MARIA de’ Medici, regina di Francia. - Nacque a Firenze il 26 apr. 1573, da Francesco I, granduca di Toscana, e da Giovanna d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo.
Rimasta orfana di madre in tenera età, M. fu allevata alla corte di Firenze, con l’attenzione che si confaceva a una principessa del suo rango.
Oltre al granduca, che rimase una figura di sfondo, anche perché morì abbastanza presto, nel 1587, M. fu legata alla sorella Eleonora, dal 1584 duchessa di Mantova, al fratellastro don Antonio de’ Medici, al cugino Virginio Orsini, duca di Bracciano, e alla moglie di questo, Flavia Damasceni Peretti. Il rapporto più profondo e duraturo, però, fu quello con Leonora Dori Galigai, figlia della sua balia e compagna di giochi durante l’infanzia. Donna di notevole intelligenza e spiccata personalità, fu nominata nel 1588 cameriera di M. ed esercitò una forte influenza su di lei, tanto che finì per giocare un qualche ruolo nelle trattative per il matrimonio di Maria. Non va tuttavia trascurato un altro legame, che allo stato attuale delle ricerche resta ancora abbastanza oscuro: quello con Passitea Crogi, singolare figura di religiosa cappuccina e profetessa, assai ben accetta alla corte medicea, che avrebbe predetto il futuro matrimonio di M. con Enrico IV. M. rimase sempre molto legata a Passitea, la invitò due volte in Francia, nel 1602 e nel 1609 e fece pubblicare una sua vita (V. Venturi, Vie incomparable de la bienheureuse mère Passidée de Sienne, Paris 1627).
Le trattative per accasare M. furono iniziate dal nuovo granduca, lo zio Ferdinando I, alla fine degli anni Ottanta del Cinquecento. Si trattò per un matrimonio con un rampollo di casa Este o Farnese, poi con il duca Teodosio di Braganza, infine con Mattia d’Asburgo, fratello dell’imperatore Rodolfo II, che era rimasto vedovo, o con lo stesso Rodolfo. L’ipotesi asburgica acquistò una qualche consistenza, ma verso il 1592 Ferdinando cominciò a pensare a un matrimonio francese. Le ragioni di questo cambiamento di prospettiva non sono del tutto chiare. Si può tuttavia ipotizzare che Ferdinando desiderasse un legame con la Francia sia per controbilanciare la forte influenza ispano-imperiale sul Granducato sia per ottenere più facilmente la restituzione dei grossi prestiti elargiti alla Corona francese. L’ipotesi di un matrimonio con Enrico IV era del resto caldeggiata dalle famiglie toscane che, trasferitesi in Francia sotto Caterina de’ Medici, avevano raggiunto posizioni di spicco nella politica e nella finanza, come i Gondi. Proprio uno dei Gondi, Geronimo, grande banchiere, formulò le prime richieste al granduca nel 1599.
Il contratto di matrimonio tra il re di Francia e M. fu firmato a Firenze il 25 apr. 1600. Il 5 ottobre, a Firenze, M., ignara della promessa fatta a Henriette, sposò per procura Enrico IV, rappresentato dal granduca Ferdinando, e ricevette da Roger de Bellegarde l’anello nuziale donatole dallo sposo. Il matrimonio fu solennizzato da una serie di celebrazioni estremamente elaborate, con un fastoso ricevimento a palazzo Vecchio, al quale seguì, il giorno successivo, la rappresentazione di una favola pastorale destinata a rimanere un punto importante nella storia della musica, l’Euridice, scritta da Ottavio Rinuccini e musicata da Iacopo Peri e Giulio Caccini.
M. giunse a Parigi il 9 febbr. 1601 ed ebbe un’impressione assai sfavorevole della reggia, il Louvre, che aveva un aspetto trascurato e semiabbandonato. Ben presto anche le sue impressioni sul marito dovettero subire alcune brusche correzioni, a causa del persistente legame tra Enrico IV e la favorita Henriette d’Entragues, che, sin dall’inizio, si dimostrò assai poco disposta a cedere il passo alla nuova regina.
M. rimase incinta molto presto e già il 27 sett. 1601 partorì il suo primo figlio, il futuro Luigi XIII, al quale seguì, nel novembre 1602, Elisabetta, futura regina di Spagna. L’evento fu straordinariamente festeggiato e M. poté misurare l’affetto dei sudditi per la monarchia, le cui sorti apparivano ora più rosee che in passato. Il piccolo Luigi fu poi trasferito nel castello di Saint-Germain-en-Laye, dove sarebbero cresciuti anche gli altri figli di M., che, rimessasi rapidamente dal parto, riprese il suo posto a fianco del re.
Nell’ambiente della corte francese M. stabilì rapporti piuttosto stretti con diversi personaggi dell’aristocrazia, come l’anziana duchessa Catherine de Clèves, vedova di Henri de Lorraine duca di Guisa, e sua figlia Louise Marguerite, futura principessa di Conti, e Henriette-Catherine duchessa di Montpensier, e con personaggi di qualche rilievo politico e finanziario, come il ministro M. de Béthune, duca di Sully, e il banchiere, di origine lucchese, Sebastiano Zamet, ma rimase soprattutto legata all’ampia colonia italiana. Anche in questa fase il personaggio centrale nella vita di M. rimase la sua antica amica Leonora Dori, nominata dame d’atour della regina, che nel 1601 sposò il fiorentino Concino Concini, un avventuriero conosciuto durante il viaggio matrimoniale di M., discendente da una famiglia importante, ma visto con generale diffidenza, sia a Firenze sia a Parigi. I due ricevettero un cospicuo dono di 70.000 lire tornesi e, soprattutto, si garantirono un posto di rilievo, seppure non di primissimo piano, a corte. L’ascesa di Concini fu tuttavia lenta; solo nel 1605 fu nominato maître d’hôtel della regina, mentre risale al 1608 il conferimento all’astuto fiorentino della carica di premier écuyer di Maria. L’influenza dei due su di lei era del resto valutata negativamente da Enrico IV, che pure fece da padrino alla secondogenita dei Concini, Maria, nata nel 1608.
