GUIDUCCI, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUIDUCCI, Mario

Federica Favino

Nacque a Firenze, del "popolo" di S. Frediano, il 18 marzo 1583, da Alessandro del senatore Simone e Camilla di Iacopo Capponi. Ebbe almeno due fratelli, Giulio, morto nel 1654, e Simone, e una sorella, Maddalena, moglie di Orazio Cavalcanti.

Secondo il costume del patriziato, il G. fu inviato ancora fanciullo a Roma per seguirvi i corsi preuniversitari presso il locale collegio gesuitico. Era sicuramente nella città nel 1597, perché in quell'anno compare come testimone negli atti del tribunale criminale del governatore e vi rimase fino al 1601, giacché è in quegli anni che il padre gesuita Tarquinio Galluzzi, che il G. dice essere stato suo maestro di retorica, svolse il suo primo magistero. Se non risulta che il G. abbia mai ottenuto il dottorato in filosofia, è certo che conseguì il titolo di dottore in utroque iure presso lo Studio pisano il 27 maggio 1610.

Ristabilitosi a Firenze - probabilmente nelle case di proprietà di suo padre presso piazza S. Maria Novella -, il G. attese a completare la propria formazione intellettuale, allo stesso tempo scientifica e letteraria. Già dal maggio 1607 era annoverato tra i membri dell'Accademia della Crusca con il nome di Ricoverato; in seguito aderì anche all'Accademia Fiorentina e partecipò, inoltre, a un'altra accademia interessata a ricerche genealogiche, nel cui ambito compose, entro il 1623, un'operetta dal titolo La clava oggi dispersa. A Firenze intraprese il suo discepolato scientifico alla "scuola" galileiana (sua l'espressione). Allievo di Benedetto Castelli o forse discepolo diretto di Galilei, con il quale condivideva almeno l'amicizia con Michelangelo Buonarroti il Giovane, dal 1614 il nome del G. compare assiduamente nel carteggio tra Galilei e i suoi discepoli.

Il turno alla carica di console dell'Accademia Fiorentina, nel 1618, gli offrì l'occasione di scendere per la prima volta in campo a fianco dei novatori. In quell'anno, infatti, nel vivo del dibattito sollevato dalla comparsa di una cometa particolarmente luminosa e durevole, uscì alle stampe a Roma una dissertazione anonima dal titolo De tribus cometis anni M.DC.XVIII, in cui il padre Orazio Grassi, lettore di matematica presso il Collegio romano, asseriva che la cometa era un corpo reale di natura stellare. La pubblicazione dell'opuscolo offrì a Galilei il pretesto per prendere posizione sulla questione, soprattutto allo scopo di screditare gli argomenti con i quali Tycho Brahe aveva difeso la natura celeste delle comete. A quegli argomenti, infatti, attingevano in quei mesi sia matematici vicini al S. Uffizio per mostrare l'inconsistenza fisica dell'eliocentrismo, sia scienziati gesuiti insoddisfatti di Aristotele ma di necessità avversari del copernicanesimo. Per ragioni di cautela, però, Galilei decise di entrare nella disputa per interposta persona, avvalendosi appunto dell'opera del Guiducci. A questo, infatti, Galilei ispirò la composizione di un discorso, che fu pronunciato in seno all'Accademia Fiorentina nel maggio 1619 e nel giugno seguente fu dato alle stampe a Firenze con il titolo Discorso delle comete.

Il Discorso è uno scritto rivolto soprattutto contro Tycho Brahe, attraverso la critica del padre Grassi, cui si attribuisce il grave torto di riprendere e accreditare le tesi dell'astronomo danese. L'ipotesi, evidentemente falsa, avanzata qui dal G., secondo cui le comete non sarebbero enti reali ma semplici apparenze luminose, simili agli arcobaleni o ai riflessi del sole al tramonto sulla superficie del mare, è, infatti, l'argomento risolutivo che il G. intende contrapporre alla mancanza di parallasse della cometa, la prova ticonica più forte per porre le comete a una grande altezza nei cieli. Anche l'altro argomento ticonico secondo cui le comete sarebbero corpi celesti perché avrebbero lo stesso moto circolare e uniforme dei pianeti, viene attaccato mostrando molto più economica l'ipotesi che la cometa abbia un semplice moto uniforme e rettilineo "dalla superficie della Terra verso il cielo". Tale supposizione, condivisa anche da J. Kepler, comportava implicitamente la possibilità di attribuire la deviazione verso settentrione del percorso rettilineo della cometa, che si osserva comunemente, al mutamento di posizione dell'osservatore, ossia al moto annuo terrestre.

