MINNITI, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MINNITI, Mario

Donatella Spagnolo

– Nacque a Siracusa l’8 dic. 1577, da Girolamo e da Diana Minniti (Susinno).

Fondamentali per ricostruire le vicende e il catalogo delle opere del M. sono la biografia che gli dedicò Francesco Susinno (1724) e gli atti notarili, rintracciati finora soprattutto negli archivi di Siracusa e di Palermo, che delineano, con alcuni vuoti, l’arco della sua attività in Sicilia, svolta – escludendo il documento di esordio del 1606 – dal 1614 fino alla morte. La biografia di Susinno, alla luce delle scoperte documentarie, si è rivelata attendibile sulle frequenti permanenze a Messina, confermate dalle molte opere registrate dalle fonti, sui rapporti con l’isola di Malta e con i cavalieri gerosolimitani, e infine per il catalogo delle opere, attraverso il quale si sono potuti identificare diversi dipinti. Non si ha invece alcuna conferma, se non un ipotetico riferimento, della permanenza giovanile a Roma, durante la quale il M. avrebbe intrecciato una fondamentale amicizia con Caravaggio (M. Merisi), e sui molti particolari con i quali Susinno arricchisce il suo racconto.

L’esistenza di un Girolamo Minniti «aurifex», forse padre del M., è in effetti confermata a Siracusa in un atto del 1600 (Spagnolo, 2004, p. 18), ma la notizia contrasta con la cronologia di Susinno, che lo dice privato dell’«appoggio paterno» (p. 116), quindi verosimilmente orfano, a quindici anni, cioè nel 1592, quando cominciò a dedicarsi allo studio del disegno «a lui geniale» (p. 117). Lasciata Siracusa per Malta a causa di un qualche «intrico» non meglio specificato, da lì raggiunse in seguito Roma, dove si sistemò presso un «siciliano pittore, che vendeva quadri a dozzina» (ibid.): qui avrebbe conosciuto e stretto amicizia con Caravaggio.

Il pittore siciliano che diede lavoro a Caravaggio è stato riconosciuto in Lorenzo Carlo, rintracciato in alcuni documenti sulla cerchia dei siciliani a Roma e nei verbali della Confraternita di S. Caterina della Rota (Pupillo; Vodret), ma del rapporto di questo e di Caravaggio con il M., oltre alle note di Susinno, non è venuta alla luce alcuna traccia sicura. Un certo «Mario pittore», che nel 1603 abitava «al Corso» ma convivente di Caravaggio fino a qualche anno prima, è ricordato dallo stesso Caravaggio in un interrogatorio del processo relativo alla querela di Giovanni Baglione per i versi diffamatori che Caravaggio e altri pittori avrebbero diffuso contro di lui (Bertolotti; Macioce, 2003): la certezza che si trattasse del M. non c’è, ma la coincidenza con il racconto di Susinno, relativamente alla coabitazione con Caravaggio, rende l’identificazione molto probabile. Ciò è reso ancora più concreto dalla grande conoscenza che il M. dimostra delle opere romane del pittore lombardo, ma anche dalla somiglianza tra il ritratto dello stesso M. tramandato dalla storiografia ottocentesca nell’incisione riprodotta nelle Memorie di Grosso Cacopardo (1821) e un modello più volte utilizzato da Caravaggio negli anni romani (per esempio nel Ragazzo con canestra di frutta, nel Bacco, nella Buona ventura, nel Suonatore di liuto, nella Vocazione di s. Matteo). Questa combinazione di casi porta studiosi come Frommel (1971 e 1995) a immaginare per il M. un ruolo di modello per l’amico più dotato, almeno per i tempi della gavetta e dei primi passi nell’ambiente dell’alta committenza romana. Marini (1983, 1987, 2001: Caravaggio. Michelangelo Merisi da Caravaggio «pictor praestantissimus» …) gli attribuisce anche alcune copie coeve dai quadri giovanili di Caravaggio, realizzate per incoraggiare il successo dello stile caravaggesco, e quindi favorirne la richiesta, con conseguente guadagno per entrambi.

Le copie che sono state attribuite al M., con possibili interventi di Caravaggio, sono il S. Francesco che riceve le stimmate di Udine (Museo civico), il Ragazzo che sbuccia il melangolo di Hampton Court (raccolte reali), il Ragazzo morso dal ramarro della Fondazione Longhi di Firenze, il S. Giovanni Battista della Galleria Doria Pamphilj (Roma), il S. Francesco in meditazione sulla morte (Ibid., collezione C. Lampronti).