Uno degli aspetti della vita di M. che più ha attratto l’interesse dei biografi è la natura dei suoi rapporti con Enrico IV. Specialmente tra fine Ottocento e inizio Novecento si è molto insistito sulle loro frequenti liti, proponendo un’immagine di M. come burbera consorte di un marito donnaiolo. La realtà era più sfumata. L’affetto di Enrico IV per la moglie, in effetti, fu rilevato da molti osservatori e non può essere messo in discussione. Esisteva però il nodo del rapporto tra il re e Henriette d’Entragues, che si prolungò con alterne vicende dal 1599 al 1608 e creò a tratti tensioni assai aspre. In gioco, più che l’amore, c’era la posizione a corte della favorita e dei figli. Su questa questione, cerimoniale e politica innanzitutto, si produsse un grosso scontro tra il re e M. nel corso del 1604. Di fronte alla pretese di Enrico IV di riunire i suoi figli legittimi e illegittimi per farli allevare insieme, M. reagì vietando ogni contatto tra i bambini e ciò provocò una rottura, che fu in qualche modo ricucita grazie all’intervento di Sully. Nel 1605 Henriette cadde momentaneamente in disgrazia, in quanto implicata, con tutta la sua famiglia, in una congiura per assicurare, con l’appoggio della Spagna, il trono al figlio Gaston, che la favorita aveva avuto da Enrico IV nel 1601, ma già nel 1606 i tradimenti coniugali ripresero.
Anche il rapporto di M. con i figli è stato discusso. Le ricerche dell’erudizione ottocentesca hanno diffuso e consolidato un’immagine di M. come madre assente. Una tale visione è tuttavia molto legata alla memorialistica ostile a M. e deve essere sostanzialmente corretta sulla base di dati piuttosto sicuri. È vero che il delfino crebbe fino all’età di 7-8 anni fuori dalla corte sotto la tutela di un’istitutrice severa, Françoise de Longuejou, baronessa di Monglat, alla quale peraltro il futuro Luigi XIII restò sempre affezionato, e visse traumaticamente le assenze dei genitori e la non calorosa affettività di M.; tuttavia, il soggiorno a Saint-Germain-en-Laye fu scelto per ragioni di salute, data la nota insalubrità del Louvre. Inoltre, M. dimostrò sempre un’attenzione premurosa nei riguardi dei figli, e in particolare del primogenito, come è testimoniato dallo straordinario diario del medico del delfino, J. Héroard (Journal, a cura di M. Foisil, Paris 1989).
Il 10 febbr. 1606 M. diede alla luce una figlia, Cristina, che sposerà Vittorio Amedeo di Savoia e accompagnò per alcuni mesi il marito, impegnato nella repressione della rivolta del duca Henri de Bouillon. Nell’aprile 1607 nacque un altro figlio, Nicolas, che morì nel 1611, e nel 1608 la successione reale fu definitivamente consolidata con la nascita di Gaston, futuro duca di Orléans. Ultima tra i figli di M. fu Enrichetta Maria, che nacque nel novembre 1609.
Il ritmo delle gravidanze non poteva tuttavia occultare il tormentato rapporto coniugale. Dopo il progressivo distanziamento da Henriette d’Entragues, Enrico IV concepì un folle innamoramento per la giovane Charlotte de Montmorency. Per facilitare il suo ingresso a corte, il re decise di farla sposare con suo nipote, Henri (II) de Bourbon, principe di Condé. Inizialmente la manovra riuscì, ma ben presto il principe di Condé si rese conto della natura delle attenzioni del sovrano nei confronti della giovane moglie e fuggì con lei nei Paesi Bassi spagnoli, creando una forte tensione diplomatica tra Francia e Spagna. M., che era a conoscenza della vicenda, non manifestò apertamente i suoi sentimenti, ma operò segretamente per ostacolare i progetti del marito.
Nonostante i dissidi, M. ottenne dal marito un importante riconoscimento il 12 maggio 1610, quando fu fastosamente incoronata nell’abbazia di St-Denis. Due giorni dopo, la sua vita subì un’improvvisa svolta a causa dell’assassinio di Enrico IV, per mano di François Ravaillac.
La morte del re rappresentò un colpo gravissimo per M.: ora si apriva una situazione del tutto nuova, in cui M. doveva assumere compiti di governo ai quali era largamente impreparata, senza disporre di collaboratori a lei legati da un rapporto personale di fiducia.
Mentre si svolgeva il processo a Ravaillac, che fu giustiziato il 27 maggio 1610, M. fu dichiarata reggente dal Parlamento di Parigi e, in quella veste, prese alcuni provvedimenti per assicurare l’ordine pubblico e conciliarsi il favore popolare, sopprimendo alcune tasse. Il 17 ott. 1610 il giovane Luigi XIII, che aveva raggiunto il suo nono anno, fu incoronato a Reims.
La reggenza di M. si apriva in un contesto politico complesso, in cui l’autorità monarchica era sfidata da importanti esponenti dell’aristocrazia e i risultati raggiunti dal forte governo di Enrico IV rischiavano di essere cancellati dalla ripresa di una guerra civile strisciante. M. aveva avuto la fortuna di poter assumere la reggenza mentre l’elemento più pericoloso della fronda aristocratica, il principe di Condé, si trovava ancora lontano da Parigi, ma ben presto le lotte fazionarie ripresero. Di fronte ai rischi di implosione della struttura politica francese, M. dovette limitarsi ad assorbire le spinte centrifughe, alternando non frequenti affermazioni di autorità a concessioni che tacitassero l’alta nobiltà, mantenendola in uno stato di precaria fedeltà alla Corona. Mancò invece quasi del tutto una progettualità tesa a riformare lo Stato.
L’inizio dell’ascesa di Concini coincise con la fine del potere di Sully, che tuttavia fu vittima delle tensioni che stavano esplodendo tra gli antichi collaboratori di Enrico IV, più che di una mai dimostrata ostilità da parte di Maria. Già nell’estate del 1610 si avvertirono i segni di una svolta politica imminente. La grande aristocrazia, capeggiata dal principe di Condé, richiese un allargamento del Consiglio di reggenza e un alleggerimento della pressione fiscale e trovò una qualche sponda in Sully, che rifiutò di partecipare all’incoronazione di Luigi XIII, in esplicita polemica con la reggente e con il suo collega Villeroy. Nell’ottobre 1610 Sully fu richiamato a corte e M. trovò un accordo con Condé che, in dicembre, ottenne alcune piazzeforti e cospicue sovvenzioni economiche. Si inaugurava così una politica di alienazione del patrimonio regio, largamente praticata negli anni seguenti, ma che suscitò la recisa opposizione di Sully. Dopo un nuovo scontro con Villeroy, all’inizio del 1611 Sully ruppe definitivamente con M. e diede le sue dimissioni da ministro delle Finanze, ottenendo tuttavia di conservare le sue lucrose cariche legate al governo del Poitou. Il licenziamento di Sully non provocò una crisi politica: M. e Villeroy seppero manovrare abilmente e riuscirono a staccare i principi protestanti dal vecchio ministro, che cessò ogni attività politica.
