione [9] assumono la forma (intrinseca, ossia indipendente dalla base)

[q(x),p(y)]5i7x,h8" [11]

dove K?,?L è il consueto prodotto scalare euclideo in Rn(Kx,yL5nj5xjyj).

Infine, partendo dalle relazioni di commutazione [11] e sostituendo a Rn uno spazio di Hilbert reale -₁ a dimensione infinita, si ottengono le relazioni di commutazione utilizzate nella teoria dei campi quantistici bosonici. In questo caso il prodotto scalare nel membro destro di [11] va inteso come prodotto scalare in -₁ e il complessificato di -₁ è detto spazio a una particella. Tuttavia, mentre il passaggio da uno a più gradi di libertà non introduce nuovi elementi qualitativi, il passaggio da un numero finito a uno infinito ha come conseguenza la perdita dell'unicità della rappresentazione di Schrödinger (che è dimostrata dal teorema di Stone-von Neumann nel caso finito dimensionale, sotto deboli ipotesi di continuità). Anche nel caso di un solo grado di libertà la relazione di commutazione di Heisenberg [7] non può essere realizzata da operatori su spazi a dimensione finita, cioè da matrici. In questo senso il problema della quantizzazione ha come ambiente matematico naturale l'analisi funzionale, vale a dire l'analisi in spazi di dimensione infinita.

Lo schema astratto del passaggio dal commutativo al non commutativo (v. oltre), che ha condotto in modo naturale alla definizione di sistema dinamico algebrico, non è molto significativo, proprio per la sua generalità. Infatti, nulla in questo schema suggerisce che tra le infinite algebre non commutative possibili a priori quella interessante per la fisica sia definita proprio dalle relazioni di commutazione [7]. Anche volendo ragionare a posteriori, cioè partendo dalle relazioni [7] e cercando di capire di quali proprietà esse siano espressione, si giunge a un problema tutt'altro che facile e di cui a tutt'oggi si conoscono solo due soluzioni, che vengono considerate di seguito.

La prima soluzione che si è venuta delineando a partire dal contributo di G.W. Mackey negli anni Cinquanta, riformula le [7] in modo equivalente (a parte condizioni di regolarità che non approfondiremo) come un sistema di imprimitività, ossia le interpreta come espressione di proprietà di simmetrie del sistema in questione rispetto a particolari gruppi di trasformazioni (in questo caso gruppi di traslazione). Questa formulazione rompe la simmetria delle regole di commutazione [7] rispetto a posizione e momento (scambiando i ruoli delle due osservabili il membro destro cambia segno), dato che in essa la posizione è trattata come un'osservabile mentre del momento si considera il gruppo unitario da esso generato, che implementa le traslazioni spaziali sull'algebra generata dalla posizione. Inoltre, questa formulazione deve postulare a priori tutto il formalismo matematico della teoria quantistica (spazi di Hilbert complessi, trasformazioni unitarie e così via) e quindi il problema di spiegare le ragioni profonde delle regole di commutazione [7] viene ricondotto a quello di giustificare tale formalismo. Il tentativo di risolvere questo problema ha generato una vasta letteratura mirante a caratterizzare, tra tutti i reticoli ortocomplementati (logiche quantistiche), quelli isomorfi al reticolo dei sottospazi di uno spazio di Hilbert (Mackey 1968). Pur conducendo a risultati matematicamente interessanti (come, per es., l'estensione infinito-dimensionale del teorema di coordinatizzazione della geometria proiettiva), non si può dire che queste ricerche abbiano prodotto una soluzione del problema, a causa della difficoltà di interpretare fisicamente l'applicazione delle stesse operazioni fondamentali del reticolo (unione e intersezione) a proiettori non mutuamente commutanti oppure certe condizioni matematiche (come la cosiddetta covering law) necessarie per la suddetta caratterizzazione. Infine, la soluzione proposta da Mackey non fornisce alcun analogo per le regole di anticommutazione ({q(x),p(y)}:5q(x)p(y)1p(y)q(x)5Kx,yL), che pure svolgono un ruolo fondamentale nella descrizione dei campi fermionici.

La soluzione offerta dalla probabilità quantistica deduce sia le regole di commutazione sia quelle di anticommutazione (e loro generalizzazioni) da teoremi di limite centrale quantistico a partire da un sistema dinamico non commutativo molto generale. Dato che i teoremi di limite centrale descrivono le fluttuazioni, il suggerimento che emerge da questo risultato è che le regole di commutazione e le loro deformazioni siano un fenomeno universale delle fluttuazioni dei sistemi dinamici non commutativi sotto condizioni generali di indipendenza statistica (o di dipendenza debole). Le condizioni da cui dipende questa soluzione, sebbene più generali di quelle richieste dall'approccio di Mackey, sono ancora espresse all'interno dello schema matematico (non commutatività o formulazioni tecniche della nozione di indipendenza). La nuova assiomatica del calcolo delle probabilità riesce ad andare abbastanza avanti nella deduzione del modello quantistico da postulati fisicamente significativi, ma l'interpretazione lungo queste linee di tutta una serie di nuove nozioni di indipendenza statistica è ancora un problema aperto.

A partire dal caso paradigmatico della meccanica quantistica si può dare un significato più preciso a ciò che si intende per 'passaggio dal commutativo al non commutativo' seguendo uno schema in due passi.

Il primo passo consiste nella caratterizzazione puramente algebrica di una proprietà classica: si parte da una categoria, i cui oggetti sono insiemi con una struttura (interpretati come spazi di punti) e i cui morfismi sono funzioni che conservano tale struttura; si costruisce una categoria i cui oggetti sono strutture algebriche (eventualmente dotate di una topologia); si dimostra un isomorfismo di categorie tra la categoria di spazi di punti e la categoria algebrica. Tipicamente la categoria algebrica è formata da funzioni definite sugli spazi di punti e quindi l'isomorfismo di categorie sarà definito da un funtore controvariante. La richiesta di isomorfismo fra categorie è molto forte: essa corrisponde non solo a una 'algebrizzazione di spazi', ma anche a una 'spazializzazione di oggetti algebrici', cioè all'interpretazione di oggetti algebrici come strutture definite su spazi di punti. In genere è proprio questo 'passaggio inverso' quello che presenta i problemi matematici più delicati (v. oltre: La corrispondenza tra spazi e algebre: i teoremi di rappresentazione) e che spesso conduce a un ampliamento della stessa nozione di 'spazio di punti' dalla quale si era partiti. Per es., il fatto che non tutti gli anelli siano realizzabili come anelli di sezioni di varietà ha condotto A. Grothendieck a generalizzare il concetto di varietà in quello di schema; la dimostrazione del fatto che ogni anello è realizzabile come anello di sezioni di uno schema affine ha permesso di interpretare l'intera geometria algebrica come un codice di traduzione tra spazi (intesi in questo senso generalizzato) e anelli (questa realizzazione viene spesso chiamata il programma o la filosofia di Grothendieck).

Nel secondo passo si assumono le proprietà algebriche caratterizzanti la situazione classica come definizione di una nuova proprietà in un contesto non commutativo: si amplia la categoria algebrica prima costruita introducendo una qualche forma di non commutatività (per es., la non commutatività standard nel caso di anelli, algebre, gruppi ecc.; la non co-commutatività nel caso di co-algebre; e così via) e si studiano gli oggetti della nuova categoria come 'generalizzazioni non commutative' degli oggetti definiti in termini di spazi di punti.

