MARIOTTO di Nardo di Cione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARIOTTO di Nardo di Cione

Sonia Chiodo

MARIOTTO di Nardo di Cione. – Nacque a Firenze da Nardo di Cione in data ignota, ma poiché la sua iscrizione all’arte dei medici e degli speziali (necessaria per svolgere l’attività di pittore in maniera autonoma) è compresa tra il 16 febbr. 1389 e il 7 genn. 1390 (stile moderno: Haines), M. dovrebbe essere nato non oltre la metà degli anni Sessanta del Trecento.

Vasari lo ricorda in entrambe le edizioni delle Vite (1550 e 1568), come nipote di Andrea di Cione Arcagnuolo, detto l’Orcagna, a capo, con i suoi fratelli Nardo e Iacopo, di una delle principali botteghe di pittura a Firenze tra il sesto e il settimo decennio del Trecento.

Di M., Vasari ricorda alcune opere nella chiesa di S. Michelino Visdomini, ora perdute o disperse e non ancora identificate: un affresco raffigurante il Paradiso, una tavola con l’Annunciazione e un altro polittico, dipinto per «Monna Cecilia de’ Boscoli». In queste notizie, riportate anche da Filippo Baldinucci, si esaurì il contributo delle fonti alla conoscenza di M. fino all’Ottocento. Con il lavoro di G. Milanesi (in Vasari) si riavviò la ricostruzione della personalità di M. sulla base di altre fonti che ricordano opere eseguite per l’Opera del duomo, i capitani di Orsanmichele e lo spedale di S. Maria Nuova tra il 1398 e il 1416, all’epoca dello studioso ormai disperse.

Milanesi negava il rapporto di parentela tra M. e l’Orcagna, ritenendolo figlio non del fratello di quest’ultimo ma di uno scalpellino con lo stesso nome, menzionato in documenti relativi ai cantieri del duomo di Siena (1380) e di S. Giusto a Volterra (1381). L’assenza di M. tra i beneficiari del testamento di Nardo di Cione sembrerebbe suffragare questa ipotesi (Milanesi, 1901, pp. 58-60); è opportuno tenere presente però che quella nota non è la versione originaria del documento, ma un estratto relativo ai beni lasciati allo spedale di S. Maria Nuova, dal quale non è quindi possibile trarre notizie precise sulla composizione del nucleo familiare di Nardo. Indicazioni certe relative agli stretti rapporti intercorsi tra M. e l’altro fratello dell’Orcagna, Iacopo, si ricavano da un documento relativo a garanzie fornite da quest’ultimo nel 1398 ai consoli dell’arte della lana per l’affidamento a M. dell’esecuzione della tavola per un altare della controfacciata della cattedrale di S. Maria del Fiore a Firenze (Poggi, 1909), ma anche dal testamento dello stesso M., nel quale i due figli di Iacopo di Cione vengono indicati quali eredi, in caso di morte dei figli legittimi.

Punto di partenza per la ricostruzione della personalità artistica di M. è stato il collegamento – individuato da Sirén (1908) – tra il polittico con la Madonna con il Bambino in trono e santi conservato nella chiesa di S. Donnino a Villamagna (Firenze, Bagno a Ripoli) e alcuni pagamenti ricevuti da M. tra il 1394 e il 1395 per l’esecuzione di una tavola per la stessa chiesa (Giglioli). L’attività di M. è stata quindi riconosciuta in un gruppo di opere, già riunite intorno al polittico di Villamagna dallo stesso Sirén (1904), che le aveva attribuite però a Lorenzo di Niccolò, un pittore della cerchia di Niccolò Gerini, attivo negli stessi anni. Nei decenni successivi, lo scarso apprezzamento da parte della critica (Venturi; Toesca) è stato accompagnato da importanti aggiunte al corpus di M. proposte da Salmi (1914), Offner e Eisenberg (1949 e 1959). Si deve invece a Boskovits (Sull’attività…, 1968; M. di N.…, 1968; 1975) l’avvio di un’approfondita riconsiderazione del percorso artistico di M., nell’ambito della quale sono stati finalmente evidenziati la forte spinta al rinnovamento che ne caratterizza l’attività più antica e quindi l’importante ruolo svolto nell’elaborazione dei caratteri del linguaggio tardogotico a Firenze intorno all’anno 1400.

