MAROCCO

Enciclopedia Italiana (1934)

MAROCCO (A. T., 112)

Augustin BERNARD
Mario SALFI
Augustin BERNARD
Nello PUCCIONI
Augustin BERNARD
Luigi CHATRIAN
Anna Maria RATTI
Francesco BEGUINOT
Agostino GAIBI
Francesco TOMMASINI
Francesco BEGUINOT
Georges MARCAIS
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Gli Europei dànno il nome di Marocco alla parle oecidentale dell'Africa settentrionale o Barberia dal nome della città di Marocco applicato al paese nel suo insieme; questo nome non è conosciuto dagl'indigeni che chiamano la contrada Gharb (l'Occidente) o Maghreb el-Aksa (l'estremo Ovest). Politicamente il Marocco è (v. appresso) un sultanato posto sotto il protettorato francese. Una zona d'influenza è riservata alla Spagna nel Marocco settentrionale (Melilla, Ceuta, Tetuán, ecc.). Un regime particolare è riservato a Tangeri.

- Geografia: Delimitazioni e confini (p. 388); Esplorazione (p. 388); Geologia e morfologia (p. 388); Clima (p. 390); Idrografia (p. 390); Fauna (p. 391); Flora (p. 391); Regioni naturali (p. 392); Dati statistici sulla popolazione (p. 392); Antropologia ed etnologia (p. 392); Comunicazioni e porti (p. 393); Città e centri abitati (p. 394); Condizioni economiche (p. 395). - Ordinamento: Ordinamento politico e amministrativo (p. 397); Forze armate (p. 397); Culti (p. 397); Finanze (p. 397). - Storia (p. 398). - Lingua (p. 402). - Arte (p. 403).

Delimitazioni e confini. - Il Marocco, compreso fra 33° e 29° di lat. N., 15° e 5° di long. O., è limitato a O. dall'Oceano Atlantico, a N. dal Mediterraneo; a E. il confine naturale è segnato dal corso della Moulouya; mentre una frontiera del tutto artificiale, determinata soltanto per circa 150 km., dal mare fino a Teniel Sass, separa il Marocco dall'Algeria. A S. verso il Sahara i confini sono più incerti; si può considerare, del resto arbitrariamente, quale limite da questo lato la vallata inferiore dell'Oued Dra (Draa). Entro questi confini esso ha una superficie di circa 565.300 kmq.

Esplorazione. - Il Marocco, per quanto così vicino all'Europa, è rimasto per molto tempo quasi inesplorato per particolari difficoltà opposte alla penetrazione nel paese dalle sue condizioni politiche; non si conoscevano che le coste e i porti aperti al commercio, le sole località dove era consentito di risiedere agli Europei. R. Caillié, G. Rohlfs, O. Lenz avevano riportato notizie molto frammentarie; le memorabili esplorazioni del visconte di Foucauld (1881-83) rivelarono a grandi tratti la struttura del paese e i caratteri delle popolazioni che lo abitano; altri esploratori, e segnatamente il marchese di Segonzac (1901-1904) riuscirono a penetrare nelle regioni rimaste lungo tempo inaccessibili, mentre geografi come Th. Fischer estendevano le conoscenze sulle regioni prossime alla costa atlantica. Ma solo dopo la proclamazione del protettorato francese nel 1912 la conoscenza del Marocco è progredita rapidamente. Il Servizio geografico ha curato il disegno di una carta sempre più precisa: dopo Brives e Gentil, che avevano recato le prime nozioni sulla struttura geologica, una schiera di geologi ha studiato metodicamente la regione, mentre il Servizio geologico del Marocco, istituito nel 1921, e annesso al Servizio minerario, ne coordinava gli sforzi. L'Istituto degli alti studî marocchini, l'Istituto scientifico sceriffiano, la Società delle scienze naturali del Marocco, la Società geografica del Marocco studiano il paese sotto l'aspetto, non solo scientifico, ma anche morale e politico.

Geologia e morfologia. - Il Marocco è costituito da terreni molto varî: le rocce cristalline e metamorfiche occupano vaste superficie specie nel Marocco centrale; il Trias è rappresentato da terreni gessoso-salini; i diversi piani del Secondario, soprattutto il Giurassico e il Cretacico, coprono estesissime regioni; i terreni terziarî marini si trovano generalmente nelle parti depresse.

Il rilievo del Marocco comprende, accanto a catene corrugate, piattaforme a tavolato e piani alluvionali.

Nel Primario si determinarono corrugamenti erciniani, orientati generalmente da SSO. a NNE., che furono poi smantellati durante le epoche geologiche successive e ricoperti da strati secondarî e terziari orizzontali, generalmente poco spessi, che, in molti punti, lasciano vedere il substrato antico. Nel Terziario si ebbe una nuova fase di corrugamenti, alla quale sono dovuti i tratti essenziali del rilievo attuale; a questi corrugamenti, d'età pirenaica nell'Atlante, d'età alpina nel Rif, si accompagnarono sprofondamenti ed eruzioni vulcaniche.

I massicci montuosi litoranei che orlano il Mediterraneo e sono distinti dall'Atlante, rappresentano un frammento dell'Europa mediterranea e si raccordano alla cordigliera betica. Del resto la comunicazione fra l'Oceano e il Mediterraneo era dapprima a N. della catena betica lungo la valle del Guadalquivir, poi a S. del Rif lungo il corridoio di Taza, e infine attraverso l'attuale Stretto di Gibilterra, che è relativamente recente e sembra datare dal Pliocene. Le catene del Rif sono disposte in arco di cerchio; quella più elevata corre in genere molto vicina al Mediterraneo, poiché i versanti sud-occidentali e meridionali sono molto più estesi di quello settentrionale. L'asse principale formato di calcari giurassici si estende con altitudini di oltre 2000 m. da Xauen allo Yebel Tidhirine (2455 m.), che è il punto culminante. I torrenti che sfociano nel Mediterraneo hanno scavato profondi burroni; il sistema idrografico del versante meridionale si riallaccia sia al Sebou, per mezzo dell'Ouergha, sia al Loukkos. Una corona di piccoli massicci, Kefs, Zerhoun, Zalagh, che formano il cosiddetto Prerif, si eleva nelle pianure a S. del Sebou. La zona compresa fra l'Uad Kert e la Moulouya non fa parte del Rif propriamente detto, e presenta infatti differente struttura: è una zona poco corrugata, che fa seguito al Medio Atlante e si continua nei monti Oudida, dei Beni Snassene e di Tlemcen. La costa settentrionale del Marocco presenta i consueti caratteri proprî delle coste mediterranee; montuosa, frastagliata da bei golfi in emiciclo, non offre che difficili comunicazioni con l'interno.

Il Marocco occidentale è costituito da pianure o da tavolati che si estendono a gradinata dall'Atlantico fino ai piedi dell'Atlante; vi si distinguono due zone molto differenti, che si possono chiamare il Marocco settentrionale e il Marocco meridionale, oppure regno di Fez e regno di Marocco. Il Marocco settentrionale è accidentale dagli ultimi contrafforti del Rif; le colline racchiudono piani che sono antichi golfi marini colmati dalle alluvioni. Il paese si presta alla coltura degli alberi da frutta e degli ulivi; i cereali vi hanno pure importanza e gl'indigeni praticano anche l'allevamento del bestiame, particolarmente dei buoi. La pianura alluvionale del Sebou, che ha una superficie di circa 4000 kmq., è lo sbocco sull'Atlantico della grande via che traversa dall'O. all'E. tutta la Barberia; la mancanza di pendenza vi determina la formazione di paludi o merjas. Gli strati secondarî e terziarî formano nella regione di Fez e di Taza una grande sinclinale, i cui fianchi si rialzano a N. verso il Rif, a S. verso il Medio Atlante; il corridoio si restringe all'altezza di Taza, in corrispondenza al colle Tuahar; si penetra quindi nel Fahma che rassomiglia al Dahra e alle steppe della provincia di Orano.

Il grande triangolo compreso fra l'Oceano (da Rabat al capo Guir) e l'Atlante, costituisce la meseta marocchina, che fa esattamente riscontro alla meseta iberica. La disposizione in tavolati a gradinata è qui ancora più accentuata che nel Marocco settentrionale. Il sottosuolo è formato di terreni archeani e primarî, spesso messi allo scoperto dall'erosione, che si continuano nella parte occidentale dell'Alto Atlante e che coprono quasi interamente il Sahara occidentale e centrale. Nella meseta marocchina si possono distinguere una pianura costiera, un altipiano interno e una zona d'irrigazione che si stende ai piedi dell'Atlante; la pianura costiera, larga da 60 a 80 km., si eleva gradualmente dai 150 ai 250 m. s. m. ed è dominata dalla ripa con cui scende su essa l'altipiano interno. Le condizioni del suolo e del clima vi favoriscono moltissimo la coltura dei cereali; più d'un terzo della superficie è coltivato dagl'indigeni con una proporzione che si riscontra raramente nell'Africa settentrionale; a sud del corso del Tensift, per la latitudine più meridionale, la regione diviene molto meno ricca. La costa dell'altipiano marocchino è ben poco articolata: vi si aprono di rado piccole incisioni, dovute ad affioramenti di terreni antichi (come a Casablanca), o secondarî (come a Mazagan, al Capo Bianco, a Safi), oppure formate da un isolotto staccato dall'erosione, come a Mogador; talvolta, come a Mehdia, a Rabat, ad Azemmour, si è tentato di stabilire un porto allo sbocco d'un fiume, nonostante la barra che ne rende difficile l'accesso; a tratti l'orlo dell'altipiano è preceduto da una striscia costiera piatta, a dune. Sopra tutta questa costa i marosi dell'Atlantico s'infrangono con violenza.

L'altipiano interno, più accidentato della piana costiera, occupa di gran lunga la maggior parte della meseta marocchina, con una lunghezza di 200 km. per 100 di larghezza, e si eleva gradatamente da 300 a 600 m. s. m. Esso è profondamente inciso dal corso dell'Oum er-Rebia, il quale da Mechra ech-Chaïr a Bou Laouane scorre in un vero cañon. Fra l'altipiano e l'Atlante si estende la pianura del Tadla, che si allarga verso S., dove raggiunge la piana del Tensift, e si restringe verso N. per terminare nella stretta vallata di Khenifra. Il massiccio primario, sotto forma di scisti scoscesi e di rilievi granitici, predomina nella regione degli Zaer e degli Zemmour, che si estende sulla riva sinistra del Sebou fra Meknès e Rabat; la stessa struttura si continua più a est nell'altipiano di Oulmès e nella regione degli Zaïane, fino alla vallata superiore dell'Oum er-Rebia, come pure nell'altipiano dei Rehamna, e nel Djebilet. Questo altipiano interno, più lontano dal mare e più povero d'acqua, è assai meno fertile della pianura costiera; alcune parti, come il Tadla, sono popolate di armenti di montoni. Al piede dell'Atlante le colture ricominciano, ma sono colture irrigate; la zona d'irrigazione ha una lunghezza di 300 km. e una larghezza dai 30 ai 40, comincia presso l'Oued Chichaoua, a 70 km. dalla costa, e si prolunga fino a Boujad nel Tadla; la pianura di Marocco, centro di questa regione irrigua, corrisponde a una zona d'affondamento che precede l'Alto Atlante occidentale.

Si è soliti distinguere l'Atlante marocchino in tre catene con direzione SO.-NE.: una principale mediana o Alto Atlante, e due secondarie, il Medio Atlante a N. e l'Anti Atlante a S., che nel loro insieme formano una grande catena corrugata elevantesi in mezzo a immense regioni a struttura tabulare (v. atlante).

Clima. - Il Marocco, situato fra le posizioni medie dei due fronti di discontinuità permanenti dell'emisfero nord, è sottoposto alternativamente all'influenza dell'uno e dell'altro. Nell'inverno il fronte degli alisei è nel Sahara, il fronte polare nel settore settentrionale del Mediterraneo: i venti di ovest e sud-ovest predominano con maggiore frequenza, quanto più si procede verso il nord; queste correnti atmosferiche, cariche di tutta l'umidità acquistata nel lungo percorso marittimo, incontrando le terre fredde dell'Africa settentrionale, che presentano barriere montuose, normali alla loro direzione, condensano l'umidità sotto forma di piogge di rilievo. In estate il fronte degli alisei si trasporta verso N. nel Sahara settentrionale all'orlo dell'Atlante; il fronte polare segue lo stesso movimento; il riscaldamento del suolo dell'Africa settentrionale respinge le alte pressioni verso il NO: i venti non si dirigono più verso le basse pressioni mediterranee, ma affluiscono verso il centro di richiamo del Sahara e perciò le correnti dominanti sono quelle del NE., dell'E. e del N., sempre più prolungate e regolari a misura che si avanza verso il S. La debolezza del gradiente barometrico, la predominanza di venti discendenti e sempre più lontan; dal loro punto di saturazione, spiegano la scarsezza delle piogge in questa stagione, la limpidezza del cielo, la secchezza dell'atmosfera.

La temperatura varia molto secondo la latitudine, l'altitudine, l'orientamento, la vicinanza all'Atlantico o al Mediterraneo. L'influenza dei venti alisei e delle acque fredde che bagnano la costa occidentale, è tanto più notevole quanto più si avanza verso sud: la temperatura è più costante a Casablanca che a Tangeri, a Mogador che a Casablanca. A Mogador la media del mese più freddo (gennaio) è di 16°,4, quella del mese più caldo (agosto) di 22°,6; a Rabat le medie sono rispettivamente di 12°,6 e 23°,9; a Tangeri di 11°,7 e di 24°. Allontanandosi dal mare le influenze marittime si fanno meno sensibili, per cedere a quelle continentali che prevalgono; le escursioni stagionali e quelle diurne si fanno sempre più accentuate verso l'interno: l'estate è caldissima a Fez e l'andamento della temperatura di Marocco (media di gennaio 10°,9, di luglio 29°) ha molte somiglianze con quello del clima sahariano.

La piovosità ha per il Marocco capitale importanza; è in generale una regione a scarse piogge, ma si debbono fare delle distinzioni fra un luogo e l'altro. Dal mare verso il Sahara si ha una graduale diminuzione della piovosità, con recrudescenze sopra i massicci elevati e le parti litoranee più avanzate sul mare, e diminuzione nelle pianure e nelle regioni più o meno riparate dalle influenze marittime. Le piogge sono condotte dai venti dell'O. e la loro quantità va diminuendo da N. a S. da Tangeri a Mogador e ad Agadir, man mano che diminuisce l'azione dei venti dell'O. e aumenta quella dei venti dell'E. La somma annuale delle precipitazioni raggiunge 829 mm. a Tangeri, 494 a Rabat, 391 a Casablanca, 360 a Mogador, 207 ad Agadir. L'ampiezza della zona costiera bene innaffiata dalle piogge si restringe verso il S. La media annuale delle precipitazioni è compresa fra 400 e 200 mm. sugli altipiani atlantici (Settat, 371 mm.; Mechra Ben Ahbou, 265 mm.; Marocco, 304 mm.); le regioni di Meknès e di Fez raccolgono come un imbuto le correnti umide provenienti dall'O. attraverso le vallate del Sebou e dei suoi affluenti, le quali vengono condensate dalle pareti dei massicci litoranei e atlantici (Meknès, 555 mm.; Fez, 537 mm.; Taza, 545 mm.). Il Marocco orientale, al contrario, è privo di piogge, a partire da Taza, per la presenza delle alte catene che lo riparano a S. (Oudida, 357 mm.). Nelle regioni montuose la maggior parte delle precipitazioni cade sotto forma solida (sopra i 1000 m. la neve cade da novembre a maggio); e le nevi, sciogliendosi al principio dell'estate, alimentano i fiumi e i canali d'irrigazione. Nei massicci litoranei vi è differenza fra le regioni ben inaffiate dell'O. (Ouezzane, 683 mm.) e la regione orientale assai più secca (Melilla, 335 mm.), poiché le montagne occidentali, con le loro maggiori altezze e il più pronunciato avanzarsi della costa a N., impediscono alle piogge di giungere nella regione orientale. Lo stesso fenomeno si produce nell'Atlante; mentre il versante settentrionale del Medio Atlante è bene innaffiato (el-Hadjeb, 664 millimetri; Azrou, 803 mm.), l'Alto Atlante, nonostante l'altitudine considerevole e la vicinanza dell'Atlantico, riceve precipitazioni molto minori per la latitudine già molto meridionale e per l'influenza degli alisei e del Sahara. È vero però che le nevi nella stagione fredda vi si accumulano costituendo una riserva d'umidità per la stagione calda: oltre i 3000 m. il mantello di neve perdura circa sette mesi l'anno, da novembre a maggio incluso. Nell'epoca quaternaria si formarono dei ghiacciai nell'Alto Atlante a S. di Marocco; vi si ritrovano infatti dei circhi glaciali ben riconoscibili per le loro pareti verticali e il fondo piatto, ma attualmente non vi sono nell'Atlante né nevai né ghiacciai. Per l'altitudine delle montagne che alimentano i fiumi, vi sono nel Marocco regioni relativamente innaffiate, anche se l'atmosfera vi è secca e piove di rado; tali sono le oasi del Sous, del Dra, del Tafilelt. Nell'Alto Atlante orientale si verifica lo stesso fenomeno del massiccio litoraneo; più si avanza verso l'E., più si fanno scarse le precipitazioni e il carattere sahariano si accentua.