Le considerazioni esposte per la meccanica mostrano però che occorre procedere con molta cautela nell'applicazione di questo schema. Come in ogni generalizzazione matematica, data la forte componente di arbitrio, solo le applicazioni a problemi esterni alla teoria permettono di distinguere quali di queste generalizzazioni si risolvano in una esercitazione formale e quali invece conducano a strutture profonde e destinate a durare e a produrre risultati che vadano al di là dell'elegante riformulazione di teorie note.

Nel seguito verrà illustrato lo schema astratto del passaggio dal commutativo al non commutativo tramite gli esempi più significativi.

La corrispondenza tra spazi e algebre: i teoremi di rappresentazione. - Una delle idee fondamentali su cui è basato il processo di algebrizzazione è quella di descrivere i punti di uno spazio in termini di funzioni (o più generali oggetti algebrici) definite su di esso. Quest'idea è ben illustrata da un esempio molto semplice ma concettualmente importante, poiché può essere usato per spiegare costruzioni che intervengono in contesti molto più sofisticati: la teoria degli insiemi. Dato un insieme S e un suo punto x, la funzione caratteristica πx è quella funzione su S che associa zero a ogni punto di S diverso da x e 1 a x. Lo spazio vettoriale complesso generato algebricamente da tali funzioni e dalle costanti è un'algebra !S (nel seguito, salvo avviso contrario, per 'algebra' si intenderà un'algebra associativa, con identità sui complessi) involutiva per le operazioni puntuali sulle funzioni. Se S e T sono due insiemi e !S, !T sono le algebre a essi associate, ogni funzione f, da S a valori in T, definisce un'applicazione f* da !T ad !S mediante la relazione f*π(x)5π(fx) (f[!T, x[S): f* è un omomorfismo di algebre involutive. Se pensiamo agli insiemi come a una categoria i cui morfismi sono le funzioni tra essi, questa costruzione può essere interpretata come un funtore (controvariante) tra questa categoria e quella delle algebre involutive con i loro morfismi naturali. Questa costruzione realizza un'immersione della categoria degli insiemi nella categoria delle algebre commutative con involuzione ed è intuitivamente chiaro che ogni proprietà degli insiemi e delle applicazioni tra essi si può tradurre in una proprietà delle algebre e degli omomorfismi associati. Tuttavia, tale funtore non è un isomorfismo di categorie, dato che esistono molte algebre non isomorfe a nessuna delle algebre ottenute con la costruzione descritta sopra. Si pone allora il problema di caratterizzare, tra le algebre commutative con involuzione, quelle ottenute con tale costruzione. La soluzione di questo problema è il prototipo di quei risultati che vanno sotto il nome di teoremi di rappresentazione. Per descrivere tale soluzione osserviamo che, se !S è l'algebra associata all'insieme S, le funzioni caratteristiche dei punti di S sono proiettori in !S che, assieme all'identità, generano l'algebra e hanno le due seguenti proprietà: (i) sono autoaggiunti (π5π²5π*) (nel seguito diremo solo 'proiettore' invece di 'proiettore autoaggiunto') e (ii) sono atomici (cioè l'ideale π!S è unidimensionale). Inversamente, se ! è un'algebra commutativa con involuzione generata algebricamente dai suoi proiettori atomici, detto S l'insieme di tali proiettori, si dimostra che ! è isomorfa all'algebra !S. Infatti, se π è un proiettore atomico, dato che π! è unidimensionale, per ogni elemento f[! l'elemento πf può essere identificato con un numero complesso, che denoteremo -f(π). L'applicazione f?-f, di ! in !S, è iniettiva poiché ! è generata dai proiettori atomici ed è suriettiva poiché i generatori di ! sono trasformati in generatori di !S. Dato che la conservazione delle operazioni algebriche è immediatamente verificata, si conclude che l'applicazione f?-f è un isomorfismo. Infine, poiché gli omomorfismi di algebre trasformano proiettori atomici in proiettori atomici, si può concludere che questa costruzione realizza un isomorfismo tra la categoria degli insiemi con le applicazioni tra loro e quella delle algebre commutative con involuzione, generate dai proiettori atomici con gli omomorfismi naturali. A questo punto sono possibili due tipi di generalizzazione (ed entrambe sono state effettivamente realizzate in categorie più complesse di quella degli insiemi): la prima consiste nel tentare di associare spazi di punti ad algebre commutative con involuzione di tipo più generale (o altre strutture algebriche); la seconda è la generalizzazione non commutativa.

Per la prima generalizzazione occorre riformulare il problema, dato che molte algebre commutative interessanti non hanno alcun proiettore non banale (cioè diverso da 0 o 1). Tenuto conto che, nelle algebre di tipo !S, assegnare un proiettore atomico è equivalente ad assegnare un omomorfismo dell'algebra nei numeri complessi (e in quest'identificazione la quantità -f(π) si interpreta come π(f), dove π è l'omomorfismo sui complessi canonicamente associato al proiettore atomico π), ovvero un ideale massimale dell'algebra, si intuisce che questi oggetti sono i candidati naturali per la soluzione del problema. Quest'intuizione è confermata da numerosi teoremi di rappresentazione. Per es., se sostituiamo alla categoria degli insiemi quella degli spazi topologici compatti e alla categoria delle algebre commutative con involuzione quella delle C*-algebre commutative, allora l'applicazione f?-f, descritta sopra, diventa la trasformata di Gel´fand.

La seconda generalizzazione corrisponde al passaggio dalle algebre commutative a quelle non commutative. Si consideri ancora la teoria degli insiemi cosicché il passaggio al non commutativo dovrebbe condurre a una 'teoria non commutativa degli insiemi'. Per semplicità, ci si limiti ai soli insiemi finiti i quali, nell'algebrizzazione descritta sopra, corrispondono ad algebre commutative con involuzione generate da un numero finito di proiettori atomici. La generalizzazione non commutativa di queste corrisponde all'insieme di tutte le algebre generate algebricamente da un numero finito di proiettori atomici (nel caso non commutativo, un proiettore p di un'algebra ! è detto atomico se l'algebra p!p è unidimensionale e quindi uguale a Cp). Ogni proiettore atomico di una tale algebra è contenuto in una famiglia massimale di proiettori atomici ortogonali (cioè tali che il prodotto di due proiettori diversi sia nullo) e, per la massimalità, la somma dei proiettori di una tale famiglia dev'essere uguale all'identità. Una tale famiglia è detta una partizione dell'identità. La più semplice classe di algebre involutive generate da partizioni dell'identità di proiettori atomici è quella delle algebre a centro banale, cioè uguale ai multipli dell'identità, generate da due sole partizioni dell'identità di uguale cardinalità, diciamo (Aj), (Bj), con j51,…,n. L'atomicità implica che per ogni i,j51,…,n esistono numeri pij(A,B), pji(B,A) tali che

AiBjAi5pij(A,B)Ai; BjAiBj5pji(B,A)Bj [12]