Punto di partenza per la ricostruzione della prima fase dell’attività di M. è il polittico – datato 1388 – con la Madonna con il Bambino in trono e i ss. Antonio Abate, Nicola di Bari, Lorenzo e Francesco ora conservato nella chiesa di S. Margherita a Tosina (Pelago), nei dintorni di Firenze, attribuitogli per la prima volta da Vavasour-Elder e in origine completato da una predella, ora smembrata e dispersa, con S. Nicola libera i tre cavalieri (Musei Vaticani), l’Ultima Cena (già Dunscombe Park, collezione Lord of Feversham) e il Martirio di s. Lorenzo (Cambridge, MA, Fogg Art Museum; Lipsia, Museum der Bildenden Künste).

L’iscrizione ancora leggibile sulla parte inferiore della cornice con la data e il nome del committente («ad MCCCLXXXVIIII hanc capellam fecit fieri domina gemma olim uxor manetti de filicaia») ha consentito di individuarne la provenienza dalla cappella Filicaia, nel secondo chiostro del monastero camaldolese di S. Maria degli Angeli a Firenze (Spinelli, 1985 e 1988). In quest’opera, la cui data di esecuzione coincide con quella dell’iscrizione all’arte dei medici e degli speziali, M. si rivela artista già maturo e in grado di esprimersi con un linguaggio autonomo. Il rilievo plastico, conferito alle figure dal vivido contrasto chiaroscurale e dal disegno che incide profondamente i contorni, indica una formazione nell’ambito di una bottega fortemente legata ai valori della tradizione orcagnesca, quale quella di Iacopo di Cione (Berenson, 1932, 1936, 1963). D’altra parte in sintonia con il più moderno gusto tardogotico che, sul finire del penultimo decennio del Trecento, si riflette nelle opere di Agnolo Gaddi e Spinello Aretino, M. sperimenta nuove soluzioni compositive: evita la tradizionale divisione in scomparti e inserisce le figure in un ambiente unico, attorno al monumentale trono architettonico, mentre nella predella lo spazio è moltiplicato da strutture architettoniche complesse e arditamente scorciate.

Caratteri simili si riconoscono negli scomparti con le Storie dell’infanzia di Cristo e i Profeti Isaia e Davide, con cui M. integra l’Annunciazione dipinta poco dopo la metà del Trecento per l’arte dei legnaioli da un pittore che da questa prende il nome (Maestro dell’Annunciazione dei Legnaioli), ora presso la Galleria dell’Accademia di Firenze (Feraci). Una scansione degli spazi altrettanto nitida e la salda consistenza del volume delle figure suggeriscono una datazione al penultimo decennio del Trecento anche per la Crocifissione (Raleigh, North Carolina Museum of art, Kress Collection), per il dipinto con lo stesso soggetto già a New York (collezione Wildestein), per la Madonna con il Bambino e santi della collezione Chigi Saracini di Siena, e infine per l’Incoronazione della Vergine del Fitzwilliam Museum di Cambridge (Boskovits, Sull’attività…, 1968). A una fase ancora precedente, non oltre l’inizio degli anni Ottanta del Trecento, dovrebbero invece appartenere due piccole anconette devozionali, raffiguranti rispettivamente la Madonna con il Bambino entro una mandorla, santi e angeli (già a Londra, R. & J. Jones) e la Madonna con il Bambino in trono e santi (anch’essa già a Londra, Christie’s: Chiodo, 1999) caratterizzate dallo scarso sviluppo in profondità della scena e dalle maggiori dimensioni del gruppo centrale rispetto a quelle delle figure laterali.