La stagione delle piogge va dal novembre al maggio, con due massimi, uno al principio della stagione fredda, un altro alla fine, cioè a novembre e a marzo. Le piogge cadono generalmente sotto forma di acquazzoni brevi e violenti; talvolta cadono per alcuni giorni in alcune ore per giorno. Come nel resto dell'Africa settentrionale sono molto irregolari, sia per la quantità, sia riguardo al periodo dell'anno in cui cadono; se tardano troppo, o cessano troppo presto, possono nuocere molto all'agricoltura.

Idrografia. - La disposizione generale del rilievo e soprattutto la maggiore altitudine delle catene fanno sì che nel Marocco vi siano fiumi più importanti di quelli della restante Barberia. Tra questi fiumi e uidian alcuni portano le loro acque all'Atlantico, altri al Mediterraneo, altri ancora discendono verso la depressione sahariana. Nel nord-ovest i due fiumi principali sono il Loukkos e il Sebou (v.). Il Loukkos scorre nella regione ben innaffiata di Xauen e di Ouezzane; da Alcázarquivir in poi scorre in pianura ed è fiancheggiato da paludi fino alla foce. Il Sebou è, con l'Oum er-Rebia, il fiume più importante della Barberia e nasce nel cuore del Medio Atlante, a circa 120 km. in linea d'aria da Fez.

Mentre il Sebou, almeno nel suo corso inferiore, è un fiume di pianura, il Bou-Regreg e l'Oum er-Rebia (v.) sono fiumi di altipiano, profondamente incassati nella meseta. Il Bou-Regreg, sebbene riceva le acque dell'Oued Grou e dell'Oued Korifla, ha una portata debolissima; il largo estuario, nel quale termina tra Rabat e Salé è alimentato dalla marea più che dalle acque del fiume. L'Oum er-Rebia invece è il più importante fiume del Marocco, superiore anche al Sebou.

L'Oued Tensift e l'Oued Sous, uno a N. e l'altro a S. dell'Alto Atlante, sono molto più poveri; di tutti i torrenti dell'Alto Atlante, soltanto il Reraya, l'Ourika e il Nfis hanno ancora un po' d'acqua (meno di 1 mc.) alla fine dell'estate: la struttura della montagna, le condizioni del ruscellamento, le infiltrazioni nel sottosuolo, che vanno ad alimentare i khottaras della pianura di Marocco, l'evaporazione e sopra tutto l'influenza dei venti caldi spiegano sufficientemente questa scarsezza d'acqua.

Quanto ai corsi d'acqua propriamente sahariani solo l'Oued Dra giunge fino al mare dopo un lungo percorso in regioni desertiche, ma soltanto il suo corso superiore, chiamato Oued Dadès, porta acqua in permanenza; via via che si allontana dai monti, l'acqua diviene intermittente. L'Oued Ziz, nonostante il tributo che gli reca l'Oued Gheris, non giunge oltre Taouz e solo per eccezione raggiunge la Sebkha ed-Daoum. Infine il Guir e il suo affluente l'Oued Haīber hanno corso continuo solo fino a Bou Denib; solamente in tempo di piena le acque raggiungono i Bahariat, zona d'espansione del fiume.

Sul versante mediterraneo la struttura della regione, che presenta grandi fasce montuose parallele al mare, è generalmente un ostacolo alla formazione di grandi bacini fluviali. Tuttavia alcuni corsi d'acqua più importanti, come la Moulouya, spingono la loro testata oltre i massicci litoranei, fino agli altipiani dell'interno.

Fauna. - La fauna marocchina, pur essendo nelle sue linee fondamentali essenzialmente paleartica, tranne inevitabili infiltrazioni di elementi etiopici, è caratterizzata rispetto alla fauna algerina, alla quale è molto affine, da una maggiore quantità di specie peculiari. Ciò deriva, come nota il Pallary, dalla natura del suolo dove le catene montuose dell'Atlante e del Rif, e i gruppi montuosi che si protendono verso la costa atlantica costituiscono altrettante zone più o meno separate, che favoriscono la localizzazione delle specie, particolarmente per quelle (esclusi i Mammiferi, gli Uccelli e gl'Insetti volatori) per le quali un fiume costituisce una barriera insormontabile, come, ad es., i Molluschi terrestri, per i quali il Pallary ha distinto varî aggruppamenti di specie in relazione a varie zone geografiche marocchine. La fauna malacologica marocchina è composta d'un insieme di specie autoctone, alle quali si è aggiunto un contingente di specie immigrate dalla Penisola Iberica, il quale è di gran lunga meno importante, come numero, di quello delle specie locali.

La fauna dei Vertebrati offre un miscuglio di specie africane e di specie paleartiche. Fra quelle africane notiamo il fennec o volpe a grandi orecchie, il caracal, la mangusta, il gerbillo, il lepre atlantico, il mufflone nordafricano, la lontra, una forma di cinghiale, oltre a varî mammiferi a distribuzione ubiquitaria, quali il topo, il cane, il cavallo, ecc. La fauna ornitologica mostra caratteri atlantici e tropicali più netti e perciò si differenzia da quella algero-tunisina. Circa 200 specie di Uccelli vi sono state finora rinvenute e fra le specie d'origine tropicale o paleartica, ma localizzate, noteremo l'Ardea garzetta, il corvo tingitano, il merlo di Mauritania, alcune specie dei generi Carduelis, Emberiza, ecc., mentre le quattro più caratteristiche sono la Numida sabyi, il Pycnotus barbatus, il Francolinus bicalcaratus, l'Eupodotis arabs, specie quest'ultima nettamente africana. Fra i Rettili marocchini noteremo la tartaruga di Mauritania, il camaleonte, numerosi gechi, tra i quali i gimnodattili sono rappresentanti di un genere brasiliano, l'uromastice, varî gongili, scinchi, colubri e vipere. Gli Anfibî annoverano la rana verde, il rospo mountanico, il discoglosso e infine alcune salamandre, tritoni e Pleurodeles.

Flora. - La flora del Marocco, come quella di tutta l'Africa settentrionale, è essenzialmente mediterranea; due terzi delle specie sono mediterranei e i generi endemici, salvo due, appartengono al medesimo ceppo. Tuttavia l'elemento mediterraneo è, in certe regioni, mescolato con elementi estranei. Il NO. del Marocco, tra Larache e Tetuán, presenta numerose specie iberiche e si riattacca, dal punto di vista botanico, col dominio lusitano.

Il Marocco orientale e la regione di Marocco sono due territorî d'irradiazione della vegetazione sahariana. Un terzo enclave, detto europeo-siberiano, si riscontra nelle alte catene dell'Atlante e del Rif, dove si trovano specie di carattere più boreale; un quarto infine, detto macaronesiano, si trova nel SO. del Marocco, ed è caratterizzato da un certo numero di piante delle Canarie: quivi domina l'Argania sideroxylon, Sapotacea che fornisce un legno ferro e forma una vera eccezione botanica.

Si possono distinguere una zona sahariana, una zona steppica; una zona della montagna e una zona alpina, delle quali le tre inferiori, che si sovrappongono in montagna, si fiancheggiano in pianura. L'Alto Atlante forma quasi una penisola mediterranea in una regione steppica e desertica, mentre le sue alte cime rappresentano una serie d'isolotti alpini più o meno isolati.

Nelle foreste del Marocco predominano quattro forme di quercia: la quercia da sughero, la Quercus Mirbeckii, la Q. castanaefolia, e il leccio; quattro conifere: il pino d'Aleppo, il cedro, la tuia (Callitris quadrivalvis) e il ginepro. Il pioppo, l'olmo, il frassino vivono lungo i fiumi e formano dei ciuffi nelle pianure paludose. Le altre essenze: peri selvatici, pistacchi, carrubi, ciliegi, ulivi, noci, olmi, aceri, non formano piantagioni omogenee. Il clima e il suolo esercitano una grande influenza sulla distribuzione delle varie essenze: la quercia da sughero, una delle specie più caratteristiche del Mediterraneo occidentale, alligna soltanto nei terreni silicei e nelle regioni che ricevono più di 600 mm. di pioggia annuale Insieme col pero selvatico essa costituisce la grande foresta di Mamora che misura non meno di 137.000 ettari, la più vasta foresta di sugheri che esista. Forma inoltre importanti aree boscate in tutto il retroterra tra Rabat e Casablanca, nei paesi degli Zaer e degli Zemmour, nel Tafoudeit, nella regione di Oulmès e degli Zaīane; cresce pure su tutto il litorale mediterraneo dal Capo Espartel fino alla Moulouya. La Q. Mirbeckii, una delle più belle essenze forestali dell'Africa settentrionale, accompagna sempre la sughera, ma si ritrova soltanto a partire da 700 m. fino a 1800-2000, alla quale altitudine si unisce il cedro; è un albero a foglie caduche, come la Q. castanaefolia, che incomincia a un'altitudine ancora maggiore, sopra i mille metri spingendosi fino all'estremo limite della vegetazione forestale. Il leccio occupa estensioni assai vaste, solo o in unione alla quercia da sughero, al pino d'Aleppo o al cedro; nell'Alto Atlante ve ne sono boschetti diradati o individui isolati fino a 2600 m., limite superiore della vegetazione forestale. Le conifere formano con le querce le più vaste aree boscate. Il pino d'Aleppo, molto resistente, cresce nelle regioni con non più di 300 mm. di pioggia e vive anche nei peggiori terreni; i suoi limiti di altitudine sono presso a poco quelli della quercia da sughero e dell'ulivo, cioè da 1500 a 1700 m.: è frequente specialmente nelle valli dell'alto Tensift, della Tessaout e dell'Oued el-Abid, e nella parte sud-occidentale del Medio Atlante. Il cedro (Cedrus atlantica) occupa una regione ben determinata, compresa fra 1400 e 2500 m. di altitudine: gruppi di cedri s'incontrano nel Medio Atlante; essi si estendono, da Khenifra a Sefrou, per oltre 150 km., formando una serie di strisce parallele che si prolungano a NE. nel paese di Riata e dei Beni Ouaraïne e sporgono al di là di Khenifra sopra l'Alto Atlante. Il cedro manca nell'Alto Atlante occidentale, dove è sostituito dal ginepro, ma si trova in alcune parti dei massicci litoranei. La tuja, i Juniperus oxycedrus e phoenicea, confusi dagl'indigeni sotto il nome di taga, hanno press'a poco la stessa distribuzione geografica: molto resistenti al vento e alla siccità, hanno tenuto per molto tempo un gran posto nella formazione forestale dei terrazzi e dei massicci interni, specialmente nelle vicinanze del Sahara; ma ormai non se ne trovano più che pochi residui, soprattutto sul versante meridionale del Medio Atlante.

Le specie che costituiscono la macchia sono le stesse del sottobosco; le principali sono: l'ulivo, il lentischio, il corbezzolo, l'erica, il mirto, la ginestra, il citiso, i cisti, l'eliantemo, la lavanda, il rosmarino, l'artemisia, l'euforbia. Su certi terreni che poco si prestano alla vegetazione forestale allignano piante bulbose e graminacee alle quali si uniscono talora, palme nane, giuggioli, questi ultimi nelle regioni secche e quasi steppose.

La steppa occupa nel Marocco occidentale la zona dei piani situata troppo lontana dal mare per essere bagnata dalle piogge dell'Atlantico in quantità sufficiente; nel Marocco orientale si stende una vasta zona a steppe, compresa fra la valle della Moulouya, a occidente, e la frontiera algerina: è il Dahra marocchino. La vegetazione delle steppe è composta soprattutto di graminacee coriacee, vivaci, poco numerose, resistenti al freddo e al caldo, in formazioni molto aperte, specialmente alfa, sparto, frammiste con artemisia e salsolacee.

Nel Marocco occidentale l'albero caratteristico della regione situata a S. di Tensift è l'Argania; si trova soprattutto a Mogador e ad Agadir e forma, solo o frammisto al timo e al ginepro, foreste poco folte che coprono i contrafforti occidentali , dell'Atlante, il Sous e il versante settentrionale dell'Anti Atlante fino al Siroua: è una steppa cosparsa di rari alberi e che offre per conseguenza una certa somiglianza con la savana. Le altre regioni sahariane confinanti col Marocco sono quasi interamente sprovviste di vegetazione, fuorché nelle zone d'acqua che formano le oasi; specie a E. dell'apertura del Siroua il carattere desertico s'accentua.

Regioni naturali. - La natura e il rilievo del suolo, il clima e la vegetazione si combinano in vario modo, per determinare nel Marocco un certo numero di regioni naturali, ben caratterizzate, benché il passaggio dall'una all'altra avvenga per mutamenti graduali. Nei massicci litoranei si possono distinguere le seguenti regioni naturali: il paese degli Yebala, da Tangeri a Badés; il Rif, da Badés a Melilla; il Garet, da Melilla alla Moulouya. Nei piani del Marocco occidentale si distinguono il Gharb, da Tangeri al Sebou; la regione di Fez; il corridoio di Taza, che si prolunga fino all'Algeria nelle pianure di Tafrata e degli Angad; al di là della regione degli Zaer e degli Zemmour, che s'insinua come un cuneo tra il Marocco settentrionale e il Marocco meridionale, sono i piani dell'Houz, che si estendono da Rabat a Mogador e a Marocco fino ai piedi dell'Atlante. Vengono poi le grandi catene dell'Atlante, Medio Atlante, Alto Atlante e Anti Atlante, che rinchiudono la regione del Sous, poi le oasi del Todra, del Gheris, del Ferkla, del Tafilelt e del Dra. Altre due regioni naturali sono la vallata della Moulouya e il Dahra, che è il principio delle steppe della provincia di Orano. Di queste varie regioni le più interessanti sono quelle che costeggiano l'Atlantico, il Gharb, lo Houz e il Sous.

Dati statistici sulla popolazione. - Prima del protettorato francese non era affatto possibile conoscere, neppure approssimativamente, la popolazione totale del Marocco. Si davano cifre oltremodo divergenti: alcuni autori attribuivano all'impero sceriffiano 9, 15 e perfino 30 milioni di abitanti; i viaggiatori si limitavano a parlare di circa 7 milioni. Ora si hanno informazioni più esatte; furono fatti tre censimenti della popolazione della zona francese del Marocco, nel 1921, nel 1926 e nel 1931. Sebbene tali valutazioni siano ancora approssimative, per quanto riguarda gli indigeni delle campagne, i risultati ottenuti si possono ritenere quasi esatti. Secondo il censimento del 1931 la popolazione civile totale della zona francese del Marocco è di 5.364.809, di cui 5.192.328 indigeni e 172.481 Europei. La popolazione indigena della zona sottomessa conta per 4.709.229 ab. e quella della zona non sottomessa è valutata circa 483.099 ab. I musulmani sono 5.067.743 e gli Israeliti 124.585. Quanto alla zona spagnola, secondo i dati raccolti dal Servizio spagnolo degli affari indigeni, la sua popolazione è di 551.000 ab., ai quali vanno aggiunti circa 130.000 Europei, compresi anche quelli della zona di Tangeri. La popolazione totale del Marocco sarebbe dunque di circa 6 milioni dì abitanti.

Tralasciando i vecchi presidios spagnoli (Melilla, Ceuta, ecc.), nel 1907 si contavano nel Marocco appena 5000 Europei, di cui 4000 a Tangeri, mentre la regione che ora forma il protettorato francese ne aveva solo qualche centinaio. Nel 1911 la zona francese contava già più di 10.000 Europei; la cifra saliva a 62.000 nel 1911, a 105.000 nel 1926 e a 172.481 secondo il censimento del 1931; di questi, 128.177 Francesi (115.628 cittadini francesi, 11.683 sudditi francesi, 866 protetti francesi). Vi sono poi 44.304 stranieri, di cui 22.684 Spagnoli, 12.602 Italianí e 9018 di nazionalità diverse. Nella zona spagnola gli Europei sono quasi tutti Spagnoli; nella zona di Tangeri si ripartiscono in 11.000 Spagnoli, 2000 Francesi e 2000 di nazionalità diverse.