L'uguaglianza AiBjAi5(BjAi)*(BjAi) mostra che questi numeri sono positivi e, dato che sia (Ai) sia (Bj) sono partizioni dell'identità, sommando la prima identità su j e la seconda su i si trova

nj5pij(A,B)5ni5pji(B,A)5i [13]

Infine l'associatività implica che pij(A,B)5pji(B,A), da cui segue che si ha anche

ni5pij(A,B)5nj5pji(B,A)5i [14]

Matrici (pij(A,B)) a coefficienti positivi che soddisfano la [13] sono ben note in probabilità e vengono chiamate stocastiche (bi-stocastiche se anche la [14] è verificata). Quindi l'idea formale di una teoria non commutativa degli insiemi finiti conduce a scoprire un legame tra algebra e teoria delle probabilità. Questo legame è più profondo di quanto non possa sembrare a prima vista. Infatti si può dimostrare che, se n.2, non tutte le matrici bi-stocastiche possono ottenersi dalle relazioni algebriche [12]. Si pone allora il problema di caratterizzare quelle matrici bi-stocastiche che godono di questa proprietà. La soluzione di questo problema, trovata nell'ambito della probabilità quantistica nei primi anni Ottanta del 20° secolo, è espressa da una condizione che risulta essere una generalizzazione dell'equazione di Schrödinger. Dato che l'estensione al caso di insiemi numerabili non presenta difficoltà, possiamo concludere che un matematico che si fosse posto il problema di costruire una teoria non commutativa degli insiemi numerabili, lungo le linee descritte sopra, sarebbe giunto a dedurre l'intero formalismo della teoria quantistica e, con esso, il primo modello non kolmogoroviano di probabilità. Nella realtà storica, in questo caso, le cose sono andate nella direzione opposta, e tuttavia l'indicazione generale che proviene da quest'esempio mostra che in taluni casi il programma di un'estensione non commutativa di teorie classiche può condurre a risultati interessanti.

Ulteriori esempi del processo di algebrizzazione, ciascuno dei quali è stato un punto di partenza per la costruzione di teorie non commutative secondo lo schema che è stato presentato, sono: il teorema degli zeri di Hilbert, i teoremi di rappresentazione di Gel´fand (per le algebre di Banach commutative), di von Neumann (per le W*-algebre commutative), di Serre-Swan (per i fibrati vettoriali) e il teorema di rappresentazione per le algebre di Hopf commutative. Questi teoremi costituiscono una 'codificazione' delle proprietà di uno 'spazio di punti' (per es., una varietà algebrica affine, uno spazio compatto, un fibrato vettoriale) nelle proprietà di un'algebra di funzioni e per tutti vale il corrispondente risultato di 'decodificazione', cioè di interpretazione di un oggetto algebrico in termini di funzioni su uno spazio di punti.

Nel seguito verranno descritti questi teoremi e la loro rilevanza per le varie teorie non commutative.

Il teorema degli zeri di Hilbert e le varietà algebriche affini. - Questo è stato storicamente il primo dei teoremi di rappresentazione menzionati sopra. Se A è un anello, si indica con Spec(A) lo spazio degli ideali primi di A. Il sottospazio di Spec(A) costituito dagli ideali massimali di A, con la topologia indotta, è chiamato lo spettro massimale di A e si denota con Max(A). Per anelli commutativi arbitrari esso non ha le buone proprietà funtoriali di Spec(A), poiché la controimmagine di un ideale massimale in un omomorfismo di anelli può non essere massimale. Sia k un campo algebricamente chiuso e sia fx(t₁,…,tn)50 un insieme di equazioni polinomiali in n variabili a coefficienti in k. L'insieme X di tutti i punti x5(x₁,…,xn)[kn che soddisfano tali equazioni è una varietà algebrica affine. Consideriamo l'insieme di tutti i polinomi g[k[t₁,…,tn] con la proprietà che g(x)50 per ogni x[X. Tale insieme è un ideale I(X) nell'anello dei polinomi, ed è chiamato l'ideale della varietà X. L'anello quoziente P(X)5k[t₁,…,tn]/I(X) è l'anello delle funzioni polinomiali su X, poiché due polinomi g, h definiscono la medesima funzione polinomiale su X se, e soltanto se, g-h si annulla in ogni punto di X, ossia, se e soltanto se g-h[I(X). Sia Íi l'immagine di ti in P(X). Le Íi(1#i#n) sono le funzioni coordinate su X: se x[X, allora Íi(x) è l'i-esima coordinata di x. P(X) è generato come k-algebra dalle funzioni coordinate, ed è chiamato l'anello delle coordinate (o l'algebra affine) di X. Per ogni x[X, sia }x l'ideale di tutte le funzioni f[P(X) tali che f(x)50; esso è un ideale massimale di P(X). Dunque, se X~5Max(P(X)), resta definita un'applicazione Ì:X$X~, precisamente x?}x. È facile provare che Ì è iniettivo: se x?y, si deve avere xi?yi per qualche i (1#i#n), e quindi Íi-xi appartiene a }x ma non a }y, sicché }x?}y. Ciò che è meno banale (ma pur vero) è che Ì è suriettivo. Questa è una delle formulazioni del teorema degli zeri di Hilbert.

Il teorema di rappresentazione di Gel´fand per le C*-algebre commutative. - Questo teorema e il teorema analogo per le algebre di von Neumann, o W*-algebre, possono essere pensati come analoghi del teorema degli zeri, che riguarda l'algebra dei polinomi, relativamente all'algebra delle funzioni continue e all'algebra delle funzioni misurabili (più precisamente delle classi di tali funzioni rispetto a una data misura).

Sia X uno spazio di Hausdorff compatto e denotiamo con C(X) l'anello di tutte le funzioni a valori reali continue su X (le funzioni vengono sommate e moltiplicate, sommando e moltiplicando i loro valori). Per ogni x[X, sia }x l'insieme di tutte le funzioni f[C(X) tali che f(x)50. L'ideale }x è massimale, poiché è il nucleo dell'omomorfismo (suriettivo) C(X)$R che porta f in f(x). Se X~ denota Max(C(X)), resta così definita un'applicazione Ì:X$X~, precisamente x?}x. Si può dimostrare che Ì è un omeomorfismo di X su X~. Sia } un ideale massimale arbitrario di C(X), e sia V5V(}) l'insieme degli zeri comuni delle funzioni in }: V5{x[X:f(x)50 ;f[}}. Supponiamo che V sia vuoto. Allora per ogni x[X esiste una funzione fx[} tale che fx(x)?0. Poiché fx è continua, esiste un intorno aperto Ux di x in X sul quale fx non si annulla. Per ragioni di compattezza, un numero finito di tali intorni, diciamo Ux₁,…, Uxn, ricopre X. Poniamo

f5f²x₁1…1f²xn

Allora f non si annulla in nessun punto di X, sicché è invertibile in C(X). Ma ciò contraddice la relazione f[}, dunque V è non vuoto.