Nei primi anni Novanta, M. era impegnato nella decorazione della cappella della famiglia Corsini nella chiesa del monastero di S. Gaggio a Firenze, per la quale dipinse il polittico con la Madonna con il Bambino in trono e santi (Firenze, Galleria dell’Accademia). Numerose sono le affinità con il polittico dipinto nel 1388 per la cappella Filicaia, del monastero di S. Maria degli Angeli; d’altra parte, nell’opera più recente, lo spazio intorno alle figure tende ad ampliarsi, con un generale effetto di maggiore ariosità della composizione e nitidezza dei nessi spaziali. In seguito anche M. partecipò di una generale tendenza al recupero di modi e soluzioni compositive proprie della pittura fiorentina della prima metà del secolo. Nella Madonna con il Bambino al centro del citato polittico per la pieve di S. Donnino a Villamagna è evidente il riflesso di modelli giotteschi; mentre le figure ai lati – riunite in uno spazio unico secondo file diagonali che convergono verso il trono della Vergine – sottolineano la profondità e l’ampiezza dello spazio intorno al monumentale gruppo centrale. Della medesima tendenza partecipano anche il Crocifisso, ora nella chiesa di S. Andrea a Mosciano (presso Firenze), e la Madonna con il Bambino già nella chiesa di S. Cristina a Pagnana (Empoli, Museo della Collegiata di S. Andrea), datata 1394, elemento centrale di un piccolo polittico, che nel taglio a mezza figura dei personaggi riprende una tipologia in uso nei primi decenni del secolo, ma in seguito meno frequentata.

Dalla metà dell’ultimo decennio i riferimenti documentari, ma soprattutto la quantità di opere pervenute, molte delle quali datate, testimoniano il ritmo serrato con cui procedette l’attività di Mariotto. Accanto a Niccolò di Pietro Gerini, nel 1395 circa, dipinse le Storie della Passione nella navata della chiesa del monastero di S. Brigida al Paradiso.

Qui il suo stile figurativo si distingue da quello del collega nelle scene con Cristo davanti a Pilato, l’Incontro con i discepoli a Emmaus, l’Incredulità di s. Tommaso e l’Ascensione di Cristo per il ductus più fluido del disegno, le tonalità calde e fuse del colore e, in generale, il tono più accostante e colloquiale del racconto (Sirén, 1908; Todini; Chiodo, 1999).

Ancora entro la fine del secolo M. partecipò, con Niccolò di Pietro Gerini e altri, alla decorazione della loggia di Orsanmichele, dove – sulla base dell’analisi dello stile figurativo – gli vengono attribuiti gli affreschi nella volta di nordest con la Vergine, S. Maria Maddalena, S. Anna e S. Caterina e in quella di sudest, con il Redentore, S. Gioacchino, S. Giovanni Evangelista e S. Giovanni Battista (Boskovits, 1975; Finiello Zervas). Il 1398 è la data del polittico con la Madonna con il Bambino che dà la cintola a s. Tommaso e i ss. Gerolamo e Giovanni Battista dell’oratorio di Fontelucente presso Fiesole, per il quale è stata ipotizzata la provenienza dalla chiesa fiorentina di S. Michelino Visdomini (de Vries, 2006). La piena affermazione professionale di M. è sancita dal coinvolgimento, sempre nel 1398, nella decorazione della cappella dedicata alla Vergine sulla controfacciata della cattedrale di S. Maria del Fiore (Poggi, 1909).

Per questa cappella, secondo i documenti, M. dipinse una tavola d’altare ora dispersa; mentre a Lorenzo di Bicci fu affidata l’esecuzione di quattro scomparti con gli Evangelisti per la volta («compassi») e ad Ambrogio di Baldese quella degli affreschi delle pareti ormai perduti. Il coinvolgimento di M. nella decorazione del duomo fiorentino proseguì negli anni successivi; nel 1404 eseguì infatti i quadrilobi con il Redentore benedicente e quattro Dottori della Chiesa (restano solo quelli con le figure di S. Agostino e S. Ambrogio: Firenze, Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore) per la volta della cappella sull’altro lato, dedicata alla Ss. Trinità, demolita nel XIX secolo ma accuratamente descritta da Richa. Sulla base dell’analisi dello stile, l’intervento di M. è stato individuato anche nel disegno preparatorio per la vetrata dell’occhio centrale della facciata con l’Assunta, montata nel 1405 (Boskovits, M. di N.…, 1968), alla cui realizzazione dichiarava di avere partecipato anche Lorenzo Ghiberti.