Nel vivo della disputa sulle comete, sia il G., sia Galilei furono per lo più concordi nell'attribuire al primo la paternità dello scritto. Tuttavia, il lavoro filologico condotto a più riprese sul ricco dossier manoscritto relativo alla gestazione dell'opera ha chiarito come sia da riconoscere a Galilei la responsabilità prima della sua ideazione, oltre al ruolo di attento revisore e regista delle successive stesure, approntate peraltro dal G. in strettissima collaborazione con il maestro.

La comune strategia antiticonica del G. e di Galilei non si esaurisce con il Discorso. Durante la stesura di quel testo, infatti, uscì a Milano l'Assemblea celeste. Radunata nuovamente in Parnasso sopra la nuova cometa, uno scritto anonimo ma di sicura provenienza gesuitica, in cui il punto di vista ticonico veniva fatto valere in aperta polemica con la cosmologia aristotelica. Probabilmente ancora una volta insieme con il maestro, il G. abbozzò una duplice risposta a questo scritto, che documentava il crescere dell'adesione alla cosmologia geo-eliocentrica da parte dei gesuiti novatori e prefigurava la minacciosa egemonia di un nuovo sistema ufficiale del mondo, diverso da quello aristotelico ma anch'esso non copernicano. Della risposta scritta da Galilei e dal G. sono tramandate due versioni manoscritte, entrambe mutile, solo recentemente edite a cura di Ottavio Besomi (in Camerota - Besomi, pp. 235-248).

Con pochissime eccezioni, il Discorso delle comete fu accolto con molto favore dagli amici galileiani, mentre creò grave disappunto, irrimediabile secondo alcuni, tra i membri della Compagnia di Gesù. A breve, infatti, Grassi pubblicò a Perugia una replica al Discorso - la Libra astronomica ac philosophica del 1619 - sotto lo pseudonimo-acronimo di Lotario Sarsi Sigensano, suo ipotetico allievo. Nella Libra, messo da parte il G. come semplice "copiatore" delle opinioni del maestro, si attaccava direttamente il "dittatore" Galilei. Mentre tra i Lincei romani si concertava il tono da dare alla replica galileiana, nella primavera del 1620 il G. compose e diede alle stampe la sua personale risposta al testo di Grassi/Sarsi forse anche per annunciare quella del maestro, che non si prevedeva a breve.

Seguendo il consiglio di Federico Cesi di rispondere indirettamente alla Libra ed evitare i toni aspri e mordaci, il G. indirizzò lo scritto al padre gesuita Tarquinio Galluzzi, suo antico maestro di retorica, concependolo come una Lettera al m.r.p. Tarquinio Galluzzi della Compagnia di Giesù, Firenze 1620. Protestatosi copiatore nel senso in cui lo sono stati occasionalmente grandi pittori come Pontormo o Andrea del Sarto o come lo è stato Platone nei confronti di Socrate, il G. prende su di sé i diversi attacchi che Grassi muoveva al Galilei del Discorso. Egli imputa al fraintendimento dell'oppositore alcune delle idee che questi gli contestava nella Libra, come, per esempio, quella del moto rettilineo della cometa, che il G., invece, affermava di aver asserito "solo dubitativamente". Gli argomenti sperimentali messi in campo da Sarsi contro Galilei vengono qui dimostrati sommariamente "molto fallaci e non senza sospetto di fraude". In conclusione, il G. si cimenta anche nella conciliazione tra gli argomenti teologici invocati da Grassi e l'evidenza sperimentale. La Lettera, in ogni caso, conclude a favore della verità ultima dei dati dell'osservazione.

Nel maggio 1621, Galilei ricompensò l'impegno profuso dal G. nella lunga disputa sulle comete facendolo proporre da Giovanni Ciampoli per l'ascrizione all'Accademia dei Lincei del principe Cesi, con il quale, del resto, il G. era già personalmente in contatto.