Sia x un punto di V. Allora }#}x, da cui }5}x, poiché } è massimale. Dunque Ì è suriettivo. In virtù del lemma di Urysohn (questo è l'unico fatto non banale richiesto nella dimostrazione), le funzioni continue separano i punti di X. Dunque x?y5.}x?}y, e pertanto Ì è iniettivo. Sia f[C(X); poniamo Uf5{x[X:f(x)?0} e U~f5{}[X~:f[/}}. Si può dimostrare che Ì(Uf)5U~f. Gli aperti Uf (risp. U~f) formano una base della topologia di X (risp. X~) e pertanto Ì è un omeomorfismo. In tal modo X può essere ricostruito a partire dall'anello di funzioni C(X). Sia ora una C*-algebra commutativa. Dato un funzionale lineare moltiplicativo non nullo Ê:A$C, si può dimostrare che

Ker(Ê)5{a[A|Ê(a)50}

è un ideale massimale e, viceversa, che ogni ideale massimale è della forma Ker(Ê). Identificando Ê@$Ker(Ê) si può pensare a Max(A) come lo spazio dei funzionali o caratteri dell'algebra A. A questo punto è possibile enunciare il teorema di rappresentazione di Gel´fand. Sia A una C*-algebra commutativa con unità e sia X5Max(A) il suo spettro massimale. La trasformata di Gel´fand

x[A?la funzione x̂(Ê)5Ê(x) ;Ê[Max(A)

è un isomorfismo di A sulla C*-algebra delle funzioni continue C(X).

Il teorema di rappresentazione per le algebre di von Neumann commutative. - Sia (X,^,Ì) uno spazio di misura standard dove Ì è una misura di probabilità e sia π(L`(X,Ì)) l'algebra degli operatori da L²(X,Ì) a L²(X,Ì) definita da π(f)g5fg (f[L`,g[L²). Allora M5π(L`) è un'algebra di von Neumann e infatti M5M9. Il preduale di M è lo spazio L¹(X,Ì).

Sia Mi un'algebra di von Neumann su Hi (i51,2). In tal caso si dice che M₁ è spazialmente isomorfa a M₂ se esiste un unitario U5H₁$H₂ tale che UMU*5M₂. Il teorema di rappresentazione di von Neumann afferma che, se H è separabile, ogni algebra di von Neumann commutativa su H è spazialmente isomorfa a π(L`(X,Ì)) per un opportuno spazio (X,Ì).

Fibrati, moduli proiettivi e teorema di Serre-Swan. - Un fibrato (vettoriale) su uno spazio di Hausdorff compatto X è uno spazio topologico munito di una mappa p:E$X tale che su ogni fibra Ex5p⁻¹x esista una struttura di spazio vettoriale finito-dimensionale e ;x[X esista un intorno U di x tale che E|U5p⁻¹U è isomorfo a un fibrato banale su U (cioè U3E). Sia E un fibrato vettoriale complesso sullo spazio compatto X. L'insieme delle sezioni °(E) ha una struttura naturale di modulo sull'anello (algebra) delle funzioni continue a valori complessi su X (con le operazioni puntuali). Se E è un fibrato banale di dimensione n, allora °(E) è un modulo libero di rango n. Si ha inoltre la proprietà °(E%F)5°(E)%°(F). Si dimostra che ogni fibrato E è addendo diretto di un fibrato banale. Quindi il corrispondente modulo delle sezioni °(E) è addendo diretto di un modulo libero di rango n e pertanto è un modulo proiettivo finitamente generato.

Il teorema di Serre-Swan stabilisce che è vero il viceversa: ogni C(X)-modulo proiettivo finitamente generato è isomorfo al modulo delle sezioni di un fibrato su X. Per il teorema di Gel´fand, le algebre di tipo C(X) sono i modelli universali delle C*-algebre commutative. Il programma di riformulare algebricamente i risultati riguardanti i fibrati vettoriali ed estenderli al caso di !-moduli proiettivi finitamente generati, dove ! è un'arbitraria C*-algebra, è quindi naturalmente pensabile come una "teoria dei fibrati vettoriali non commutativi" nelle sue varie ramificazioni (K-teoria non commutativa, teoria delle connessioni e dei campi di Yang-Mills non commutativi e così via).

Algebre di Hopf commutative e teoria dei gruppi. - Un'algebra (con identità) può essere considerata come una terna {!,M,1} dove ! è uno spazio vettoriale e M un'applicazione bilineare da !^! in ! che soddisfa l'identità associativa M0(M^í)5M0(í^M), dove í denota l'applicazione identità in !, e inoltre 1 è l'omomorfismo1:Ï[C$Ï1[!. L'applicazione M è detta moltiplicazione e spesso si usa la notazione

M:a^b[!^!$M(a^b):5ab[!

L'applicazione 1 è detta la mappa unità di ! e, complessivamente, 1 e M vengono chiamate mappe di struttura dell'algebra.

Invertendo le frecce in questi diagrammi si ottiene la nozione duale di coalgebra. Quindi, per definizione una coalgebra è una terna {#,¢,δ} dove # è uno spazio vettoriale, ¢:#^#$# un'applicazione lineare, detta comoltiplicazione, che soddisfa l'identità coassociativa

(¢^í)0¢5(í^¢)0¢

e δ:#$C è un'applicazione lineare, detta la counità, soddisfacente l'identità (δ^í)0¢5(í^δ)0¢, dove # è stata identificata sia con #^C sia con C^#. Le mappe ¢,δ vengono dette mappe di struttura della coalgebra #. Una bialgebra è un insieme con entrambe le strutture di algebra e di coalgebra, cioè una quintupla {@,M,1,¢,δ} dove {@,M,1} è un'algebra con moltiplicazione M e unità 1 e {@,¢,δ} è una coalgebra tale che sia ¢ sia δ sono omomorfismi di algebra. L'antipodo S di una bialgebra è un elemento che soddisfa

M0(S^1)0¢5M0(1^S)0¢51δ

Un'algebra di Hopf è una bialgebra dotata di antipodo.

Il più semplice esempio di algebra di Hopf commutativa si costruisce nel seguente modo. Sia G un gruppo finito e sia (A,M,1) l'algebra delle funzioni da G in C con le operazioni puntuali. Identificando A^A con l'algebra delle funzioni da G3G a valori in C e definendo le mappe ¢:A$A3A,δ:A$C mediante le uguaglianze

¢f(x^y)5f(xyf5f(e)

dove x,y[G ed e è l'identità di G, allora {A,M,1,¢,δ} è una bialgebra. Infine l'endomorfismo S:A$A definito da

(Sf)(x)5f(x⁻¹)

è un antipodo e quindi su A c'è una naturale struttura di algebra di Hopf commutativa. Si osservi infine che c è un carattere di G se e solo se ¢c5c^c. In generale, un elemento c di una coalgebra C è chiamato elemento di tipo-gruppo (group-like) se δ(c)51 e ¢c5c^c.

Questo esempio si generalizza (Abe 1980) e a ogni gruppo G si può associare un'algebra di Hopf commutativa R(G), che è un'algebra di funzioni su G, con la seguente proprietà: data un'algebra di Hopf commutativa H e detta H⁰ l'algebra duale, l'insieme G(H⁰), di tutti gli elementi di tipo-gruppo di H⁰ ha una struttura di gruppo tale che l'algebra di Hopf commutativa R(G), a esso associata (nel modo descritto sopra), coincida con l'algebra iniziale H. Inoltre due gruppi sono isomorfi se e solo se lo sono le algebre di Hopf commutative a essi associate. Di conseguenza, il teorema di rappresentazione per le algebre di Hopf commutative afferma che il funtore che associa a un gruppo G l'algebra R(G) è un isomorfismo di categorie e fornisce una costruzione esplicita del suo inverso.