La presenza di Ghiberti nella bottega di M. è stata ipotizzata da Salmi (1955), che per primo ha proposto l’identificazione di M. stesso con l’«egregio pictore» chiamato da Firenze per decorare un ambiente del palazzo di Malatesta (IV) Malatesta, con il quale lo scultore racconta di aver raggiunto Pesaro nell’anno 1400. Perduto il ciclo malatestiano, la presenza di M. a Pesaro allo scadere del secolo è documentata dal polittico con la Madonna con il Bambino in trono e i ss. Michele Arcangelo e Francesco dipinto per una chiesa francescana della zona (Chiodo, 1998; de Vries) e ora conservato nel Museo civico della città.

Di recente, sia l’originaria destinazione marchigiana di quest’opera sia l’identificazione di M. con l’«egregio pictore» ricordato da Ghiberti sono state messe in dubbio sulla base di argomenti non del tutto convincenti (de Vries, 2006). D’altra parte in un brano dei Commentari Ghiberti si dice coinvolto nel lavoro per la vetrata centrale della facciata del duomo fiorentino, dove lo stile figurativo rivela la presenza di Mariotto di Nardo. La tendenza arcaizzante notata nelle opere di M. dell’ultimo decennio del secolo si riconosce nel sobrio profilo tricuspidato del trittico e nello sforzo di costruire uno spazio ampio tra le figure della Madonna con il Bambino al centro e i santi ai lati, o anche nelle incorniciature in scorcio dei riquadri con busti di santi nella predella. Solo qua e là, per esempio nel fitto incresparsi del bordo del manto della Vergine e di s. Michele, si notano tracce del più moderno gusto tardogotico.

Il soggiorno pesarese ebbe breve durata; nello stesso anno M. ricevette i primi pagamenti per una tavola dipinta per la chiesa di S. Remigio a Firenze, identificata con l’Annunciazione ora nella Galleria dell’Accademia, probabilmente la stessa ricordata da Vasari (1568, p. 607) nella sagrestia della chiesa come opera di Andrea Orcagna, insieme con il Compianto di Giotto di Stefano, detto Giottino (Firenze, Uffizi: Chiodo, 1999).

Diversamente dal polittico di Pesaro nell’Annunciazione di S. Remigio i panneggi tendono a fasciare i corpi, raccogliendosi in pieghe sottili e dall’andamento curvilineo, che sottolineano le sagome slanciate delle figure, mentre nei volti il chiaroscuro è più fuso e sfumato. Si aprì quindi per M. una fase di moderato adeguamento agli orientamenti del gotico internazionale, alle cui più esplicite manifestazioni non fu probabilmente estranea anche l’influenza di Ghiberti, evidente in opere come l’Adorazione dei magi, dell’Allen Memorial Art Museum di Oberlin nell’Ohio, e la Natività che faceva parte dello stesso complesso (già nella collezione Lanckoronsky, Hohenems: Boskovits, M. di N.…, 1968).

Sullo scorcio del secolo, M. dipinse anche una grande Tebaide, della quale restano due frammenti rispettivamente nel Museo cristiano di Esztergom, in Ungheria, e in una collezione privata del Regno Unito (Boskovits, Sull’attività…, 1968; Callman), possibile modello per i due dipinti con questo soggetto realizzati più tardi dal Beato Angelico (Guido di Pietro), uno agli Uffizi e l’altro a sua volta diviso in due parti, una a Budapest (Museo di belle arti) e una già in collezione privata fiorentina (M. Boskovits, in Masaccio e le origini del Rinascimento, a cura di L. Bellosi, Ginevra-Milano 2002, p. 171).