Gli eventi del 1610-11 chiarirono che la reggenza sarebbe stata un regime debole, costretto a confrontarsi con la crescente aggressività aristocratica.
Conscia della debolezza della struttura centrale di governo, M. accettò il programma politico fissato all’inizio del 1611 da Villeroy in un Avis a cui seguirono, fino al 1614, altri memoriali, dedicati specificamente alla politica estera. L’idea guida era di perseguire una politica di pacificazione interna, assorbendo il ribellismo dell’aristocrazia mediante concessioni politiche e finanziarie, e di disimpegnarsi dai conflitti europei limitandosi a salvaguardare la posizione internazionale della Francia. Anche in questi ambiti, tuttavia, M. si mosse almeno in parte lungo le linee tracciate da Enrico IV.
Sul piano internazionale, l’avvio di un rapporto cordiale con la Spagna può essere fatto risalire al 1610, quando M. ritirò le truppe francesi dalla Germania, ponendo così le premesse per una soluzione del conflitto intorno al Ducato di Jülich-Cleves-Berg, che fu però sancita solo con il trattato di Xanten nel novembre 1614. Poco dopo prese corpo l’idea di stabilizzare l’intesa tra le due grandi potenze rivali, un’idea nata da Villeroy, dal ministro Pierre Jeannin, dal cancelliere Nicolas Brulart de Sillery e caldeggiata dal Papato in funzione antiprotestante. In questo ambito maturò pure, già nel corso del 1610, l’idea di un patto matrimoniale franco-spagnolo con le nozze incrociate tra Luigi XIII e Anna d’Austria e tra l’infante Filippo e la giovanissima Elisabetta di Borbone. Nel gennaio 1612 il progetto era giunto a uno stadio avanzato e fu reso pubblico nel corso di un ricevimento al Louvre.
La scommessa sul fatto che la stabilizzazione internazionale avrebbe consentito un rafforzamento dell’autorità monarchica fu presto perduta, di fronte al coagularsi dell’opposizione aristocratica intorno al principe di Condé, che pure, in una prima fase, aveva dato il suo consenso alle trattative matrimoniali. I più gravi problemi politici cominciarono nel 1614. In febbraio Condé lasciò la corte e pubblicò un manifesto con cui attaccava Concini e chiedeva la convocazione degli Stati generali. M. dovette scendere a patti con il partito dei principi e firmò il trattato di Sainte-Ménehould (maggio 1614), con cui accettò di convocare gli Stati generali e concesse ai ribelli una serie di elargizioni economiche che misero a dura prova il Tesoro. Nel contempo M. cercò di rinsaldare l’affetto del popolo per la monarchia, intraprendendo un viaggio nelle province occidentali della Francia per mostrare il giovane Luigi XIII ai ceti dirigenti locali.
Il 1614 fu, sotto molti aspetti, un annus mirabilis. Mentre continuava una guerra civile strisciante, il 2 ottobre Luigi XIII fu dichiarato maggiorenne, nell’estremo tentativo di rilanciare il declinante prestigio della monarchia. Poco dopo, il 27 ottobre, si aprirono gli Stati generali.
La riunione, a tratti disorganica, si tramutò in una sconfitta di Condé e in un potente sostegno alla monarchia, anche se non mancarono richieste di una politica economica che conducesse a una riduzione del peso della taille e all’abolizione della paulette. M. si impegnò ad attuare le riforme proposte dagli Stati ma, di fatto, non prese alcuna iniziativa concreta e, così facendo, finì per offrire argomenti al partito di Condé, che poté uscire dalla marginalità in cui era caduto. Nel corso delle sedute degli Stati generali cominciò a segnalarsi un prelato di notevole intelligenza, A.-J. du Plessis de Richelieu, che presentò all’assemblea il cahier del clero; nel novembre 1615 fu nominato elemosiniere di Anna d’Austria e da quella data la vita del futuro cardinale rimase a lungo intrecciata a quella di Maria.
La conclusione degli Stati generali (febbraio 1615) portò a una breve stabilizzazione politica, nonostante il perdurare dei tentativi di Condé per indebolire l’autorità di Maria.
Con la conclusione degli Stati generali fu possibile portare a compimento il progetto dei cosiddetti matrimoni spagnoli. Il 9 nov. 1615, sul fiume Bidassoa, Luigi XIII accolse sua moglie, Anna d’Austria, mentre la figlia di M., Elisabetta, fu affidata al suo sposo, il principe delle Asturie, futuro Filippo IV. Anche se i rapporti tra Luigi XIII e Anna d’Austria si rivelarono non privi di problemi, il doppio matrimonio rappresentò un grande successo diplomatico che ridisegnava i rapporti internazionali della Francia, anche se, sul piano interno, non produsse gli effetti sperati. Già nel maggio del 1615 Condé ed Henri de La Tour d’Auvergne, duca di Bouillon, che erano stati in prima linea nell’opposizione ai matrimoni spagnoli, cominciarono ad ammassare un esercito, reclamando l’applicazione integrale delle riforme proposte agli Stati generali. Pur disponendo di forze sufficienti a rintuzzare questa nuova ribellione, M. temette il rischio di un’escalation militare e riprese trattative diplomatiche che sfociarono nel trattato di Loudun (maggio 1616). In virtù di questo nuovo accordo, i principi ribelli furono in qualche modo ridotti all’obbedienza con una distribuzione massiccia di governi e pensioni, ma era evidente che si trattava di un armistizio che poteva preludere a una ripresa delle ostilità. Alla fine di luglio 1616 Condé rientrò a corte, dopo una serie di importanti avvicendamenti nel ministero, con le dimissioni del guardasigilli Nicolas Brulart de Sillery, rimpiazzato da Guillaume du Vair, la nomina di Claude Barbin, intendente della casa della regina, a controllore generale e quella di Claude Mangot a segretario di Stato, e la disgrazia di Villeroy. Con questo massiccio ricambio fu definitivamente cancellato il vecchio gruppo di governo che M. aveva ereditato da Enrico IV e si formò una struttura di governo largamente nuova, che prevedeva un’inedita convivenza tra Concini e Condé. Di fatto si profilò un ministero infeudato a Concini e privo dell’autorevolezza necessaria a elaborare una politica coerente sulle grandi questioni del momento, dal rapporto con la Spagna alla questione degli ugonotti. Per un breve periodo, nell’estate del 1616, Condé manovrò per liberarsi di Concini e isolare M., ma il 1° sett. 1616 il principe fu arrestato con un colpo di mano e rinchiuso nella Bastiglia. Poco dopo, alla fine di novembre, Richelieu, che aveva saputo accattivarsi il favore di Concini e, sebbene giovane, era reputato un personaggio di valore, entrò nel Consiglio al posto di Mangot, che divenne guardasigilli.
