DE ANGELIS, Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE ANGELIS, Maria

Raoul Meloncelli

Nacque a Roma il 31 marzo 1877 da Gregorio e Francesca Di Pasqua.

Di umile famiglia, la D. iniziò giovanissima a frequentare gli ambienti del caffè-concerto nella speranza di emulare la ormai celebre Lina Cavalieri, che aveva mosso i primi passi proprio nel mondo del cosiddetto teatro minore; dotata di una bella voce, sebbene non educata, ma soprattutto aiutata da una bellezza vistosa e provocante, fece prestissimo il suo ingresso nel mondo teatrale diventando rapidamente una delle protagoniste più acclamate del café-chantant, una particolare forma di spettacolo che, valendosi di artisti di varia estrazione e appartenenti al multiforme firmamento del teatro di varietà, fu rappresentativo di un mondo e- di una società che cercava nella macchietta, nelle battute dialettali spesso equivocamente piccanti, nel fascino provocante della primadonna, l'atmosfera vivace e spensierata della belle époque, ormai giunta alle sue ultime battute.

Del resto l'aggravarsi della situazione politica, all'indomani dell'uccisione di Umberto I a Monza e l'incombere di contrasti internazionali che avrebbero condotto l'Italia verso il primo conflitto mondiale, spingevano inevitabilmente verso forme di spettacolo d'evasione che trovarono nel café-chantant insospettate possibilità d'espressione artistica in cui furono coinvolti personaggi del mondo culturale italiano agli inizi del secolo.

Teatro di costume oltre che d'evasione, il café-chantant fuin varie città italiane come Torino, Milano, Napoli, ma soprattutto a Roma, da poco elevata al rango di capitale, espressione d'una umanità che ebbe in Leopoldo Fregoli, Lina Cavalieri, Alfredo Bambi, Ettore Petrolini, Nicola Maldacea ed Elvira Donnarumma - per non citare che i nomi più celebri - i suoi esponenti più significativi, protagonisti di quegli spettacoli d'arte varia che, sull'esempio del coevo teatro parigino fin de siècle, andava trasformandosi un una fiera di acrobati, illusionisti, trasformisti, ruotanti attorno al personaggio della diseuse, della chanteuse dalle limitate doti vocali ma dalla battuta pronta e mordace e soprattutto capace, in virtù delle sue doti di avvenenza fisica, resa ancor più appariscente dai costumi di scena e dalla quantità di gioielli indossati, di monopolizzare l'attenzione del pubblico, soprattutto maschile.

Camuffate sotto nomi d'arte fioreali, spesso attinti all'almanacco di Gotha e comunque d'intonazione francesizzante, le dive della scena, per lo più nate nei rioni di Borgo o nell'entroterra napoletano, celavano le loro umili origini, nascondendo sotto desinenze esotiche i più familiari nomi romani o partenopei.

In questa particolare atmosfera, gaia e vagamente peccaminosa, in cui veniva a rispecchiarsi la società medio borghese del primo Novecento, alla ricerca di un'alternativa all'ormai moribondo teatro d'operetta, la D. mosse i primi passi e, quasi a rivendicare le sue origini romane, adottò l'italianissimo nome d'arte di Maria Campi. Dopo le prime esperienze in teatri minori e di provincia, ove poté realizzare il necessario tirocinio che le avrebbe consentito di affrontare la carriera con spavalda sicurezza, la D., valendosi della sua voce calda e suadente, oltre che della sua bellezza provocante e vistosa, fu in grado di competere con successo con le rivali più celebri del café-chantant romano; dopo un rapido esordio nel teatro d'operetta nel 1901, preferì trascurare un genere in cui peraltro avrebbe potuto ben figurare anche per la vivacità del temperamento, e affrontò decisamente il pubblico più estroverso e rumoroso del caffè-concerto. Fu dapprima nei locali minori come L'Alcazar di via dei Coronari, al Gioacchino Belli di piazza S. Apollonia e alla birreria Gambrinus di piazza dei Cinquecento, una sorta di baraccone in cui confluiva un pubblico eterogeneo ma per lo più proveniente dai rioni popolari di Ponte, di Parione e di Borgo; gradualmente, con la sicurezza derivatale dal favore incontrato presso il pubblico, grazie al suo spirito popolaresco, colorito da frasi romanesche che adoperava con disinvoltura a commento di allusioni piccanti e poco castigate provenienti dal pubblico maschile, passò in locali di maggior prestigio e, dopo essersi esibita all'Olympia, all'Eldorado, al Grande Orfeo, alla Torre di Belisario e al caffè-concerto Diocleziano, ove conquistò legioni di adoratori entusiasti - gareggiando con Yvonne de Fleuriel, anch'essa romana e più diretta rivale - approdò al salone Margherita e divenne una diva di prima grandezza brillando accanto a Petrolini, a Mary Fleur, Olympia D'Avigny e altre stelle del firmamento canzonettistico internazionale. Inventrice della "mossa", il famoso coup-de-ventre consistente nel sincrono dimenio delle anche, avviato dal rullo del tamburo e ritmato alla conclusione con un fragoroso colpo di grancassa e di piatti, creò una moda cui dovettero sottostare tutte le canzonettiste dei teatri minori purché appariscenti e ben formose. In seguito, la "mossa" fu proibita dalle autorità perché ritenuta oscena, anche se il pubblico non tenne in gran conto la proibizione. Richiesta in tutta la penisola ove veniva scritturata come "canzonettista napoletana", la D., nel 1910, compì una lunga tournée in Russia, esibendosi tra l'altro al Kristovskij Ostrov di Pietroburgo. Ritornata in patria ricca di allori e di gioielli che ostentava durante le sue esibizioni in pubblico, rinnovò il successo in tutti i teatri italiani, superando in breve tempo le più temute rivali del momento.