Il soggiorno romano, secondo Susinno, durò dieci anni, trascorsi i quali il M., dopo aver preso moglie a Roma, tornò a Siracusa, dove nel 1608 avrebbe accolto Caravaggio fuggiasco da Malta. La prima testimonianza documentaria sulla presenza in Sicilia del M. è costituita dalla commissione di una perduta Madonna del Soccorso per la cappella Mazzara della chiesa di S. Giovanni Battista di Vizzini (Catania) e risale al 21 maggio 1606 (Ragona), una settimana prima dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni a Roma per mano di Caravaggio e di altri, omicidio al quale è stato supposto che anche il M. avesse partecipato (Calvesi). Come si legge nel documento, invece, il M. prima dell’omicidio risiedeva già a Siracusa (dove avrebbe eseguito il dipinto), anche se per arrivare al successivo documento si deve aspettare fino al 1614, quando realizzò un S. Ignazio, anch’esso perduto, per la casa professa di Messina (De Castro, p. 507).

Dal 1614 al 1618 si registra un altro vuoto documentario, come, considerando solo le lacune più lunghe, dal 1625 al 1627, dal 1635 al 1637 e dal 1639 al 1640 (anno della morte).

Nel 1622 è attestata nei documenti un’assenza del M. da Siracusa, quasi certamente perché si trovava a Palermo, dove realizzò alcuni lavori per il cappellano della cattedrale. La mancanza di documentazione per gli altri periodi può essere dovuta – oltre che alla distruzione di molti volumi notarili siracusani nel terremoto del 1693 e, con perdite ancora più imponenti, nel terremoto del 1908 e nel bombardamento del 1943 – anche a possibili soggiorni a Malta, dove sopravvivono alcune opere che potrebbero essere state eseguite in loco. Si ha anche una menzione documentaria nel testamento del cavaliere Giovan Battista Macedonio del 1645, riguardante due quadri perduti o non rintracciati: un Adamo ed Eva e una Venere (Macioce, 1993, p. 21 n. 19). I dipinti maltesi riconosciuti sono l’Ecce Homo di Mdina (Museo della cattedrale), firmato e datato 1625; il Battesimo di Cristo (La Valletta, chiesa di S. Orsola), firmato; il S. Giovanni Evangelista Ibid., Albergo d’Aragona; Spagnolo, 2001, p. 62 n. 60; Sciberras, 2007, p. 172). Recentemente gli è stata attribuita anche una Flagellazione (collezione privata; ibid., p. 170), versione ridotta della Flagellazione della Fondazione Lucifero di Milazzo, ed è stata ribadita la possibile paternità del Ritratto di Alof de Wignacourt in armatura (La Valletta, National Museum of fine arts; Gash, p. 104; Marini, 1974, p. 322). È stata inoltre ipotizzata da Lapucci (2008) la sua partecipazione all’esecuzione del Martirio di s. Caterina d’Alessandria di Zejtun (Malta, chiesa di S. Caterina) relativamente alla parte centrale del dipinto, che secondo la ricostruzione della studiosa era stato già abbozzato da Caravaggio durante il soggiorno maltese (Spagnolo, M. M. …, in corso di stampa).

Il 13 giugno 1618 il M. si obbligava con Cirino Martelli di Augusta a consegnare entro un mese, per 60 onze, una Madonna degli angeli con i ss. Francesco, Antonio da Padova, Lucia e Chiara, con paesaggio nella parte sottostante (G. Agnello, 1939, p. 42), perduta o non rintracciata. Nello stesso anno, come riferiscono le fonti storiografiche siracusane (Capodieci, c. 128; N. Agnello, p. 17), il M. realizzava cinque tele per la funzione dei Misteri dolorosi introdotta in quell’anno nella chiesa del convento di S. Domenico di Siracusa: le opere sono state identificate nel gruppo oggi conservato nel seminario arcivescovile di Siracusa (Cristo nell’orto, Flagellazione, Incoronazione di spine, Andata al Calvario), attribuito alla bottega del M., e nella Deposizione (Siracusa, Galleria regionale di Palazzo Bellomo), da ritenere invece autografa, che costituirebbe la quinta tela (Spagnolo, 2004, pp. 78-81).

In questa prima fase della sua produzione conosciuta, che si può chiudere convenzionalmente con il 1620 circa, coincidente con il periodo di massima diffusione e più fedele interpretazione del caravaggismo nell’Italia meridionale, sono stati collocati dalla critica diversi altri dipinti non datati ma accomunati da una medesima impostazione luministica e da particolari stilistici sovrapponibili: molti sono direttamente ispirati da opere o personaggi di Caravaggio, ma sono caratterizzati anche da ambientazioni e da una temperatura emotiva vicine al tardomanierismo toscano «riformato», ossia corretto alla luce delle nuove istanze naturalistiche e dei dettami della riforma tridentina delle immagini.

