THEODOLI, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

THEODOLI, Mario

Fabrizio Biferali

– Nacque a Roma nel 1601 da Theodolo, primo marchese di San Vito, e da Flavia Fani, appartenente a una facoltosa famiglia patrizia di Tuscania.

Il casato romagnolo da cui discendeva, di antiche origini tedesche, deteneva privilegi nobiliari e porpore cardinalizie sin dal XII secolo, ma la sua ascesa definitiva si verificò tra la metà del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo.

In questo periodo i Theodoli si erano legati a doppio filo alla Corona di Spagna, anche grazie al fondamentale contributo di Giovanni Ruffo di Theodoli, vescovo di Bertinoro e poi di Cosenza, nunzio in Spagna tra il 1506 e il 1518, e del nipote di quest’ultimo Girolamo Theodoli, al quale lo zio ‘trasmise’ la diocesi andalusa di Cadice da lui amministrata tra 1523 e 1525 che Girolamo detenne fino al 1564. Rafforzando i legami con la corte papale i Theodoli si erano trasferiti stabilmente da Forlì e Imola a Roma, potendo così gestire da vicino i loro feudi nel Lazio. Tra questi, oltre alla cittadina di San Vito Romano sui monti Prenestini, vi erano cospicui possedimenti nelle zone del Tuscolo, quali Fontana Candida e Montagnana, di Subiaco, quali Cicigliano e Pisciano, a ovest dell’Urbe, quali Acquafredda e Bravi, ma anche ampie vigne suburbane fuori porta S. Sebastiano, porta Pia e porta del Popolo (Solinas, 2007, pp. 135 s., 158, nota 3).

Nell’autunno del 1623, dopo pochi mesi dall’elezione papale del cardinale Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII, Mario Theodoli e il fratello Alfonso, secondo marchese di San Vito, furono chiamati a far parte della nutrita cerchia di amministratori e politici al servizio del nuovo pontefice, il quale avrebbe promosso Alfonso al titolo prestigioso di marchese del Baldacchino, una carica onorifica che mantenne fino al febbraio del 1626 e che gli avrebbe garantito il diritto di poter ricevere il papa nella propria dimora cittadina o suburbana (pp. 136 s.).

I nobili che avevano ricevuto tale titolo facevano erigere nei propri palazzi dei baldacchini sotto cui era posta una sedia per il pontefice, una consuetudine che non mancò di seguire anche Alfonso. In occasione delle nozze con Costanza Costanti del 2 febbraio 1626, infatti, egli fece costruire un sontuoso baldacchino per il salone del suo palazzo in via del Corso, un’opera – tuttora visibile nell’anticamera del palazzo Theodoli a San Vito Romano – descritta nell’inventario post mortem del marchese (1648) come «un baldacchino reale, coperto di panno rosso, con l’arme delli signori Theodoli e Conti, con sua tavola e scalini d’albuccio con la sua rastrelliera d’avanti dipinta rossa» (p. 159 nota 7).

La posizione dei due fratelli Theodoli presso la corte papale si rafforzò grazie ai loro ottimi rapporti con i nipoti di Urbano VIII, Antonio, Francesco e Taddeo, un’amicizia che avrebbe procurato a Mario alcune importanti cariche pubbliche come i governatorati di Terni (1626), Orvieto (1628-29), Camerino (1630), Ancona (1631-33) e Viterbo (1633-34; ibid., nota 12). Favorito dal potente cardinale Giulio Mazzarino, che il 18 maggio 1643 – dopo la morte del re di Francia Luigi XIII – era stato nominato primo ministro dalla reggente Anna d’Austria (Poncet, 2008, p. 522), Mario Theodoli fu creato cardinale da papa Barberini il 13 luglio 1643, ottenendo il 31 agosto il titolo di S. Alessio, poi sostituito con quello di S. Maria del Popolo il 28 giugno 1649 (Eubel, 1935; Solinas, 2007, p. 143). Il 17 ottobre 1644, dopo circa un mese dall’elezione al soglio petrino di Innocenzo X Pamphili, fu eletto vescovo di Imola, consacrato il 27 dicembre dal cardinale Ciriaco Rocci (Eubel, 1935).