E così la D., romana di Borgo, con un nome d'arte che offriva scarse garanzie di internazionalità, oscurò le varie "madeinoiselles" De Grieux, Lescaut, Lecouvreur, le cui origini non erano meno oscure e dubbie delle più famose Anna D'Este, Anita di Landa, Nina Rosenthal ed Ersilia Sampieri, anche in virtù di una bella voce che la poneva in una posizione di vantaggio nei confronti di canzonettiste spesso scarsamente dotate sul piano puramente vocale.

Nel 1913 si recò in Spagna e, al rientro in Italia, lanciò sulle scene della penisola la rumba, da tempo diffusa nella penisola iberica; fece poi parte della compagnia di prosa dialettale di Giovanni Grasso con cui maturò una utile esperienza di attrice ma, non resistendo al richiamo del caféchantant. ritornò sulle scene portando al successo varie canzoni tra cui La Regina del contado di R. Galdieri e M. Mirelli e 'A tazza 'e café di G. Capaldo e V. Fassone, di cui era stata prima interprete Elvira Donnarumma. Fu poi a Milano, e l'11 febbr. 1919 fece il suo esordio alla sala Volta sotto la galleria De Cristoforis ove, rinnovando i successi riportati a Roma e all'estero, fu acclamata interprete di canzoni alla moda, tra cui la celebre Tonkinoise, lanciata in Francia da Joséphine Baker. Partecipò a molte edizioni dei fistival di Piedigrotta portando la canzone napoletana in tutte le tournées in Italia e all'estero. Considerata la canzonettista per eccellenza, classica espressione di un mondo in cui il café-chantant veniva ad inserirsi nel tessuto sociale come simbolo di spensierata frivolezza, fu descritta come tale da Guido da Verona nel romanzo La donna che inventò l'amore. Esclusa nel 1915 dalla sala Umberto, un teatro romano in cui andava affermandosi un nuovo tipo di donna più raffinata e meno prosperosa, simbolo duna ritrovata nobiltà e di un gusto ormai in trasformazione, continuò ad esibirsi con successo sulle scene del salone Margherita, ritirandosi nel 1930 più che cinquantenne.

Apparve ancora sporadicamente sulle scene di teatri minori e nel 1932 si esibì per l'ultima volta in un varietà di Viareggio. Nel 1946 recitò in un ruolo secondario nel film di Vittorio De Sica, Sciuscià.

Morì a Roma, al policlinico ove era stata ricoverata per una malattia di cuore, il 19 sett. 1963.

Al personaggio della D. si interessò anche il cinema e nel 1970 Marcello Fondato realizzò il film Nini Tirabusciò - La donna che inventò la mossa, protagonista Monica Vitti -, in cui veniva liberamente ripercorso l'itinerario artistico ed umano della De Angelis.

Bibl.: E. De Mura, Encicl. della canzone napol., II, Napoli 1969, pp. 56 s., 163, 302; M. Dell'Arco, Café-chantant di Roma, Milano 1970, pp. 127 s.; R. De Angelis, Café-chantant, a cura di S. De Matteis, Firenze 1984, pp. 62, 78 s., 137, 142; G. Borgna, Storia della canzone italiana, Bari 1985, pp. 28, 46; Enc. dello Spett., II, coll. 1595 s.

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