NERBINI, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

NERBINI, Mario.

Vega Guerrieri

– Primogenito di sette figli (precedette Renato Gastone, Carlo, Bruno, Dina, Tosca e Bruna Tina), nacque a Firenze il 9 novembre 1899 da Giuseppe, editore e giornalista, e Isolina Buti, cucitrice.

Mario iniziò la sua carriera, dopo un breve periodo di tirocinio, come responsabile della produzione dei periodici della casa editrice fondata dal padre. Le informazioni riguardo l’attività lavorativa negli anni che vanno dal 1911 al 1921 sono vaghe e non è facile individuare il ruolo, comunque rilevante, che ricoprì nell’azienda. Per quanto riguarda l'atteggiamento politico, se il percorso del padre fu caratterizzato dal passaggio dalla militanza socialista a quella fascista, Mario, fascista della prima ora, entrò nelle file dello squadrismo fiorentino (Tortorelli, 1983).

Negli anni Trenta padre e figlio ebbero un'intuizione che cambiò la storia della casa editrice: investire nei fumetti, una nuova forma di editoria 'popolare', proveniente da Oltreoceano, rivolta ai ragazzi e di puro intrattenimento. Già nel 1928 in allegato al 420 uscì  la storia a vignette Le avventure aviatorie di un Balillino, disegnata da Carlo Cossio, che può essere considerata il primo albo a fumetti pubblicato in Italia. Ma fu nel 1932 – lo stesso anno in cui ottenne una calda accoglienza la rivista Jumbo, edita dalla Società anonima editrice Vecchi (SAEV), con un mix di racconti e di strisce a fumetti inglesi  – che i Nerbini decisero di puntare tutto sul nuovo mezzo di comunicazione. Il loro intuito e la loro intraprendenza avevano colto un possibile grande affare: con la collaborazione dei disegnatori Gaetano Vitelli e Giove Toppi, resero fumetto cartaceo il personaggio di Mickey Mouse, ideato da Walt Disney, che dal 1928 riscuoteva grande successo sugli schermi americani. Fu così che il 28 dicembre 1932 fece la sua comparsa nelle edicole italiane Topolino, contenente sia storie apocrife del celebre topo sia altri racconti illustrati.

I Nerbini forse ignoravano che strisce a fumetti sul personaggio esistevano già negli USA, disegnate da Floyd Gottferson. La Disney non tardò a protestare e li costrinse ad acquistare dal King Features Syndacate (distributore della Disney in Italia) i diritti per la pubblicazione delle storie autentiche. Si risolse invece in loro favore una controversia legale con l’editore Carlo Frassinelli, che pure aveva pubblicato alcune strisce di Topolino e vantava, ma senza fondamento, i diritti sul personaggio.

Fra le colonne di Topolino Nerbini provò a sperimentare anche nuove storie disegnate, importate dagli Stati Uniti, più avventurose e meno puerili di quelle italiane coeve: uscirono così Le avventure di Cino e Franco (italianizzazione di Tim Tyler’s luck) di Lyman Young, che riscossero un immediato apprezzamento.

Nel febbraio 1933 la famiglia venne travolta dallo scandalo e dal dolore seguiti all’uccisione in un delitto passionale di Renato, fratello minore di Mario. Il padre, già malato, accusò il colpo: si allontanò dal lavoro, lasciando la maggior parte degli oneri nelle mani del primogenito e, nel gennaio seguente, morì per i postumi di una broncopolmonite, lasciando un testamento nel quale affidava a Mario la gestione della casa editrice, ne tesseva gli elogi e lo designava come suo successore (G. Nerbini, Con perfetta calma vergo il mio testamento, in Listri, 1993).

Convinto del potenziale dei fumetti statunitensi, già sperimentati con successo su Topolino, il 14 ottobre 1934 Nerbini lanciò L’Avventuroso: grande settimanale d’avventure, che rappresentò una vera rivoluzione nel campo dell’editoria per ragazzi. Era composto integralmente da storie disegnate (corredate dai peculiari balloons, i fumetti, e prive delle didascalie che solitamente le accompagnavano) e conteneva storie del calibro di Flash Gordon di Alex Raymond, Radio Patrol di Eddie Sullivan e Charles Schmidt, Agente segreto X-9, sempre di Raymond, e, successivamente, l’amatissimo Mandrake di Lee Falk e Phil Davis, più avvincenti e affascinanti rispetto a quelle dei settimanali concorrenti. Indirizzata a un pubblico meno infantile e più adolescente, la rivista aveva come unico scopo il divertimento e lo svago dei giovani, senza imporre i contenuti educativo-didattici tipici delle pubblicazioni coeve promosse dagli enti di regime.

