CEVOLOTTO, Mario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CEVOLOTTO, Mario

Mario Caravale

Nacque a Treviso, il 1º apr. 1887, da Aurelio a da Emilia Pascolato. Dopo aver compiuto gli studi secondari nella città natale, si laureò in giurisprudenza nell'università di Padova. Giovanissimo, cominciò a svolgere attività politica militando tra i radicali e si dedicò al giornalismo dirigendo il quotidiano cittadino La Provincia di Treviso. A Treviso pubblicò i suoi primi studi, dedicati alla storia letteraria della città: Dante e la Marca Trevigiana (1908) e Attorno all'opera di G. Cornelio Graziano (1909).

Trasferitosi successivamente a Roma, cominciò a svolgere la professione forense e a dedicarsi a studi penalistici. Dal 1911 iniziò a collaborare alla Rivista di diritto e procedura penale e l'anno successivo entrò a far parte della redazione della rivista Giustizia penale. Si interessò di vari problemi penalistici, come attestano le numerose note a sentenza e gli articoli da lui pubblicati, a partire da questi anni, nelle riviste ora ricordate. In particolare, approfondì aspetti penali della disciplina dei rapporti di lavoro con il volume I delitti contro la libertà di lavoro nel diritto penale italiano (Torino 1911).

Dopo una breve premessa storica e un rapido esame del diritto vigente negli altri Stati, il C. prendeva in considerazione la legislazione italiana precedente il codice penale. Quindi passava ad analizzare le disposizioni del codice. Al riguardo affermava che il legislatore italiano si era ispirato alla dottrina francese per creare la categoria dei delitti contro la libertà di lavoro, disciplinata dagli articoli 165 e seguenti. L'analisi di tali articoli e della relativa giurisprudenza lo induceva a concordare con la prevalente dottrina e a sostenere, quindi, che "qualsiasi reato commesso al fine di violare l'altrui libertà del lavoro dovrebbe rientrare nelle sanzioni di diritto comune; e le disposizioni speciali del nostro codice non sarebbero... in modo alcuno accettabili". Pertanto sosteneva che il legislatore avrebbe dovuto provvedere ad una revisione del codice, cancellando gli articoli 165 e seguenti e tutelando con disposizioni precise la libertà di coalizione e di sciopero.

Il suo nuovo interesse per il diritto penale, comunque, non gli fece abbandonare del tutto l'altro per la storia della sua città. Nel 1912, infatti, pubblicò a Treviso un breve saggio dal titolo Alle origini dello Studio di Trevigi. Una cattedra di decretali nel 1269, nel quale riprodusse e commentò il testo di un contratto professorale stipulato nel 1269 tra il Comune di Treviso e il canonico cremonese Flavio dei Dovari per l'insegnamento in quella città delle Decretali.

A Roma il C. continuò a militare nel partito radicale, all'interno del quale, allo scoppio della prima guerra mondiale, si schierò con gli interventisti. Partì, quindi, volontario per il fronte e prese parte a tutto il conflitto, guadagnandosi la promozione a capitano per meriti di guerra. Rientrato a Roma, continuò a svolgere attività giornalistica e a dedicarsi alla professione forense. Proseguì anche gli studi penalistici e nel 1920 pubblicò a Firenze il volume I sindacati e il diritto penale, nel quale riprendeva e approfondiva tematiche affrontate nel saggio precedente. Accentuò, inoltre, il suo impegno politico: divenne segretario della direzione del Partito radicale e prese parte alla vita amministrativa della città di Roma, accettando la presidenza delle tramvie municipali. Con altri radicali passò, poi, nel Partito democratico sociale e assunse una decisa posizione antifascista.

Posizione, questa, che egli tenne con fermezza anche all'interno della massoneria, cui era affiliato da tempo. Si oppose, infatti, alla maggioranza dei massoni che, temendo uno scontro frontale con il fascismo, aveva assunto un atteggiamento cauto verso il governo Mussolini e si mostrava disposta a fare concessioni importanti per garantirsi la sopravvivenza. Nel 1923 il Gran Consiglio del fascismo stabilì l'incompatibilità tra l'iscrizione al partito e l'affiliazione alla massoneria. Il Grande Oriente si dichiarò disposto ad accettare tale imposizione. Il C., che era presidente del rito simbolico italiano, si espresse, invece, in senso contrario e sostenne "che l'imposizione delle dimissioni equivale ad un obbligo di dichiarare pubblicamente la propria qualità di affiliato, contro tutta la tradizione e le stesse Costituzioni liberomuratorie" (Mola). Ma la sua opinione rimase minoritaria.