Antropologia ed etnologia. - Le popolazioni indigene dell'Africa settentrionale sono ordinariamente designate col nome di Berberi. La popolazione araba non forma che un leggiero strato, sopra un substrato appena modificato e facile a rintracciarsi. Ciò è evidentissimo al Marocco dove le popolazioni decisamente berbere formano la grande maggioranza degli abitanti, e occupano quasi tutto il paese. Bisogna dunque considerare i Marocchini come dei Berberi (v.) più o meno arabizzati.

Le notizie antropometriche sugl'indigeni del Marocco sono molto scarse; secondo l'opinione del Verneau, oltre ai tipi comunemente detti Berberi e Arabi, esisterebbe un terzo tipo che non è da avvicinarsi né agli Arabi né ai Berberi e nemmeno ai Negri, nonostante l'esistenza abituale di un prognatismo assai pronunciato; questo tipo sarebbe caratterizzato dai capelli lisci e da un colore cutaneo assai scuro e avrebbe caratteri cefalici suoi proprî: studiando 23 cranî provenienti dai cimiteri musulmani di Mogador e dintorni, il Verneau vi distingue tre tipi: 1. A capacità debole, faccia piccola pentagonale, mai nettamente dolicocefalo (6 ♂ 76,4; 4 ♀ 77,7), poco alto (ind. v. long. 77,7), a naso alto e stretto, leptorino (♂ 47,7; ♀ 47,4); questo tipo è detto dal Verneau marocchino, e si allontanerebbe meno dal berbero che dall'arabo. 2. A capacità debole, faccia piccola, non pentagonoide, francamente dolicocefalo (73,21), piuttosto basso (ind. vert. long. 71,5), a naso alto e stretto (leptorino: l'indice medio 54,6 che apparisce mesorino è in sostanza il risultato di tre indici francamente leptorini e di un solo platirino); sarebbe un tipo arabo attenuato. 3. Non omogeneo, a capacità forte, francamente dolicocefalo, molto alto, con forte sviluppo faciale; risulterebbe un tipo misto arabo-berbero. Nelle serie dei Berberi e degli Arabi d'Africa dei Crania Ethnica i due gruppi risultano a cranio lungo e alto (dolicortoipsicefali) e con forme nasali e faciali alte e strette (leptoprosopi e leptorini).

Gl'indigeni del Marocco si dividono in sedentarî, nomadi e cittadini. Gli abitanti dei massicci montuosi del nord sono per lo più sedentarî; nei massicci del Medio Atlante e dell'Alto Atlante i Berberi sono in parte nomadi e il loro nomadismo ricorda, per certi aspetti, quello delle popolazioni alpine, poiché utilizzano nell'estate i pascoli che la neve ricopre durante l'inverno. Le tribù del Marocco praticano, piuttosto che un vero nomadismo, un seminomadismo, poiché si spostano per brevi distanze; soltanto gli abitanti del Marocco orientale praticano vaste migrazioni. Quanto ai nomadi del Sahara, non oltrepassano in generale il versante meridionale dell'Alto Atlante e spesso neanche dell'Anti Atlante.

Le popolazioni sedentarie hanno le loro dimore costruite in pisé o in pietre non tagliate, oppure abitano entro capanne fatte con rami d'albero coperte da un tetto di paglia o entro specie di Chioschi conici che ricordano le capanne sudanesi. Nel sud si trovano dei castelli-fortezze fabbricati in pisé o qaṣbah d'una notevole architettura. Nell'Atlante gl'indigeni custodiscono i cereali e le altre provviste nei castelli-magazzini chiamati tirremt, oppure nei villaggi fortificati, chiamati agadir. Quanto alla tenda dei nomadi marocchini, essa non differisce da quella degli Algerini: due pioli sostengono una tenda formata da strisce cucite insieme.

Gl'indigeni traggono quasi tutti i generi indispensabili alla vita e all'alimentazione dall'agricoltura e dall'allevamento.

Base del loro nutrimento è la farina d'orzo, con la quale fanno il pane e il cuscuss o taâm. Per gli Yebala il piatto nazionale è il bissara, composto di fave pestate e bollite; legumi, fave, rape, carciofi, melanzane, il latte, il sorgo, le ghiande nelle regioni forestali, entrano per molta parte nell'alimentazione; la farina di frumento è privilegio delle città e delle popolazioni ricche, e spetta alle donne la macinatura del grano e la manipolazione del pane. Le popolazioni nomadi non si nutrono molto diversamente dai sedentarî, soltanto consumano più latte e datteri e molto meno olio. La carne di bue, di montone, di capra è riservata alle grandi occasioni; le principali bevande sono l'acqua e il latte, e, come bibita eccitante, il tè, che viene usato in abbondanza, ogni volta che è possibile, con molta menta e zucchero.

I Marocchini sono quasi sempre a capo scoperto e portano i capelli rasati; gli abitanti del Rif conservano una piccola treccia, che lasciano pendere da un lato; i Berberi dell'Atlante portano sulle tempie delle ciocche di capelli ricadenti, chiamate nouader. Il copricapo usato più generalmente è il turbante, o piuttosto un pezzo di stoffa attorcigliato che lascia scoperto il sommo del capo; il burnhs o selham è poco usato; è un segno di ricchezza o d'alta posizione sociale. I Marocchini indossano una semplice camicia di lana e una jellaba, specie di abito cadente dalle spalle, con maniche cortissime; gli abitanti della campagna portano spesso solo il kaik oppure la camicia col kaik. Nel sud, in luogo della camicia, è usata la kechchaba, striscia di stoffa di cotone rosso, che in Francia è chiamata guinée e al Marocco khent; sopra la kechchaba alcuni portano il kaik di lana bianca, altri un burnus bruno (kheidons), altri ancora il khenifi, specie di burnus corto di lana nera con una larga chiazza arancione nella parte inferiore del dorso. La calzatura usata dappertutto è la belza, specie di pantofola larghissima di cuoio pieghevole, con suole sottili e senza tacchi. Le donne vestono con la più grande semplicità, coprendosi con un pezzo di stoffa di cotone trattenuto sulle spalle mediante fermagli; in genere si velano soltanto nelle città. La ricchezza dei gioielli, più che la differenza del costume, indicano il maggiore o minore grado diricchezza.

Nella società marocchina, che è una società patriarcale, l'unità non è l'individuo, come nelle società europee, ma la famiglia, la gens, che comprende tutti i maschi parenti per via maschile. Il principio su cui è fondata la famiglia indigena è quello della subordinazione completa di ogni membro al suo capo: il padre è un giudice domestico che ha diritto di vita e di morte sulle sue donne e sui figli, e siccome all'uomo sono consentiti la poligamia e il ripudio, la condizione della donna è del tutto subordinata. Il grado di coesione della famiglia emerge dal concetto del diritto e dovere che le spetta di vendicare le ingiurie e ancora più gli assassinî; la vendetta, che gl'indigeni chiamano rekba, si considera dovere sacro.

La tribù è l'unità politica degl'indigeni, come la famiglia è l'unità sociale: la tribù è una riunione di famiglie, di clan e la solidarietà che lega i membri della tribù è uguale a quella che lega i membri della famiglia. Come il padre, l'avo, lo sceicco governa la famiglia, così la riunione dei capi di famiglia forma il consiglio, la djemaâ che governa la tribù: qui però l'autorità di ciascuno è limitata da quella deglì altri sceicchi che sono i suoi uguali. Gl'indigen) non hanno avuto mai una nozione più larga di quella della famiglia, del villaggio, del terreno che essi percorrono; non si sono mai elevati fino al concetto di stato o di patria.

La religione soltanto è stata capace di unire gl'indigeni, sebbene molto superficialmente e in modo incomoleto. I Marocchini appartengono tutti al rito mālikita dell'Islām ortodosso; ma molti degl'indigeni sono ben poco islamizzati, poiché spesso l'ignoranza della lingua araba non permette loro che una conoscenza molto rudimentale della religione del profeta. Il culto dei santi, sebbene poco ortodosso, ha preso nel Marocco un grande sviluppo: così di una religione universale, di un monoteismo rigido sopra ogni altro, queste popolazioni hanno fatto una religione di tribù, di santi locali, di piccole cappelle proprie di un dato villaggio o di una data classe sociale. La pratica religiosa è nelle mani dei marabutti, ai quali è attribuito un certo potere magico, la barakn; degli sceriffi discendenti dal profeta, degli sceicchi e mokaddems appartenenti alle confraternite religiose. Il clero ufficiale ha un'importanza insignificante, mentre sono tenuti in grande considerazione i sapienti incaricati di professare nelle mederse o università; oggi però questo insegnamento è del tutto nullo e sterile.

Gli Ebrei, che sono 125.000, formano una popolazione assolutamente separata dalle altre; sono venuti nella regione in epoche diverse; si distinguono i Plichtim o Palestinesi, stabilitisi più anticamente, e i forasteros o Ebrei spagnoli, rifugiati al Marocco dopo la loro espulsione dalla Spagna nel sec. XVI; i primi parlano berbero o arabo, i secondi spagnolo. Abitano soprattutto nelle città, dove erano confinati in quartieri separati, ma molti vivono in tribù.

Comunicazioni e porti. - Prima del protettorato francese il Marocco non aveva né porti né strade, né ferrovie; in un tempo relativamente breve, e con risultato abbastanza soddisfacente,è stato provvisto a queste deficienze.

Otto porti, che erano soltanto dighe foranee, venivano aperti al commercio: Tetuán, Tangeri, Larache, Rabat, Casablanca, Mazagan, Safi e Mogador; a questi si sono aggiunti Mehdia, all'imboccatura del Sebou; Kenitra (Port-Lyautey), porto interno situato su questo stesso fiume; Fedhala, fra Rabat e Casablanca; Agadir, porto del Sous. A Casablanca si effettuarono importanti lavori; il porto è formato da una grande scogliera, lunga 2500 metri, che protegge la rada dalle ondate del largo; una scogliera trasversale si avanza dinnanzi alla maggiore; il porto ha una superficie d'acqua di 146 ettari, con due fondali di 12 metri; sono inoltre stati costruiti moli, terrapieni, magazzini con installazioni speciali per la conservazione dei fosfati, del carbone e dei cereali. Un porto è stato allestito anche a Tangeri e nei porti secondarî sono stati compiuti lavori meno importanti; anche nella zona spagnola si compirono lavori: a Larache, a Ceuta, a Villa Sanjurjo e a Melilla.

La rete stradale marocchina somma a 3500 km. di strade principali e 2500 km. di strade secondarie: le strade principali allacciano fra loro i diversi porti, dànno accesso dalla costa ai grandi centri dell'interno e aprono al Marocco occidentale una comunicazione col Marocco orientale e l'Algeria. Nel Marocco spagnolo esistono 796 km. di strade e 1600 km. di piste.

La rete di strade ferrate a scartamento normale di m. 1,44 comprende la linea da Tangeri a Fez (315 km., di cui 203 in zona francese, 92 in zona spagnola e 20 in zona tangerina). All'infuori di questa linea, il tracciato delle altre strade ferrate è stato imposto dalla struttura stessa del paese; era necessario congiungere Casablanca a Fez e alla frontiera algerina da una parte, a Marocco dall'altra e disimpegnare il servizio degl'importanti giacimenti minerarî scoperti. La linea da Casablanca a Fez è stata ultimata nel 1925; quella da Casablanca a Marocco, sulla quale s'innesta un tronco che conduce ai depositi di Kouriga, nel 1928; la linea da Fez a Oudjda, destinata a completare la grande arteria Casablanca-Tunisi e a riunire fra loro le varie parti dell'Africa settentrionale è stata ultimata nel 1933. Questa prima rete (compresavi la parte francese della ferrovia Tangeri-Fez) misura 1233 km. Nel Marocco orientale una linea da Oudjda a Bou Arfa serve ai giacimenti di manganese e di carbone; nel Marocco spagnolo, a eccezione del tratto appartenente alla Tangeri-Fez, le ferrovie hanno poca importanza.

Città e centri abitati. - Fino dal principio dell'occupazione il protettorato si è preoccupato di sistemare le città; esistevano al Marocco città indigene antiche e importanti e d'altra parte la popolazione europea è finora rimasta concentrata quasi tutta nelle città. Si è adottato il principio di separazione tra città europee e città indigene, per considerazioni politiche, sanitarie ed estetiche.

Si contano al Marocco tre città ḥaḍriyyah, cioè con popolazione civilizzata e veramente urbana: Fez, Rabat e Tetuán; gli abitanti delle quali sono discendenti più o meno impuri dei Mori di Spagna. Vi sono poi quattro città dette makhzenia, cioè imperiali, dove alternativamente risiede il sultano: Fez, Rabat, Meknès e Marocco. Fez e Marocco, capitali rispettivamente del Marocco settentrionale e del Marocco meridionale, resteranno probabilmente città indigene; Casablanca è invece la grande città europea del Marocco francese. Rabat, con annessa Salé, è abitata da funzionarî e deve appunto la cifra relativamente elevata della sua popolazione all'essere stata scelta come capitale amministrativa del protettorato, perché era la sola città imperiale in contatto col mare e di conseguenza con l'Europa. Meknès occupa una posizione centrale, ha eccellente clima in una zona agricola dove s'incrociano le strade da Tangeri e da Kenitra a Fez e la via da Fez a Marocco lungo l'orlo del Medio Atlante. Oudjda rimane il principale centro del Marocco orientale; fra le localid più recenti, sembra chiamata a un grande sviluppo Port-Lyautey (Kenitra). La popolazione delle principali città del Marocco Francese è la seguente (1931).

Nel Marocco Spagnolo gli accentramenti di maggiore importanza sono formati quasi del tutto da Europei: Melilla ha 37.000 ab. e Ceuta 35.000, quasi tutti spagnoli. Nella zona d'influenza Tetuán ha 44.000 ab., di cui 25.000 Europei; Larache 16.000 ab.; Tangeri 46.000 ab.

Condizioni economiche. - Agricoltura. - Costituisce con l'allevamento la principale risorsa del Marocco e la base del suo avvenire economico. Le regioni più fertili sono il Gharb, la vallata del Sebou, il Chaouïa, Doukkala; un buon avvenire economico, dal punto di vista agricolo, promettono le regioni di Meknès e di Fez. Un vasto programma di bonifica si propone di migliorare il rendimento delle superficie coltivate, di accrescere la loro estensione e d'introdurre nuove colture. Secondo le statistiche agricole, su 11.750.000 ettari le terre coltivate coprono 3.750.000 ettari; le terre incolte 1.200.000 ettari; gli orti, i giardini, i vigneti e gli uliveti 110.000 ettari; i terreni di percorso 4.450.000 ettari, le foreste 2 milioni di ettari. Dal 1926 al 1931 la superficie delle terre coltivate ha subito un aumento di oltre un milione di ettari; si calcola che 723.000 ettari appartengano agli Europei (677.000 ai Francesi). La popolazione rurale europea si aggira sui 12.000 abitanti; la colonizzazione privata conta 1351 coloni, che possiedono 491.000 ettari, quella ufficiale ne conta 1334 sopra 232.000 ettari.

La coltura dei cereali tiene il primo posto, coprendo più di 3 milioni di ha.; essa fornisce agl'indigeni l'alimentazione per sé e per il bestiame e procura ai coloni principianti un immediato guadagno.

Il grano duro occupa 950.000 ettari; il grano tenero, che prima del protettorato era sconosciuto al Marocco, occupa 267.000 ettari. Gl'indigeni preferiscono la coltivazione del grano duro, però le loro coltivazioni di grano tenero si vanno estendendo d'anno in anno; gli Europei coltivano quasi esclusivamente quello tenero, al quale riservano le terre migliori, seminandolo generalmente in primavera. Si producono da 5 a 6 milioni di quintali di grano duro, da 1 a 2 milioni di quintali di grano tenero. Il rendimento è di circa 6 quintali in media per gl'indigeni; è superiore e può raggiungere i 20 quintali per ettaro nelle coltivazioni condotte da Europei. L'orzo è il cereale più coltivato: la sua coltura occupa 1.311.000 ettari con una produzione di 9 a 10 milioni di quintali; il rendimento va da 6 a 9 quintali e, in condizioni favorevoli, può raggiungere 16 e 18 quintali. L'avena copre 46.000 ettari e rende 300.000 quintali; la sua coltura, introdotta dopo l'avvento del protettorato, si va rapidamente estendendo. Il mais copre 242.000 ettari con una produzione da 1 ½ a 2 milioni di quintali; i rendimenti sono da 3 a 4 quintali nelle colture a secco e da 5 a 7 quintali nelle colture irrigue. Il sorgo (8000 ettari) e il miglio (12.000 ettari) si seminano in primavera, cosicché nelle annate di piogge tardive gl'indigeni si rifanno un po' della minore semina di grano in autunno. Fra le altre colture alimentari, le fave occupano 56.000 ettari, i ceci 39.000 ettari, le lenticchie 7000 ettari.

