MARTE

Enciclopedia Italiana (1934)

MARTE

Mentore Maggini

. Astronomia. - È il primo dei pianeti superiori, cioè esterni rispetto all'orbita terrestre, il quarto in ordine di distanza dal Sole, in media 227 milioni di km. La distanza sua dalla Terra varia notevolmente; in media è di 82 milioni di km. nell'opposizione e 388 milioni nella congiunzione; ma queste distanze oscillano entro limiti assai ampî; infatti alle opposizioni, le quali hanno luogo ogni 26 mesi (780), il pianeta può avvicinarsi a noi fino a 57 milioni di km. Queste opposizioni alla distanza minima, dette grandi opposizioni, si succedono ad intervalli di 15 e 17 anni. La durata della rivoluzione di Marte intorno al Sole, ossia il suo anno, è di 68d 23h 31m; la durata della rotazione attorno al proprio asse, ossia il giorno, è di 24h 37m 23s; l'asse di rotazione è poi inclinato di 25° sul piano dell'orbita percorsa dal pianeta. Detto asse di rotazione è un poco più corto del diametro equatoriale, ossia il globo del pianeta è leggermente schiacciato ai poli, e il valore di questo schiacciamento è di circa 1/200 (quello terrestre è 1/300); il globo di Marte è poi più piccolo di quello terrestre, poiché il suo diametro medio è 0,54 di quello della Terra. Ad occhio nudo, Marte brilla come una stella di luce rossa, ed è tanto più splendente quanto più ci è vicino, fino a diventare, nelle grandi opposizioni, l'astro più lucente del cielo, sorpassato solo da Venere. A causa della colorazione rossastra i Greci lo chiamavano πυρόεις (infocato) e questo appellativo si ritrova frequentemente usato da molti scrittori.

Nel telescopio Marte si presenta come un disco giallo aranciato con macchie oscure verdi-azzurrognole o brunastre; la prima rudimentale immagine di queste macchie si deve all'italiano Fontana, che la scoprì nel 1636, seguito dai padri Bartoli e G. B. Riccioli, mentre le prime precise osservazioni si debbono a Chr. Huygens e a D.-J. Cassini nel 1659 e 1666. Ma quel che colpisce l'occhio, ancor più delle macchie oscure, sono due macchie bianche lucenti, situate in vicinanza del bordo del disco, agli estremi di un medesimo diametro; e, mentre tutte le altre macchie, pur mantenendo invariata la loro forma e posizione relativa, sembrano spostarsi attraverso il disco, segnando così il movimento di rotazione del pianeta attorno al proprio asse, queste bianche lucenti rimangono fisse, rivelando così di occupare gli estremi di detto asse, ossia le regioni polari. Non solo, ma, mentre i cambiamenti che subiscono le altre macchie, per effetto del succedersi delle stagioni proprie di Marte, riescono difficilmente visibili a noi, le due calotte rivelano una netta dipendenza da quelle stagioni, avendo un'estensione massima in inverno e minima in estate, nella quale stagione si riducono tanto da diventare invisibili ai nostri mezzi d'osservazione. Affinché gli astronomi potessero convincersi di tali fatti, occorsero osservazioni continuate e più precise di quelle che si potevano fare coi cannocchiali del secolo di Galileo; la stabilità delle configurazioni visibili sul disco di Marte andò sempre più affermandosi col perfezionarsi dei mezzi d'indagine, ma non fu definitivamente dimostrata che verso la metà del sec. XIX. Così, ancora al principio di quel secolo, predominava l'opinione (J. H. Schröter) che la maggior parte delle macchie visibili sul disco di Marte fossero formazioni proprie dell'atmosfera che avvolge quel pianeta; occorreva aspettare fino al 1840 per avere (W. Beer e J. H. Mädler) la prima carta generale della superficie di Marte, cioè perché fossero gettate le basi dell'Areografia (dal gr. "Αρης "Marte"). Una volta riconosciuto che le macchie di Marte sono dovute alla crosta solida, sorse la speranza di potere, attraverso il loro studio, giungere alla conoscenza della topografia del pianeta; e, siccome l'inclinazione dell'asse del pianeta stesso sulla sua orbita, che è quella che determina le stagioni, i climi e la varia durata dei giorni e delle notti, è pochissimo diversa da quella terrestre, parve si potesse sperare che le condizioni climatiche, meteorologiche, ecc., dovessero essere simili a quelle esistenti sulla Terra.