Per quanto detto sopra assegnare una struttura di gruppo equivale ad assegnare un'algebra di Hopf commutativa. In questo senso, usando quell'identificazione tra quantistico e non commutativo, di cui si è discusso prima, si può dire che un'algebra di Hopf non commutativa è l'analogo quantistico di un gruppo. Questo punto di vista fu avanzato da V. Drinfeld nel suo intervento al convegno internazionale dei matematici tenutosi a Berkeley nel 1986. Oggi l'espressione 'gruppo quantistico' è ampiamente usata, ma non si può dire che ci sia un accordo generale sul suo significato preciso: oltre all'accezione molto generale come sinonimo di 'algebra di Hopf non commutativa' si ritrovano nella letteratura matematica accezioni più specifiche che individuano sottoclassi di tali algebre selezionate sulla base di criteri tecnici. La scoperta di Drinfeld e M. Jimbo del ruolo delle algebre di Hopf non commutative nella soluzione dell'equazione di Yang-Baxter, e quindi nella teoria dei sistemi hamiltoniani completamente integrabili, mostra la fecondità di questa linea di ricerca in m.n.c. attraverso la capacità di risolvere problemi non puramente interni alla teoria stessa (v. oltre: Gruppi quantistici).

Teoria della misura, integrazione non commutativa e algebre di von Neumann. - La teoria delle algebre di von Neumann può essere considerata come una teoria non commutativa della misura nel senso specificato dalle seguenti considerazioni. Sia H uno spazio di Hilbert complesso e sia L(H) la C*-algebra degli operatori limitati da H in H con la norma

iTi5supivi#₁iTvi

e con l'involuzione T$T* definita dall'aggiunto. Un'algebra di von Neumann è una sotto *-algebra di L(H) contenente l'identità e tale che M5M0, dove il commutante S9 di un sottoinsieme S,L(H) è definito da S95{T[L(H):TA5AT;A[S}.

Si dimostra che questa definizione algebrica equivale alla condizione topologica di chiusura dell'algebra involutiva rispetto alla topologia operatoriale forte (o, equivalentemente, operatoriale debole o ultraforte o ultradebole). I funzionali lineari continui per una qualunque di tali topologie (si mostra che in tal caso lo sono anche per tutte le altre) costituiscono il "pre-duale" dell'algebra di von Neumann.

Spazi Lp non commutativi. - Per poter prendere in considerazione misure che non siano necessariamente finite, è necessario introdurre l'analogo non commutativo delle misure positive infinite. Il dato iniziale per l'integrazione non commutativa è quindi una coppia (M,Ê) che consiste di un'algebra di von Neumann M e di un peso Ê su M nel seguente senso. Un peso su un'algebra di von Neumann M è una mappa omogenea positiva additiva Ê da M₊ a R-₊5[0,1`]. Si dice che Ê è semifinito se {x[M₊;Ê(x),`} è Û(M,M*)-totale e che Ê è normale se Ê(sup x·)5supÊ(x·) per ogni famiglia crescente diretta limitata di elementi di M₊.

Il più semplice esempio di peso infinito è quello della traccia usuale per gli operatori limitati su uno spazio di Hilbert H. Ponendo M5L(H), per ogni T[M₊ e ogni base ortonormale (Í·)·[I di H si ha:

Traccia T5∑7TÍ··85 sup {Traccia A; A di rango finito}

#A#T

Infatti i primi pesi finiti studiati sono state le tracce: un peso su un'algebra di von Neumann su M viene detto traccia se è invariante per gli automorfismi interni di M. Lo studio degli analoghi dei concetti di convergenza quasi ovunque e di spazio Lp, p[[1,`] è stato iniziato da J. Dixmier e I.E. Segal per le tracce normali semifinite. Se Ê è una traccia, l'insieme Cp5{x[M;Ê(|x|p),`} è un ideale sinistro di M e ixip5Ê(|x|p/p definisce una seminorma su Cp. Il completamento di questo spazio, che si indica con Lp(M,Ê), ha numerose proprietà che generalizzano il caso commutativo e il caso classico degli operatori a potenza p-sommabile su uno spazio di Hilbert. In particolare, se x$0 e Ê(x)50 implica x50 (in questo caso Ê è detto fedele), il preduale M* di M può essere identificato con lo spazio L¹(M,Ê), M può essere identificato con L`(M,Ê) e l'intersezione L²(M,Ê)?L`(M,Ê) è un'algebra di Hilbert.

Probabilità quantistica: la teoria quantistica come nuova probabilità. - Benché la teoria quantistica sia nata come meccanica non commutativa, con l'interpretazione statistica della funzione d'onda, dovuta a M. Born (1927), si comincia a realizzare che essa è anche una teoria statistica basata su un formalismo matematico completamente nuovo. Questo fatto pose due importanti problemi alla comunità dei fisici e matematici: descrivere in modo rigoroso il nuovo formalismo e giustificare l'emergere di tale formalismo a partire da assiomi indipendenti dal modello. Il primo problema fu risolto da von Neumann nella sua monografia sui fondamenti della meccanica quantistica (von Neumann 1932). Questo lavoro, e i successivi in collaborazione con F.J. Murray, segnarono la nascita della teoria delle algebre di operatori e possono essere considerati l'origine della teoria non commutativa della misura (v. sopra).

Negli stessi anni la monografia di A.N. Kolmogorov (1933) fondava la moderna teoria della probabilità utilizzando come strumento tecnico fondamentale la teoria della misura di Lebesgue, estesa agli spazi astratti da M. Fréchet; nel contempo Kolmogorov introduceva i concetti fondamentali che caratterizzano la teoria della probabilità e la distinguono dalla teoria della misura: la nozione di attesa condizionata; il concetto di processo stocastico (caratterizzato dalle sue distribuzioni congiunte finito-dimensionali, v. stocastici, processi, App. V), la nozione collegata di indipendenza statistica e quella, ancora più basilare, di dipendenza statistica locale (o markoviana).

Nell'approccio di Kolmogorov l'oggetto fondamentale è lo 'spazio di probabilità', cioè uno spazio S con una misura di probabilità P definita su un'algebra booleana ^ di sottoinsiemi di S chiusa per unioni numerabili (Û-algebra). Le variabili aleatorie vengono identificate con funzioni misurabili sullo spazio S e l'attesa Ê(X) della variabile aleatoria X, a valori reali o complessi, è l'integrale rispetto alla misura P:

Ê(X)5ESXdP [15]

L'integrale rispetto a una misura di probabilità definisce uno stato Ê sulla *-algebra ! delle funzioni misurabili sullo spazio S e a valori complessi (v. sopra) e, in effetti, per ricostruire interamente la misura è sufficiente conoscere i valori d'attesa di tutte le funzioni limitate. Quindi lo studio delle coppie {!,Ê}, dove ! è una *-algebra commutativa e Ê uno stato su di essa, costituisce una naturale estensione algebrica della teoria della misura. In questa generalizzazione, le probabilità corrispondono a valori d'attesa dei proiettori dell'algebra.