Numerose opere datate segnano le tappe successive dell’attività di Mariotto. Nella Madonna con il Bambino in trono e due donatori ora ad Assisi (Sacro Convento, Collezione Mason Perkins) le figure hanno forme ampie e monumentali, ma sono contornate da linee sinuose che si arrovellano nelle fitte pieghe dei panneggi e nei bordi del manto della Vergine, impreziosito da una bordura dorata (Zeri). L’opera conserva un’iscrizione lungo il margine inferiore della cornice («fecit fieri m[agister] giovanne m[agistr]i jacobi p[ro] a[n]i[m]e su[a]e s[uorum] MCCCCIIII») ed è da identificarsi con lo scomparto del polittico un tempo sull’altare della cappella dedicata ai ss. Giovanni Battista e Iacopo nella controfacciata della chiesa dei Ss. Iacopo e Lucia a San Miniato al Tedesco. Dello stesso complesso faceva forse parte anche la predella con Storie del Battista che si conserva nella chiesa, mentre l’identificazione degli altri scomparti è ancora oggetto di studio. Entro il primo decennio del Quattrocento viene generalmente collocata anche l’esecuzione degli affreschi con Storie della Passione di Cristo nella sagrestia della chiesa di S. Nicola presso S. Maria Novella, fondata da Dardano Acciaiuoli, riconosciuti opera di M. già da Sirén (1908).

Nella lunetta con la Crocifissione, ai piedi della Croce è raffigurato un religioso inginocchiato che indossa l’abito dei cistercensi, davanti al quale si trova un cappello cardinalizio poggiato sul terreno, mentre alle sue spalle è un leone, che allude allo stemma della famiglia Acciaiuoli. Il personaggio è identificabile con il cardinale Angelo, morto tra il 1408 e il 1409, al quale spetta anche un ruolo importante nell’edificazione della certosa fiorentina in esecuzione delle volontà testamentarie del padre Iacopo (C. Ugurgieri della Berardenga, Gli Acciaioli di Firenze…, Firenze 1962, pp. 330 s.). La sua presenza ai piedi della Croce ne suggerisce l’identificazione con il committente delle Storie della Passione, completate entro il 1408, dal momento che l’ottobre di quell’anno è indicato quale termine ultimo per la consegna degli armadi e delle cassapanche commissionate dall’arte di Calimala per l’arredo del piccolo ambiente (Milanesi, 1901, pp. 71-73). Gli episodi della Passione di Cristo si trovano nelle lunette e nella parte superiore delle pareti della sagrestia; le figure tendono a occupare tutto lo spazio della rappresentazione, mentre architetture sobrie ma accuratamente scorciate sondano l’ambiente circostante in profondità. A questi caratteri che rivelano il legame di M. con la tradizione figurativa fiorentina si unisce il riflesso di orientamenti più moderni nella sagoma allungata di alcune figure (per esempio gli angeli che annunciano la Resurrezione di Cristo alle pie donne), nel modellato delicato dei volti, nei ricercati effetti di luce delle stoffe seriche.

Il grande polittico licenziato nel 1408, raffigurante l’Incoronazione della Vergine tra i ss. Lorenzo, Stefano, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, un tempo nella pieve di S. Stefano in Pane di Firenze e ora disperso in varie collezioni, mostra M. ancora più decisamente incline all’aggiornamento in chiave internazionale del proprio stile figurativo (The Minneapolis Institute of arts; Los Angeles, J.P. Getty Museum: altri scomparti con S. Francesco d’Assisi, S. Domenico, S. Silvestro, S. Agostino, S. Bartolomeo, S. Antonio Abate a Grand Rapids, MI, The Art Museum; Predica di s. Stefano, S. Stefano davanti al sinedrio, Martirio di s. Stefano, Seppellimento di s. Stefano, Viaggio di Giuliana a Costantinopoli con le reliquie di s. Stefano, Seppellimento di s. Stefano insieme con s. Lorenzo a Tokyo, Museo nazionale d’arte occidentale, in Eisenberg - Kawaguchi - Koshikawa).

In quest’opera il disegno elegante allunga i contorni delle figure e ne ingentilisce i tratti somatici, la luce impreziosisce le stoffe con effetti di cangiantismo, mentre negli episodi della predella il racconto si arricchisce di un’inedita ricerca di effetti patetici e drammatici.