I temi della "nuova scienza" ispirano anche l'attività letteraria che il G. svolse in questi anni in seno alle accademie fiorentine. Del 1623 sono due lezioni sulle Rime di Michelangelo Buonarroti pronunciate dal G. nell'Accademia Fiorentina in occasione della pubblicazione di quelle poesie a cura di Michelangelo il Giovane, iniziativa editoriale alla cui realizzazione il G. aveva in certa misura collaborato.

Nella seconda lezione, dopo un esordio sulla superiorità dei moderni rispetto agli antichi, la metafora michelangiolesca della "calamita dell'amore" viene interpretata in senso strettamente letterale e diviene pretesto per una articolata e fedele esposizione del De magnete di William Gilbert. Anche le leggi sul moto dei proietti enunciate da Galilei vengono qui presentate come "verità" eterne, già misticamente intuite da Omero e da questi enunciate in termini metaforici, i soli comprensibili al volgo.

Il 1623 è anche l'anno dell'elezione al soglio pontificio di Maffeo Barberini, con il nome di Urbano VIII, fiorentino e anche lui amico di Buonarroti il Giovane fin dagli anni universitari. Nell'autunno dello stesso anno il G. si recò personalmente a Roma spinto da qualche "ambitione" di ottenere incarichi di Curia. Nella città papale, infatti, egli divenne frequentatore assiduo, benché non sempre entusiasta, dell'anticamera del cardinal nepote e dei ricevimenti dei "padroni". È probabilmente da attribuire alla vita accademica romana di questi mesi una sua ode De Calendis Maii rimasta tra i manoscritti della Biblioteca apostolica Vaticana (Barb. lat., 1819, cc. 60r-64r).

La permanenza romana offrì al G. anche l'occasione di rinsaldare i legami con il gruppo dei Lincei. In compagnia di Johannes Faber, conosciuto casualmente nel dicembre 1623 insieme con il poligrafo tedesco Gaspar Schopp, frequentò l'abitazione di Virginio Cesarini ed ebbe occasione di inoltrare alcune richieste dei Lincei per Galilei. Nei mesi del soggiorno romano, soprattutto, il G. svolse per conto del maestro il ruolo di attento osservatore del clima culturale della Curia in relazione alla "nuova scienza". Nell'estate del 1624, per esempio, informò Galilei del suo riavvicinamento con p. Grassi e della disponibilità del gesuita ad accogliere l'ipotesi copernicana. Per contro, nei mesi immediatamente successivi gli diede notizia di due veementi orazioni tenute al Collegio romano contro gli oppositori della filosofia naturale aristotelica. Della seconda di queste - il discorso di inaugurazione dell'anno accademico pronunciato dal padre Ambrogio Spinola il 5 nov. 1624 - il G. inviò a Galilei anche una copia del testo e quindi le sue censure a essa, articolate per punti, sul modello del Saggiatore, affinché il maestro le potesse emendare in vista di una pubblicazione (che però non avvenne). Il G. si dedicò inoltre con diligenza al compito affidatogli da Galilei di trasmettere agli amici romani il testo manoscritto della risposta dello scienziato alla Disputatio de situ et quiete Terrae di Francesco Ingoli, fino a quando la lontananza da Roma dei "padroni" Barberini non consigliò a Federico Cesi di differirne la divulgazione.

Nelle prime settimane del maggio 1625, compiuti i riti giubilari, il G. partì da Roma per Firenze, dove tornò alle consuete occupazioni. Riprese a partecipare alle adunanze dell'Accademia Fiorentina e alle messe in scena di spettacoli teatrali con i sodali dell'Accademia "di via San Gallo". Con questi ultimi, il 2 luglio 1629, recitò "nella solita chiesa" un componimento poetico su Giovanni Battista e uno su s. Andrea Corsini. Lettere sue e di altri corrispondenti di Buonarroti documentano a partire dal 1629 l'attivo coinvolgimento del G. nella gestione di un collegio per la formazione primaria dei giovani fiorentini. Presso questo istituto, di cui era stato forse anche fondatore, egli svolse funzioni di organizzazione, di promozione, di reclutamento del personale e anche di supplenza nei periodi di "interregno pedagogico".