Il successo fu subito clamoroso: nel 1935 L’Avventuroso toccò le 500.000 copie settimanali e Nerbini divenne uno degli editori più noti d’Italia. I concorrenti furono costretti a uniformare le loro riviste alla sua ultimogenita, nel tentativo di arginarne la diffusione. Sempre attribuibile a Mario fu l’intuizione (risalente al 1933, o al 1928 se si considera il già citato allegato del 420) di rilegare in albo alcune storie complete per poterle rivendere in versione monografica qualche tempo dopo la pubblicazione a puntate sulle riviste; gli albi restavano in vendita nelle edicole più a lungo dei giornalini e permettevano all’editore un guadagno prolungato nel tempo.

Nel 1935, tuttavia, forse incoraggiato dai crescenti successi ottenuti, Nerbini commise un passo falso, cedendo a Mondadori l’esclusiva di Topolino  un errore destinato a pesare in maniera considerevole sulle vicende successive della casa editrice. Frattanto, uscirono altre testate per ragazzi: Il giornale di Cino e Franco (1935), Il Piccolo Avventuroso (1936), Pinocchio (1938), che tentarono di eguagliare, inutilmente, le fortune de L’Avventuroso e dell’ormai concorrente Topolino.

Tra il 1935 e il 1937 il travolgente successo dei fumetti iniziò a sollevare dubbi nell'opinione pubblica – in primis fra educatori e intellettuali – sul loro valore educativo e culturale: oltre alle critiche generiche, relative al mezzo di comunicazione in sé, è bene tener presente che le storie pubblicate sui settimanali Nerbini erano tutte importate dagli Stati Uniti e quindi considerate foriere di valori moralmente sbagliati, inadatti alle giovani generazioni. In un primo momento, tuttavia, l’editore non venne eccessivamente disturbato dal regime: dichiaratamente fascista e molto rispettato nella sua città, pensava di essere al sicuro e che fosse sufficiente censurare di tanto in tanto qualche vignetta troppo audace. Provinciale, intelligente ma non sufficientemente cólto e soprattutto privo di solidi agganci politici e culturali, reagì ai primi richiami ministeriali scrivendo varie volte alla segreteria particolare del duce provando a spiegare la propria posizione e cercando di ottenere un colloquio, senza ottenere risultati (per la corrispondenza, 30 marzo 1935 - 13 maggio 1935, si veda: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Corrispondenza ordinaria, f. 15225/1 e sottofasc. 3: Varia ).

Nel corso del 1936 ebbe luogo un primo richiamo da parte del governo rivolto ai direttori delle testate umoristiche: Nerbini, coinvolto come editore de Il 420, sapeva di trovarsi in una posizione scomoda, e questa volta riuscì a ottenere un colloquio privato Mussolini che tuttavia non sortì alcun effetto a parte quello di scoraggiarlo dal sollecitare altri incontri (Gori - Lama - Gadducci, 2011).

Nel 1938 sui fumetti si scatenò la bufera autarchica: in luglio, il ministro della Cultura popolare Dino Alfieri impose a tutti gli editori di far scomparire dalle testate le storie importate (imitazioni comprese), pena la soppressione delle pubblicazioni. Per Nerbini fu un grave colpo. Abbandonato dal governo, si trovò all’improvviso nella necessità di sostituire la grossa mole di materiale che era solito importare con nuovi prodotti, di fattura italiana; fino a quel momento tuttavia, godendo di una relativa tranquillità, non si era preoccupato di formare all’interno della rivista una vera e propria scuola di autori nazionali che potesse reggere il confronto con i fumetti d'Oltreoceano. L’unico esonerato dal bando fu il personaggio di Topolino, ormai appartenente a Mondadori, e Nerbini presto si rese conto di aver commesso un errore imperdonabile cedendolo qualche anno prima. Fu dunque costretto a sfruttare al massimo gli artisti della sua redazione per riempire le testate, ma un calo qualitativo ci fu e fu percepito dai lettori che, in molti, abbandonarono le riviste. Qualche mese dopo, Nerbini riuscì a reintrodurre qualche storia americana e a risollevare le vendite (pur non eguagliando quelle degli anni precedenti) ma fu costretto ad aumentare il prezzo di copertina (Gori - Lama - Gadducci, 2011).

Nel 1941, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, la situazione divenne insostenibile. L'imperativo categorico ministeriale si tradusse per tutti gli editori nell'eliminare completamente e senza eccezioni le storie americane o di ispirazione americana dai settimanali: Nerbini fu obbligato ad attenersi agli ordini dopo vari tentativi di farsi concedere eccezioni o permessi tramite i membri del partito. Ridusse così progressivamente il numero di pagine de L’Avventuroso fino al febbraio 1943 quando, dopo che furono sopravvenuti problemi di salute, si risolse a cedere la testata a Mondadori. Poco dopo fu costretto ad abbandonare Firenze riparando a Milano, ospite dell’amico Vincenzo Baggioli. La casa editrice di via Faenza andò distrutta; si disse (ma non se ne hanno prove) che avesse subito prima l’incendio e le devastazioni operate da camerati fascisti 'scontenti' della condotta 'discutibile' dell’editore e poi, nell’estate del 1944, la distruzione totale di archivi e macchinari per mano di antifascisti e partigiani.