Nel 1411 il nome di M. compare sulla vetrata della cappella maggiore della chiesa di S. Domenico a Perugia, dove sono raffigurati dodici Sante e dodici Santi, gli Evangelisti, Profeti e Angeli e quattro Storie di s. Giacomo Apostolo, giudicate da Toesca tra le sue opere migliori. Le circostanze che portarono M. ad assumere questo importante incarico non sono note, e ignota è pure la precisa identità dei committenti che, come indica lo stemma presente nei due riquadri ai lati delle Storie di s. Giacomo, dovevano comunque appartenere alla famiglia perugina dei Graziani (Marchini).

Menzionato nei documenti, ma ancora disperso, è il polittico dipinto da M. nel 1412 insieme con Francesco di Iacopo Arrighetti (Milanesi, in Vasari) per la cappella – dedicata a S. Paolo Apostolo – di patronato della famiglia Gucci Tolomei nella chiesa di S. Stefano al Ponte a Firenze.

L’opera è menzionata anche da Baldinucci nella vita di Tommaso di Stefano detto Fortunatino che, indicandone la provenienza da S. Stefano al Ponte, ricorda di averla vista nella villa Gucci Tolomei presso Legnaia, nei dintorni di Firenze, e la descrive come un polittico raffigurante al centro la Madonna con il Bambino circondata da Virtù e ai lati vari santi tra cui s. Michele Arcangelo e s. Sebastiano.

Non è ancora identificata la pala d’altare dipinta nel 1414 su incarico di Margherita di Guglielmo Pieri, vedova di Onofrio Monachini per la chiesa (distrutta) dell’ospedale di S. Matteo, dove si conservano invece due lunette affrescate con S. Matteo tra due angeli e la Madonna con il Bambino (ibid.).

Nel corso del secondo decennio del Quattrocento il linguaggio figurativo di M. tende a codificarsi in una sobria interpretazione dei virtuosismi grafici cari ai protagonisti del gotico internazionale a Firenze, da Ghiberti a Lorenzo Monaco, nell’ambito della quale non vengono però mai meno la consistenza plastica delle figure e il saldo equilibrio della composizione. D’altra parte il numero consistente di opere pervenute è significativo dell’ampio apprezzamento dei contemporanei.

A questo periodo appartengono opere come il polittico con la Madonna con il Bambino in trono e santi già nella collezione Visconti di Brignano Gera d’Adda, identificato con quello dipinto nel 1414 per l’altare di S. Girolamo nella chiesa di S. Lorenzo, commissionato dall’arte della lana in esecuzione delle volontà di Sandro di Iacopo (Chiodo, 1999; Merzenich), oppure quello con la Trinità tra i ss. Antonio Abate, Michele, Francesco e Giuliano che si conserva nella chiesa di S. Trinita a Firenze, dipinto per Niccolò di Roberto degli Adeodati nel 1416. Nello stesso anno il trittico con la Madonna con il Bambino in trono tra s. Pietro Martire e s. Giovanni Battista per l’oratorio della Compagnia di S. Maria del Bigallo (collezione privata), dove Ambrogio di Baldese eseguì ad affresco la decorazione delle pareti e della volta (Poggi, 1904), se nel profilo mistilineo della tavola tradisce il riflesso dello stile internazionale, nelle figure le forme piene e ben proporzionate, che emergono sotto il sobrio panneggiamento delle vesti, confermano il forte legame del M. con la cultura figurativa del tardo Trecento.

Lo stesso linguaggio elegante e forbito nel disegno, quanto austero nei toni, si riconosce nella Trinità e due donatori inginocchiati della pieve di S. Maria dell’Impruneta (1418), ma anche nella Madonna con il Bambino e i ss. Stefano e Reparata (1418) e nella Madonna con il Bambino in trono e i ss. Filippo e Giovanni Battista della Galleria dell’Accademia di Firenze.

