MARIANO d'Arborea. - Giudice d’Arborea, quarto di questo nome, nacque a Oristano probabilmente nel 1319, secondogenito del giudice Ugone de Bas-Serra. Il padre aveva svolto un ruolo decisivo nella conquista catalano-aragonese della Sardegna alleandosi con Giacomo II re d’Aragona e fornendo al corpo di spedizione dell’infante Alfonso un consistente aiuto economico e militare. Per ricompensare Ugone, che in base agli ordinamenti altomedievali esercitava una sovranità piena, già nel 1323 il re gli concesse in feudo «totum iudicatum Arboree» e i territori extragiudicali allora in suo possesso. Per suggellare l’alleanza con Giacomo II, Ugone inviò M. e il fratello Giovanni a Barcellona per ricevere un’educazione pari al loro grado; i due furono trattati come membri della famiglia regnante: d’altra parte gli Arborea discendevano dai catalani visconti di Bas.
Tra il 1339 e il 1340 M. commissionò al pittore lorenzettiano conosciuto come «Maestro delle tempere francescane» la pala di Ottana che raffigura il vescovo Silvestro e il donnikellu M. nelle vesti di cavaliere cinto di spada (Serra).
Ai primi del 1347 Pietro (III) morì senza discendenti diretti e M. salì sul trono di Arborea. Agli inizi proseguì la politica filoaragonese del padre e del fratello; anche se già da qualche anno si avvertivano i segni di crisi dell’alleanza, per il mancato riconoscimento da parte della Corona del ruolo di predominio degli Arborea nell’isola. Quando scoppiò la guerra tra Pietro IV e i Doria, che avevano ampi possedimenti nel Nord della Sardegna e i borghi fortificati di Alghero e Castelgenovese (oggi Castelsardo), M., pur restando fedele al re, si mantenne defilato. Nell’agosto del 1347 i Catalani furono sconfitti dai Doria nella battaglia di Aidu de Turdu nei pressi del villaggio logudorese di Bonorva e i pochi scampati si rifugiarono nel castello del Goceano: nel 1348 il re affidò a M. la procura per trattare la pace con i Doria.
Con astuto calcolo M. alzò la posta per ricontrattare l’alleanza con l’Aragona. Il 31 marzo 1353, rispondendo al re che gli chiedeva di radunare fanti e cavalieri per respingere un’eventuale invasione genovese, gli propose di autorizzarlo ad acquistare la fortezza e il territorio di Alghero, «ricettacolo di nemici». Non si trattava di un vantaggio personale (poiché rappresentava un ulteriore aggravio di spese) ma di una reciproca utilità: il vero sostegno della Corona in Sardegna era la solidità dell’accordo con l’Arborea. In principio il re pensò di accettare la richiesta; a corte era però forte il partito avverso a M., i Montcada, che peroravano la causa di Giovanni; altri sostenevano che non si dovesse cedere ai ricatti di un feudatario sardo e da Cagliari, inoltre, il governatore generale sconsigliava ulteriori ingrandimenti dei territori giudicali. La risposta fu perciò negativa. Già qualche mese prima era stata segretamente aperta un’inchiesta sui danni provocati da M. agli ufficiali e ai domini regi. Pur mantenendo una posizione neutrale, M. si mostrava sempre più compiacente verso i Doria, dando loro aperto sostegno in uomini e denaro, permettendo alle loro truppe il libero passaggio nei territori giudicali, rifornendo di vettovaglie la fortezza di Alghero. La situazione cambiò quando il 18 luglio partì da Valencia una flotta comandata dall’ammiraglio Bernat de Cabrera, che il 27 agosto sconfisse a Porto Conte l’armata genovese. Il 30 Alghero si arrese. Il 3 settembre Cabrera intimò a M. di presentarsi ad Alghero per discolparsi del suo comportamento ambiguo e della arbitraria prigionia di Giovanni, ma soprattutto per fare atto di sottomissione. Accettare avrebbe significato ridimensionare la propria sovranità; M. preferì inviare in sua vece la moglie Timbors, parente del Cabrera. Le trattative non ebbero risultati, anche per l’atteggiamento contrario della Municipalità cagliaritana. A metà settembre scoppiò inevitabilmente la guerra.
M. aveva notevoli capacità militari, come stratega e come comandante. Grazie alle cospicue esportazioni cerealicole – egli stesso commerciava in proprio – il Giudicato aveva le risorse per sostenere un esercito capace di confrontarsi alla pari con quello catalano: disponeva di fanti e cavalieri reclutati nei villaggi e anche di un corpo di balestrieri e di un forte nerbo di soldati di ventura comandati da capitani italiani. Da una lettera (non datata) di Caterina da Siena a fra Guglielmo d’Inghilterra su una progettata crociata risulta che M. aveva dato la disponibilità ad andare in Terrasanta con un proprio esercito.
In ottobre iniziò a Cagliari l’istruttoria del capitano generale del Regno nei confronti di M. per i crimini di fellonia e lesa maestà. In realtà la guerra del 1353-54 era ancora una rivolta feudale fatta a difesa dell’autonomia giudicale e degli ingrandimenti territoriali acquisiti, ma evitando una rottura senza ritorno col re.