Nel Marocco, come in tutti i paesi mediterranei, la frutticoltura ha grande importanza.

L'ulivo si può coltivare su tutto il territorio marocchino, fuorché nelle regioni di grande altitudine; nella zona sottomessa alla Francia sono stati censiti oltre 5 milioni di piante d'ulivo, delle quali 1.900.000 nelle regioni di Fez e di Ouezzane, 400.000 in quella di Meknès, 242.000 in quella di Taza, 1.400.000 in quella di Marocco, 672.000 in quella di Agadir. Le regioni più favorevoli all'uliveto sono quelle all'orlo dei massicci litoranei, nel nord, i confini settentrionali e meridionali dell'Alto Atlante, nel sud; il centro più importante è quello dei Mesfioua nella regione di Marocco; numerose sono pure le piantagioni nella zona spagnola. Si può calcolare che il rendimento della coltura dell'ulivo nel Marocco ascenda a un milione di quintali d'ulive, rendimento che può essere considerevolmente aumentato.

Il fico (se ne contano 4 milioni di piante) è l'albero predominante dei frutteti marocchini, insieme col mandorlo (1.600.000 piante), diffuso nelle regioni di Marocco e di Agadir. Prosperano pure gli aranci e i limoni (240.000 alberi); l'albicocco molto frequente, il pesco, il pero, il susino, e, nelle regioni fresche, il ciliegio e il melo; esistono belle piante di noci nelle vallate dell'Alto Atlante. La palma da datteri è coltivata in tutte le oasi, specialmente al Dra e al Tafilelt, la produzione dei datteri è tuttavia inferiore al bisogno e il Marocco ne importa annualmente.

La coltivazione della vite risale a data antica nel Marocco e il vigneto indigeno vi occupa circa 6000 ettari; ma il vigneto europeo è da poco stato creato; le piantagioni si sono estese rapidamente e coprono già 13.000 ettari; sarebbe però dannoso svilupparle ancora.

Le ortaglie si coltivano su una superficie di 15.000 ettari, di cui 13.000 di colture europee; ove è possibile una sufficiente irrigazione, tutti gli ortaggi riescono, specialmente nella zona costiera: patate, patate dolci, fagioli, cavoli, pomodori, melanzane, zucchine; il Marocco trae già notevoli rendite dall'esportazione delle primizie.

Si possono infine ricordare alcune vecchie specialità marocchine come la falaride, che serve per l'apprettatura delle stoffe, il fiengreco, il cumino, lo zafferano, il coriandolo, l'henné; colture che non sono suscettibili d'una grande estensione. Fra le colture nuove ha dato risultati soddisfacenti quella della barbabietola; la coltura del cotone si pratica un poco nella regione di Marocco e nel Marocco orientale, nei dintorni di Berkane; quella della canapa soprattutto a SE. di Marocco, presso le tribù dei Mesfioua; il lino è coltivato da molto tempo per il seme e copre una superficie di 18.000 ha.; ultimamente si è introdotta la varietà da fibra.

Allevamento. - Il patrimonio zootecnico conta 2 milioni di bovini (più di 250.000 nella zona spagnola), 9 milioni di montoni (più di 500.000 in zona spagnola), 3 milioni di caprini, 45.000 suini, 200.000 cavalli, 92.000 muli, 600.000 asini, 114.000 cammelli.

Il miglioramento dei greggi dovrebbe essere ottenuto con la selezione, ma per il miglioramento della razza è indispensabile quello dell'alimentazione: ora il Marocchino non usa procurarsi riserve, benché certe regioni producano buoni foraggi naturali. Si potrebbe aumentare molto il raccolto del fieno e la produzione di foraggi artificiali, specialmente dell'erba medica: il sorgo foraggero, la barbabietola foraggera crescono bene e gioverebbero all'allevamento permettendo di nutrire gli animali al finire dell'estate si è provveduto soltanto a sistemare qualche sorgente e qualche abbeveratoio. In vastissime regioni che rappresentano più della metà del Marocco, la sola industria possibile è l'allevamento del montone. L'esportazione dei buoi e dei montoni segna finora cifre assai basse; i montoni si esportano quasi tutti attraverso la frontiera algerina, dato che il tentativo di creare un mercato di montoni a Bordeaux non è riuscito. I prodotti dell'allevamento, soprattutto lane, pelli, uova sono stati sempre oggetto di grande traffico; la produzione di carne e di lana può aumentare ancora così da rendere l'allevamento una delle risorse più proficue per il Marocco.

Foreste. - Lo sfuttamento forestale nel Marocco fu per molto tempo trascurato; il principale prodotto delle foreste marocchine è il sughero, di cui che si calcola si possono produrre circa 150.000 quintali (110.000 dalla foresta di Mamora). Un altro prodotto è il sommaco dei conciatori (30.000 tonnellate), che è ricchissimo di tannino (30%); la quercia verde fornisce traversine per le strade ferrate, il cedro e la thuya legnami per ebanisteria e calafature.

Sulle steppe del Marocco orientale si estende per circa 2 milioni di ettari una vegetazione di alfa, che può dare un prodotto di 400-500 mila tonnellate. La palma nana è utilizzata per la fabbricazione del crine vegetale, di cui il Marocco produce circa 50.000 tonnellate.

Pesca. - La fauna ittiologica del Marocco, se non ha l'importanza che raggiunge sulle coste della Mauritania, è però abbastanza ricca per dare luogo a un commercio considerevole; soprattutto a Casablanca l'industria della pesca si è rapidamente sviluppata; Fedhala potrà diventare un gran porto di pesca industriale. La pesca delle sardine, della bonite e del tonno è praticata nell'Atlantico e nel Mediterraneo; nell'Oum er-Rebia gl'indigeni si dedicano alla pesca della laccia.

Miniere. - Il Marocco si ripromette molte ricchezze dallo sfruttamento del sottosuolo; lo sviluppo dei terreni primarî distingue la regione dall'Algeria e dalla Tunisia e le offre prospettive diverse sotto questo riguardo.

Nell'Alto Atlante s'incontrano rocce eruttive antiche, che hanno generalmente stretta relazione con i minerali e la presenza del Trias fornisce pure utili indicazioni. L'inventario di queste ricchezze è appena incominciato e i giacimenti conosciuti furono quasi tutti scoperti dopo il 1918. Nel 1928 il governo sceriffiano, imitando l'esperimento belga del Comitato del Katanga, ha creato un Ufficio di ricerche e di partecipazione minerarie, al quale vengono affidate ricerche importanti per l'interesse generale e l'incarico di partecipare alle imprese minerarie che presentino serie garanzie tecniche e finanziarie. Un dahir del 19 gennaio 1914, modificato da susseguenti dahirs del 15 settembre 1923 e del 1° novembre 1929, ha disciplinato la ricerca e lo sfruttamento delle miniere; il regolamento prevede la concessione di permessi di prospection, di permessi di ricerca, di permessi di sfruttamento e infine di vere e proprie concessioni. Sono in vigore attualmente 367 permessi di prospection, 346 permessi di ricerche e 57 permessi di sfruttamento.

L'Africa settentrionale è giustamente considerata come il paese dei fosfati; i fosfati di calcio del Marocco sono della stessa origine di quelli dei giacimenti nordafricani; derivano dalla fosfatizzazione di fango e diatomee e si trovano inclusi nelle marne dell'Eocene inferiore. I terreni fosfatati formano due grandi bacini, quelli di Ouled-Abdoun e di Gantour, separati dalla valle dell'Oum er-Rebia; si ritrovano all'orlo settentrionale dell'Alto Atlante fra Amismiz e Imintanout e nelle colline della regione di Chichaoua; altri giacimenti rivestono i fianchi meridionali dell'Alto Atlante. La formazione comprende un complesso di strati finemente sabbiosi e di colore chiaro, separati da intercalazioni marnose; lo strato superiore è particolarmente ricco; soprattutto nella regione di Kouriga, ove il titolo è di 76% di fosfato tricalcico; negli strati inferiori varia da 60 a 68%. Un dahir del 27 gennaio 1920 ha conferito il diritto di ricerca e di sfruttamento dei fosfati allo stato marocchino, che ne ha dato incarico all'Ufficio sceriffiano dei fosfati. Il centro dell'estrazione è a Kouriga, non lungi da Oued Zem, a 140 km. da Casablanca; le estrazioni di fosfati che diedero nel 1921 circa 8000 tonnellate, si elevarono a 1.799.000 tonnellate nel 1930. I principali clienti furono la Spagna (330.000 tonnellate), la Francia (314.000 tonnellate), l'Italia (228.000 tonnellate), l'Olanda (185.000 tonnellate). Nel 1931 le esportazioni furono di 965.000 tonnellate, nel 1932 di 1.020.000 tonnellate. I fosfati marocchini ad alto titolo hanno sostituito quelli degli Stati Uniti sul mercato europeo.

L'Africa settentrionale è rimasta fino a pochi anni fa assai povera di combustibili minerali; un piccolo banco carbonifero è esercito dal 1918 a Kenadsa presso Colomb-Béchar; ma una scoperta molto più importante (1928) è quella del bacino carbonifero di Dierada, a 43 km. a sud di Oudjda, che racchiude giacimenti di buona antracite e può rendere almeno un milione di tonnellate; sembra esistano altri giacimenti di carbone nella regione di Marocco, specie a E. di Imi n' Tanout, nella valle dell'Oued Seksoua.

L'esistenza di giacimenti petroliferi lungo l'orlo meridionale dei massicci litoranei è stata constatata da molto tempo; si estendono dal Fokra a O., al Djebel Tizroutine a E. per circa 200 km. di lunghezza e si possono riunire in quattro gruppi: quello del Gharb, del Tselfat, dei Cheraga e di Tizroutine. I sondaggi praticati, che diedero risultati incoraggianti, permetteranno ben presto di stabilire l'importanza economica dei petrolî marocchini.

Giacimenti di manganese sono stati scoperti a Bou Arfa, a NO. di Figuig, nell'Imini, a 20 km. a S. di Telouet, a Aoulouz, a 80 chilometri a E. di Taroudant; si è anche costruita una strada ferrata di 300 km. per lo sfruttamento del primo di questi bacini, ma le condizioni del mercato mondiale sono ora poco favorevoli. In alcune località si rintracciò del ferro. Si possono infine ricordare lo stagno di Oulmès e il molibdeno di Azegour presso Amizmiz. Finora però soltanto le esportazioni di fosfato hanno avuto importanza. Nel Marocco spagnolo i minerali di ferro della regione dei Beni-Bu-Ifrur presso Melilla hanno alimentato un'esportazione di circa un milione di tonnellate (1930).

Industria e commercio. - L'industria europea si è rapidamente sviluppata nel Marocco; più favorite sono le industrie derivate dall'agricoltura, specialmente quella degli olî e delle farine. A Casablanca è stata creata una fabbrica di zucchero, una di superfosfati, mentre importanti officine elettriche forniscono la forza motrice. In totale esistono nella zona francese 600 stabilimenti industriali che dispongono di 51.000 HP e impiegano 11.000 operai.

Il regime doganale del Marocco è basato sul principio della parità fra tutte le potenze; tutti i prodotti, di qualsiasi provenienza, sono sottoposti al medesimo regime. I diritti d'importazione per i porti aperti sono del 12,5% sulla maggior parte degli articoli.

Il commercio del Marocco fino allo stabilimento del protettorato francese aveva avuto assai poca importanza, ma l'aumento dei traffici doveva essere rapidissimo dopo la penetrazione europea: infatti il commercio saliva da 68 milioni nel 1904 a 140 milioni nel 1911 e a 222 milioni nel 1913. Le cifre posteriori alla guerra mondiale, anche ridotte al valore oro, attestano un grandissimo progresso. Nel 1920 il valore del commercio fu di ben 1269 milioni; la media delle annate 1924-28 fu di 2326 milioni e nel 1929, che si può considerare come un'annata normale, il totale risultò di 3781 milioni, di cui 3439 per il commercio portuale e 342 per il commercio attraverso la frontiera algerina. Se a questa cifra si aggiungono 163 milioni per la zona di Tangeri e 432 milioni per la zona spagnola, si giunge a un totale generale di più di 4 miliardi di franchi. Nel 1932 il commercio della zona francese fu soltanto di 2470 milioni di franchi e 2.771.000 tonnellate di peso. In questo totale le importazioni rappresentano 1.124.000 tonnellate per 685 milioni di franchi. La parte della Francia è di 907 milioni alle importazioni (50%) e 485 alle esportazioni (70%). Le importazioni consistono in generi richiesti per i bisogni degl'indigeni o degli Europei: zucchero, tè, vini, farine di grano; tessuti di cotone, lana e seta; articoli d'uso domestico, come sapone, lampade, fiammiferi; poi arnesi varî, macchine, lavori in metallo, automobili, carboni, essenze, petrolio. Le esportazioni sono costituite quasi esclusivamente da prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento e dai fosfati di calcio.

Bibl.: A. Bernard, Le Maroc, 7ª ed., Parigi 1931; G. Hardy e J. Célérier, Les grandes lignes de la géographie du Maroc, ivi 1922; J. Célérier, Le Maroc, ivi 1931; A. Quatrefages e E. T. Hamy, Crania Ethnica. Les crânes des races humaines, Parigi 1882; G. Sergi, Africa antropol. della stirpe camitica, Torino 1897; R. Verneau, in L'Anthropologie, XXIII (1912), p. 667 seg. (v. barberia).

Ordinamento.

Ordinamento politico e amministrativo. - In linea di principio il Marocco è una monarchia assoluta, e il sultano vi esercita la suprema autorità civile e religiosa. Tuttavia il trattato di Fez del 30 marzo 1912 poneva il Marocco sotto il protettorato della Francia, e la convenzione franco-spagnola del 27 novembre 1912 stabiliva i limiti della zona d'influenza riservata alla Spagna nel Marocco settentrionale. Un'altra convenzione del 18 dicembre 1923 (modificata il 25 luglio 1928), tra Gran Bretagna, Francia e Spagna, istituiva un regime speciale per Tangeri e territorio.

Nella zona francese, di gran lunga la più estesa, risiede abitualmente il sultano (di solito a Rabat) con il suo governo. L'autorità vi è esercitata in effetto dalla Francia, rappresentata da un residente generale che è nello stesso tempo ministro degli Affari esteri del sultano e capo dell'amministrazione francese. Questa ha elaborato un complesso di leggi, o dahirs, emanate dal sultano, ma promulgate e rese esecutive dal residente generale. La Francia ha assolto il suo triplice compito di riorganizzare il Marocco dal lato amministrativo, giudiziario e finanziario; ha procurato di restaurare gli antichi organismi, controllando il loro funzionamento; e ha creato i grandi servizî pubblici che il suo ordinamento esigeva. L'amministrazione indigena locale esercitata dai qā'id, nominati dal sultano, è posta sotto il controllo dell'autorità civile o dell'autorità militare secondo le regioni; via via che la pacificazione si afferma, la zona civile si estende.

Nella zona spagnola (circa 13.125 miglia quadrate) i poteri del sultano sono delegati a un luogotenente (khalīfah), scelto dal sultano stesso tra due candidati designati dal governo spagnolo; questa amministrazione è controllata da un alto commissario che risiede a Tetuán.

La zona di Tangeri (circa 225 miglia quadrate) è dichiarata permanentemente neutrale e demilitarizzata. Il regime è autonomo; il potere legislativo è esercitato da un'assemblea internazionale di 27 membri. Un diritto di veto e altre facoltà spettano a un comitato di controllo, composto dai consoli delle potenze firmatarie del Patto di Algeciras (v.), del 7 aprile 1906, che abbiano aderito alle successive convenzioni (Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna a tutto il 1933). Il sultano è rappresentato da un mandūb (commissario), che ex officio è presidente dell'assemblea internazionale.

