MARINO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARINO

Valeria Beolchini

– Duca di Napoli, secondo di questo nome. Figlio di Giovanni (III) e della senatrix Romanorum Teodora, identificabile con ogni probabilità con la cugina del princeps Alberico di Roma, nacque intorno al terzo decennio del X secolo, come si evince dal fatto che nel 944, anno in cui risulta per la prima volta associato al potere, era ancora «infra aetatem» (Monumenta…, I, 2, p. 50).

Dalla seconda metà del IX secolo nel Ducato di Napoli si instaurò la consuetudine della coreggenza di padre e figlio, da cui derivarono il progressivo rafforzamento del principio dinastico e, conseguentemente, l’eliminazione dei problemi connessi al trapasso del potere. In origine la legittimità del potere ducale si fondava sulla nomina da parte dell’imperatore bizantino, ma nel X secolo la sudditanza dei duchi napoletani nei confronti del lontano sovrano si era ormai trasformata in un rapporto puramente nominale.

Nonostante si siano conservate solo scarse testimonianze relative al Ducato napoletano nel X secolo, risulta con chiarezza che M. svolse un ruolo subordinato al padre durante gli oltre due decenni di coreggenza, conclusasi con la morte di Giovanni (fine 968 - inizi 969). La prima attestazione di M. è quella, ricordata, del febbraio 944, in un atto con il quale il duca Giovanni, a nome suo e del figlio, donò all’abate di S. Vincenzo al Volturno una cella e alcuni terreni vicino Napoli. Agli stessi anni risale la notizia dell’accoglienza riservata dalla famiglia ducale all’abate Oddone di Cluny, segno del favore di cui godevano le istituzioni monastiche presso il casato napoletano, ma anche dell’attenta politica di ricerca di equilibri svolta dai duchi nel frammentario contesto politico dell’Italia meridionale.

Nel X secolo il Mezzogiorno era suddiviso in potentati territoriali autonomi: i Ducati bizantini di Napoli, Amalfi e Gaeta; i Principati longobardi di Salerno, Capua e Benevento; le due signorie monasteriali di S. Benedetto di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno; i tre Temi bizantini di Puglia, Lucania e Calabria, poi riuniti intorno al 975 nell’unico Catepanato d’Italia.

L’instabilità del quadro politico e la precarietà degli equilibri territoriali risultarono evidenti in occasione degli avvenimenti seguiti alla morte del principe di Salerno Guaimario (II), cui M. dovette partecipare al fianco del padre. Nel 946 il duca di Napoli si alleò con Landolfo (II), principe di Capua e Benevento, allo scopo di impadronirsi del vicino Principato di Salerno approfittando della giovane età del principe ereditario Gisulfo. Il tentativo fu però reso vano dall’intervento a favore di Gisulfo del duca di Amalfi, Mastalo. Pochi mesi dopo, l’alleanza fra Giovanni (III) e Landolfo (II) risulta già sciolta e gli equilibri capovolti: questa volta furono i due principi longobardi Gisulfo e Landolfo ad allearsi contro il vicino Ducato, di cui devastarono il territorio e distrussero la città di Nola.

Negli anni successivi la politica di Giovanni (III) e di M. divenne strettamente difensiva e in tale chiave è interpretabile il momentaneo distanziarsi del Ducato dalla lealtà bizantina. Dal 950 circa erano infatti ripresi gli attacchi saraceni lungo le coste calabresi, per timore dei quali i duchi decisero di stringere un’alleanza con i musulmani. Nel 955 giunse a Napoli l’esercito bizantino capeggiato dallo stratega Mariano Argiro, inviato dall’imperatore allo scopo di ristabilire l’autorità bizantina sui Napoletani, ma i duchi rifiutarono di aprire le porte della città per timore di una vendetta saracena. Argiro pose Napoli sotto assedio e ne bloccò ogni via di accesso, fino a quando nel 956 la città si arrese e tornò all’antica obbedienza. I timori di M. e del padre si rivelarono però fondati: nel 958 una flotta saracena attaccò la città e si ritirò solo alla notizia dell’arrivo dei soccorsi greci, nonostante i duchi avessero già pagato un ingente tributo in vasellame prezioso.