Gli eventi del 1616 furono valutati dai contemporanei come un trionfo di Concini. E nella stessa maniera dovette pensarla la plebe parigina, che in settembre aveva distrutto il palazzo di Concini a Faubourg-Saint-Germain. Privi di Condé, i principi reagirono in maniera scomposta. All’inizio del 1617 Bouillon, Henri de Lorraine, duca di Mayenne, Carlo I Gonzaga, duca di Nevers, e César Bourbon duca di Vendôme, uno dei bastardi di Enrico IV, si ribellarono, sostenuti da una pubblicistica che denunciava il dominio degli stranieri sulla Francia. Il partito dei principi si dimostrò tuttavia incapace di spingere fino in fondo la ribellione e fu messo rapidamente in difficoltà dalle truppe regie. Sembrava, dunque, che anche questo pronunciamento potesse essere sopito con la concessione di qualche carica e prebenda, quando un fatto nuovo segnò la fine del potere di Maria. Il colpo non venne, questa volta, dall’aristocrazia, ma da un personaggio che lei e i suoi consiglieri avevano sottovalutato: Luigi XIII.
Nel corso del 1617, in un contesto politico sempre più cupo, Luigi XIII maturò il progetto di liberarsi di Concini. La questione fu più volte discussa con Luynes e con M. Déageant, un burocrate al servizio di M. come collaboratore del controllore generale Barbin, ma non si riuscì a elaborare un piano credibile per realizzare quello che era un vero e proprio colpo di Stato. Finalmente, alla fine di marzo si decise di tentare l’arresto di Concini durante una delle sue visite al Louvre, affidando l’incombenza al capitano delle guardie, Nicolas de l’Hôpital, duca di Vitry. M. ebbe qualche notizia delle frequenti riunioni che si tenevano nelle stanze di Luigi XIII ma, ancora una volta, sottovalutò il figlio e non riuscì a intuirne i progetti.
La mattina del 24 apr. 1617 Concini stava entrando al Louvre quando fu affrontato da Vitry e dai suoi che, di fronte a un accenno di reazione, lo uccisero. Al momento dell’uccisione di Concini, M. si trovava nelle sue stanze e nel giro di pochi minuti ricevette la notizia. Dopo qualche ora di smarrimento cercò di ottenere udienza da Luigi XIII, ma questi rifiutò di riceverla e la confinò nei suoi appartamenti.
M. rimase per nove giorni nei suoi appartamenti al Louvre, «derelitta e abbandonata» (G. Bentivoglio, Memorie, Venezia 1647, p. 313), mentre Luigi XIII si rifiutava ostinatamente di vederla. Il 3 maggio 1617, dopo un freddo commiato dal figlio, M. dovette lasciare Parigi e stabilirsi nel castello di Blois. Di fatto, le condizioni di M. erano prossime a quelle di una prigioniera. Guardata a vista da alcune compagnie di soldati, le fu vietato di lasciare il castello, dove era circondata da una piccola corte, sopravvissuta ai processi che avevano colpito i suoi più importanti collaboratori, nella quale spiccavano Clemente Bonsi, vicario generale della diocesi di Béziers e, fino all’estate del 1617, Richelieu, che cercò con scarsa fortuna di accreditarsi presso Luynes come credibile tramite tra Luigi XIII e sua madre.
Tuttavia la situazione politica rimase incerta. Nel corso del 1617 si verificarono tentativi di riavvicinare Luigi XIII e M., ma furono gli stessi interessati a condannare quei tentativi al fallimento. Del resto, si era in una fase in cui il sovrano sembrava deciso a proseguire fino in fondo le sue vendette contro i fedeli della madre, prima fra tutti Leonora Dori, che fu processata per stregoneria e decapitata l’8 luglio 1617.
Nel 1618 appariva ormai chiaro che la disgrazia di M. non era passeggera. Luigi XIII temeva un suo ritorno a corte e Luynes la fece sorvegliare strettamente. Dopo un primo periodo, le fu concesso di mantenere contatti epistolari, ma nel frattempo si fece il vuoto tra i suoi fedeli. Richelieu fu relegato ad Avignone, mentre il ministro Barbin, accusato di aver mantenuto una corrispondenza politica con M., nell’agosto 1618 fu condannato alla reclusione a vita. La stessa M., a novembre, fu indotta a firmare una dichiarazione con cui assicurava che non avrebbe tentato di influire sugli affari del Regno, ottenendo in cambio la mitigazione delle condizioni di reclusione.
All’inizio del 1619 M. decise di fuggire da Blois, fidando nell’appoggio di alcuni importati aristocratici, e in particolare di Jean-Louis de Nogaret de La Vallette, duca d’Epernon, governatore di Metz e luogotenente generale delle milizie del Regno. Il 22 gennaio evase rocambolescamente con il suo piccolo seguito e, in marzo, raggiunse le forze del duca d’épernon ad Angoulême; da lì promosse una campagna pubblicistica, che non ottenne grande successo, contro i ministri di Luigi XIII. Questi, da parte sua, si mosse con una certa cautela, limitandosi a far liberare Condé e a creare un cordone di truppe fedeli con cui limitare l’estensione della rivolta. In aprile la Corona si orientò a fare concessioni che sfociarono nel controverso trattato di Angoulême (12 maggio 1619). Il trattato prevedeva un perdono per i partigiani di M. e la concessione a questa del governo dell’Angiò, in cambio di quello della Normandia, e di una serie di punti fortificati (Angers, Chinon, Ponts-de-Cé). Ma la precipitazione con cui avvenne la stesura del trattato lasciò una serie di questioni aperte, che furono solo in parte risolte da ulteriori colloqui nella seconda metà dell’anno.