Nei primi mesi del 1630, durante la quarantena imposta dal duca Ferdinando II ai Fiorentini per limitare il diffondersi della peste, il G. fu uno dei quattro patrizi deputati ad amministrare gli interventi straordinari per il sestiere di S. Maria Novella. Intorno alla fine dell'anno il G. compose un panegirico dell'operato del granduca in tale circostanza, rimasto manoscritto fino all'apparente remissione del contagio (Un panegirico a Ferdinando II granduca di Toscana per la liberazione di Firenze dalla peste, in F. Rondinelli, Relazione del contagio stato in Firenze l'anno 1630 e 1633…, Firenze 1634).

Gli interessi patrimoniali di famiglia portarono il G. nell'autunno 1630 a occuparsi di problemi idraulici. Nel settembre di quell'anno, infatti, egli sottoscrisse insieme con oltre centocinquanta proprietari terrieri un memoriale indirizzato al granduca affinché si approntasse un piano di intervento sul letto del fiume Bisenzio per evitarne le periodiche e rovinose esondazioni. Circa un mese dopo, il G. era tra i promotori del ricorso dei proprietari contro il progetto presentato dal perito granducale, che prevedeva il taglio di un nuovo letto per il fiume a spese dei proprietari espropriati. Per far valere la posizione della sua parte, il G. non esitò a rivolgersi direttamente all'amico Benedetto Castelli, del quale aveva già applicato al caso il Trattato della misura dell'acque correnti, pregandolo di inviare direttamente un suo parere ai magistrati competenti.

Probabilmente, il G. non fu estraneo neppure alla decisione imposta a dicembre del 1630 dai proprietari della valle del Bisenzio alla magistratura dei Fiumi affinché si nominasse Galilei tra i consulenti incaricati di dirimere la controversia tra le parti. Con Galilei, infatti, a Firenze il G. era tornato a vivere in grande intimità. Presso la sua abitazione, che frequentava assiduamente, fece la conoscenza di Famiano Michelini e di Bonaventura Cavalieri ed ebbe modo di seguire da presso la redazione e la stampa del Dialogo sopra i massimi sistemi. Nel 1632, quando Galilei partì per sottoporsi all'esame del S. Uffizio, lasciò al G. la cura dei suoi affari privati e il compito di mediare la sua corrispondenza con suor Maria Celeste. Nel periodo di assenza del maestro, per parte sua il G., che condivise fino all'ultimo le speranze degli amici fiorentini per la completa assoluzione di Galilei, tenne questo a giorno di tutte le notizie circolanti a Firenze relative al suo caso (per esempio la ventilata nomina come consulente del S. Uffizio di Scipione Chiaramonti); fu tra i più attenti registi della sperata intercessione del cardinale Luigi Capponi in favore del Dialogo ed espresse il suo parere nel merito di alcuni dei problemi sollevati dalla composizione dei Dialoghi delle nuove scienze già negli ultimi mesi del 1633. Lo studio filologico su quel testo per l'edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei, del resto, ha chiarito che il G. prestò una certa assistenza al maestro nel formulare almeno alcune proposizioni concernenti la dottrina del moto, dando forma ordinata ai risultati ottenuti da Galilei.

La stima per il G. rimase viva anche tra i Lincei, con i quali mantenne sempre stretti contatti. Nell'autunno 1629, per esempio, egli fu l'artefice dell'incontro tra Michelangelo Buonarroti e Federico Cesi, interessato ad alcune questioni genealogiche. Ancora nel 1637 Francesco Stelluti consigliava il G. a un anonimo corrispondente fiorentino come maestro di eccezione nelle matematiche e a lui ricorreva per distribuire a Firenze la sua sinossi della De humana physiognomonia di Giovanbattista Della Porta.

Le lettere dello Stelluti, insieme con una missiva del 1642 in cui Benedetto Castelli chiamava in causa il G. come revisore dei testi aggiunti ex novo alla terza edizione del Trattato della misura dell'acque correnti, costituiscono anche le ultime tracce della sua esistenza. Il G., infatti, morì a Firenze il 5 nov. 1646 e fu sepolto il giorno dopo nella chiesa d'Ognissanti.