Tra questi, la Decollazione di s. Giovanni Battista (Messina, Museo regionale), apparentemente ispirata alla tela di identico soggetto di Filippo Paladini (Firenze, chiesa di S. Jacopo in Campo Corbolini) che fu dipinta a Malta nel 1608 e lì rimase fino al 1612, quando fu portata a Firenze. Da Susinno (p. 121) si sa che il dipinto del M., in seguito molto danneggiato per varie vicissitudini (Spagnolo, 2004, p. 70), aveva nella parte inferiore uno stemma dei cavalieri gerosolimitani e quindi poté essere stato realizzato a Malta anche in date molto precoci, agli inizi del secondo decennio, quando in effetti il M. non è documentato né a Siracusa né a Messina. Anche il S. Carlo Borromeo (Enna, Palazzo comunale) dovrebbe collocarsi all’incirca nello stesso periodo. Qui, forse più che in ogni altra opera, emergono chiaramente quelle che furono le fonti principali dello stile del M.: le molte citazioni da Caravaggio (la costruzione della scena; l’uomo alla finestra in controluce; l’armigero in primo piano; il viso della vecchia con la cuffia; l’impianto chiaroscurale) si fondono con una palpabile intonazione toscano-riformata nella morbidezza di alcune penombre e nell’atmosfera serena e colloquiale. Alla stessa fase sono stati ricondotti i due dipinti della Fondazione Lucifero di Milazzo (Flagellazione, Cristo portacroce) e la Presentazione al tempio (Messina, Museo regionale).

Secondo l’ultima ricostruzione cronologica del catalogo delle opere, ordinato soprattutto in base ai criteri stilistici poiché la maggior parte dei dipinti non è datata né documentata, ad anni vicini al 1620 potrebbe risalire il Miracolo della vedova di Naim (Messina, Museo regionale), eseguito per la chiesa dei Cappuccini di Messina e considerato dalle fonti il suo capolavoro.

Il M. mostra qui una piena maturazione di tutte le componenti del suo stile, anzi per molti anni il giudizio critico complessivo si è basato proprio sulla lettura di tale dipinto, ritenuto emblematico non solo del suo linguaggio ma anche degli indirizzi generali del caravaggismo in Sicilia: la cura nella resa dei costumi, dalle tipiche sciarpe con le frange, ha richiamato l’eleganza dei personaggi creati da Orazio Gentileschi (attivo nella Roma di inizio secolo e forse personalmente conosciuto dal M.) e da altri toscani; mentre l’equilibrio della costruzione è stato interpretato in chiave classicistica e considerato una possibile prova di una datazione tarda, negli anni Trenta (Campagna Cicala, 1983, p. 20; 1984, p. 120). Una genuina matrice caravaggesca, più vicina al Caravaggio romano che a quello meridionale, è stata invece riconosciuta nella concitazione del gruppo di astanti nella parte sinistra del dipinto e nell’impostazione chiaroscurale di molti brani. L’ampia apertura paesistica, infine, ha recentemente costituito lo spunto per un ulteriore capitolo su una precoce vena paesaggistica, testimoniata da una serie di quattro tele inedite con la Parabola del buon samaritano, oggi a Catania (Palazzo del Comune e Museo civico di castello Ursino), ma di provenienza ignota (Spagnolo, Finestre sul naturalismo …, in corso di stampa).

Tra la fine del 1621 e i primi mesi del 1622 il M. si trovava a Palermo e consegnava a don Marco Gezio, cappellano della cattedrale, alcuni dipinti, tra i quali una Madonna del Rosario, una Natività, una Orazione nell’orto, una Coronazione di spine, un S. Carlo e due Sante vergini, dipinti perduti o non identificati con certezza, che facevano parte della collezione del prelato (Morreale; De Castro, pp. 527 s.).

È stato ipotizzato da Abbate (2001, pp. 86 s.) che la Madonna del Rosario, l’Orazione nell’orto e la Coronazione di spine fossero collocate nell’oratorio del Ss. Rosario in S. Domenico di Palermo, fino al rinnovamento dell’arredo pittorico in occasione dell’arrivo della Madonna del Rosario di Anton Van Dyck (tuttora in loco), quando passarono nella collezione di Marco Gezio. Inoltre lo stesso studioso propone di identificare la Coronazione di spine con quella oggi conservata nella Galleria regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo (Scuderi; Abbate, 2004), ma a questa attribuzione possono opporsi diverse osservazioni che la rendono tuttora dubbia (Spagnolo, 2004, p. 23).