Esempi dell’attività degli ultimi anni di M. sono infine il polittico con la Madonna con il Bambino in trono e i ss. Francesco, Giovanni Battista, Eufrosino e Lorenzo ora nella pieve di S. Leolino a Panzano (1421), per il quale è stata supposta una provenienza dalla chiesa di S. Michelino Visdomini a Firenze (Chiodo, 1999) e la Madonna con il Bambino in trono e due angeli di villa La Pietra a Firenze (New York University) che reca un’iscrizione con la data 1422, in origine al centro di un polittico, i cui altri scomparti non sono ancora stati identificati, ma che non dovevano presentarsi con uno stile troppo dissimile da opere come i Ss. Caterina e Giovanni Battista (ubicazione ignota), Antonio Abate e Francesco (già a Milano, collezione privata: Chiodo, 1999). Questi ultimi facevano parte di un complesso diverso, lo scomparto centrale del quale può forse identificarsi con la Madonna con il Bambino in trono e angeli del Ringling Museum di Sarasota, Florida, per la compatibilità delle misure e l’uguaglianza del profilo della cornice originale, che ancora si conserva nella tavola milanese e in quella americana. Ultima opera sicuramente datata è infine il polittico con la Madonna con il Bambino in trono fra sei angeli e i ss. Giacomo, Giovanni Battista, Andrea e Bernardo fatto realizzare nel 1424 da Bernardo di Tommaso Serristori (già a Firenze, collezione Serristori; Importanti…, 2007).

La Vergine circondata dagli angeli siede su un monumentale trono, celato dal drappo d’onore; le forme del corpo svaniscono nel fitto drappeggio delle stoffe, ma le espressioni austere dei volti, saldamente modellati dal chiaroscuro, confermano il tenace legame dell’ormai anziano M. con le radici orcagnesche della propria cultura figurativa.

Un aspetto meno noto dell’attività di M. è quello dell’illustrazione di codici. La maggior parte delle proposte finora avanzate nel tentativo di ricostruire una sua presunta attività come miniatore (Pouncey; Boskovits, 1972 e 1975), non hanno retto a un successivo vaglio critico (Id., 1975, p. 347; Freuler). La solida geometria delle figure e i tipi fisionomici sostengono, per il momento, il riferimento a M. solo delle miniature e dei disegni che decorano rispettivamente l’Inferno e il Paradiso di un codice con la Divina Commedia (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 4776), appartenuto a un membro della famiglia Orsini (Brieger - Meiss - Singleton), alla cui decorazione parteciparono comunque anche altri autori (Boskovits, 1975, p. 429; Medica).

La morte di M. dovette avvenire tra il 14 apr. 1424, data del testamento (Milanesi, 1901), e il 1427, poiché il suo nome non compare negli elenchi del catasto di quell’anno.

Contrariamente ai giudizi fortemente riduttivi spesso manifestati dalla critica, le opere pervenute e le fonti documentarie offrono sufficienti elementi per annoverare M. tra i principali attori della pittura fiorentina tra Trecento e Quattrocento. Disegnatore sagace e forbito interprete dei valori della gloriosa tradizione figurativa locale, ancora all’inizio del XV secolo il suo linguaggio appare in grado di rispondere in modo originale alla più moderna sensibilità tardogotica. Già verso la fine del primo decennio, tuttavia, al confronto con lo stile prezioso ed eletto di Lorenzo Monaco e delle nuove personalità che si affacciavano sulla scena artistica fiorentina, tra cui il giovane Masolino, la statuaria immobilità dei personaggi di M., assorti in pensieri inaccessibili all’osservatore, assume inevitabilmente il sembiante di una strenua quanto vana sopravvivenza di un’epoca ormai trascorsa.

Fonti e Bibl.: L. Ghiberti, I commentari (1450 circa), a cura di J. von Schlosser, Berlin 1912, p. 45; G. Vasari, Le vite… (1550), a cura di L. Bellosi - A. Rossi, Torino 1986, p. 168; Id., Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 610 s.; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua (1681), a cura di F. Ranalli, I, Firenze 1845, pp. 277, 281 s.; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne’ suoi quartieri, VI, Firenze 1757, pp. 115 s.; M. Guardabassi, Indice-guida dei monumenti pagani e cristiani… nella provincia dell’Umbria, Perugia 1872, p. 173; G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XII al XV secolo, Firenze 1901, pp. 78 s.; G. Poggi, La Compagnia del Bigallo, in Riv. d’arte, II (1904), pp. 233 s.; O. Sirén, Di alcuni pittori fiorentini che subirono l’influenza di Lorenzo Monaco, in L’Arte, VII (1904), pp. 338-342; O.H. 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