Dinanzi al deteriorarsi della situazione, Pietro IV allestì una costosissima spedizione per stroncare le ribellioni nell’isola. L’enorme flotta, comandata dallo stesso re, arrivò il 22 giugno 1354 a Porto Conte: l’obiettivo era riconquistare Alghero.
Il 13 novembre fu firmata la cosiddetta pace di Alghero, con la quale M. ottenne molti degli obiettivi per cui aveva preso le armi: l’autonomia di governo del Giudicato, la libertà di commercio dai porti arborensi, l’infeudazione delle terre galluresi e la clausola che il governatore generale del Regno fosse persona a lui gradita. A queste condizioni il 16 novembre Pietro IV poté impossessarsi di Alghero.
Col trattato di Sanluri si aprì un decennio di pace, durante il quale M. si dedicò alla riforma delle strutture di governo, al riordino della legislazione e alla modernizzazione della società arborense.
Nel proemio della Carta de Logu (emanata tra il 1390 e il 1392) la giudicessa Eleonora richiamò il testo della precedente Carta (promulgata forse tra il 1367 e il 1374) da suo padre, che non era stata emendata e riformata da oltre sedici anni e necessitava quindi di revisione. Poiché non ci è pervenuta la Carta de Logu di M. è impossibile stabilire quanto Eleonora abbia riprodotto o innovato della legislazione paterna. Nella Carta di Eleonora, dunque, sarebbe stata inserita in pieno la Carta di M. che esprimeva la cultura romano-canonistica del suo compilatore (Era, 1960). La probabile data di promulgazione dovrebbe essere il 1374, anno plausibile per questa iniziativa (Cortese, 1999), poiché M. era stabilmente in possesso di quasi tutto il territorio isolano. Non ha avuto molto credito la tesi di Di Tucci secondo cui la Carta de Logu sarebbe stata influenzata dal diritto catalano-aragonese: oltre la rielaborazione delle antiche consuetudini locali anche la Carta di M., come quella pervenuta di Eleonora, si sarebbe inserita nell’ambito della tradizione statutaria italiana e, in particolare, di quella pisana e avrebbe recepito ampiamente il diritto romano che in Sardegna vigeva per via consuetudinaria. Un legame con la tradizione culturale italiana era dato anche dalla persistenza nella Cancelleria arborense – riorganizzata da M. – dei caratteri diplomatistici e grafici sardo-pisani a proposito della scrittura (la minuscola cancelleresca), dello stile della datazione (quello pisano), dei formulari usati: si sarebbe trattato insomma di una «gotica cancelleresca arborense» che avrebbe marcato un’autonomia dalla letra catalana con l’emanazione di «documenti statali» recanti tutti gli «attributi della sovranità» (Casula, 1978).
Nel 1364-65 la ripresa del conflitto contro l’Aragona si inserì in un diverso contesto politico e diplomatico; innanzitutto M. aprì le ostilità approfittando della guerra in corso tra Castiglia e Aragona: Pietro IV non era infatti in grado di combattere su due fronti. Nel 1364, sfruttando a proprio favore i ritardi di due lustri nel pagamento del censo dovuto alla S. Sede dal re, M. (che dal 1355 a sua volta non corrispondeva più il censo annuo al re) pensò di sfruttare la propensione palesata da Urbano V di dare a lui l’investitura del Regnum Sardiniae, togliendola a Pietro IV.
L’offensiva militare antiaragonese si sviluppò di nuovo verso il Campidano e il Sigerro: nel 1365 M. si mosse verso Cagliari conquistando villaggi e castelli e Villa di Chiesa, che si era ribellata. Nella primavera del 1366 fu costruito a Selargius, alle porte di Cagliari, un campo fortificato che bloccava i rifornimenti alla città. Le truppe giudicali saccheggiarono i borghi cagliaritani e le saline, ma il castello non era intenzionato a cedere. M. intanto, che disponeva ancora una volta dell’appoggio genovese, aprì un nuovo fronte nel Nord. Nel 1367 guadagnò al proprio campo Brancaleone Doria, signore di Castelgenovese, già alleato della Corona, aprendo le trattative per il matrimonio della terzogenita Eleonora (nata probabilmente tra il 1350 e il 1352; la secondogenita Beatrice aveva sposato nel 1363 il visconte Aimerich di Narbona), che avrebbe portato in dote la rocca di Casteldoria. Un’alleanza con i Doria, cementata dal matrimonio, era decisiva per la guerra anticatalana e la conquista dei territori isolani.
Pietro IV nel giugno 1368 sbarcò a Cagliari un’armata che, approfittando della debolezza delle difese arborensi, puntò su Oristano, che non era stata mai assediata dalle truppe aragonesi. L’assedio durò poche settimane: il donnicello Ugone giunse in soccorso alla testa di un esercito reclutato nei territori regi occupati. Mentre i Catalani si preparavano alla battaglia, M., con grande intuito, uscì dalla città attaccandoli alle spalle e sconfiggendoli. Nel 1369, dopo breve assedio, fu conquistata Sassari. Nel 1370 la presenza aragonese in Sardegna era ridotta alle città di Cagliari e Alghero e ai castelli di San Michele, Gioiosaguardia, Acquafredda e Quirra. Nel 1374 la flotta genovese, in appoggio a M., forzò il porto di Cagliari ma fu respinta dalla resistenza delle truppe regie.
Ma proprio nel momento di maggior potenza, M. morì nel maggio del 1375 in un’epidemia di peste.
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