Se si esclude l’episodio del 956, durante gli anni di governo congiunto di M. e del padre le relazioni con i sovrani bizantini si mantennero sempre buone. Ne è testimonianza l’ambasceria inviata dai due duchi agli imperatori Costantino VII e Romano II, in una data che tradizionalmente viene fissata intorno al 956.

Quale sia stata la ragione all’origine di tale ambasceria non è noto, anche se la più recente critica storiografica è concorde nel ritenere che non nacque dalla necessità di stringere rapporti di pace. Di certo si sa che l’incarico fu affidato all’arciprete Leone, al quale la famiglia commissionò anche l’acquisto di quanti più manoscritti greci gli fosse stato possibile.

Ben poche sono le notizie sul decennio successivo; con tutta probabilità una volta rimasto vedovo, tra il 959 e il 965, Giovanni (III) lasciò la gestione del Ducato nelle mani di M., il quale attuò una cauta politica difensiva tesa a mantenere il territorio il più possibile al di fuori dei giochi di potere di pontefici e imperatori.

Pare anzi che la relazione di formale dipendenza dall’imperatore bizantino sia stata utilizzata dai duchi napoletani come strumento politico-diplomatico nelle relazioni con i vicini potentati longobardi, basando su di essa la proclamata indisponibilità a cedere diritti e possedimenti su cui non detenevano piena sovranità.

La progressiva affermazione dell’Impero ottoniano in Italia meridionale e la crescita di potere di Pandolfo (I) Capodiferro costituivano per il Ducato di Napoli una grave minaccia all’indipendenza e autonomia. Fu così che, quando nel 969 il patrizio Eugenio sconfisse a Bovino Pandolfo Capodiferro, M., ormai da solo alla guida del Ducato, decise di unirsi con le sue truppe all’esercito bizantino, partecipando all’assedio di Capua. La città riuscì a resistere all’attacco e, dopo 40 giorni, Eugenio abbandonò l’impresa e rispedì l’esercito in Puglia. Prima di riunirsi alle truppe, Eugenio passò per Salerno e fu ospite del principe Gisulfo che, in tale occasione, concesse alcuni benefici a M. e questi a sua volta gli prestò giuramento. Nel frattempo un esercito di Alamanni, Sassoni e Spoletini, al comando del conte Cono, era giunto in soccorso di Capua, ma non trovandovi più l’esercito bizantino volse i propri attacchi contro il Ducato napoletano. Nonostante le ripetute devastazioni al territorio, Napoli riuscì a resistere all’assedio finché le truppe non proseguirono verso Sud, dove conquistarono Avellino e sconfissero l’esercito bizantino presso Ascoli Satriano.

Nel maggio del 970 il Ducato napoletano subì un nuovo pesante attacco: l’imperatore Ottone I, appresa la notizia della morte del basileus Niceforo, decise di tentare la conquista del Mezzogiorno. Napoli fu posta sotto assedio, ma ancora una volta riuscì a resistere agli attacchi, nonostante la ferocia delle truppe imperiali. L’esercito proseguì verso la Puglia e pose sotto assedio Bovino, finché verso la metà del 971 fu raggiunto l’accordo fra i due Imperi, poi suggellato dal matrimonio fra Ottone II e la principessa bizantina Teofano.

Il ritrovato equilibrio politico fu di breve durata: nel 973 la situazione campana era di nuovo instabile e gli interessi dei vari potentati locali si concentrarono su Salerno. Il primo a prendere l’iniziativa fu Pandolfo Capodiferro, il quale per proteggersi le spalle prima di avanzare contro Salerno saccheggiò il Ducato napoletano vendicando così l’assedio di Capua di quattro anni prima. Gisulfo riuscì però a sbarrare la strada all’esercito nemico e un nuovo accordo fu sottoscritto fra i due principi longobardi.