Nel settembre 1619 M. e Luigi XIII si incontrarono ufficialmente nel castello di Couzières, presso Tours, ma dal colloquio non venne una vera rappacificazione, tanto che M. rifiutò di tornare a Parigi e si stabilì ad Angers. Nuove tensioni si produssero a ottobre per la riabilitazione di Condé, interpretata da M. come un’altra sconfessione della sua politica.
Nella prima metà del 1620 si sviluppò una nuova rivolta nobiliare, a cui aderirono personaggi di prima grandezza come il duca di Mayenne, il principe Henri (II) de Rohan ed Henri de Gondi, cardinale di Retz. M. cercò di dirigerla promuovendo la pubblicazione di una serie di manifesti che reclamavano riforme politiche e amministrative ma, di fatto, i ribelli non riuscirono a coordinare la loro azione e condannarono al fallimento la rivolta. Dopo un inutile colloquio di pacificazione tra M. e alcuni ministri di Luigi XIII, nel luglio 1620 il sovrano impose ai suoi pavidi consiglieri di passare all’azione e già il 7 agosto le truppe regie ottennero una facile e decisiva vittoria sui ribelli nella battaglia di Ponts-de-Cé.
Dopo la vittoria, Luigi XIII e Luynes manifestarono una non del tutto comprensibile volontà di accordo e iniziò una nuova, fitta trattativa, che tardò ad approdare a una conclusione. Mentre Richelieu auspicava un pronto rientro di M. a corte, M. poneva come condizione un ridimensionamento del ruolo di Luynes e, non ottenendo di rientrare nel Consiglio, rimase nell’Angiò suscitando sospetti sulle sue intenzioni. Le circostanze finirono per favorire i disegni di Maria. Nel 1621 Luynes intraprese una sfortunata campagna contro gli ugonotti del Sud della Francia, che si concluse con lo scacco dell’assedio di Montauban e con la morte del favorito (dicembre 1621), a causa di una banale influenza.
Grazie a questo inaspettato evento, la situazione di M. e del suo protetto Richelieu migliorò rapidamente. In un primo momento, M. cercò di riallacciare i rapporti con il figlio inviando prima il maresciallo Louis de Marillac, conte di Beaumont-le-Roger, e poi Richelieu a corte, ma non ottenne granché. Pur privo di un favorito, Luigi XIII era molto legato ai consigli di Condé, di Henri de Schomberg, duca di Nanteuil-le-Haudouin, e di Henri de Gondi che gli suggerivano prudenza. Nondimeno, sin dal febbraio 1622 M. poté rientrare in Consiglio. In seguito, la morte del cardinale di Retz aprì nuovi spiragli. M. ottenne che Richelieu fosse candidato alla berretta cardinalizia, che gli fu concessa già nel settembre 1622.
Alla fine del 1622 Richelieu si riavvicinò al ministro degli Esteri, Pierre Brulart, visconte di Puisieux, e al guardasigilli Nicolas Brulart de Sillery e cominciò ad accreditarsi come l’unico personaggio capace di imprimere una nuova direzione all’azione di governo, sostenendo una politica estera pacifica ma ferma rispetto agli Spagnoli, che ottenne un primo successo con il trattato di Parigi (7 febbr. 1623), che rinsaldò l’alleanza con Venezia e la Savoia. Nel frattempo M. offriva il suo contributo al rafforzamento del ruolo politico della Francia esplorando la possibilità di un matrimonio tra la figlia Enrichetta Maria e l’erede al trono d’Inghilterra, il futuro re Carlo I Stuart.
Tra il 1623 e il 1624 M. infittì le sue pressioni per ottenere da Luigi XIII l’entrata di Richelieu nel Consiglio. Il sovrano, inizialmente, resistette ma, di fronte all’evidente mediocrità degli altri consiglieri, cominciò a dare credito alle osservazioni della madre, alla quale, in questa fase, era particolarmente legato. Il 29 apr. 1624 Richelieu entrò in Consiglio, imponendosi rapidamente sugli altri membri. Già in agosto Charles de La Vieuville, sovrintendente alle Finanze, al quale veniva attribuita la responsabilità della politica estera rinunciataria degli ultimi anni, fu rimosso dalla carica e processato.
Alla metà degli anni venti del Seicento M. aveva riacquistato un ruolo di primo piano, anche se, ammaestrata dagli avvenimenti degli anni precedenti, tendeva a non esporsi troppo. Del resto, Luigi XIII era attorniato da fedeli della regina, primi fra tutti Michel de Marillac, sovrintendente alle Finanze dall’agosto del 1624, e Richelieu. Anche se è difficile analizzare con precisione la reale influenza di M. sulla politica francese di quegli anni, è abbastanza evidente che si identificava in pieno con la politica perseguita da Richelieu.
La principale questione su cui M. si impegnò in quegli anni, il matrimonio inglese di Enrichetta Maria, si concluse felicemente nel novembre 1624 grazie all’opera di Richelieu. Il matrimonio fu celebrato per procura a Parigi l’11 maggio 1625 e festeggiato due settimane dopo con un fastoso ricevimento al palais du Luxembourg, che rappresentò per M. un piccolo trionfo, rafforzato dal peggioramento dei rapporti tra Luigi XIII e Anna d’Austria. Nel corso del ricevimento gli invitati poterono ammirare il ciclo della vita di M., dipinto da Rubens per la grande galleria sulla base di un programma iconografico ispirato dalla stessa protagonista, che valorizzava una lettura della recente storia di Francia in cui la regina madre assumeva un ruolo centrale e gli episodi di contrasto con il figlio venivano riassorbiti in un’immagine pacificante e gloriosa.