Durante gli anni del regime fascista il C. sembra essersi dedicato soprattutto alla professione forense e agli studi penalistici: continuò a collaborare a varie riviste, con articoli e note a sentenza. Nel 1931 pubblicò a Bologna un saggio di genere diverso: Carlo Goldoni,avvocato veneto, allo scopo - come dichiarava - di difendere, ricordando l'esempio del Goldoni, la professione forense dall'accusa, correntemente rivoltale, di disonestà e opportunismo. In effetti egli intendeva difendere soprattutto "la libera voce dell'avvocato a difesa di tutte le fedi e di tutte le idee" - come espressamente afferma nelle conclusioni - contro l'azione repressiva del governo. Della sua attività politica in questo periodo siamo poco informati. Il suo nome, ad esempio, non compare tra quelli dei massoni romani antifascisti più attivi e sottoposti a particolare controllo. Dovette, comunque, mantenere e rafforzare i vincoli di amicizia con i più rappresentativi esponenti delle correnti democratiche prefasciste, e in particolare con il gruppo che faceva capo a Bonomi e a Ruini.

Nel 1942 tale gruppo assunse il nome di Democrazia del lavoro e raccolse antifascisti provenienti dal radicalismo democratico, dal socialismo riformista e dall'omonimo raggruppamento demolaburista che, formatosi negli anni immediatamente precedenti, era composto da elementi della Sinistra democratica. Democrazia del lavoro si presentava come erede dell'Unione nazionale di Giovanni Amendola e cominciò a svolgere un'azione politica più incisiva a partire dai primi mesi del 1943quando cercò di spostare in senso antifascista l'alta borghesia romana e di prendere contatti diretti con la corte. Dopo il 25 luglio Democrazia del lavoro entrò subito a far parte del Comitato delle correnti antifasciste, la cui presidenza era stata assunta da Bonomi.

Il C. appare una delle personalità principali del raggruppamento. A lui fu, infatti, affidata la segreteria politica di Democrazia del lavoro. Come esponente di questa, insieme con Ruini e Persico, partecipò alla riunione dei rappresentanti dei partiti aderenti al Comitato (D.C., P.C.I., P.S.I.U.P., P.d'A., P.L.I. e D.L.) tenutasi a Roma l'11 agosto presso lo studio del democristiano Spataro. Nella riunione i partiti decisero di non appoggiare il governo Badoglio, di cui criticavano la politica interna autoritaria, la mancata rottura con il regime fascista, nonché la decisione di proseguire la guerra. Il 9 settembre i partiti formarono il Comitato centrale di liberazione nazionale: Democrazia del lavoro vi fu rappresentata dal C., da Ruini e da Bonomi. Inoltre il C. venne nominato membro della Giunta militare del comitato medesimo.

Sebbene ricercato dalla polizia, il C. rimase a Roma durante l'occupazione nazista e continuò a svolgere la sua attività nel Comitato e nella Giunta militare. Fu, tra l'altro, presente alla riunione tenutasi il 23 marzo 1944 in casa di monsignor Barbieri, nel corso della quale si manifestò la prima frattura all'interno del Comitato centrale tra comunisti, socialisti e azionisti da una parte, democristiani, demolaburisti e liberali dall'altra. Il giorno successivo Bonomi si dimise dalla presidenza del Comitato.

Nello stesso periodo Democrazia del lavoro, anche con il contributo del C., cominciò a meglio precisare la propria posizione politica. Essa proponeva un incontro "tra il liberalismo classico - considerato ormai superato in quanto chiuso ai problemi del lavoro e dei lavoratori... - e il socialismo, del quale rifiutava la teoria della lotta di classe". Essa pertanto aspirava a presentarsi come l'"equivalente del partito laburista inglese", come "un partito che comprendesse tutte le forze del lavoro, del lavoro manuale come del lavoro intellettuale" (Piccione). Un partito, dunque, di "centro-sinistra", come dirà lo stesso C. dopo la liberazione di Roma. Al suo interno si delinearono in seguito due diverse correnti, quella moderata e quella più progressista. Fino a quando venne conservata l'unità delle forze antifasciste, la prima - rappresentata da Ruini e Bonomi - fu decisamente prevalente. E i demolaburisti, pur operando attivamente per conservare quell'unità e per superare i contrasti, furono soprattutto preoccupati di frenare l'azione dei partiti della Sinistra. In occasione delle decisioni più importanti si trovarono perciò schierati dalla parte dei partiti moderati. Fino al 1946 la posizione politica del C. non sembra discostarsi in modo evidente da quella di Bonomi e Ruini, anche se egli curò di sottolineare il carattere progressista della proposta demolaburista.