Forze armate. - Zona francese. - Il territorio è ripartito in 5 suddivisioni, presidiate tre da 1 divisione di fanteria, due da 1 brigata mista. Il corpo d'occupazione si compone di un comando superiore delle truppe e delle seguenti truppe, metropolitane (francesi e nordafricane) e coloniali: 3 divisioni di fanteria; 2 brigate miste; 17 reggimenti di fanteria (2 zuavi, 3 tiragliatori algerini, 6 tiragliatori marocchini, 2 tiragliatori senegalesi, 1 di fanteria coloniale, 3 stranieri); 1 battaglione di fanteria leggiera (reparto di disciplina); 2 reggimenti di artiglieria (1 d'Africa, 1 coloniale); 3 battaglioni genio; 1 battaglione carri armati; 1 gruppo autoblindomitragliatrici; 3 squadroni treno; 2 compagnie sahariane; formazìoni ausiliarie (goums misti, servizio degli haras marocchini); servizî generali e speciali. Il reclutamento dei regolari indigeni è volontario (ferma di 2 anni, e successive rafferme).

Zona spagnola. - Il territorio è ripartito in 4 circoscrizioni militari. Le forze militari spagnole al Marocco si compongono di: un comando in capo; truppe metropolitane (2250 ufficiali e 55.000 uomini di truppa); truppe indigene (esclusi gl'irregolari: 500 ufficiali e 14.000 uomini di truppa); truppe straniere (6000 uomini). Le truppe metropolitane comprendono: 2 reggimenti di fanteria di linea; 2 mezze brigate da montagna di cacciatori d'Africa; 1 reggimento di cacciatori a cavallo; 4 reggimenti d'artiglieria (in prevalenza leggiera); 1 squadrone di 6 squadriglie di aeroplani da ricognizione; servizî. Le truppe indigene comprendono: 5 gruppi misti di fanteria e cavalleria; 6 mehalle khalīfiane (miste di fanteria e cavalleria), forze di polizia e formazioni eventuali d'irregolari. Le truppe straniere comprendono 2 legioni di fanteria, ognuna su 4 bandiere. Il reclutamento degl'indigeni regolari è volontarii (ferma da 3 a 5 anni, e successive rafferme).

Culti. - La popolazione indigena aderisce nella sua quasi totalità all'islamismo. I cattolici non sono molto numerosi. Dal vicariato apostolico del Marocco, istituito nel 1859 e affidato ai francescani spagnoli nel 1908, con residenza a Tangeri e giurisdizione nella zona spagnola, dipendono (secondo statistiche di Propaganda Fide) 64.000 fedeli (30 giugno 1930; 63.400 nel 1929). Per il Marocco francese è stato istituito nel 1923 il vicariato apostolico di Rabat, pure affidato ai francescani, con 108.103 fedeli (giugno 1929).

Finanze. - Zona francese. - Le imposte indirette (specialmente i dazî doganali e le imposte di consumo), le imposte dirette e i monopolî costituiscono i maggiori capitoli d'entrata del bilancio, le spese principali sono quelle erogate per il servizio del debito pubblico, per la pubblica istruzione, per i lavori pubblici, per l'agricoltura, per le poste e telegrafi, ecc. Solo a partire dal 1931-32, a causa della crisi generale, le spese hanno superato le entrate, nonostante i decretati aggravî fiscali, ed è stato necessario ricorrere ai prestiti e al fondo di riserva per equilibrare il bilancio, mentre negli anni precedenti si erano avuti notevoli avanzi che avevano permesso appunto la costituzione d'una riserva considerevole.

A costituire il debito pubblico del Marocco (che alla fine del 1931 era di 1750 milioni di franchi) concorrono due prestiti contratti prima della costituzione del protettorato (di 62 milioni di franchi nel 1904 e di 101 nel 1910) e altri 8 contratti successivamente al 1912 per un ammontare complessivo di 2858 milioni. Il protettorato è gravato inoltre di un debito indiretto, in quanto ha garantito alcuni prestiti contratti da imprese private (compagnie ferroviarie, società elettriche, porti, ecc.) o ne ha assicurato il servizio.

Dal 1920, epoca in cui fu ritirata dalla circolazione la moneta indigena hassani, l'unità monetaria è il franco marocchino, cui fu data nel 1928 la stessa base aurea di quello francese. Al 31 dicembre 1932 la circolazione dei biglietti della Banca di stato del Marocco ammontava a 611 milioni di franchi marocchini. I principali istituti di credito, oltre la Banca di stato, sono la Banca commerciale del Marocco, la Compagnia algerina, il Credito fondiario di Algeria e Tunisia, ecc.

Zona spagnola. - Il bilancio della zona spagnola del Marocco oscilla intorno ai 50 milioni di pesetas e si equilibra grazie a un notevole contributo (oltre alla metà delle entrate) del governo spagnolo. La circolazione è composta di pesetas e di monete hassani d'argento.

Zona di Tangeri. - Il bilancio della zona di Tangeri si basa principalmente sui dazî doganali e sulle imposte di consumo. Le entrate è le spese si equilibrano intorno a 20 milioni di franchi. La circolazione è composta di franchi francesi, di pesetas spagnole e di monete hassani.

Storia.

La storia del Marocco, che ha strette connessioni e caratteristiche comuni con quella delle altre regioni dell'Africa settentrionale, si presenta in linea generale come intreccio di rapporti che si stabiliscono tra la sua popolazione berbera originaria e una lunga serie d'invasori o colonizzatori: Fenici-Cartaginesi, Romani, Vandali, Bizantini, Arabi, Portoghesi, Spagnoli, Turchi, Francesi. Tuttavia la stirpe indigena in tali rapporti appare, attraverso potenti reazioni e fondazioni di alcuni grandi stati indipendenti, d'una maggiore attività ed efficienza in confronto dell'Algeria, Tunisia e Tripolitania; come pure appare meno profonda la penetrazione in essa di elementi etnici e di civiltà straniere. Questa sua forza dipende in parte dal numero, potendosi valutare la popolazione marocchina a parecchi milioni; in parte dall'ambiente fisico che fa della zona centro-occidentale, compresa tra l'Oceano, la catena dell'Atlante e il Rif, non tanto un paese isolato, come è stato detto, quanto una unità geografica con netti confini e proprie risorse naturali, facilmente difendibile dall'interno contro chi voglia penetrarvi o mantenervi da basi lontane il proprio dominio.

Tale storia si può dividere in tre periodi: quello antico, dal sec. XII a. C. circa al VII d. C., caratterizzato da contatti col mondo mediterraneo e specialmente con la civiltà latina; quello medievale (secoli VII-XV), in cui la decadenza dell'Europa favorisce la conquista araba dell'Africa settentrionale e quindi il suo islamizzamento, che attrae il Marocco e le vicine regioni nell'orbita spirituale dell'Oriente; quello moderno (secoli XV-XX), in cui la civiltà europea, dopo un primo tentativo, nei secoli XV e XVI, di riconquistare l'opposta sponda del Mediterraneo, tentativo che fallì e che determinò anzi il risveglio islamico e uno stato di viva ostilità nei paesi nordafricani, riesce nel sec. XIX e nel XX a imporvi il proprio dominio politico e i suoi sistemi di vita.

Le fonti del periodo antico sono principalmente greche e latine e, per tacere delle notizie omeriche sull'isola di Calipso, cominciano con i frammenti di Ecateo, del sec. VI a. C., e giungono fino ai Bizantini. Dall'esame di qualcuna di tali fonti che dà qualche cenno della colonizzazione commerciale dei Fenici, degli scali e colonie da essi fondate sulla costa mediterranea e atlantica del Marocco, si può dedurre che verso la fine del secondo millennio a. C., e forse anche prima, vi erano dei rapporti fra la gente marocchina e gli arditi navigatori tirî; rapporti che divennero più frequenti quando Cartagine, creata nel sec. VI a. C. la sua egemonia marittima nel Mediterraneo occidentale, rivolse la sua attività anche alle coste atlantiche dell'Africa, per esplorarle, risollevare le antiche colonie tirie e formarne di nuove; attività che culminò nel famoso periplo di Annone, verso la metà del sec. V, il cui rapporto, pervenutoci in traduzione greca, fornisce qualche piccola notizia anche su luoghi e genti della costa marocchina. Come nella quasi totalità delle regioni dove avevano impiantato scali e colonie, i Cartaginesi non ebbero al Marocco alcun dominio su grandi gruppi d'indigeni e su vaste estensioni di terraferma; tuttavia è verosimile che una certa influenza sulle genti del paese essi esercitassero attraverso gli scambî dei prodotti, trattati con i capi, ecc. Già per il sec. IV a. C. si ha notizia d'un regno di Mauretania che si estendeva fra l'Oceano e il fiume Mulucha (odierno Moulouya, Muluiyyah); organizzazione indigena che probabilmente si era formata anche prima e che continuò a esistere durante le guerre puniche e posteriormente, entrando quindi in contatto con la potenza romana, che, impiantatasi in Africa con la costituzione in provincia del territorio di terraferma già appartenuto a Cartagine, in seguito per successive tappe e con somma prudenza estendeva la sua influenza, la sua protezione e infine il suo diretto dominio ad altre regioni dell'Africa settentrionale, attraendole nella piena luce della storia e della civiltà. La Mauretania, dopo il lungo periodo dei re indigeni amici o protetti di Roma, fu annessa da Caligola e nel 42 d. C. suddivisa da Claudio in due provincie, la Mauretania Tingitana, corrispondente pressoché all'attuale Marocco settentrionale (fra l'Oceano e la Mulucha, con capitale Tingh, cioè Tangeri), e la Mauretania Caesariensis, fra la Mulucha e la Numidia; provincie governate da procuratores Augusti dipendenti direttamente dall'imperatore (v. mauretania).

Il dominio romano durò per circa 4 secoli, e cioè fino all'invasione vandalica. Allo stato delle conoscenze, tenendo conto delle esplorazioni e degli scavi che si sono potuti compiere, le manifestazioni di vita romana al Marocco sono apparse assai minori di quelle dell'Algeria, della Tunisia e della Tripolitania; e perciò si è affermato che la civiltà latina abbia timidamente sfiorato quella immensa regione e che non si possa parlare d'una vera romanizzazione del Marocco. Ma occorre tenere presente che già gli scavi di Volubilis e di Sala hanno rivelato monumenti grandiosi e alcune opere di notevole pregio artistico, e che di più qualche fonte scritta, come ad es. Tolomeo, dà lunghi elenchi di città e cittadine, della costa e dell'interno, che dovevano costituire una rete di vita urbana e civile, nella quale è molto verosimile che future identificazioni e scavi mostreranno una parte notevole di romanità. D'altro lato è chiaro che Roma diede a quel lontano possedimento una sistemazione organica che trova riscontro in altre regioni, ad es. nella Tripolitania; stabilì cioè una zona fortificata, compresa fra Tingis, Sala e il monte Zarhun; vasto triangolo col suo limes verso sud, e che costituiva la base del dominio e della difesa, oltre il quale esistevano posti avanzati e si facevano, quando occorreva, punte dimostrative e spedizioni punitive o si facevano penetrare nelle popolazioni non sottomesse le influenze della civiltà, che future scoperte senza dubbio confermeranno. Anche la riunione della Tingitana alla diocesi di Spagna, avvenuta con la riforma amministrativa di Diocleziano (e che già precedentemente aveva in parte avuto luogo) non dimostra già che quella regione, distaccata dal resto dell'Africa settentrionale, finisse con essere, come è stato detto, un "possedimento sospeso in aria"; ma dimostra dal punto di vista militare e amministrativo una chiara visione dello stato dei paesi e un saggio uso delle esperienze. Difatti la comunicazione fra le due Mauretanie era nell'antichità, come ora si vede nella zona stepposa che separa il Marocco dall'Algeria e attraverso lo stretto corridoio di Taza, difficile e pericolosa; e sebbene sia da ritenersi che esistesse una via militare fra le due regioni, è certo che il contatto fra la Tingitana e la Spagna attraverso il mare era incomparabilmente più facile e del tutto normale, e quindi consigliava la riunione accennata. È probabile pertanto che, a mano a mano che le esplorazioni archeologiche progrediranno, nuove tracce di vita romana saranno scoperte, e soprattutto apparirà più largo l'influsso civilizzatore sulle popolazioni indigene, che permane anche parecchio dopo la conquista araba, come si vede dal persistere della cultura e dello spirito cittadino e dalle sopravvivenze del cristianesimo anche a tempo degl'Idrīsiti.