Anche in tale circostanza, M. occupò un posto di rilievo, almeno a livello cerimoniale, mentre non risulta che si sia opposta alle iniziative di Richelieu, che pure andavano contro i suoi desideri di mantenere buoni rapporti con la Spagna e con il Papato. Congedatosi il cardinale Barberini con un sostanziale nulla di fatto, M. partecipò, alla fine di settembre, a una grande assemblea di notabili, nella quale poté nuovamente misurare il prestigio che aveva ormai riacquistato.
In quel giro di anni, la situazione interna francese rimase instabile. Ai nodi irrisolti del rapporto tra la monarchia e gli ugonotti, che si erano sollevati in diverse aree della Francia, si aggiunsero i tormentati rapporti tra Luigi XIII e suo fratello, l’inquieto Gaston, duca d’Angiò e, dal 1627, duca di Orléans.
Fu una delle tante promesse non mantenute dall’incostante duca. Due mesi dopo, Gaston fu coinvolto in un altro complotto, promosso dal maestro della guardaroba del re, Henri de Talleyrand-Périgord, conte di Chalais, che fu arrestato e giustiziato il 19 agosto e, dopo aver subito un vero e proprio interrogatorio davanti a Luigi XIII e a M., Gaston dovette piegarsi a sposare la duchessa di Montpensier (6 ag. 1626). Questi intricati complotti turbarono non poco la vita di corte, ma rafforzarono ulteriormente la posizione di M., anche a causa del coinvolgimento dell’entourage di Anna d’Austria nelle trame di quei mesi.
Il ruolo di M. rimase importante anche nei due anni successivi, quando Luigi XIII e Richelieu affrontarono la guerra contro gli ugonotti, fino alla sua conclusione, con la caduta di La Rochelle il 28 ott. 1628. Durante i lunghi periodi in cui Luigi XIII fu impegnato presso l’esercito, tra l’autunno del 1627 e l’autunno del 1628, M. fu chiamata ad assumere nuovamente il titolo di reggente, pur senza rivestire compiti di direzione politica, che rimasero nelle mani di Richelieu.
Il 1628 fu per molti aspetti un anno di svolta. M. vide nella sconfitta degli ugonotti il coronamento della politica da lei avviata durante la reggenza e ritenne forse che si potesse aprire un periodo di relazioni cordiali con la Spagna, ma l’evoluzione della politica internazionale finì per frustrare le sue aspettative.
Alla fine del dicembre 1627 la morte senza eredi del duca Vincenzo II Gonzaga aprì una crisi europea e offrì alla Francia l’occasione di rimettere in discussione l’assetto italiano, sostenendo con le armi i diritti del duca Carlo I di Gonzaga Nevers. Il 26 dic. 1628, nel corso di un consiglio, le posizioni favorevoli e contrarie alla guerra si confrontarono. Mentre Richelieu, appoggiato da de Schomberg, sostenne con tutto il peso della sua autorevolezza il progetto di un intervento militare in Italia, i capi del partito dei dévots, il cardinal Pierre de Bérulle, il guardasigilli Michel de Marillac e la stessa M. si opposero a una tale prospettiva, riproponendo la vecchia politica della reggenza, basata sul mantenimento di buoni rapporti con la Spagna, e sostennero l’esigenza di proseguire la guerra contro gli ugonotti nella Linguadoca per rafforzare l’autorità regia all’interno del Paese. Luigi XIII, una volta di più, accettò la proposta di Richelieu. Nel gennaio 1629 il sovrano assunse personalmente il comando dell’esercito che muoveva verso l’Italia e M. fu nominata reggente. La campagna in Piemonte fu fortunata ma non risolutiva e si affiancò a una nuova spedizione contro i protestanti del Midi, che si concluse nel giugno con la resa dei ribelli. I successi militari ritardarono solo di qualche mese l’esplosione dei conflitti latenti all’interno del gruppo dirigente che attorniava Luigi XIII. Dopo la morte di Bérulle, il 2 ott. 1629, il partito dei dévots ebbe difficoltà a contenere il crescente attivismo di Richelieu e M. cominciò a presentarsi, con la sua consueta irruenza, come un’implacabile antagonista del cardinale.
In febbraio, M. e Luigi XIII furono concordi nell’opporsi a un progetto di matrimonio tra Gaston d’Orléans, rimasto vedovo nel 1627, e Marie de Nevers. In agosto, però, si verificò un primo scontro aperto tra M. e Richelieu, che indusse quest’ultimo a presentare le sue dimissioni, prontamente respinte dal sovrano. Da questa data, gli eventi precipitarono rapidamente. Nell’autunno del 1629 ripresero le ostilità in Italia settentrionale e i Francesi rientrarono in Piemonte per difendere Casale. Dopo un consiglio tenuto a Lione, Luigi XIII assunse il comando dell’armata tra nuove lamentele di M., che temeva per la salute del figlio e giudicava avventurista la politica di contrapposizione con la Spagna. Questa volta la spedizione militare fu assai meno fortunata, anche a causa dell’esplosione di un’epidemia di peste, e il sovrano dovette rientrare in patria, mentre Richelieu assunse la direzione delle operazioni in Italia, che ottennero alterni successi. Se infatti le truppe francesi occuparono Pinerolo, rafforzando le posizioni sul versante italiano delle Alpi, nel luglio 1630 un esercito imperiale mise a sacco Mantova. Proprio questo evento, sembra, convinse definitivamente M. a prendere le distanze da Richelieu.
Nel settembre 1630, mentre si trovava a Lione, Luigi XIII cadde gravemente ammalato. In breve tempo fu in fin di vita e ricevette l’estrema unzione. In una situazione confusa gli avversari di Richelieu, il maresciallo Louis de Marillac, François de Bassompierre, marchese d’Haroué, e Charles de Lorraine, duca di Guisa, cominciarono a elaborare piani per il futuro. Si prevedevano già l’ascesa al trono di Gaston d’Orléans, il ritorno al potere di M. e l’allontanamento o, come propose il maresciallo Marillac, l’uccisione del cardinale. Le condizioni del sovrano migliorarono, ma nel frattempo i plenipotenziari francesi firmarono il trattato di Ratisbona (13 ott. 1630), con cui la Francia si impegnava a non appoggiare i nemici dell’Impero. Era, per molti versi, una sconfessione della politica di Richelieu e una vittoria del partito di M., e il cardinale rifiutò di ratificarlo rinfocolando l’ostilità della regina madre.