Von Neumann mostrò che, interpretando l'algebra ! come algebra di tutti gli operatori limitati, limitando gli stati a quelli che soddisfacevano la condizione di continuità operatoriale forte e usando questa proprietà per estendere i valori d'attesa agli operatori non limitati, mediante la linearità e il teorema spettrale, tutti i valori d'attesa considerati nella teoria quantistica si potevano esprimere mediante la formula [15]. In questo modo, la teoria della misura non commutativa di von Neumann forniva un linguaggio naturale per esprimere in modo unificato le teorie statistiche classiche e quelle quantistiche. Per questo motivo la coppia {!,Ê}, dove ! è una *-algebra e Ê uno stato su di essa, viene chiamata oggi uno spazio di probabilità algebrico. Si può quindi dire che l'opera di von Neumann realizza, per la probabilità quantistica, quello che l'opera di Lebesgue e Fréchet aveva realizzato per la probabilità classica, cioè la costruzione dello strumento matematico naturale per inquadrare la teoria.

Restava aperto il problema di realizzare per la probabilità quantistica ciò che Kolmogorov aveva realizzato per la classica, cioè la formulazione di quelle nozioni, menzionate prima, che sono specifiche della probabilità rispetto alla teoria della misura. Almeno per quanto riguarda la probabilità condizionata, questo problema era ben presente all'attenzione di von Neumann che a esso dedicò, nel 1937, un manoscritto di oltre 200 pagine (rimasto inedito e recentemente pubblicato nei Memoirs of the American Mathematical Society). Il fatto di non aver pubblicato il suddetto manoscritto può far sospettare un'insoddisfazione per i risultati in esso contenuti e, d'altra parte, l'attenzione di von Neumann si spostò successivamente verso altre questioni. Il problema della costruzione di un'attesa condizionata che si riduca nel caso commutativo a quella classica è stato risolto nel 1974 da L. Accardi per le algebre di von Neumann semi-finite e, nel caso di algebre di von Neumann generali, nel 1982 da L. Accardi e C. Cecchini. L'interesse matematico di questo problema sta nel fatto che esso fornisce il primo esempio di una situazione in cui si rompe lo schema standard nel passaggio dal commutativo al non commutativo (v. sopra). Nel caso delle attese condizionate, una caratterizzazione algebrica era stata data, nei primi anni Cinquanta, da S.T.C. Moy (su suggerimento di J.L. Doob) ed era stata usata in un contesto di integrazione non commutativa prima da I.E. Segal, nel caso in cui lo stato definito sull'algebra di von Neumann fosse una traccia finita, e poi sistematicamente sviluppata nel contesto delle C*-algebre da H. Umegaki. Tuttavia, un teorema di M. Takesaki degli anni Settanta mostrava che, a differenza del caso classico, in cui una tale attesa condizionata compatibile con uno stato (normale fedele) esiste sempre, nel caso quantistico essa era soggetta a forti restrizioni. Per es., anche nel semplice caso di un prodotto tensoriale di due algebre di matrici, un'attesa condizionata suriettiva sul primo fattore, compatibile con un dato stato, esiste se e solo se questo è uno stato prodotto. Da un punto di vista puramente matematico questa restrizione non è grave, e infatti le attese condizionate di Umegaki (cioè i proiettori di norma 1) sono oggetti molto importanti nella teoria delle C*-algebre. Tuttavia il fatto che anche nei più semplici contesti non commutativi esse esistano solo per stati prodotto (cioè senza dipendenza statistica) vanifica il loro interesse da un punto di vista probabilistico, in cui l'attesa condizionata serve precisamente a esprimere quantitativamente la dipendenza statistica.

Non è un caso che il meccanismo di 'traduzione automatica' tra commutativo e non commutativo si rompa proprio nella più importante nozione specifica della teoria delle probabilità. Infatti, da un punto di vista probabilistico, l'attesa condizionata serve a rispondere al seguente problema: come variano le previsioni statistiche su un sistema se viene acquisita un'informazione parziale su di esso? Ora, come hanno chiarito studi successivi, la formula della probabilità classica che fornisce la soluzione a questa domanda era basata su un postulato implicito, cioè che l'acquisto di informazione fosse sempre un processo cumulativo. Tale postulato è giustificato nelle normali situazioni considerate nella probabilità classica, ma non in un contesto quantistico, dove il principio di Heisenberg mostra che l'acquisto sperimentale di nuove informazioni può distruggere, attraverso l'atto della misura, informazioni precedentemente acquisite. In un contesto classico, fare una misura senza leggerne il risultato è equivalente a non fare tale misura e ciò si traduce, nel modello matematico, nel 'teorema delle probabilità composte' che, nel linguaggio algebrico, si traduce nel fatto che l'attesa condizionata è un proiettore. In un contesto quantistico, invece, il solo fatto di aver effettuato una misura altera lo stato del sistema, quindi le nostre previsioni statistiche su di esso, e pertanto non è più ragionevole attendersi che l'attesa condizionata sia un proiettore. Il formalismo matematico della probabilità quantistica rende conto di questa differenza.

L'esempio dell'attesa condizionata quantistica illustra bene una caratteristica generale della traduzione dal commutativo al non commutativo: nella maggioranza dei casi tale traduzione avviene senza particolari sorprese e la teoria corrispondente è un'estensione naturale della teoria classica. Vi sono tuttavia dei casi in cui una stessa proprietà ammette una molteplicità di caratterizzazioni algebriche che sono tutte equivalenti nel caso commutativo ma che non risultano tali in un contesto non commutativo. Sono precisamente questi casi che presentano il massimo interesse teorico, in quanto essi mettono in evidenza le caratteristiche propriamente 'quantistiche' della teoria.

Un altro esempio è dato dal concetto stesso di 'variabile casuale': l'idea di considerare una tale variabile come un elemento di un'algebra, idea implicita nei lavori di von Neumann, funziona in molti casi particolari, ma non è sufficiente per la costruzione di una probabilità quantistica che includa almeno la teoria classica nella sua interezza. Innanzitutto, se si particolarizza una tale definizione per il caso commutativo non si ritrovano tutte le misure di probabilità ma solo quelle che hanno momenti di ogni ordine. Quindi, alcune misure di probabilità molto importanti per le applicazioni fisiche, come la distribuzione di Cauchy, non godendo di tale proprietà verrebbero escluse. In secondo luogo, quando si passa dalla singola variabile casuale ai processi stocastici (che intuitivamente sono famiglie di variabili casuali) la relazione di equivalenza che si usa abitualmente in probabilità è data dalla coincidenza delle distribuzioni congiunte finito-dimensionali. Tuttavia, un teorema, anch'esso dovuto a von Neumann, afferma che tali distribuzioni esistono se e solo se gli operatori associati a tali variabili commutano, il che nei processi di interesse fisico non avviene quasi mai. L'alternativa, anche se usata spesso, di considerare i momenti misti non commutativi di ordine arbitrario è soggetta allo stesso tipo di critiche avanzate nel caso di una singola variabile. La definizione oggi comunemente accettata di variabile casuale quantistica, e quella associata di processo stocastico, è la seguente (Accardi, Frigerio, Lewis 1982): un processo stocastico, indicizzato da un insieme T, viene identificato con una famiglia di *-omomorfismi da una *-algebra @ a valori in uno spazio di probabilità algebrico {!,Ê}; se l'ulteriore condizione jt(1)51, dove 1 denota l'identità dell'algebra corrispondente, non è verificata, si dice che il processo presenta delle 'esplosioni' (per es., ciò avviene quando il parametro t è interpretato come 'tempo' e il processo consiste di particelle che possono essere annichilite in un tempo finito senza sostituzione). Il caso classico, in cui un processo è una famiglia di funzioni misurabili (Xt), definite su uno spazio di probabilità (ø,^,P) e a valori in uno spazio misurabile (S,^o), si ottiene considerando l'omomorfismo f?f0Xt:5jt(f), definito sulle funzioni misurabili e limitate su S e a valori nello stesso tipo di funzioni su ø. Con un'opportuna definizione algebrica della nozione di equivalenza stocastica si ottiene un isomorfismo di categorie tra i processi definiti in modo classico e i processi commutativi definiti in modo algebrico.