Il passaggio dei Vandali nel Marocco settentrionale non determinò naturalmente che effetti negativi; scarsissime influenze nel ristabilimento dell'ordine e del vivere civile ebbe l'occupazione bizantina, che si limitò a qualche città fortificata dello stretto, come Tangeri e Ceuta. All'inizio della conquista araba il Marocco era pertanto costituito da una massa di popolazione berbera, una parte della quale aveva avuto l'impronta civilizzatrice di Roma e del cristianesimo. La nuova occupazione e il legame di dipendenza che con essa veniva a stabilirsi fra quella gente e l'impero dei califfi, non ebbero grande importanza dal punto di vista etnico, giacché scarsissimo fu l'elemento arabo introdotto nel paese; del pari fu di mediocre efficacia sotto il riguardo della lingua parlata, del costume e dello stato sociale, che sono rimasti presso buona parte della popolazione quello che erano, cioè berberi; ma ebbe straordinarie conseguenze per la diffusione della religione musulmana, che finì con comprendere quasi la totalità degli abitanti, e per l'introduzione, come idioma letterario, d'una delle grandi lingue orientali, cioè dell'arabo. Questi due fattori essenziali diedero al Marocco una nuova indelebile fisionomia, straniandolo dalla civiltà europea e legandolo spiritualmente, se non sempre politicamente, all'Oriente islamico. Gli Arabi, fatta nell'anno 21 dell'ègira, 642 d. C., una prima spedizione in Cirenaica, successivamente si estesero alle altre regioni dell'Africa settentrionale, Tripolitania, Tunisia, Algeria, e nel 65 eg., 684-685 d. C., penetrarono nel Marocco, condotti dal generale, dalla figura in parte leggendaria, ‛Oqbah ibn Nāfi‛, che dopo avere toccato Tangeri si sarebbe spinto lungo le pianure occidentali, entrando quindi nel Sous (Sūs), senza però addivenire a una stabile conquista di quelle regioni, la quale invece fu compiuta nei primi anni del sec. VIII d. C. dal generale Mūsà ibn Nusair. I Berberi marocchini cominciarono quindi a convertirsi all'Islām ed ebbero larga parte nella conquista della Spagna, iniziata nell'anno 91 dell'eg., 709-710 d. C., con una prima ricognizione, e successivamente, nel 711, spinta a fondo dal famoso Ṭāriq ibn Ziyād, berbero convertito all'Islām, luogotenente di Mūsà ibn Nusair, e da questo stesso. Ma ben presto la dominazione araba al Marocco non meno che nelle regioni vicine si urtava contro forti correnti d'opposizione, mosse dall'antico spirito d'indipendenza delle genti berbere, dalle loro tendenze particolaristiche, e anche dal trattamento poco benevolo e in qualche periodo del tutto oppressivo degli Arabi. L'opposizione si coloriva di un'idea religiosa, avendo i Berberi largamente accolto l'eresia khārigita, nel cui nome scoppiò al Marocco nel 122 eg., 739-740 d. C., una grande rivolta capitanata in principio da Máisarah, della tribù Zenātah dei Maṭgharah, e che rapidamente si estese a buona parte dell'Africa settentrionale. Contro di essa gli Arabi lottarono lungamente, ma non riuscirono più a ristabilire il loro dominio in alcune zone, e tra queste nel Marocco, dove si formarono i piccoli stati indipendenti dei Berghawāṭah (v.) sul litorale atlantico, dei Benī Midrār (v.) a Sigilmāsah, ecc. La rivolta khārigita della Barberia s'inquadra in un più vasto fenomeno di decadenza politica dell'impero califfale, che, formatosi in meno d'un secolo dopo la morte di Maometto con rapidissime conquiste che giungevano fino all'India e all'Atlantico, e pure avendo nella religione e nella cultura che diffondeva un importante elemento di coesione, in realtà già nella seconda metà del sec. VIII d. C. mostrava i primi segni d'un processo di scomposizione per il sorgere di molti piccoli stati autonomi nelle regioni periferiche dell'oriente e dell'occidente; processo che rivela negli Arabi la mancanza di vere capacità di organizzatori d'imperi. Si comprende quindi come, accanto agli stati usciti direttamente dalla rivolta khārigita, altri se ne formassero; e per quanto riguarda il Marocco, questo verso la fine del sec. VIII diventò sede del regno degli Idrīsiti (v.), che ebbe una notevole influenza culturale e religiosa e che in principio, con Idrīs I e Idrīs II, raggiunse anche una certa unità politica e amministrativa, ma si smembrò ben presto in varî principati che rapidamente decaddero. Per oltre due secoli, e cioè fino al sorgere, nella seconda metà del sec. XI, dell'impero degli Almoravidi, il Marocco fu in preda all'anarchia, caratterizzata dalla contemporanea esistenza di parecchi staterelli in lotta fra loro, dai contraccolpi del grande duello che si combatteva, nel sec. X d. C., tra i Fatimiti (v.) da un lato (cui erano uniti il gruppo etnico dei Ṣanhāgiah dell'est e in principio la tribù dei Miknāsah) e gli Umayyadi di Spagna dall'altro, per i quali parteggiava il gruppo degli Zenatāh; duello che in parte aveva come teatro il Marocco, e in esso determinava o facilitava la penetrazione di genti Zenātah, come i Benī Yefren e i Maghrāwah, e dei Miknāsah, e la fondazione di nuovi più o meno effimeri principati. Tali avvenimenti, che precipitarono il Marocco in una completa disorganizzazione politica, appaiono assai confusi nei loro particolari, e allo stato delle conoscenze è difficile disporli in una linea di causalità che ne riveli la natura profonda. È tuttavia da tenere presente che il periodo che ad essi succede è quello detto dei grandi imperi berberi, cioè degli Almoravidi e poi degli Almohadi, dinastie che occupano oltre due secoli di storia, e che non solo ristabilirono l'unità di dominio nel Marocco, ma fecero di questa regione il centro di una politica d'espansione che raccolse in qualche momento tutto l'Islām occidentale in un potente stato. Siccome i primi erano Berberi del Sahara occidentale che sospinti da un'idea religiosa (v. almoràvidi) irruppero verso il nord e conquistarono in breve tempo tutto il Marocco e successivameqte parte dell'Algeria e della Spagna, e i secondi (v. almohàdi) erano Berberi dell'Atlante, che perseguendo pure un'idea religiosa si sostituirono agli Almoravidi rapidamente decaduti, e organizzarono mirabilmente, anche sotto l'aspetto della civiltà, il proprio impero che si estendeva dall'Atlantico alla Grande Sirte; confrontando tale periodo con quello antecedente caratterizzato dalla debole e frammentaria conquista araba, dall'impiantarsi nel Maghreb estremo della dinastia idrisita essenzialmente araba e senza salde radici nel paese, e poi dal cozzo degl'interventi fatimita e umayyade, è logico pensare che i grandi imperi berberi rappresentino la ripresa politica della stirpe indigena, cui l'Islām aveva dato una certa omogeneità, dei nuovi ideali, dei fini di guerra. Considerata sotto tale aspetto, la prima parte del Medioevo marocchino, che si estende dalla fine del sec. VII alla metà del sec. XI e che può dirsi essenzialmente araba, appare come un periodo di disgregazione politica, che lascia però, con la religione islamica e con la molteplicità delle sue particolari tendenze e sviluppi, azioni e reazioni, un'impronta indelebile in questa come nelle altre zone dell'Africa settentrionale. Perciò il periodo almoravide-almohade che dalla metà del sec. XI giunge fin oltre la metà del XIII, e che nella storia dei Berberi è il più glorioso, sia dal lato politico sia da quello della civiltà, rivela in modo tipico la caratteristica fondamentale di questa stirpe, cioè la sua capacità a progredire e a operare civilmente, quando altri popoli le abbiano fornito elementi e modelli culturali; mentre abbandonata a sé stessa si dimostra inetta a creare una propria notevole civiltà. Per quanto riguarda i rapporti col mondo arabo, dopo quelli della conquista già ricordati, l'Africa settentrionale, a partire dalla metà del sec. XI, ne ebbe un'altra serie che può chiamarsi dell'invasione. Le tribù dei Benī Hilāl (v.) e dei Benī Sulaim (v.), trasferendosi nella Barberia, portarono in mezzo allo strato etnico originario una certa massa di popolazione araba e selvaggia, che determinò una nuova e più grave fase di disgregazione e d'anarchia. Al Marocco questi indomiti beduini giunsero molto tardi, e cioè negli ultimi tempi della dinastia almohade; alleati con i Berberi Zenātah, anche essi nomadi e in fiero contrasto con i Ṣanhāgiah e con gli altri Berberi sedentarî, contribuirono alla distruzione degli Almohadi e al trionfo dei Merīnidi (v.), dinastia che regnò circa due secoli, continuata quindi dai Benī Waṭṭās, pure Zenātah e parenti dei primi, che tennero il potere fin verso la metà del sec. XVI.

Ma intanto si determinava nella storia marocchina una profonda crisi, l'offensiva cristiana, che segna l'inizio del periodo moderno. Nei secoli XV e XVI Spagnoli e Portoghesi, sia per impulso religioso, sia per reprimere la pirateria, sia per spirito espansionistico, conquistarono varie località della costa mediterranea e di quella atlantica del Marocco; conquiste che cagionarono una viva emozione fra i musulmani e quindi un risveglio d'odio, fomentato dai marabutti e dagli sceriffi, che sospingevano le popolazioni berbere alla guerra contro gl'infedeli. Gli ultimi sultani Merīnidi e anche i Benī Waṭṭās apparvero incapaci di capitanare con successo la guerra santa e di dominare il movimento xenofobo che si andava sempre più estendendo, e quindi perdevano prestigio e autorità; mentre la famiglia degli sceriffi detti poi Sa‛diti, che risiedeva da tempo nella regione del Wādī Dar‛ah (franc. Oued Dra), conducendo per proprio conto fortunate azioni guerresche contro i Portoghesi ad Agadir (1541 d. C.) e in altre località del litorale atlantico, attirava la simpatia e l'attaccamento delle popolazioni e finiva con dominare di fatto la regione del Sous, e poi tutto il Marocco meridionale; toglieva quindi di mezzo gli ultimi Benī Waṭṭās e restava arbitra delle sorti del regno. Questa dinastia di sceriffi Sa‛diti (1549-1654) ebbe un certo splendore con i primi sultani e specialmente con Ahmed al-Mansūr (1578-1610), ma decadde dopo la morte di questo, per le lotte di successione, per errori di politica e di amministrazione, per le agitazíoni causate dai marabutti, alcuni dei quali cercavano di formarsi dei proprî principati. In tali condizioni di disordine verso la metà del sec. XVII un'altra famiglia di sceriffi, gli ‛Alawiti (detti anche Fīlālī o Ḥasanī), stabilita nella regione di Tafilelt (Tāfīlālt), acquistava autorità e potere, si estendeva verso il Marocco orientale, e finiva con impadronirsi di tutta la regione, dando origine a una nuova dinastia di regnanti che si è perpetuata fino ad oggi. Essa ebbe col sultano Ismā‛īl (1672-1727) un grande splendore e rivelò anche con altri sovrani; come Slīmān (1792-1822), ‛Abd ar-Raḥmān (1822-1859), al-Ḥasan (1873-1894), alcune notevoli qualità di tatto e di dignità e sincero desiderio di pacificare e di ben governare la vasta regione, dove tanto frequentì sono state sempre le ribellioni; ma non poteva impedire gli urti con la Spagna che occupava i presidî della costa mediterranea, e con la Francia che nel 1830 si era stabilita nell'Algeria; e tanto meno poteva impedire lo svilupparsi delle aspirazioni di quelle e di altre potenze europee, che seguendo il potente impulso del secolo XIX e del XX alla colonizzazione dell'Africa, tendevano naturalmente ad acquistare una situazione preponderante nel Marocco o ad occuparlo e attrarlo nell'orbita della civiltà occidentale.

In seguito ai continui atti di brigantaggio che le tribù marocchine del Rif commettevano ai danni dei presidî spagnoli sulle coste del Marocco, la Spagna dichiarò la guerra al Marocco nell'autunno del 1859, ma, a causa della deficiente preparazione militare, solo alla fine di detto anno gli Spagnoli poterono ultimare lo sbarco a Ceuta del corpo d'operazioni. Questo, formato su 2 corpi d'armata (un terzo si stava approntando in Spagna) al comando del generale Prim, iniziò il 1° gennaio 1860 la marcia su Tetuán seguendo la costa. Raggiunto il 17 l'uadi Ielu, il 4 febbraio gli Spagnoli attaccarono Tetuán, difesa da 30.000 Marocchini, e l'occuparono due giorni dopo. Il 23 marzo, 25.000 Spagnoli mossero da Tetuán su Tangeri disperdendo a Uad er-Ras i Marocchini, i quali si videro così costretti alla pace. Il Ma; occo riconobbe alla Spagna il possesso di Tetuán.

Dopo la campagna del 1859-60, per una ventina d'anni non si ebbero incidenti notevoli nei possedimenti spagnoli; dopo il 1880 le popolazioni del Rif si fecero più turbolente, nonostante le frequenti spedizioni del sultano contro di loro; nel 1885 parecchi Spagnoli furono assassinati e nel 1893 i Riffani tentarono addirittura d'impedire i lavori di fortificazione intrapresi attorno a Melilla. La Spagna rinforzò la guarnigione fino a 22.000 uomini e 48 pezzi, sotto la protezione dei quali le fortificazioni poterono essere ultimate. Seguì un trattato col sultano (5 marzo 1894), il quale s'impegnava a tenere a freno le tribù del Rif.

Il vivo contrasto delle influenze europee, tenute in scacco con abilità nel secolo XIX da qualcuno dei sultani, si aggravò durante il regno di ‛Abd al-‛Azīz (1894-1908; v.), dando luogo a grave crisi.

Fino dal 1901 e 1902 la Francia aveva concluso col sultano alcuni accordi, apparentemente diretti a meglio precisare la convenzione di Lalla Marnia (18 marzo 1845) circa la frontiera fra l'Algeria e il Marocco, in realtà a rendere più intensa la sua penetrazione; e aveva pure, sulla fine del 1900, stipulato con l'Italia un accordo per il quale questa si disinteressava del Marocco, riservandosi la Tripolitania come propria zona d'influenza, quando il governo francese avesse fatto altrettanto nell'impero sceriffiano. Il successivo accordo del 1902 precisò meglio le cose, riconoscendo la reciproca facoltà della Francia e dell'Italia di far valere le rispettive aspirazioni sul Marocco e sulla Tripolitania, e sopprimendo ogni vincolo di subordinazione fra le due eventuali azioni. Dopo ciò, il gabinetto di Parigi cercò di giungere a un'intesa anche con la Spagna, a cui era disposta ad abbandonare la parte settentrionale di quell'impero, tra la foce del Sebou sull'Oceano Atlantico e quella della Moulouya sul Mediterraneo (a eccezione di Tangeri, che doveva essere internazionalizzata), e una vasta regione alla estremità di sud-ovest, la quale avrebbe riunito le due colonie spagnole di Santa Cruz de Mar Pequeña e del Río de Oro. Ma le trattative non giunsero a conclusione, perché la Francia si riavvicinò nel frattempa all'Inghilterra, da cui la Spagna aveva sperato invece aiuto per ottenere più larghe concessioni. L'8 aprile 1904 fu stipulato l'accordo con cui la Francia si disinteressò dell'Egitto a favore dell'Inghilterra, e questa rinunziò in favore della prima a ogni mira sopra il Marocco. Le due potenze si garantirono inoltre il reciproco appoggio diplomatico per l'attuazione dei loro disegni; la Francia s'impegnò a prendere in considerazione gl'interessi della Spagna, a cui una clausola segreta riservava la parte settentrionale del Marocco, di fronte allo Stretto di Gibilterra, che l'Inghilterra voleva sottrarre all'influenza francese. L'intesa fra i governi di Parigi e di Madrid fu concretata nell'ottobre seguente; e la Spagna ottenne concessioni minori di quelle che le erano state precedentemente offerte, specialmente sulla costa atlantica meridionale del Marocco.

Il Delcassé cercò, in tale modo, di risolvere la questione marocchina all'infuori della Germania, ma si ebbe un brusco intervento del governo tedesco, in seguito al quale si giunse alla conferenza d'Algeciras (v. algeciras). Tuttavia, pur dovendo allora subire, entro certi limiti, l'internazionalizzazione della questione marocchina, la Francia non abbandonò i suoi progetti.

Verso la fine del 1906, profittando d'un movimento xenofobo provocato nella regione di Tangeri dal bandito ar-Raisūlī, fece insieme con la Spagna una dimostrazione navale, durante la quale la Germania non sollevò serie obiezioni. Nel marzo 1907, dopo l'uccisione del medico francese Mauchamp a Marocco, occupò Oudjda nel Marocco orientale.

Ai primi d'agosto 1907, in seguito al massacro di 8 Europei a Casablanca (30 luglio) alcune navi da guerra francesi e spagnole sbarcarono truppe a protezione degli Europei, nonostante la resistenza armata degli indigeni; poco dopo una spedizione francese di 2600 uomini (generale Drude) giungeva da Drano e occupava la città; alla fine d'agosto, ricevuti rinforzi fino a 6000 uomini, i Francesi mossero contro le tribù della Chaouïa (regione che si estende a S. di Casablanca verso le pendici dell'Atlante), subito rinforzate dalle truppe del sultano, sostenendo numerosi scontri con scarsi risultati. Nel gennaio 1908 il gen. D'Amade, succeduto al Drude, avuti nuovi rinforzi incalzò energicamente le tribù, dapprima con leggiere colonne volanti, per difetto di trasporti, poi con le forze riunite, e dopo una serie di azioni succedentisi a breve intervallo di tempo, alcune delle quali felicemente riuscite di sorpresà, giunse a costringere alla sottomissione le tribù viciniori e a occupare stabilmente le più importanti località dell'interno e della costa per la protezione delle comunicazioni e il mantenimento dell'ordine. Nelle operazioni della Chaouïa fu abbandonato il sistema delle formazioni in quadrato e a losanga, largamente impiegate nelle guerre in Algeria, e si adottarono formazioni di combattimento lineari avanzanti a sbalzi con l'appoggio dell'artiglieria e sostenute da un'adeguata riserva. Alla fine d'aprile 1908 il corpo di occupazione era salito a 15.000 uomini e 4000 quadrupedi; fu in seguito ridotto gradatamente a 7000 uomini (fine del 1909).

Intanto il Marocco cadeva in preda alla guerra civile. Profittando dell'impopolarità derivata ad ‛Abd al-‛Azīz dall'accettazione dell'atto d'Algeciras, dalla sua remissività verso i Francesi e dalle sue dissipatezze, il fratello Mūlāy Ḥafīd si rivoltò contro di lui predicando la guerra santa e lo sconfisse. La Francia non sostenne ‛Abd al-Azīz e, insieme con la Spagna, riconobbe Mūlāy Hafīd, dopo che questi ebbe, a sua volta, accettato l'atto di Algeciras e gli altri trattati vigenti: in seguito anche le altre potenze riconobbero il nuovo sultano. Ma il conflitto latente fra Parigi e Berlino perdurava. Nel settembre 1908 si produsse a Casablanca un vivace incidente, perché le autorità francesi arrestarono tre soldati tedeschi della legione straniera, muniti di salvacondotto del console di Germania. La questione fu poi deferita alla Corte arbitrale dell'Aia e i due governi fecero mostra di spirito più conciliante. Con l'accordo del 9 febbraio 1909, la Francia confermò la sua intenzione di rispettare l'integrità e l'indipendenza dell'impero sceriffiano e la Germania vi riconobbe i particolari interessi politici della prima. Ma sostanzialmente la situazione rimase invariata.

Nei due anni che seguirono l'occupazione della Chaouïa, i Francesi ne completarono l'organizzazione militare e amministrativa, limitando le operazioni attive a due puntate eseguite l'una su Tadla (giugno 1908) e l'altra contro la cabila degli Zaer (febbraio-marzo 1909) per soffocare torbidi sorti fra le tribù circostanti alla Chaouïa. Al principio del 1911 finalmente la Francia, cogliendo il pretesto di torbidi scoppiati a Fez e provocata una richiesta d'intervento da parte dello stesso sultano, portò le truppe d'occupazione a 27.000 uomini, con i quali furono costituite tre colonne; altre truppe furono concentrate sulla frontiera algerina. Il corpo di spedizione (gen. Moinier) si portò a Kenitra e alla metà di maggio iniziò la marcia su Fez, dove giunse il 21 senza grandi difficoltà e dopo avere, strada facendo, organizzato le comunicazioni con la base di Mehdia. Nei giorni successivi le truppe provvidero alla scorta delle carovane di rifornimento e a liberare dagl'insorti i dintorni della città. Ai primi di giugno il gen. Moinier si diresse su Meknès, dove si erano concentrate importanti forze ribelli, e la occupò dopo viva resistenza. Le colonne francesi percorsero instancabilmente il paese, che alla metà di luglio poteva dirsi stabilmente occupato; le comunicazioni lungo le due strade Mehdia-Fez e Rabat-Meknès-Fez furono assicurate.