Nel novembre del 1630 la corte fece ritorno a Parigi e Richelieu cercò di riallacciare rapporti cordiali con M., ma senza riuscire nell’intento. Probabilmente M. riteneva di aver riacquistato il suo ascendente su Luigi XIII, da lei premurosamente assistito durante la malattia, e decise di aprire le ostilità licenziando Richelieu dalla carica di sovrintendente della sua casa. Si giunse così alla convulsa giornata dell’11 nov. 1630, nota come journée des dupes.
Nelle settimane successive Richelieu poté celebrare il suo trionfo e prendersi le sue vendette. Bassompierre fu inviato alla Bastiglia, dove rimase per dodici anni, Michel de Marillac fu recluso e, dopo non molto (1632), morì, mentre suo fratello Louis, che comandava l’armata d’Italia, fu processato e decapitato.
Rimasta isolata politicamente e umanamente, M. rifiutò con ostinazione le offerte di riconciliazione che le venivano da Richelieu e Luigi XIII, alternando manifestazioni di orgoglio a repentini crolli psicologici che la condussero, nel dicembre 1630, a un’effimera tregua con il cardinale, che durò lo spazio di pochi giorni.
Il 30 genn. 1631 Gaston d’Orléans dichiarò apertamente la sua ostilità a Richelieu. Nel giro di pochi giorni, Luigi XIII decise di troncare l’opposizione al ministro e, il 22 febbr. 1631, relegò M. nel castello di Compiègne e disperse il suo entourage. Isolata e timorosa di essere inviata in Toscana, M. rifiutò le proposte di trasferirsi nel castello di Moulins e, il 15 luglio 1631, fuggì dalla sua reclusione, con l’intento di raggiungere la fortezza di La Capelle, al confine con i Paesi Bassi spagnoli, per impadronirsene e trattare con il figlio da una posizione di forza. Del resto, già da alcuni mesi suo figlio Gaston aveva compiuto una scelta analoga, rifugiandosi a Nancy, in Lorena. Questa volta il progetto di M. fallì, a causa della resistenza del governatore della fortezza, e non le rimase altro da fare che attraversare la frontiera con i Paesi Bassi spagnoli e porsi sotto la protezione della governatrice Isabella d’Asburgo.
Di fatto, la scelta di M. risolse quello che per Luigi XIII stava diventando un problema politico spinoso e, non a caso, l’esilio si rivelò definitivo. Da questa data M. non poté più rientrare sul territorio francese e trascorse il resto della vita in sempre più velleitari intrighi per abbattere il potere di Richelieu. Del resto, che i tempi erano cambiati apparve subito chiaro. Non appena M. fece pervenire al Parlamento di Parigi le sue proteste contro Richelieu, Luigi XIII reagì vietando ai sudditi di mantenere comunicazioni con M. e fece sequestrare le sue rendite. In questa fase, tuttavia, M. era ancora fiduciosa nella possibilità di un rientro in Francia, e ancora piena di forza la rappresenta il grande ritratto dipinto da Antoon Van Dyck nell’autunno del 1631, che M. portò sempre con sé.
Gli anni portarono nuove delusioni a Maria. Nell’ottobre 1634 Gaston si rappacificò con Richelieu e fece ritorno in Francia. Il 19 maggio 1635, dopo anni di ostilità strisciante, la Francia dichiarò guerra alla Spagna e M. si trovò in una situazione difficile. Pur odiando profondamente Richelieu, non se la sentì di prendere apertamente posizione contro la Francia e si limitò a indirizzare a Gaston una lettera con cui lo esortava ad adottare una politica di pace che lo avrebbe reso arbitro della Cristianità; ma il gioco era ormai più grande di lei e M. si trovò in balia degli eventi. Rimasta priva di una parte del suo seguito, che fu espulso dai Paesi Bassi spagnoli, dovette abbandonare Bruxelles e rifugiarsi ad Anversa, fuggendo l’avanzata delle truppe francesi. Progressivamente anche le risorse finanziarie si esaurirono e M. divenne un’ospite sempre più ingombrante per il governo spagnolo che, pur continuando a sovvenzionarla, cercò di indurla a lasciare il paese. Nel 1638 M. partì per Spa, ufficialmente per un periodo di cure termali, ma poi passò nelle Province Unite, dove fu ricevuta con magnificenza. Di lì, a novembre, raggiunse l’Inghilterra stabilendosi presso la figlia, la regina Enrichetta Maria, ma anche questo soggiorno fu pieno di disillusioni. L’Inghilterra si trovava ormai in una situazione prerivoluzionaria e l’opinione pubblica mal tollerava la presenza della «papista» M., tanto che ci furono minacce di attentati e una violenta campagna libellistica contro di lei. In questa situazione M. cercò di aprire contatti con la corte francese per ottenere sovvenzioni economiche, offrendo in cambio il suo impegno a ritirarsi in Toscana. Richelieu accolse con entusiasmo la proposta e, dopo aver fatto pervenire a M. una prima tranche di aiuti, intavolò trattative per fissare i dettagli del viaggio.
Nel maggio 1641 Londra fu teatro di dimostrazioni anticattoliche e antimonarchiche e il Parlamento richiese la partenza di M., che alla fine di agosto lasciò l’Inghilterra e raggiunse l’Olanda. In seguito si spostò verso Sud, lungo il Reno, ma, giunta a Colonia, in ottobre, interruppe il viaggio e si stabilì in quella città. Probabilmente intendeva disattendere gli impegni presi con Richelieu e approfittare della presenza in Germania dei diplomatici incaricati di trattare la fine della guerra per perorare la propria causa. Del resto, la situazione politica lasciava aperta qualche speranza di un rivolgimento politico. La posizione di Richelieu, stanco e malato, era infatti indebolita da rivolte interne e dalle incerte sorti della guerra e non era impossibile un rientro in Francia. M. si lasciò così coinvolgere nell’ultima grande congiura contro Richelieu, quella capeggiata dal favorito di Luigi XIII, il giovane Henri Coiffier de Ruzé, marchese di Cinq-Mars, con l’appoggio di Gaston d’Orléans e della Spagna. Ancora una volta il cardinale seppe reagire in tempo e, in luglio, ottenne l’arresto di Cinq-Mars, che fu successivamente giustiziato. Il fallimento di quest’ultimo tentativo di abbattere il suo grande nemico coincise con la fine della vita di M., che morì a Colonia, dopo una breve malattia, il 4 luglio 1642, seguita nel giro di alcuni mesi da Richelieu e, il 14 maggio 1643, da Luigi XIII.