Diverso esito ebbe la congiura ordita ai danni di Gisulfo da Landolfo, conte di Conza, zio per parte materna del principe di Salerno ed esule a Napoli da quasi un trentennio. Avvalendosi di intese interne a Salerno oltre che dell’appoggio di M. e del duca Mansone di Amalfi, accomunati dall’interesse che Salerno non cadesse nelle mani di Capodiferro minando di conseguenza l’autonomia dei loro Ducati, nell’estate del 973 Landolfo organizzò una congiura contro il principe Gisulfo e sua moglie Gemma, che furono catturati ed esiliati ad Amalfi. Landolfo assunse il titolo di principe e distribuì fra i suoi figli i vari distretti del Principato. Ben presto sorsero però discordie fra i vari pretendenti al titolo principesco: Indolfo di Sarno, figlio di Landolfo cui originariamente era stato promesso il titolo, fu mandato in esilio ad Amalfi, mentre il fratello Landolfo (omonimo del padre) – che alla morte del fratello maggiore Landenolfo era stato nominato successore alla contea di Laurino – trovò in M. un sostegno alle sue pretese principesche e ottenne dal padre di essere associato al trono (fine 973 - inizi 974). Nell’arco di pochi mesi la situazione si rovesciò nuovamente: Indolfo di Sarno, rientrato a Salerno, riuscì a organizzare dall’interno il diffuso malcontento, e Pandolfo Capodiferro nel giugno del 974 attaccò la città per riportare sul trono il legittimo principe, Gisulfo. Dalle fonti non risulta che M. abbia preso parte alla battaglia, e la difesa di Salerno fu lasciata ai soli Amalfitani.

L’ultima attestazione di M. risale al novembre del 975, data in cui emanò un diploma a favore del monastero dei Ss. Severino e Sossio di Napoli. Dal documento risulta che M. era all’epoca insignito oltre che del titolo di consul et dux, anche dei titoli onorifici bizantini di imperialis anthipatus et patricius (cfr. Monumenta, I, 2, p. 130), a conferma una volta di più del legame esistente con l’imperatore bizantino.

Secondo la Tabula chronologica… (ibid., II, 2, p. 258), M. morì poco tempo dopo, probabilmente nel 976. Non è chiaro se Sergio (III), suo successore, fosse suo figlio, ma di certo non ne continuò la politica, visto che non assunse mai titoli onorifici bizantini.

Fonti e Bibl: Regii Neapolitani Archivi monumenta, Neapoli 1845-61, I, p. 57; II, p. 239; Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, a cura di B. Capasso, Neapoli 1881-92, I, 1, pp. 111, 114 s., 127 s., 339 s.; I, 2, pp. 1 n. 52, 50 n. 64, 56 n. 70, 58 s. n. 195, 123 s. n. 208, 130; II, 2, pp. 2 n. 2, 5-7 n. 5, 15-17 n. 7, 94 s. n. 1, 107-110, 258; Il «Chronicon Vulturnense» del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], LVIII-LIX, Roma 1925, I, pp. 54, 58; II, pp. 98, 167; Chronicon Salernitanum. A critical edition…, a cura di U. Westerbergh, Stockholm 1956, pp. 175, 182; G. Gay, L’Italia meridionale e l’Impero bizantino. Dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (867-1071), Firenze 1917, pp. 294, 301, 311; M. Schipa, Il Mezzogiorno d’Italia anteriormente alla monarchia. Ducato di Napoli e Principato di Salerno, Bari 1923, pp. 120-122; F. Hirsch - M. Schipa, La Longobardia meridionale (570-1077). Il Ducato di Benevento - Il Principato di Salerno, Roma 1968, pp. 167-169; G. Cassandro, Il Ducato bizantino, in Storia di Napoli, II, 1, Napoli 1969, pp. 165, 170-172, 187 s., 204; P. Skinner, Family power in Southern Italy. The Duchy of Gaeta and its neighbours, 850-1139, Cambridge 1995, pp. 71, 86 s., 92, 98.

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