Frattanto anche gli Spagnoli si erano mossi in seguito al massacro (9 luglio 1909) di alcuni loro operai presso Melilla. La guarnigione venne rapidamente rinforzata e alla metà di settembre fu dapprima pacificata la parte settentrionale della penisola, indi iniziato l'aggiramento da S. con l'occupazione quasi senza opposizione della regione del Mar Chica e di Zeluán. Ma quando le truppe si spinsero verso occidente a Zoco el Jemis incontrarono viva resistenza, cosicché il territorio di diretto controllo dovette essere limitato in un primo tempo più a N. di quanto era stato progettato; solo alla fine del 1911, a prezzo di gravi perdite, gli Spagnoli si poterono affermare nella zona a N. della linea Zoco el Arbáa-Zeluán-Zoco el Jemis-sponda destra dell'Uad Kert; inoltre occuparono i principali centri costieri del Marocco settentrionale.

La Germania non tardò a rilevare che l'occupazione di Fez da parte dei Francesi era incompatibile con l'atto d'Algeciras; ma, per opera di A. v. Kiderlen-Waechter, non s'irrigidì nell'atteggiamento assunto nel 1905 e si mostrò incline a lasciare mano libera alla Francia contro compensi. A Parigi si era però ancora riluttanti a entrare in tale ordine d'idee. Il 1° luglio 1911 il governo tedesco mandò la cannoniera Panther ad Agadir, col pretesto di proteggervi i suoi sudditi. Questa mossa produsse viva emozione in Francia. Dopo negoziati che si protrassero varî mesi, si giunse a un accordo il 4 novembre 1911: la Germania riconobbe la preponderanza politica della Francia al Marocco e dichiarò che non si sarebbe nemmeno opposta a un eventuale protettorato; ottenne in compenso una parte del Congo francese (275.000 kmq.), attigua alla sua colonia del Camerun, la quale veniva così ad acquistare uno sbocco sul Congo e sull'Ubanghi.

Valendosi di ciò, la Francia impose a Mūlāy Ḥafīd un protettorato appena larvato (30 marzo 1912); ma seguì a Fez una nuova rivolta degl'indigeni, di cui caddero vittime varî Francesi, militari e civili. Mūlāy Ḥafīd partì in esilio e fu sostituito dal fratello Mūlāy Yūsuf. Il 28 ottobre 1912 fu firmato a Parigi un accordo per il quale l'Italia e la Francia confermavano la reciproca intenzione di non opporre nessun ostacolo ai provvedimenti che la prima prendesse in Libia e la seconda al Marocco. Il 27 novembre una nuova convenzione franco-spagnola precisò la situazione rispettiva nell'impero sceriffiano e stabilì che il territorio di Tangeri sarebbe stato dotato d'un regime speciale da definirsi in seguito.

La Francia iniziò allora le operazioni per occupare tutta la sua zona, ma dovette, con la guerra mondiale, interromperle. Le riprese, dopo la pace, e le condusse a termine nel 1923. Col trattato di Versailles (28 giugno 1919) la Germania rinunziò a tutti i diritti che le spettavano al Marocco in forza dell'atto di Algeciras e degli accordi con la Francia del 9 febbraio 1909 e del 4 novembre 1911. La convenzione di Parigi del 18 dicembre 1923, conclusa dalla Francia, dalla Spagna e dall'Inghilterra, definì lo statuto di Tangeri. L'Italia, essendone stata esclusa, si rifiutò di riconoscerla e partecipò invece al nuovo statuto concretato con la convenzione di Parigi del 25 luglio 1928.

Dopo le operazioni del 1909-11 gli Spagnoli avevano gradatamente allargato le zone d'occupazione attorno alle loro basi costiere e si erano addentrati nel Rif sino a Xauen (S. di Tetuán) e a Tafersit (O. di Melilla); i loro sforzi tendevano a congiungere le varie zone fra loro, superando la resistenza delle interposte cabile dell'interno, allora capeggiate dal pretendente al trono marocchino ar-Raisūlī. Nel 1921 l'alto commissario spagnolo gen. Berenguer, che dal settembre 1920 riuniva tutti i poteri civili e militari al Marocco, annunziava prossime operazioni militari per finirla con ar-Raisūlī e per addivenire al congiungimento di Tetuán e di Xauen con Larache e di Melilla con Alhucemas. Infatti in maggio e giugno le forze di Larache tentavano di raggiungere Xauen, mentre ai primi di giugno il gen. Silvestre, proseguendo l'avanzata da Melilla su Alhucemas, inviava una colonna su M. Abarrán, sulla catena del promontorio di Capo Quilates; ma la colonna, attaccata di sorpresa con la complicità di truppe indigene ribellatesi, veniva distrutta dai Riffani che poi attaccarono Sidi Dris. Quesio episodio, aggravato dalla diserzione delle truppe indigene, fu il preludio di un ben più grave disastro. Infatti verso il 20 luglio giunse improvvisamente la notizia che l'intero corpo del gen. Silvestre era stato attaccato di sorpresa e travolto dai Riffani guidati dall'emiro Abd el-Krim (v.).

In breve i ribelli giunsero a Zeluán e Nador, che furono assediate, mentre una colonna di truppe raccolte nella ritirata ripiegò su M. Arruit, dove si trincerò resistendo; gli Spagnoli venivano così a trovarsi nelle stesse condizioni del 1909, con l'aggravante di tre presidî assediati e senza speranza di soccorso e tutto il materiale del corpo di spedizione perduto. Il 6 agosto Zeluán e Nador si arresero e qualche tempo dopo anche M. Arruit, senza che gli Spagnoli avessero potuto soccorrere quelle posizioni. Nella zona occidentale le operazioni, in seguito al disastro di Melilla, furono sospese e la situazione rimase stazionaria. Concentrati in agosto a Melilla circa 60.000 uomini, il 12 settembre fu ripresa l'offensiva con l'occupazione di Zoco el Arbáa prima, poi di Nador (23), Zeluán, Atlaten (2 ottobre), M. Arruit (24 ottobre). Circondato così il massiccio del Gurugú, gli Spagnoli si accinsero a occuparlo per raggiungere poi la linea dell'Uad Kert. Intanto i Riffani alla fine d'ottobre cercarono di tagliare le comunicazioni fra Tetuán e Xauen obbligando gli Spagnoli a inviare alcune colonne per proteggere la zona minacciata. In novembre furono occupate Taxuda e Ras el-Medua, rispettivamente a S. e a O. del M. Gurugú, mentre una colonna raggiungeva la Moulouya. Ai primi di dicembre tutte le popolazioni fra la Moulouya e il Kert erano di nuovo sottomesse, e le comunicazioni ristabilite. Così terminò anche questa campagna nata da un disastro, costata denaro e perdite in proporzioni molto superiori al valore dell'oggetto, e chiusasi dopo avere raggiunto risultati press'a poco uguali a quelli della campagna 1909; con l'aggravante che rimanevano ancora in mano ai Marocchini circa 15.000 prigionieri spagnoli. Seguì da parte del governo spagnolo, preoccupato anche dalle complicazioni interne provocate dalla impopolare e costosa guerra e dagl'insuccessi frequenti, una politica di pacificazione e un alto commissario civile fu sostituito a quello militare.

Il successo di Annual contro gli Spagnoli nel 1921 aveva enormemente accresciuto il prestigio di Abd el-Krim, il cui disegno ambizioso di fondare uno stato indipendente nel Marocco occidentale fu favorito dalla politica del "semiabbandono" adottato dalla Spagna dopo l'infelice guerra politica che, esplicandosi praticamente nel proposito di mantenersi solo sulla costa, condusse al ripiegamento della fronte anche nel settore occidentale (Yebala), avvenuto nel 1924 sotto la pressione delle cabile condotte da Abd el-Krim (che aveva soppiantato il rivale ar-Raisūlī) con alquanto disordine e con gravi perdite. Il progetto di Abd el-Krim comprendeva anche la conquista di parte dei territorî sotto il protettorato francese con Fez e Rabat; all'uopo egli aveva cominciato ad attrarre nella sua orbita le cabile della valle dell'Ouergha.

I Francesi, accortisi a tempo del pericolo, si affrettarono a occupare, nella primavera del 1924, i territorî minacciati e si disponevano a proseguire al N. fino a raggiungere il confine assegnato dai trattati. La mossa provocò il risentimento di Abd el-Krim, che, imbaldanzito dai successi recenti e sostenuto dalle simpatie e dagli aiutì materialì di potenze e organizzazioni straniere interessate, il 9 aprile 1925 attaccò bruscamente la linea dei posti francesi, riuscendo ad accerchiarli e a respingere i rinforzi sulla sinistra dell'Ouergha; in un secondo tempo, passato il fiume, si spinse minacciosamente fino a pochi chilometri da Fez prima, e su Taza poi.

Sino alla metà di luglio la situazione apparve tragica, ma finalmente i Francesi riuscirono a grande stento ad arginare la foga riffana; la fronte fu riorganizzata sulle alture di sinistra dell'Ouergha, il sistema dei piccoli posti fu abbandonato e furono conservati sulla destra del fiume solo due sbocchi offensivi; notevoli rinforzi furono fatti affluire sino a portare gli effettivi a più di 100 battaglioni con relative aliquote d'artiglierie pesanti e leggiere, cavalleria, carri di combattimento e servizî; furono concentrate dietro la fronte molte squadriglie d'aviazione e infine fu riorganizzato il comando affidandolo al generalissimo Pétain.

Oltre a questi provvedimenti di carattere interno fu ricercata la collaborazione spagnola; gli Spagnoli, pure considerando, con una certa amarezza, che l'unità d'azione che non si era mai potuta ottenere nell'interesse della Spagna si sarebbe ra, giunta ora che quello della Francia era in giuoco, aderirono, forse anche nella speranza d'ottenere un successo militare che valesse a ripristinare il prestigio dell'esercito e della nazione. Allo scopo d'evitare proteste di carattere internazionale, fu convenuto che i due corpi d'operazione alleati, pure operando in pari tempo, sarebbero rimasti ciascuno nel proprio territorio.

Disposta una stretta sorveglianza marittima sulle coste marocchine e terrestre sui confini di Tangeri, per impedire il contrabbando delle armi e realizzare il blocce effettivo delle tribù ribelli (risultato questo che non si è mai potuto ottenere per la prossimità delle zone neutre di Gibilterra e Tangeri), Francesi e Spagnoli si prepararono a passare alla controffensiva perdendo invero un tempo prezioso (data l'imminenza della stagione delle piogge) nell'organizzazione dei servizî.

Sembra che i Francesi abbiano progettato due piani offensivi, uno tipo vecchio coloniale del generale Naulin, tendente a raggiungere per i due sbocchi offensivì sulla destra dell'Ouergha la linea di cresta del Rif, l'altro del maresciallo Pétain, tendente a dare la mano, con l'estrema ala orientale, agli Spagnoli di Melilla e al corpo di sbarco di Alhucemas. In sostanza il primo tendeva al cuore della montagna e della resistenza rilana, ma presentava più notevoli difficoltà di terreno, il secondo evitava questo inconveniente, ma era meno promettente di risultati decisivi. l'are che sia stata presa la decisione peggiore, quella cioè di mettere contemporaneamente in esecuzione i due attacchi; i risultati furono perciò scarsi da una parte e dall'altra.

Sull'Ouergha si riuscì a riprendere una buona parte delle posizioni perdute durante l'offensiva riffana sulla destra del fiume. All'ala destra, raggiunta la displuviale del Rif nella sua sezione di minore altitudine, fu operato il congiungimento progettato, con le cavallerie, nella valle dell'Uad Kert a Sidi bu Rokba. Questa posizione fu dovuta però abbandonare con qualche disordine sotto un improvviso attacco riffano. I due tentacoli franco-spagnoli dovettero così indietreggiare a oriente, rispettivamente a Zoco es Sebt e a Syah (tutti e due in zona spagnola).

Intanto gli Spagnoli, sbarcati l'8 settembre presso la baia di Alhucemas, riuscirono ad allargare la testa di sbarco di qualche chilometro verso Axdir, abituale residenza di Abd el-Krim; il successo di questa operazione fu notevole, sia moralmente, sia strategicamente, per l'importanza che ebbe nelle operazioni che seguirono.

Ultimato questo primo ciclo di operazioni, inteso a rintuzzare l'offensiva riffana, e sopravvenuta la cattiva stagione, i Franco-Spagnoli stabilirono di attendere la primavera del 1926 per una ripresa decisiva dell'offensiva; nel frattempo avrebbero consolidato le posizioni raggiunte mantenendo uno stretto collegamento fra le truppe alleate, svolto un'attiva politica d'attrazione nei riguardi delle tribù ribelli e preparato di comune accordo un'azione decisiva diretta nella regione dei Beni Urriaguel, roccaforte di Abd el-Krim. L'azione politica diede buoni risultati e numerose cabile della zona d'operazione si sottomisero agli alleati prima della fine del 1925.

Fra il gennaio e il marzo 1926 fu concretato tra Francia e Spagna un piano comune d'azione tendente ad abbattere la potenza di Abd el-Krim (accordo di Madrid del 6 febbraio 1926); il piano contemplava un'azione convergente di 3 colonne spagnole e di 3 colonne francesi, tendente all'investimento della regione dei Beni Urriaguel nel Rif orientale; l'avanzata delle colonne doveva essere contemporanea e svolgersi su larga fronte e a sbalzi; dovevano esservi impiegati 25.000 combattenti per ciascuno dei due eserciti: i Francesi dovevano iniziare un primo sbalzo il 15 aprile per occupare le posizioni di partenza; l'offensiva vera e propria doveva incominciare il 1° maggio. In effetto l'inizio delle operazioni fu ritardato fino all'8 maggio a causa delle trattative di pace svoltesi in marzo e aprile senza alcun risultato.

Le truppe francesi (gen. Boichut), comprendenti il raggruppamento di Taza (3 divisioni), il raggruppamento di Fez (3 divisioni) e una riserva d'armata, nel frattempo avevano effettuato il primo sbalzo senza colpo ferire (seconda metà d'aprile). Le truppe spagnole comprendevano il raggruppamenti di Axdir, il raggruppamento del Kert e un terzo raggruppamento in riserva nella zona di Melilla.

L'8 maggio i raggruppamenti spagnoli di Axdir e del Kert e quello francese di Taza, appoggiato sulla sinistra da quello di Fez, avanzarono verso la regione dei Beni Urriaguel, respingendo dovunque la resistenza dei Riffani; il 20 poteva dirsi compiuto l'investimento del Rif orientale.

Dal 21 il raggruppamento francese di Taza procedette su Targuist, già sede di Abd el-Krim, che venne occupato il 23. Intanto sulla fronte occidentale era incominciato l'accerchiamento dell'altro potente gruppo di cabile alleate di Abd el-Krim, i Beni Zeroual.

Il 27 Abd el-Krim si arrese ai Francesi senza condizioni dopo avere restituito i prigionieri francesi e spagnoli. La guerra del Rif volgeva alla fine; le tribù, ormai abbandonate a sé stesse, si sottomisero una dopo l'altra alle colonne francesi e spagnole, che invadevano gradatamente tutto il paese; nell'ottobre veniva occupato in gran parte dagli Spagnoli anche il Gebel occidentale e l'intricata regione fra questo e il Rif veniva percorsa in ogni senso da colonne volanti. Al sopraggiungere dell'inverno 1926 il Marocco settentrionale poteva dirsi sottomesso, se non del tutto pacificato, dopo due anni di guerra dispendiosissima con l'impiego di forze rilevantissime e di procedimenti e di mezzi simili a quelli usati in Europa durante la guerra mondiale, ma nuovi nella guerra coloniale.

Dopo la capitolazione di Abd el-Krim, la Francia intensificò ancora la sua opera di organizzazione e valorizzazione del Marocco, che era già notevolmente progredita per merito del maresciallo Lyautey (v.). Il Marocco ha assunto così una crescente importanza nel sistema coloniale francese dell'Africa settentrionale, dal lato economico e militare.

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Lingua.