Una vera e propria riflessione storiografica su M. è nata solo con le grandi ricerche erudite della seconda metà dell’Ottocento che, pur rimanendo importanti sul piano documentario, hanno codificato un’immagine duratura di M., insistendo sui suoi limiti psicologici e caratteriali e stabilendo una contrapposizione artificiosa tra le politiche della reggenza e il rafforzamento dell’autorità regia perseguito da Enrico IV e Luigi XIII. Una più matura conoscenza della figura di M. si è sviluppata solo progressivamente, grazie alla crescita degli studi su Richelieu e alla storiografia storico-artistica. Mancano tuttavia una sintesi criticamente aggiornata del ruolo politico di M. e un’analisi del periodo della reggenza, non appiattita sui vecchi clichés.
Fonti e Bibl.: La bibl. su M. è sterminata e può essere qui richiamata solo parzialmente. Anche la situazione delle fonti è complessa, nonostante strumenti introduttivi come E. Bourgeois - L. André, Les sources de l’histoire de France. XVIIe siècle (1610-1715), Paris 1913-35, da completare con la Bibliographie annuelle de l’histoire de France, Paris (dal 1955). Tra le più importanti edizioni di carteggi diplomatici cfr. Négociation commencée au mois de mars de l’année 1619 avec la reine mère Marie de Médicis par M. le comte de Béthune et continuée conjointement avec m. le cardinal de La Rochefoucauld, Paris 1673, ad ind.; Recueil des lettres missives de Henri IV, a cura di M. Berger de Xivrey, VI, Paris 1853; VII, ibid. 1858, ad indices; Lettres, instructions diplomatiques et papiers d’État du cardinal de Richelieu, a cura di D.-L.-M. Avenel, I-VIII, Paris 1853-77, ad indices; L. Bouchitté, Négociations, lettres et pièces relatives à la conférence de Loudun, Paris 1862, ad ind.; La nunziatura di Francia di Guido Bentivoglio, a cura di L. De Steffani, I-IV, Firenze 1863-70, ad indices; Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, V, a cura di G. Canestrini - A. Desjardins, Paris 1875, ad ind.; État de la maison du roi Louis XIII, de celles de sa mère, Marie de Médicis, de ses soeurs, Chrestienne, Élisabeth et Henriette de France…, a cura di E. Griselle, Paris 1912, ad ind.; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, IV, Francia (1600-1656), a cura di L. Firpo, Torino 1975, ad indicem. Per l’ultima fase di vita di M. valgono soprattutto le nunziature, e in particolare Correspondance du nonce en France Innocenzo del Bufalo… (1601-1604), a cura di P. Barbiche, Rome 1964; … Ranuccio Scotti (1639-1641), a cura di P. Blet, ibid. 1965, ad indices; Correspondance du nonce Fabio de Lagonissa… 1627-1634 (Nonciature de Flandre), a cura di L. van Meerbeeck, Rome-Bruxelles 1966, ad indicem. Numerosissimi i resoconti dei contemporanei, che tuttavia appaiono spesso fortemente viziati dalle scelte politiche di coloro che li stesero: è questo il caso di M. de Béthune, duca di Sully, Mémoire des sages et royales oeconomies d’estat… de Henry le Grand, a cura di J.-Fr. Michaud-J.-J.-Fr. Poujoulat, I-II, Paris 1837, ad indices; fondamentali A.-J. du Plessis de Richelieu, Mémoires, a cura della Société de l’histoire de France, I-X, Paris 1908-31, ad indices. Tra gli altri resoconti cfr. almeno Fr. de Bassompierre, Journal de ma vie…, a cura di A. de La Cropte de Chantérac, I-IV, Paris 1870-77, ad indices; P. de L’Estoile, Journal pour le règne de Henry IV, a cura di L.-R. Lefèvre, Paris 1948, ad indicem. Tra le biografie disponibili, nessuna delle quali è soddisfacente, si segnala M. Carmona, Marie de Médicis, Paris 1981. Altre biografie novecentesche (A. Castelot, Marie de Médicis: les désordres de la passion, Paris 1995; P. Delorme, Marie de Médicis, Paris 1998; F. Kermina, Marie de Médicis: reine, régente et rebelle, Paris 1991) sono compilative e non sostituiscono gli studi eruditi di fine Ottocento, in particolare quelli di L. Batiffol, tuttora fondamentali, e quelli, meno criticamente agguerriti, di B. Zeller; vedi inoltre F.T. Perrens, Les mariages espagnols sous le règne de Henry IV et la régence de Marie de Médicis (1602-1615), Paris s.d [ma 1854]; Id., L’Église et l’État en France sous le règne de Henry IV et la régence de Marie de Médicis, Paris 1872; P. Henrard, Marie de Médicis dans les Pays-Bas 1631-1638, Anvers 1875 (estratto da Annales de l’Académie d’archéologie de Belgique, t. 30); B. Zeller, Henry IV et Marie de Médicis, Paris 1877; Id., Richelieu et les ministres de Louis XIII de 1621 à 1624, Paris 1880; Id., La minorité de Louis XIII, Marie de Médicis et Sully (1610-1612), Paris 1892; Id., La minorité de Louis XIII, Marie de Médicis et Villeroy, Paris 1897; E. Pavie, La guerre entre Louis XIII et Marie de Médicis, Angers 1899; B. Zeller, Louis XIII, Marie de Médicis, Richelieu ministre, Paris 1899; L. Batiffol, Au temps de Louis XIII, Paris 1904; Id., La vie intime d’une reine de France au XVIIe siècle, Paris 1906; Id., Le coup d’État du 24 avril 1617, in Revue historique, XCV (1907), pp. 292-308; XCVII (1908), pp. 27-77, 264-286; Id., Louis XIII et le duc de Luynes, ibid., CII (1909), pp. 241-264; CIII (1910), pp. 32-62, 248-277; J. Nouaillac, Avis de Villeroy à la reine Marie de Médicis, 10 mars 1614, in Revue Henry IV, II (1907-08), pp. 79-89; Id., L’affaire de Mantoue en 1613. 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