Con la liberazione di Roma il gruppo assunse ufficialmente il nome di Partito democratico del lavoro. Il C. continuò ad esserne il segretario politico ed operò attivamente per l'organizzazione del partito nelle regioni liberate. Consistenti risultati raggiunse nell'Italia meridionale, dove il partito riuscì a porsi come polo di attrazione per i raggruppamenti della Sinistra democratica sorti prima della liberazione di Roma. Così, nel settembre 1944, vi confluirono i gruppi meridionali di Democrazia sociale e del Partito del lavoro: la fusione venne sancita in un convegno tenutosi a Napoli il 12 settembre. Il C., invece, non ottenne validi risultati al Nord: qui il partito, pur prendendo parte alla lotta di liberazione con le brigate "Lavoro e progresso", non riuscì ad essere ammesso nel C.L.N.A.I. e a crearsi una consistente organizzazione.

Nel corso del 1944 il C. intervenne nel dibattito politico soprattutto per sostenere l'accordo tra i partiti antifascisti (si veda, ad esempio, il suo articolo sul quotidiano del partito Ricostruzione del 13 sett. 1944). Si interessò anche a questioni generali attinenti alla nuova vita democratica del paese. Ad esempio, il 21 luglio 1944 sostenne su Ricostruzione la necessità di abrogare immediatamente il codice civile del 1942 perché troppo impregnato di ideologia fascista. A suo parere, in attesa di una nuova codificazione, era opportuno rimettere in vigore il precedente codice del 1865 al quale poche leggi avrebbero potuto apportare le indispensabili modifiche e i necessari aggiornamenti.

Il 12 dic. 1944 fu chiamato da Bonomi a far parte del suo secondo governo come titolare del ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Conservò anche la segreteria del partito e, dopo la liberazione dell'Italia settentrionale, operò per migliorarvi la rete organizzativa. Ma - pur riuscendo a far confluire alcuni gruppi minori nel partito - non ottenne grandi risultati, poiché qui l'area democratico-liberale era stabilmente controllata dal P.R.I., Partito d'Azione e dal P.L.I. Nella relazione che tenne a fine maggio 1945 al primo consiglio nazionale del partito, il C. tracciò la linea politica demolaburista e comunicò i dati organizzativi.

Quanto alla prima, egli ribadì che il partito rifiutava la contrapposizione frontale tra lo schieramento moderato e quello di sinistra e sceglieva, al contrario, la via delle riforme graduali. Quanto alla rete organizzativa, il C. offrì dati precisi sulla situazione delle regioni centromeridionali dai quali risultava che il partito era in fase di espansione. Generici erano, invece, i dati sull'Italia settentrionale, a testimonianza dello scarso seguito dei demolaburisti in quelle regioni (la sua relazione in Ricostruzione del 30 maggio 1945). A conclusione dei lavori il Comitato nazionale elesse il C. nella direzione del partito e nominò al suo posto come segretario politico Ruini.

Nel giugno 1945 il C. venne chiamato da Parri a far parte del governo come ministro dell'Aeronautica. Tenne questo dicastero anche nel successivo governo De Gasperi (dicembre 1945). Nel 1946, poi, si presentò candidato alle elezioni per l'Assemblea costituente. Era già cominciata la crisi del partito demolaburista, che non riusciva ad affermarsi sugli altri partiti dell'area democratico-liberale, mentre si andava delineando palesemente la contrapposizione tra lo schieramento moderato e quello dei partiti di sinistra. I candidati demolaburisti si presentarono nelle liste di Unità democratica nazionale che comprendevano anche liberali e democratici di diversa estrazione. Il C. presentò la sua candidatura in tre collegi dell'Italia centrosettentrionale, ottenendo il maggior numero di voti nel collegio della sua città natale: fu eletto, però, nel collegio unico nazionale.

Alla Costituente fece parte del gruppo di Democrazia del lavoro e il 19 luglio 1946 entrò a far parte della commissione dei settantacinque incaricata di predisporre il testo costituzionale. Fu quindi nominato nella prima sottocommissione e venne, in particolare, incaricato di esaminare la disciplina dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica.

In proposito il C. si batté con decisione a favore della piena libertà religiosa e contro ogni posizione privilegiata della Chiesa. Si oppose alla formulazione dell'art. 7 proposta dai democristiani, ma gli emendamenti da lui presentati vennero respinti dalla maggioranza che si creò su quella proposta. Fu, su questo articolo, relatore di minoranza in assemblea.