Un ulteriore esempio è dato dalla nozione di indipendenza statistica, anch'essa fondamentale in teoria delle probabilità. Intuitivamente si può dire che a ogni nozione di prodotto tra algebre corrisponde una nozione di indipendenza statistica. Per es., l'indipendenza classica corrisponde al prodotto tensoriale tra algebre commutative, quella bosonica al prodotto tensoriale tra algebre non commutative, quella fermionica al prodotto esterno, la q-indipendenza a prodotti tensoriali incrociati rispetto a particolari automorfismi, quella libera (recentemente introdotta da D. Voiculescu) al prodotto libero tra algebre. Esistono tuttavia altre nozioni di indipendenza, che non sono necessariamente legate a nozioni diverse di prodotti tra algebre. A ogni nozione di indipendenza corrisponde, attraverso i teoremi del limite centrale, una nozione di gaussianità. Analoga, anche se meno studiata poiché più complessa, è la situazione per quanto riguarda la dipendenza statistica e in particolare la dipendenza statistica locale (o markoviana). Esistono molte nozioni di markovianità che sono equivalenti nel caso commutativo e che danno luogo a estensioni non commutative non equivalenti. Alcune di queste nozioni, introdotte negli anni Settanta in connessione con il problema dell'attesa condizionata quantistica (v. sopra), sono oggi diventate uno strumento di uso quotidiano sia nella fisica teorica sia in quella computazionale. Lo studio di queste diverse nozioni e delle loro applicazioni sia alla fisica sia alla matematica costituisce uno dei campi più attivi della moderna teoria delle probabilità.

Geometria e topologia non commutative. - Il passaggio dalla geometria classica a quella non commutativa si effettua secondo lo schema generale descritto nel paragrafo sui teoremi di rappresentazione (v. sopra). Questo programma è stato proposto in tempi diversi e con motivazioni diverse da vari autori (van Oystaeyen, Verschoren 1981; Connes 1994).

K-teoria algebrica e topologia non commutativa. - La K-teoria è la branca della topologia algebrica che si occupa dei fibrati vettoriali con metodi algebrici. Le prime nozioni di K-teoria sono state sviluppate da Grothendieck nel suo lavoro sul teorema di Riemann-Roch in geometria algebrica, mentre la K-teoria come branca della topologia algebrica è stata sviluppata da M. Atiyah e F.E.P. Hirzebruch.

Sia H un semigruppo abeliano: il gruppo di Grothendieck di H, che si indica con G(H), si costruisce a partire da H nello stesso modo in cui si costruisce l'insieme dei numeri interi Z a partire dai naturali N. Cioè G(H) può essere definito come il quoziente di H3H rispetto alla relazione

(x₁,y₁),(x₂,y₂) se e solo se esiste z tale che x₁1y₁1z5x₂1y₂1z

Quindi G(H) si può pensare come il gruppo delle differenze formali x2y di elementi di H, a meno di equivalenza. Si consideri la famiglia di tutti i fibrati complessi su uno spazio compatto di Hausdorff X (sempre a meno di isomorfismi). La somma diretta (o somma di Whitney) E%F fa di questa famiglia un semigruppo abeliano denotato con V(X) (VC(X) quando si vuole sottolineare che i fibrati sono complessi). Possiamo ora definire K⁰(X)5K(X) per uno spazio topologico compatto di Hausdorff: si tratta del gruppo di Grothendieck di V(X). Si prenda ora un anello con unità astratto R magari non commutativo. La famiglia V(R) degli R-moduli proiettivi finitamente generati ha una struttura di monoide. Si definisce K₀(R) come il gruppo di Grothendieck di V(R). Si noti che l'indice in questo caso è in basso perché K₀ è un funtore covariante dagli anelli con unità ai gruppi abeliani. Si ottiene che K⁰(X)5K₀(C(X)) e cioè: la K-teoria dello spazio X può essere tradotta nella K-teoria dell'algebra C(X).

Opportunamente riformulati, molti risultati della K-teoria topologica possono essere generalizzati ad algebre di Banach, perché le dimostrazioni hanno carattere algebrico e quindi in molti casi possono essere ripetute con variazioni minime. Fra i risultati più importanti suscettibili di essere generalizzati vanno citati il teorema della sequenza esatta lunga e il teorema di periodicità di Bott. Bisogna però sottolineare che non tutto della K-teoria topologica può essere generalizzato in ambiente algebrico non commutativo (per es., la struttura ad anello data dal prodotto tensoriale fra fibrati). La K-teoria operatoriale è stata usata da G.G. Kasparov per la sua dimostrazione della congettura di Novikov per una vasta famiglia di gruppi.

Geometria riemanniana non commutativa. - Il programma di traduzione dal linguaggio geometrico a quello algebrico si può estendere alla geometria riemanniana. Sia M una varietà riemanniana compatta di tipo spin; sia D5?M l'operatore di Dirac corrispondente (D è un operatore autoaggiunto illimitato che agisce sullo spazio di Hilbert - degli spinori L² sulla varietà M); sia ! l'algebra di von Neumann abeliana data dalle funzioni limitate misurabili su M con l'operazione di moltiplicazione che agisce (sempre per moltiplicazione) su -. La terna (!,-,D) permette di ricostruire: lo spazio M, la distanza geodetica d, la misura di volume dÓ su M, lo spazio dei potenziali di gauge e il funzionale di azione di Yang-Mills. In effetti la molteplicità di ! è la costante 2d/² e quindi determina la dimensione d5dim M (che è anche determinata dal comportamento asintotico Ïn,Cn¹/d degli autovalori di D).