Fatto ritorno a Firenze al termine della guerra, nel 1945 provò coraggiosamente a rimettere in piedi l’impresa di famiglia ripubblicando alcuni fra i suoi maggiori successi negli albi della serie «Grandi Avventure»: si trattava però in gran parte di disegni ricalcati a causa della perdita degli originali e la qualità era modesta. Nel 1945 la Nerbini dichiarò istanza di fallimento, ma il tribunale la rifiutò. Nel 1946 tentò nuovamente la carta dell’editoria periodica, con L’Italo-Americano illustrato, un innovativo giornale a fumetti bilingue, inglese e italiano, rivolto a un pubblico adulto, ma  che, inviso agli intellettuali e ai cattolici a causa delle sue storie licenziose, dovette essere chiuso nel 1947.

Nel 1948 Nerbini riuscì a ottenere l’esclusiva per le storie dell'Uomo mascherato, preparando per accoglierle un nuovo settimanale: Il Giornale dell’Uomo mascherato, contenente anche altri celebri fumetti; dopo averne cambiato più volte nome, però, fu costretto a interrompere la pubblicazione nel 1949. Con grande tenacia, tra il 1947 e il 1948, propose collane di albi contenenti i grandi classici dell’epoca d’oro: la «Collana albi Smeraldo», la «Collana albi Rubino», la «Serie economici grandi avventure», gli «Albi economici Mistero» e altri, provando a riconquistare il pubblico di nostalgici, ma dopo la richiesta da parte del King Features Syndacate di versare i diritti anche sulle ristampe di storie già pubblicate, abbandonò il campo.

Nel 1950 alla casa editrice fu concesso un esercizio provvisorio, sempre sotto la responsabilità di Nerbini, ormai di salute malferma (Listri, 1993, p. 219), ma nel 1953 egli uscì di scena, affidando l’impresa (i cui debiti ammontavano ormai a 62 milioni di lire) a Gino Ghigoni, già fedele collega del padre, di cui la casa editrice mantenne il nome. Per recuperare le forze e ritrovare la necessaria pace dello spirito,  dovette farsi ricoverare in clinica (Ferraro, 1976).

Dopo la cessione della casa editrice la conoscenza delle vicende personali di Nerbini diviene lacunosa: superati i problemi di salute si trasferì a Roma con la moglie Tina Meli, sposata il 21 novembre 1949. Avviò una nuova casa editrice con il nome Edizioni avventure americane, dando alla luce nel 1956 «Avventure americane», una serie di albi in formato verticale contenenti alcune fra le avventure che avevano fatto la storia dei fumetti. L’iniziativa ebbe successo e nel 1958 Mario poté produrre la collana «Il Vascello» (sotto il nome di Edizioni La Freccia), contenente alcune storie dell'Uomo mascherato. Tra il 1960 e il 1961 varò infine la collana «Collana super Albo» e ristampò alcuni dei suoi grandi classici, approfittando dell’interesse riaccesosi per i fumetti, ormai rivalutati come mezzo espressivo e divenuti oggetto di appassionato collezionismo.

Nel 1962, minato da precarie condizioni di salute, cedette pressoché tutto il materiale di sua proprietà alle Edizioni Fratelli Spada, da tempo interessate all’acquisto: tenne per sé solo Cino e Franco sperando in un’occasione di ristampa, che non si presentò mai. Dopo il lancio di qualche nuovo personaggio e l’edizione di una nuova rivista (Avventura West nel 1963), la sua carriera nel mondo dell’editoria si interruppe nel febbraio 1966 con l’ultima serie della collana «Eroi dell’Avventura».

Morì a Roma il 25 giugno 1987.

Fonti e Bibl.: F. De Giacomo, N.: un precursore negli anni ’30, in Linus, 1966, n. 12 (marzo), pp. 26 s.; E. Ferraro, Il giornalinismo italiano del dopoguerra, in Comics, 1976, n. 32 (novembre), n. speciale; Fumetti d’oro Nerbini,  Firenze 1972; C. Carabba, Il fascismo a fumetti, Firenze 1973; G. Tortorelli, Le edizioni Nerbini (1897 -1921), Firenze 1983; P.F. Listri, Il mondo di N. Un editore nell’Italia unita, Firenze 1993; I fumetti Nerbini della Marucelliana, a cura di R. Maini et al., Firenze 1994; F. De Giacomo, Intervista a M. N., in L. Gori - S. Lama - F. Gadducci, Eccetto Topolino, Pavona 2011.

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