Il suo contributo alla discussione del testo costituzionale, peraltro, non si limitò all'art. 7. Si deve ricordare che nel novembre 1946 egli propose per l'art. 1 la formula "Lo Stato italiano è una repubblica democratica" che venne approvata nella commissione dei settantacinque, ma poi fu respinta in assemblea, ove venne sostituita con l'altra - ritenuta meno esatta dai costituzionalisti - "L'Italia è una repubblica democratica". Inoltre, nel gennaio-marzo 1947 partecipò alla discussione sui poteri da attribuire alle regioni. Egli sostenne la necessità di limitare la potestà legislativa delle stesse per evitare contrasti con la legislazione dello Stato; ma non per questo accettava le proposte di decisa riduzione delle competenze regionali, tanto che fu contrario all'ordine del giorno presentato in questo senso da Togliatti nel gennaio. Fece anche parte del comitato dei diciotto, incaricato di rivedere il testo predisposto dai settantacinque prima di presentarlo in assemblea. Infine, prima del termine dei lavori della Costituente, fu nella speciale commissione che doveva rivedere il testo dello statuto siciliano, in modo da renderlo armonico con quello della costituzione: di questa commissione fu anche relatore in assemblea insieme con il democristiano Tosato.

Nel frattempo la crisi del partito demolaburista si era andata accentuando. Lo scarso seguito elettorale, il consolidarsi dei partiti tradizionali e soprattutto l'accentuarsi della contrapposizione nello schieramento politico italiano avevano portato allo scioglimento del partito. Nelle elezioni amministrative del 1947 i demolaburisti si presentatono come indipendenti nelle liste di altri partiti. Le due tendenze - quella moderata e quella progressista - da sempre presenti all'interno del partito erano diventate, nella nuova situazione politica, inconciliabili. Il C. scelse allora lo schieramento dei partiti della Sinistra e nel dicembre 1947, insieme con altri demolaburisti come Molè, Cerabona e Gasparotto, aderì al Fronte popolare. Il suo spostamento politico sembra avvenuto proprio negli anni della Costituente e soprattutto nel 1947 con la definitiva rottura dell'unità delle forze antifasciste e con il prevalere dello schieramento moderato guidato dalla D.C. Contro il governo De Gasperi egli parlò nel gennaio 1948 accusandolo di indebite pressioni sugli organi di stampa e di impedire in tal modo un libero svolgimento della campagna elettorale. L'Assemblea approvò la sua proposta di abolire ogni forma di censura governativa preventiva per le pubblicazioni.

Dopo il 1948 il C. si allontanò dalla politica attiva. Morì a Viareggio il 6 aprile del 1953.

Fonti e Bibl.: M. C., in Ricostruzione, 12 dic. 1944; I. Bonomi, Diario di un anno(2 giugno 1943-10 giugno 1944), Milano 1947, pp. 71, 162; Elezioni per l'Assemblea costituente e referendum istituzionale(2 giugno 1946), a cura dell'Ist. centrale di statistica e Ministero dell'Interno, Roma 1948, pp. 72, 93 s., 103; P. Calamandrei, Storia di dodici anni, I, in Scritti e discorsi politici, a cura di N. Bobbio, Firenze 1966, I, pp. 300-302; Id., Discorsi parlam. e politica costituz., ibid., III, p. 137; M. La Torre, Cento anni di vita polit. e amministrativa italiana,1848-1948, III, Firenze 1954, pp. 94, 128; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1955, pp. 702, 708; R. Battaglia, Storia della Resistenza ital., Torino 1964, pp. 82 n., 198 n.; R. Zangrandi, 1943: 25 luglio-8 settembre, Milano 1964, pp. 215, 811, 862 s.; R. Colapietra, La lotta polit. in Italia dalla liberazione di Roma alla Costituente, Bologna 1969, pp. 31, 33, 88, 248, 499, 501; D. Novacco, Dalla paralisi fascista al rinnovamento democratico, in Storia del Parlamento ital., XIII, Palermo 1969, ad Indicem; Id., La prima legisl. del Parlamento della Repubblica,ibid., XIV, ibid. 1971, pp. 115, 122; E. Piscitelli, Il governo Parri, in Italia 1945-48. Le origini della Repubblica, Torino 1974, p. 20; Id., Da Parri a De Gasperi. Storia del dopoguerra 1945-48, Milano 1975, pp. 50, 60 n., 231; A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere D. C., Bari 1975, ad Indicem; E. Cheli, Il problema stor. della Costituente, in Italia 1943-50. La ricostruzione, a cura di S. J. Woolf, Bari 1975, ad Indicem; A. A. Mola, Storia della massoneria italiana dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, ad Indicem; D. Piccione, Appunti sulla organizzazione della Democrazia del Lavoro, in La ricostit. dei partiti democratici 1943-48. La nascita del sistema polit. italiano, a cura di C. Vallauri, Roma 1977, I, pp. 565 s.; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, II, pp. 54-56 (s.v.Democratico del lavoro), partito; Diz. stor. pol. ital., p. 337.

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