Il Discorso delle comete e la Lettera al p. Tarquinio Galluzzi sono ristampati in tutte le edizioni collettive delle opere di Galilei fino all'Edizione nazionale, VI, Firenze 1961; il Discorso anche in Scienziati del Seicento, a cura di M.L. Altieri Biagi - B. Basile, II, Milano-Napoli 1960, pp. 75-137, e a cura di O. Besomi - M. Helbing, Roma-Padova 2002; le Lezioni due dette nell'Accademia Fiorentina in occasione delle Rime date in luce di Michelangelo Buonarroti, sono edite in Rime di Michelangelo Buonarroti il Vecchio, Firenze 1726 (poi in Rime di Michelangelo Buonarroti pittore, scultore e architetto…, a cura di Cesare Guasti, Firenze 1863, pp. CXIII-CXXXV); la seconda lezione è edita parzialmente e con il titolo di Lezioni accademiche, in R. Caverni, Problemi naturali di G. Galilei e di altri autori della sua scuola, Firenze 1874, pp. 233-237, e integralmente in Antologia della prosa scientifica italiana del Seicento, a cura di E. Falqui, I, Firenze 1943, pp. 269-279; una lettera del G. a Cesi datata 19 giugno 1620 in Lettere memorabili, istoriche, politiche ed erudite…, a cura di A. Bulifon, IV, Napoli 1698, pp. 43 s.; la Lettera al p. ab. Castelli, in Raccolta d'autori italiani che trattano del moto dell'acque, edizione quarta arricchita di molte cose inedite e d'alcuni schiarimenti, III, Bologna 1822, pp. 285 s. Il carteggio con Galilei è pubblicato nell'edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei, XI-XIX, ad indices. Le lettere relative all'attività lincea del G. sono edite da G. Gabrieli, Il carteggio scientifico e accademico tra i primi Lincei, in Id., Contributi alla storia dell'Accademia dei Lincei, I, Roma 1989, ad indicem.

Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti segnalate e pubblicate da A. Favaro e da G. Gabrieli, si vedano Arch. di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Processi secolo XVI, vol. 30; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 6464, cc. 179-184 (tre lettere, due a Francesco Barberini, 1623; una al cardinale Antonio Barberini, 1627); Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss., 219-220, 225, ad indices (carte di Gaspar Schopp); Ibid., Biblioteca dell'Ente Casa Buonarroti, vol. 48, cc. 1035-1068 (per le occorrenze del G. nelle lettere di altri corrispondenti del Buonarroti è possibile consultare la base dati della medesima biblioteca); P. Pagnini, Di alcuni documenti galileiani recentemente ritrovati, Firenze 1935, pp. 9-11 e passim; Notizie letterarie ed istoriche intorno agli uomini illustri dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1700, pp. 322-324; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1714, p. 388; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 398; G. Targioni Tozzetti, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana nel corso di anni LX del secolo XVII, I, Firenze 1780, p. 75; G. Abetti, Amici e nemici di Galileo, Milano 1945, pp. 115-129; S. Drake, Controversy of the comets of 1618, Philadelphia 1960; W.R. Shea, La rivoluzione intellettuale di Galileo, Firenze 1974, pp. 102-141; G. Volpi, Acta graduum Academiae Pisanae, II, 1600-1699, Pisa 1979, p. 54; S. Parodi, Quattro secoli di Crusca, 1583-1983, Firenze 1983, pp. 40, 53, 57, 62; Id., Catalogo degli accademici dalla fondazione, Firenze 1983, p. 48; P. Redondi, Galileo eretico, Torino 1983, passim; B. Basile, Eclisse d'autore. Galilei, G. e il "Discorso delle comete", in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Atti del Convegno…, Lecce… 1984, Roma 1985, pp. 571-585; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galilei, a cura di P. Galluzzi, II, Firenze 1985, pp. 1413-1474; G. Gabrieli, Contributi alla storia della Accademia dei Lincei, Roma 1989, ad indicem; U. Baldini, "Legem impone sub actis". Studi su filosofia e scienza dei gesuiti in Italia, 1540-1632, Roma 1992, pp. 188, 207 s., 214, 241, 257, 272 s.; A. Favaro, Scampoli galileiani, a cura di L. Rossetti - M.L. Soppelsa, I, Trieste 1992, pp. 391-393; M. Bucciantini, Contro Galileo. Alle origini dell'affaire, Firenze 1995, pp. 149-174; M. Camerota - O. Besomi, Galileo e il Parnaso tychonico, Firenze 2000, passim.

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