Tra il 1624 e il 1625 certamente il M. era a Siracusa, poiché in quel periodo soprattutto lì si concentra la maggior parte dei pochi dipinti datati: il Miracolo di s. Chiara (Siracusa, Galleria regionale di Palazzo Bellomo), l’Adorazione dei magi (Buscemi, chiesa di S. Sebastiano), l’Ecce Homo di Mdina e il S. Benedetto che predispone la propria sepoltura (Siracusa, chiesa di S. Benedetto), quest’ultimo documentato dall’atto di commissione del 6 marzo 1625 (G. Agnello, 1941, p. 74, doc. 5).

Dopo i lavori di Messina e di Palermo il M. aveva certamente consolidato la sua fama e quindi ampliato il raggio di attività con un prevedibile aumento del numero delle commissioni. Nel 1624, a Siracusa, accoglieva come apprendista il messinese Pierpaolo Bilanza (finora non identificato), mentre in alcuni brani delle opere di quegli anni, o collocabili nello stesso periodo, si registrano caratteri di corrività o cadute di qualità che hanno fatto pensare a possibili interventi di allievi. Inoltre in questa fase il suo stile assume accenti più rigidamente devozionali, le impaginazioni spaziali si semplificano, i panneggi si appiattiscono e si irrigidiscono, gli atteggiamenti e le pose delle figure tendono a standardizzarsi. I dipinti che sono stati ricondotti a questa fase, oltre a quelli datati citati, sono i Ss. Quattro Coronati (Siracusa, chiesa di S. Pietro al Carmine) e Le cinque piaghe del Signore (Agira, chiesa di S. Antonio Abate).

Nel 1629 è datato il Cristo crocifisso di Catania (Museo diocesano) e nello stesso periodo dovrebbe collocarsi anche il Cristo crocifisso e la Maddalena (Messina, Museo regionale). La maggiore pregnanza espressiva del dipinto messinese, in particolare nella figura di Cristo, resa a forza di colpi di luce e affondi nell’ombra, con un’adesione ideale alla poetica dell’ultimo Caravaggio, farebbe tuttavia pensare a una precedenza del Cristo di Messina rispetto a quello catanese, ulteriormente riprodotto in una versione di cattiva qualità conservata a Caltagirone (Museo dei Cappuccini), forse copia o esecuzione di bottega.

Nel gennaio 1634 il M. sottoscrisse una procura in favore della moglie Eutizia Pisano (G. Agnello, 1941, p. 78, doc. 19). Nell’aprile successivo risulta in effetti assente da Siracusa ed è forse in quel periodo – manca del tutto, come detto, la documentazione per il 1635 e il 1636 – che poté recarsi a Malta ed eseguire il Battesimo di Cristo per la chiesa del monastero delle orsoline della Valletta, ricostruita dal 1633 al 1636 (Aquilina). Del 1637 è l’Immacolata e santi di Messina (Museo regionale), come si legge chiaramente dall’iscrizione, e nel 1639 pare fosse datata la Scena allegorica (Catania, Museo civico di Castello Ursino), ma qui la scritta non è più leggibile.

Intorno a questi anni, che segnano l’ultimo decennio di attività del M., si raggruppa una notevole quantità di opere che mostrano, accanto a un generale, progressivo allontanamento dai modelli di Caravaggio, da un lato una vicinanza ai nuovi valori di pittoricismo proposti a Palermo da Van Dyck e da Pietro Novelli, e dall’altro una ripresa, abbastanza comune in quegli anni, di un certo gusto classicheggiante sia nell’impaginazione generale sia, soprattutto, nella costruzione delle figure.

In alcune opere, inoltre, la tavolozza si schiarisce e scopre gradazioni inedite di rosa, malva e azzurro, mentre le carnagioni assumono toni dorati, caratteri evidenti nel Battesimo di Cristo della Valletta e nell’Immacolata e santi di Messina. Gli altri dipinti che, pur non essendo datati, possono ascriversi a questo periodo, sono l’Immacolata Concezione (Messina, Museo regionale), l’Immacolata con s. Antonio da Padova e donatori (Piazza Armerina, chiesa di S. Pietro), il S. Domenico di Silos libera gli schiavi (Palermo, abbazia di S. Martino delle Scale), il Martirio di s. Lucia (Siracusa, Galleria regionale di Palazzo Bellomo), il Martirio di s. Caterina (Messina, Museo regionale), il Martirio di s. Ippolito (Palazzolo Acreide, chiesa di S. Sebastiano).

Il M. morì a Siracusa nel novembre del 1640 e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico.

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D. Spagnolo

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