La più antica lingua che finora risulti parlata al Marocco, come nelle altre regioni dell'Africa settentrionale, e che era generalmente in uso presso la popolazione indigena nel primo periodo della sua storia, è il berbero, che anche in epoca remota doveva apparire suddiviso in una quantità di dialetti affini fra loro. Sole tracce di tale periodo sono i nomi di luogo e di persona citati da fonti classiche e spiegabili con radici o con la morfologia berbera; e qualche breve iscrizione libica trovata nei dintorni di Tetuán, di Casablanca, ecc. È molto verosimile però che durante la dominazione romana il latino si fosse diffuso, come lingua di cultura, specialmente nei centri urbani, e qualche influenza esercitasse anche sui parlari delle campagne, come si vede da alcune parole tuttora conservate nei dialetti berberi, tra le quali sono i nomi dei mesi del calendario giuliano. La conquista araba e il conseguente islamizzamento e gli ulteriori rapporti col mondo musulmano modificarono a poco a poco tale stato di cose, introducendo da un lato l'arabo letterario come lingua scritta e determinando così la formazione d'una classe colta e in parte dotta nel senso arabo, che ha avuto centri importanti, come Fez, Marocco, ecc., e ha dato notevoli contributi specialmente alle scienze religiose musulmane; e dall'altro lato diffondendo dei dialetti parlati non solo da genti arabe stabilitesi a varie riprese, sebbene in piccolo numero, nel Marocco, ma anche presso originarie popolazioni berbere, alcune delle quali sono state completamente arabizzate, altre, pure conservando il loro linguaggio nazionale, usano come seconda lingua l'arabo. La carta linguistica marocchina presenta pertanto le seguenti principali categorie:

1. alcuni grandi blocchi di parlanti il berbero, che vengono comunemente classificati in tre gruppi, cioè quello del Rif al nord quello dei Beraber nel Medio Atlante, nell'Alto Atlante orientale e nelle vicine zone sahariane; e quello degli Shleuh nella zona dell'Alto Atlante occidentale e dell'Anti Atlante. Altri però, tenendo conto di alcune caratteristiche comuni al 2° e al 3°, fanno due gruppi fondamentali: quello a nord, che comprende il Rif e regioni vicine (linguaggio detto generalmente tamāzīkht), e quello meridionale, che a sua volta si suddivide in due tipi, l'uno che comprende le genti parlanti il linguaggio detto pure tamāzīkht fra Meknès (Miknās) e l'Alto Atlante; e l'altro dei parlanti la tashelhīt, cioè il berbero degli Shleuh dell'Anti Atlante e di buona parte del Sous, e degli altri abitatori dell'Alto Atlante.

2. Vi sono poi dei dialetti arabi che si possono raggruppare, per l'origine e per le caratteristiche fonetiche, in due tipi principali, quello cittadino-montanaro, che comprende una serie di città, come Rabat, Salé (Sla), Fez, Taza, al-QaŞr al-Kabīr, Tetuán, ecc., la zona montuosa del Marocco di nord-ovest, detta degli Yebala, e la regione fra Ouezzane e Taza; tali dialetti risalgono alla prima fase dell'arabizzamento, cioè al periodo della conquista, alla fondazione di Fez che divenne un centro d'irradiazione di cultura araba, e ai contatti con la Spagna. L'altro tipo è quello dei dialetti beduini che si parlano nelle grandi zone piane lungo l'Atlantico, e inoltre nella vallata della Moulouya e nelle regioni sahariane del Marocco di sud-est; furono introdotti alla fine del sec. XII e nei secoli seguenti per opera dei Benī Hilāl e poi dei Ma‛qil.

3. Vi sono popolazioni bilingui, che usano sia il berbero, sia l'arabo, e che si trovano di solito nei marginì dei grandi gruppi berberofoni. Alcune particolarità linguistiche presentano gli Ebrei, parte dei quali parla spagnolo, altri berbero o arabo, o sono bilingui.

La distribuzione delle lingue non è ancora nota con precisione: secondo uno dei calcoli fatti i berberofoni sarebbero il 60% della popolazione, cioè circa 3.200.000, mentre gli arabofoni sarebbero 2.200.000; secondo un altro calcolo i primi non supererebbero il 40%. Sta di fatto a ogni modo che nel Marocco vi sono una lingua scritta d'origine straniera, cioè l'arabo letterario, compreso da una classe ristretta, dei dialetti arabi parlati da una parte della popolazione, e quelli berberi che si possono chiamare più propriamente nazionali e che corrispondono alla fisionomia etnica e sociale della generalità del paese. Tale mancanza d'unità di linguaggio ha fatto sorgere il cosiddetto problema linguistico marocchino, variamente discusso dagli studiosi, dei quali alcuni vorrebbero generalizzare l'uso dell'arabo letterario, altri fare assurgere uno dei dialetti arabi a lingua di cultura, altri tenere il berbero come lingua parlata e diffondere il francese come lingua letteraria.

Bibl.: E. Laoust, Coup d'oeil sur les études dialectales berbères au Maroc, in Bulletin de l'Institut des Hautes Études Marocaines, Parigi 1920, pp. 107-129; L. Brunot, États actuel des études de dialectologie arabe au Maroc, ibid., pp. 92-106; A. Bernard e P. Moussard, Arabophones et Berbérophones au Maroc, in Annales de la Société de Géographie, Parigi 1924, pp. 267-282; G. S. Colin, in Encyclopédie de l'Islam, III, pp. 333-340; G. S. Colin, E. Lévi-Provençal, E. Laoust, Le milieu indigène, in Initiation au Maroc, Rabat 1932, pp. 101-166. In tali pubblicazioni sono citate le opere speciali riguardanti i singoli dialetti arabi e berberi del Marocco e l'etnografia linguistico-culturale.

Arte.

Da quando il Marocco si è aperto agli studiosi europei, si è rivelato come una terra promessa dell'arte islamica, del resto strettamente legata alla Spagna. Non vi si trovano monumenti così antichi come nella Barberia orientale. Quasi nulla vi rimane dell'epoca degl'Idrīsiti, di quel sec. IX che vide innalzarsi in Tunisia la grande moschea di Kairouan; non è ancora certo che risalgano a quell'epoca alcuni minareti di Fez la Vecchia, modeste torri dal greve profilo. Attualmente soltanto i testi consentono di farci una idea delle primitive moschee di Fez: la moschea degli sceriffi, la moschea degli Andalusi e la Qarawiyyīn. Questa conserva almeno qualche avanzo del piccolo santuario idrisita e, dell'epoca degli emiri Magharāwa (sec. X), il minareto che s'innalza su uno dei lati della corte; ma furono più che altri gli Almoravidi che nella prima metà del sec. XII la resero così ampia come è giunta a noi.

Confrontando la moschea Qarawiyyīn con le contemporanee grandi moschee di Tlemcen e d'Algeri, risulta un tipo almoravide, evidentemente derivato dalla grande moschea di Cordova: un cortile di dimensioni ridotte, circondato da portici, precede la sala di preghiera; questa, molto più ampia del cortile, è divisa in navate parallele, tra cui è più alta e più lunga la mediana; tutte le navate sono ricoperte da tetti in tegole, e le stesse cupole, in cui compaiono le stalagmiti, si profilano con tetti a quattro spioventi. Archi a ferro di cavallo o polilobati sono sorretti da pilastri. Decorazioni floreali molto fitte, scolpite nello stucco, ornano la cornice del Mihrâb, o nicchia che indica la direzione della preghiera.

Gli Almoravidi, grandi nomadi sahariani, la cui conquista aveva assunto il carattere di guerra santa, moltiplicarono i nuovi santuarî nelle città del loro dominio. Dovettero anche munirsi di guarnigioni lungo le frontiere. Cinsero di mura la città di Marocco, fondata da loro; e ancora rimangono verso nord alcune delle loro cittadelle, tra cui Amergou dalle mura in calcestruzzo con grosse torri rotonde su una collina dominante un profondo burrone.

Circa la metà del sec. XII gli Almohadi, succeduti agli Almoravidi, seppero lasciare traccia del loro dominio in Spagna e in Barberia, elevando edifici di nobile architettura. Siviglia, la loro capitale spagnola, conserva di quell'epoca la sola Giralda e qualche frammento della moschea, oggi cattedrale; invece Marocco, loro capitale africana, si gloria di possedere quasi intatta la moschea della Kutubiyyah; a Rabat, di cui si volle fare un gran centro militare, sussistono le rovine dell'enorme moschea dominata da un possente minareto incompiuto, e a Tīnmāl, nell'Alto Atlante, sono vestigia del santuario accanto alla tomba del fondatore della setta.

La moschea almohade, il cui tipo è perfetto nella Kutubiyyah, è uno sviluppo della moschea almoravide. Le navate laterali, aventi la stessa importanza della centrale, si moltiplicano e il loro incontro con la navata trasversale, specie di transetto che corre lungo il muro di fondo, è segnato da cupole la cui decorazione è più o meno ricca, secondo la loro importanza. Le stalagmiti, complicate a formare pennacchi e cupolette, rivelano una notevole virtuosità, la decorazione tende a uno stile meno ricco, più ampio e più forte.

Il senso di forza, caratteristico dello stile almohade, si manifesta oltre che nelle sculture di pietra della torre di Ḥasan, minareto di Rabat, anche nelle maestose porte che davano accesso alla Qaṣbah, o cittadella, di Rabat e di Marocco, tra le opere più perfette dell'arte islamica. D'uguale valore artistico sono i pulpiti (minbar) conservati a Marocco nella moschea della Qaṣbah e nella Kutubiyyah (il cui pulpito è di artisti da Cordova): listelli di legno di cedro scolpito e incrostato d'avorio e di legni preziosi incorniciano formelle a decorazione floreale di mirabile varietà e tecnica.

Successori degli Almohadi nella signoria politica del Marocco, i Merīnidi furono anche i loro eredi nel campo artistico. Con essi l'antica città di Fez ritornò capitale e godette, più d'ogni altra città, della loro attività costruttiva, che fu grande. Essi fondarono Fez la Nuova; costruirono nella vecchia e nella nuova città numerose moschee; diedero all'antica moschea dei sontuosi Collegi (mederse). Soprattutto la medersa el-‛Aṭṭārīn (1325) e la medersa Bū‛Inānīyyah (1355) rivelano l'arte dei Merīnidi, contemporanea dell'arte dell'Alhambra di Granata, a cui certo non è inferiore.

Quest'arte a cui si dà il nome, del resto poco giustificato, di "moresca", manca, salvo qualche eccezione, della vigoria dell'arte almohade. Lo dimostra a Rabat la necropoli dei principi Merīnidi di Chella, al confronto con i grandi edifici dell'età almohade: la costruzione è più affrettata e meno duratura; la decorazione, di sovrana eleganza, è meno vigorosa. Nelle decorazioni di pietra, di stucco, di legno, di maiolica, il repertorio si va immiserendo, ma gl'intrecci hanno una morbidezza e un'ingegnosità che non sa mai di sforzo, e nonostante le ripetizioni, la felice distribuzione dei motivi toglie ogni monotonia.

Gli ultimi Merīnidi, nella regione profondamente sconvolta, poco poterono costruire, o per lo meno così è da supporre, dacché non conosciamo nessun monumento datato con certezza tra la fine del sec. XIV e la metà del sec. XVI. Dopo questo periodo di stasi, l'epoca degli sceriffi Sa‛diani sembra quasi un rinascimento. Nulla è rimasto dei palazzi dove quei principi affermarono il loro amore per il fasto. Del Badī‛, innalzato tra il 1578 e il 1593 a Marocco da Ahmed al-Mansūr e di cui gli storiografi ci hanno tramandato descrizioni entusiaste, rimangono rovine poco riconoscibili; ma la grande moschea e la moschea di Bāb Dukkāla di Marocco sono fondazioni sa‛diane. La bella città, tornata capitale, si arricchisce della medersa Ibn Yūsuf e del mausoleo della famiglia.

Propaggine dell'arte moresca, l'arte sa‛diana mira più che altro al fasto; complica la pianta della moschea profondendovi la decorazione e con l'eccesso dei particolari giunge spesso alla monotonia; accetta tra gli elementi decorativi tradizionali elementi orientali attinti ai prodotti industriali importati - stoffe, rilegature o manoscritti - o introdotti da artefici venuti dall'Oriente.

La trasformazione stilistica per opera di stranieri, particolarmente di Europei, il perdersi delle tradizioni del periodo aureo si palesano nei secoli XVII e XVIII, in cui l'attività costruttiva fu in aumento. Lo sceriffo Mūlāy Ismā‛īl (1672-1727), grande costruttore, non contento di elevare in tutti i punti minacciati del suo impero fortezze affrettatamente edificate e di puro interesse strategico, arricchì Meknès, sua capitale, di edifici giganteschi e sontuosi. Ma, tranne qualche bella porta, come Bāb Manṣūr al-‛Eulj (al-‛Ilǵ), quelle costruzioni rivelano profonda decadenza.

La decadenza, a cui del resto nessuna provincia dell'Islām è sfuggita, non appare irrimediabile nel Marocco. Ivi sussiste ancora l'amore del costruire, il gusto della decorazione e una perizia tecnica che dànno bene a sperare per l'avvenire. Vi si costruiscono tuttora deliziose abitazioni. Secondo l'uso dell'Andalusia musulmana, la casa marocchina signorile ha spesso un giardino dai fitti boschetti divisi da viali lastricati con mattonelle smaltate: portici e padiglioni ampiamente aperti incorniciano quelle oasi di verdura; le costruzioni sono decorate di stucchi e di tarsie in ceramica; giardini e corti interne sono rallegrate da fontane e da getti d'acqua che ricordano il magnifico Generalife di Granata.

Insomma il Marocco per la sua posizione geografica eccentrica, protetto dalle influenze esterne, ha conservato, nonostante le contaminazioni, tradizioni architettoniche più pure che non l'Algeria e la Tunisia.

Il persistere del gusto antico nella decorazione e delle vecchie tecniche si afferma ugualmente nelle arti industriali. Nelle città marocchine abili artefici sanno tuttora foggiare belle inferriate, battere e cesellare bracieri e vassoi in ottone, tessere sontuose seterie, ornare tappeti e ceramiche.

Il Marocco ebbe e tuttora ha un'arte rustica straordinariamente arcaica, che si sottrasse quasi del tutto al contagio dei successivi stili urbani. Quest'arte, che ci appare tanto più interessante perché il suo carattere primitivo uguaglia spesso il raffinato gusto degli artisti moderni, si è meglio conservata nelle regioni di difficile accesso presso le tribù montane del Rif, dell'Alto e Medio Atlante, popolazioni dell'antica razza berbera; essa rivela analogie con quella degli altri gruppi berberi dell'Africa settentrionale, abitanti la Cabilia e il Gebel Nefusa.

Nell'Alto Atlante si trovano curiosi tipi architettonici: dimore dei grandi capi del paese, rocche appollaiate sulle alture che dominano le strade dei fondi valle, dove quei potenti signori conducevano già vita feudale. Le abitazioni, i magazzini in cui si accumulano le provviste, le torri angolari e i mastî si rivelano all'esterno per il loro vario livello con le alte mura di terra rossa allargantisi alla base, i coronamenti a terrazza con cornicioni o parapetti merlati, la vigorosa decorazione di archi ciechi.

Nei villaggi meridionali gli artigiani, specialmente israeliti, fabbricano armi e gioielli di bel carattere; essi decorano i lunghi fucili con incrostazioni d'argento intagliato e cesellano pugnali e cornetti per polvere in rame. Gli ornamenti d'argento - fermagli, diademi, pendenti, collane, bracciali e orecchini - hanno uno stile largo e un profilo ardito; il metallo ne è inciso e niellato. Alcune regioni hanno anzi conservato la tecnica dello smalto alveolato, rinforzandone il valore decorativo con note di colore sobrie e armoniche.

Il carattere vigoroso di quegli ornamenti muliebri si ritrova anche nei tessuti eseguiti esclusivamente dalle donne: tappeti, coperte, tende, coperte per selle o abiti. La decorazione, spesso a diagonali, è costituita da semplici e minuti elementi geometrici (intrecci, motivi a scacchiera, losanghe zig-zag); ma la disposizione dei disegni e dei colori compone dei complessi bene equilibrati, ispirati a un senso artistico molto sicuro.

Le donne berbere modellano pure nell'argilla, senza la ruota del vasaio, recipienti d'uso domestico che vengono dipinti a non più di due colori. Quelli delle regioni settentrionali sono i più belli. La forma di queste ceramiche e la loro decorazione a sole linee diritte le avvicinano alle stoviglie neolitiche, cioè alle prime manifestazioni estetiche dell'umanità. (V. tavv. LXXXI-LXXXVI).

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