Per il teorema di Gel´fand (v. sopra) si può ricostruire lo spazio topologico compatto M come spettro di !. Si può dimostrare che la distanza geodetica tra due punti p,q[M è:

d(p,q)5sup{|a(p)2a(q)|;a[!, a è lipschitziana}

D'altra parte è noto che a[! è lipschitziana se e solo se il commutatore [a,D] (inteso in senso debole: ,a*Í,DË.2,DÍ,aË., dove Í,Ë sono nel dominio di D) è un operatore limitato. Ciò permette di esprimere algebricamente la distanza geodetica nella forma:

d(p,q)5sup{|a(p)2a(q)|;a[!,i[D,a]i#1} [16]

Si noti che la formula [16] vale anche nel caso in cui M sia uno spazio discreto. Il membro destro della formula [16] ha significato nel contesto di una C*-algebra ! generale e definisce una metrica sullo spazio degli stati attraverso la formula d(Æ,π)5sup{|Æ(a)2π(a)|;i[D,a]i#1}. Dopo la definizione algebrica della metrica a partire dai dati (!,-,D), anche il calcolo differenziale e integrale possono essere algebrizzati adattando lo schema standard, che a misure associa stati (o pesi) e a derivate derivazioni su algebre relative agli oggetti specifici che intervengono in geometria riemanniana. Anche la nozione di derivata covariante può essere algebrizzata in modo naturale come segue. Data una *-algebra ! con unità e un modulo proiettivo destro su ! finitamente generato %, si dice che % è dotato di una struttura hermitiana se esiste una mappa sesquilineare 7,8:%3%$! che soddisfa le condizioni: i) 7Íab85a*7Í,Ë8b(;Í,Ë[%,a,b[!); ii) 7Í,Í8$0(;Í[%); iii) % è autoduale per 7,8.

Il teorema di Serre-Swan descritto in precedenza ci permette di dire che i fibrati vettoriali hermitiani su una varietà M sono in corrispondenza biunivoca con i moduli proiettivi finitamente generati hermitiani su !. Sia % un modulo proiettivo finitamente generato hermitiano su !. Una connessione su % è data da una mappa lineare =:%$%^!ø¹D tale che =(Ía)5(=Í)a1Í^da ;Í[!,a[!. Una connessione è compatibile (con la metrica) se e solo se 7Í,=Ë827=Í,Ë85d7Í,Ë8 ;Í,Ë[%. A. Connes ha usato questo linguaggio geometrico non commutativo per riformulare in un linguaggio unitario l'interazione elettrodebole (Glashow-Weinberg-Salam) e l'interazione forte in teoria di gauge.

Gruppi quantistici. - La struttura delle algebre di Lie semisemplici è rigida, esse infatti sono classificate da diagrammi discreti (i cosiddetti diagrammi di Dynkin). Quindi non è possibile deformare tale struttura mediante un parametro continuo. D'altra parte, se si considerano, invece delle algebre, i loro oggetti duali, le co-algebre, si ottiene una struttura che è suscettibile di deformazione continua. Più precisamente, a ogni gruppo sono naturalmente associate due algebre: l'algebra della rappresentazione regolare del gruppo (che è non commutativa se tale è il gruppo) e l'algebra delle funzioni a valori complesse definite sul gruppo, con le operazioni puntuali (che è sempre commutativa). Nella sezione sui teoremi di rappresentazione si è visto che le algebre di Hopf, in cui la struttura di algebra non è necessariamente commutativa, generalizzano in un senso non commutativo la teoria dei gruppi. Una tale struttura è detta gruppo quantistico. Un esempio noto è il gruppo quantistico SUq(2), che generalizza l'algebra delle funzioni sul gruppo SU(2). E. Woronowicz ha dimostrato che quest'algebra ha una famiglia fedele di rappresentazioni la cui norma è limitata. Quindi, su quest'algebra, si può definire una struttura di C*-algebra. Ciò ha permesso l'estensione della teoria dei gruppi quantistici dal contesto puramente algebrico a quello topologico. La teoria dei gruppi quantistici ha avuto recentemente un notevole impulso per le sue applicazioni ad alcune classi di sistemi esplicitamente risolubili di meccanica statistica e ad alcuni problemi di teoria dello scattering inverso.

Lo studio delle proprietà di commutazione delle cosiddette matrici di trasferimento ha svolto un ruolo importante in molti lavori degli anni Sessanta e Settanta dedicati ai sistemi esplicitamente risolubili di meccanica statistica su reticoli bidimensionali o ai sistemi quantistici a molte particelle sulla retta. Le tecniche matematiche applicate si basavano sull'uso di famiglie parametrizzate di matrici 5(Ï) soddisfacenti certe relazioni cubiche. Una di queste relazioni, nota come equazione di Yang-Baxter, ricorda nella forma le relazioni di treccia di Artin e in alcuni casi si riduce alle relazioni di Artin quando il parametro spettrale Ï tende all'infinito. Negli ultimi anni Settanta l'importanza dell'equazione di Yang-Baxter nel metodo dello scattering inverso quantistico è stata messa in evidenza da Faddeev, E.K. Skljanin, L.A. Tachtajan e dai loro collaboratori a San Pietroburgo.

Nei primi anni Ottanta P.P. Kuliè, N.Ju. Reèetichin e Skljanin compresero che certi casi speciali delle soluzioni dell'equazione di Yang-Baxter potevano essere trovati tramite la teoria delle rappresentazioni. Si dovrebbe pensare a queste matrici 5 come a matrici della forma Ú(R), dove Ú è una rappresentazione di B, l'algebra universale inviluppante di un'algebra di Lie e dove R[B^B. L'equazione di Yang-Baxter può quindi essere espressa interamente in termini di R: si tratta di un'equazione cubica omogenea in B^B^B.

In seguito V. Drinfeld e M. Jimbo, indipendentemente, scoprirono il significato completo dell'equazione di Yang-Baxter in relazione all'algebra universale inviluppante, la quale ha non solo una moltiplicazione m:B^B$B ma anche una comoltiplicazione ¢:B$B^B. In un certo senso l'oggetto duale dell'algebra universale inviluppante di un'algebra di Lie è (approssimativamente) l'anello delle funzioni su un gruppo di Lie (associato alla data algebra di Lie). In questo caso la moltiplicazione è l'ordinaria moltiplicazione puntuale delle funzioni, operazione ovviamente commutativa. Esiste una comoltiplicazione (almeno per le funzioni rappresentative) che è relativa alla legge gruppale. Perciò l'operazione duale alla modificazione della comoltiplicazione nell'algebra inviluppante è quella di modificare la moltiplicazione per le funzioni sul gruppo rendendo questa moltiplicazione non commutativa.

Drinfeld ha proposto un approccio sistematico ai gruppi quantistici in termini di un'estensione della teoria della deformazione di Gerstenhaber e ha usato il parametro di deformazione h per suggerire la costante di Planck e la connessione con la teoria quantistica (Drinfeld 1987). Gli oggetti infinitesimali corrispondenti associati a un gruppo quantistico sono stati chiamati gruppi di Poisson. Essi sono in stretta relazione con le soluzioni dell'equazione di Yang-Baxter classica che appaiono nella teoria dei sistemi hamiltoniani completamente integrabili (v. sistemi dinamici, in questa Appendice).

Una soluzione dell'equazione di Yang-Baxter con un parametro ausiliario (di deformazione) può essere considerata una quantizzazione (deformazione) di una soluzione corrispondente per l'equazione di Yang-Baxter classica. La teoria dei gruppi quantistici formalizza il passaggio dall'integrabilità completa classica all'integrabilità completa quantistica. Infine sono da segnalare alcune applicazioni dei gruppi quantistici in settori propriamente matematici quali la teoria dei nodi, gli invarianti delle 3-varietà, le rappresentazioni modulari e le simmetrie delle catene di Markov quantistiche.

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