Douglas, Mary

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Douglas, Mary

Andrea Carocci

Antropologa sociale inglese, nata a San Remo il 25 marzo 1921. Allieva di E.E. Evans-Pritchard a Oxford, insegnò presso l'University College di Londra (1971-1978), prima di spostarsi negli Stati Uniti, dove ha svolto il ruolo di docente fino al 1988. La sua produzione scientifica, sviluppatasi nel corso di cinque decenni, costituisce l'opera più ampia nell'ambito dell'antropologia inglese del 20° secolo. R. Fardon, autore di un'ampia biografia della D., individua come fonte iniziale e mai abbandonata del suo percorso intellettuale il contrasto, interpretato con gli strumenti derivanti dai suoi studi, tra l'educazione ricevuta da ragazza in un convento cattolico e le prime esperienze di ricerca in Africa. Il suo interesse per le organizzazioni gerarchiche, il suo conservatorismo sociologico e la sua enfasi sulle fondamenta sociali del pensiero collettivo possono tutti essere riferiti alla sua educazione cattolica e alla sua formazione nell'ambito dell'antropologia inglese, che aveva derivato da é. Durkheim l'importanza attribuita alle influenze sociali.

Indirizzata da Evans-Pritchard a condurre ricerche sul campo in Africa, abbandonò l'iniziale progetto di dedicarsi a un'antropologia del Mediterraneo. Nell'ex Congo Belga (oggi Repubblica Democratica del Congo), studiò in particolare il simbolismo religioso dei Lele del Kasai, che interpretò sulla base delle categorie e dei simboli consolidati nell'esperienza quotidiana e organizzati attorno al contrasto uomo-animale e al sentimento di vergogna. In campo economico mise in rilievo un sistema di baratto basato sullo scambio del tessuto di rafia il cui possesso, accuratamente regolato, aveva anche la funzione di perpetrare rapporti di potere intesi a favorire gli anziani (The Lele of the Kasai, 1954).

Punto di partenza delle sue analisi culturali è sempre stato l'attenzione per la dimensione quotidiana dell'esistenza, alla quale si accompagna la consapevolezza del carattere di costruzione culturale dei concetti e delle nozioni con cui pensiamo. Secondo l'ammissione della stessa D., l'interesse mai sopito della sua attività di ricerca è stato il rapporto esistente tra le forme associative e le forme di giudizio morale che servono ad approvarle.

Le sue idee teoriche si precisarono negli anni seguenti con la pubblicazione di due tra le sue opere più note e significative: Purity and danger (1966; trad. it. 1975) e Natural symbols (1970; trad. it. 1979). Nella prima, che costituisce un punto di riferimento degli studi antropologici sui sistemi di classificazione nelle varie società, partendo da un'analisi delle idee di tabù mutua la nozione di classificazione intesa come convenzione sociale da Durkheim e M. Mauss. Tutte le società, al fine di creare un ordine nel proprio ambiente, stabiliscono dei confini ottenuti attribuendo valore positivo o negativo ad alcuni elementi. Esaminare quello che una data cultura considera sporco equivale a scoprire il modello di ordine che quella cultura cerca di rendere stabile. Si tratta di un approccio che mira a una comprensione universale di quelle regole di purezza che si applicano sia alla vita religiosa sia a quella secolare, sia alle società primitive sia alle contemporanee. A partire da questo libro, la sua opera si è andata configurando come un'antropologia delle società occidentali (anche se non verrà mai meno il ricorso all'esperienza maturata come africanista per chiarire in termini comparativi i problemi che via via si presentano); suo grande merito è infatti aver fatto sì che la società occidentale fosse accettata come un campo legittimo dell'indagine antropologica.

In Natural symbols e successivamente in Cultural bias (1978) la D. analizza la qualità delle relazioni tra persone e il vincolo costituito dai gruppi ai quali esse appartengono, cioè l'esperienza di non avere altra opzione se non acconsentire a quello che vogliono gli altri. In questo modo viene ribadito il rapporto che esiste tra tipi di interazione sociale e gli universi morali e cognitivi di cui fanno parte, nel senso che a ogni ambiente sociale deve corrispondere un mondo di idee. All'interno di questa teoria si colloca The world of goods (1978; trad. it. 1984), scritto con l'economista B. Isherwood, che rappresenta un'analisi antropologica della teoria del consumo. I beni non sono desiderati in quanto tali ma perché rappresentano il mezzo per definire rapporti sociali attraverso processi di scambio e consumo.

Successivamente la D. ha analizzato il fenomeno del rischio con particolare attenzione riservata all'attività decisionale. In Risk and culture (1982), scritto con A. Wildavsky, e in Risk acceptability according to the social sciences (1985; trad. it. Come percepiamo il pericolo: antropologia del rischio, 1991) viene mostrato come la valutazione del rischio possa essere spiegata solo in termini di esperienza sociale.

La natura sociale degli esseri umani viene precisata ancora una volta nel brillante saggio How institutions think (1986; trad. it. 1990), il cui titolo ricalca volutamente quello della traduzione inglese dell'opera di L. Lévy-Bruhl La mentalité primitive (1922) di cui viene criticata l'impostazione, perché gli indigeni, afferma l'autrice, pensano esattamente come pensano tutti gli altri, vale a dire affidandosi alle istituzioni della propria società che determinano sistemi di credenze e sistemi morali.

Altro campo in cui la D. ha applicato le sue teorie è quello dei fenomeni religiosi sia nel mondo contemporaneo sia nelle società arcaiche. Tra le opere più recenti, Leviticus as literature (1999) e Jacob's tears: the priestly work of reconciliation (2004) che rappresentano due tentativi di utilizzare il metodo antropologico per riformulare problemi teologici in termini comparativi, contribuendo così a una lettura delle fonti bibliche in quanto testi culturali.

bibliografia

R. Fardon, The faithful disciple. On Mary Douglas and Durkheim, in Anthropology today, 1987, 5, pp. 4-6.

R. Fardon, Mary Douglas: an intellectual biography, London-New York 1999.

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