Un'epoca nuova nello studio di Marte s'iniziò nel 1877 per opera di G. V. Schiaparelli (v.), il quale mise su basi più solide lo studio delle macchie del pianeta e sostituì ai disegni ed alle carte tracciate a occhio delle carte areografiche, basate su una vera e propria triangolazione. I fatti constatati dallo Schiaparelli dal 1877 al 1890 lo portarono alla conclusione che Marte è un pianeta simile alla nostra Terra, provvisto di un'atmosfera, su cui frequentemente compaiono nubi; i continenti e gli oceani sottostanti si manifestano a noi sotto forma di macchie aranciate e di macchie oscure verdastre. Schiaparelli scoprì che tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee oscure, che egli chiamò "canali", e constatò inoltre il fenomeno sorprendente dello sdoppiamento o "geminazione" dei canali che sembra avvenire in determinate stagioni di Marte. Una delle carte areografiche tracciate dallo Schiaparelli, con numerosi canali, semplici e geminati, è riprodotta nell'annessa fig.1. Questi "canali" e le loro "geminazioni" sono rimasti per lunghi anni degli enigmi; e per lunghi anni gli astronomi hanno parteggiato per l'ipotesi fisica o per l'ipotesi ottica secondo che erano condotti a riconoscere, con la maggior parte degli osservatori, nelle macchie e nelle linee di Marte delle unità topografiche del suolo del pianeta o, secondo Cerulli, E. W. Maunder e pochi altri, degli ammassi ottici di macchie, suscettibili di trasformazione. I fatti hanno dato ragione alla "teoria ottica di V. Cerulli (v.); oggi bisogna riconoscere in quelle linee una maniera di manifestarsi all'occhio dell'osservatore dei particolari ultimi, singolarmente invisibili, sparsi sull'immagine; esse sono cioè, come le chiamò Cerulli, delle "integrazioni ottiche". Grazie al perfezionarsi del telescopio e soprattutto del metodo di osservare, le macchie di Marte passarono dall'aspetto confuso e irregolare dello stadio pre-schiaparelliano, all'aspetto regolare, geometrico, dello stadio schiaparelliano; ma l'evoluzione non è terminata: le grandi opposizioni del 1909 e del 1924 hanno permesso di osservare il pianeta in condizioni quanto mai favorevoli, nelle quali condizioni l'aspetto delle macchie fu del tutto "naturale", scomparendo i canali e rendendosi manifesti gli elementi oscuri che li originavano. Tale aspetto "naturale" che vanno assumendo le carte areografiche dei nostri giorni si può vedere nell'annessa fig. 2; essa ci mostra come si sia ormai entrati in un nuovo stadio della visione delle macchie di Marte, stadio che può chiamarsi post-schiaparelliano.

I cambiamenti di aspetto presentati da queste macchie sono in gran parte di origine ottica e solo di alcuni è provata l'origine fisica; anche le variazioni di colore, dal verde all'azzurro, al violaceo, che si constatano nei cosiddetti mari, appariscono reali e mostrano come quelle macchie siano di tutt'altra natura che d'acqua. Come pure sono reali le velature temporanee di alcune regioni a causa di veli gialli o bianco-lucenti, due qualità diverse di formazioni atmosferiche.

I progressi dell'astrofisica hanno permesso di aggiungere all'ispezione visuale altri metodi d'indagine. La fotografia poco o nulla può dirci sulla vera forma delle macchie, data la piccolezza delle immagini; l'aspetto fotografico della superficie del pianeta è però anch'esso naturale e le linee compariscono solo con sforzo della visione, come sull'immagine telescopica. Per contro, sulla natura delle macchie si sono ottenuti alcuni dati importanti per mezzo di fotografie monocromatiche (W. H. Wright) e si è anche studiata l'atmosfera che circonda il pianeta. In tale atmosfera, mediante ricerche spettroscopiche (W. S. Adams e C. E. St John) è stata constatata la presenza dell'ossigeno e del vapor d'acqua, ma in proporzione assai minore che nell'atmosfera terrestre; che questa atmosfera sia assai tenue lo provano anche le misure radiometriche (W. W. Coblentz e C. O. Lampland, E. Pettit e S. B. Nicholson); esse dànno una temperatura media del pianeta inferiore a quella terrestre e una notevole oscillazione della temperatura diurna, da −45° all'alba a 5° al mezzodì, a 0° al tramonto. La temperatura della calotta boreale è risultata di circa −70°. Anche le misure polarigrafiche (Lyot, Maggini) hanno permesso di studiare la natura delle macchie e dei veli gialli che temporaneamente le ricoprono. In conclusione, l'areografia moderna dimostra che il pianeta Marte è un mondo vivente e che la struttura della sua superficie, lungi da essere soprannaturale o strana, come i cosiddetti "canali" potevano far supporre, è del tutto naturale, come quella della Terra.

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