Già durante il conclave che avrebbe decretato l’elezione di Innocenzo X, scandalizzando il partito spagnolo a cui la sua famiglia era fedele sin dall’epoca di Carlo V, Theodoli avrebbe svolto la funzione di cardinale protettore della Francia, esponendo sul suo palazzo «l’arma del Re Christianissimo» e affacciandosi alla finestra «con la barba alla francese» (Solinas, 2007, p. 143). In questa circostanza inoltre, come è stato scritto, «accuse precise furono rivolte dal cardinale Antonio Barberini, di fatto emarginato nella fase finale del conclave, contro l’ambasciatore (straordinario) francese a Roma, il marchese di Saint Chamond, che si disse essere stato corrotto dal marchese Alfonso Teodoli [...] per non pubblicare l’esclusiva di Parigi contro Pamphilj» (Visceglia, 2013).

Seguendo la tradizione già praticata dai prelati cinquecenteschi della famiglia Theodoli, fu appassionato cultore delle arti. Dopo la completa distruzione del suo appartamento al secondo piano del palazzo Theodoli al Corso, nell’autunno del 1646, ne avrebbe richiesta una nuova decorazione al pittore bavarese Johann Paul Schor (noto in Italia come Giovan Paolo Tedesco), da poco giunto a Roma da Firenze e impiegato dal cardinale in «ogni sorta di lavoro artistico, dalla decorazione di soffitti, alla realizzazione di apparati effimeri, alla progettazione di carrozze e mobili» (Solinas, 2007, p. 139). Insieme con il fratello, dimostrando un gusto moderno e assai eclettico, il porporato avrebbe collezionato nel suo palazzo – demolito tra il 1886 e il 1906 per fare posto alla via e alla piazza del Parlamento e all’ampliamento di Montecitorio – opere di grandi maestri contemporanei quali Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, non disdegnando di commissionare scene di genere ai due talentuosi bamboccianti Michelangelo Cerquozzi e Jan Miel o a virtuosi della natura morta come il fiammingo Jan van Kessel e Mario Nuzzi detto de’ Fiori, uno tra gli artisti prediletti della famiglia e autore anche di un ritratto del cardinale Theodoli (pp. 140, 144 s.).

Costantemente impegnato in coppia con il fratello a consolidare il potere della famiglia a Roma e nel Lazio e a dotare di pregevoli opere d’arte i palazzi in via del Corso e a San Vito Romano, ma meno attento alle due basiliche di cui fu titolare, pur possedendo in S. Maria del Popolo una cappella di cui nel 1569 aveva ottenuto il giuspatronato Girolamo Theodoli (Bentivoglio - Valtieri, 1976, pp. 94-96; Tosini, 2009), il cardinale morì prematuramente nella città papale il 27 giugno 1650 (von Pastor, 1930).

Fonti e Bibl.: L. von Pastor, Geschichte der Päpste, XIV, 1, Freiburg im Breisgau 1930 (trad. it. Roma 1961, p. 143); K. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, IV, Monasterii 1935, p. 209; E. Bentivoglio - S. Valtieri, Santa Maria del Popolo, Roma 1976, pp. 94-96; F. Solinas, Politica familiare e storia artistica nella Roma del primo Seicento. Il caso dei marchesi Theodoli, in Storia dell’arte, 2007, n. 116-117, pp. 135-192; O. Poncet, Mazzarino, Giulio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXII, Roma 2008, pp. 520-528; P. Tosini, La cappella Alicorni Theodoli e la decorazione di Giulio Mazzoni da Piacenza, in Santa Maria del Popolo. Storia e restauri, a cura di I. Miarelli Mariani - M. Richiello, II, Roma 2009, pp. 489-507; M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’Età moderna, Roma 2013, p. 370.

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