MARIA d’Aragona, regina di Sicilia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARIA d’Aragona, regina di Sicilia

Unica figlia di Federico IV d’Aragona, re di Sicilia, e di Costanza, primogenita di Pietro IV d’Aragona, nacque nel 1362 e fu battezzata nella cattedrale di Catania da Artale Alagona. Nel luglio 1363 Costanza morì e M. trascorse un’infanzia e un’adolescenza difficili. Nel 1373 il padre si risposò con Antonia Del Balzo, figlia di Francesco, duca di Andria, che morì due anni dopo. Nel luglio 1377 si spense anche Federico IV, mentre stava per sposare Antonia Visconti, figlia di Bernabò, signore di Milano. In base al trattato stipulato nel 1372 tra Giovanna I di Napoli e Federico IV, alla morte di questo M. doveva salire al trono, in deroga alle disposizioni di Federico III, che aveva escluso le donne dalla successione. Nel testamento del 19 luglio 1377 Federico IV lasciò a M. il Regno di Sicilia, il Ducato di Atene e Neopatria e la nominò erede universale di tutti i suoi beni, eccetto le isole di Malta e Gozo, lasciate al figlio naturale Guglielmo. M. fu posta sotto la tutela di Artale Alagona, vicario generale e maestro giustiziere, che la tenne sotto stretta sorveglianza nel castello Ursino di Catania, affiancandole il maggiordomo Pietro Rizzari, damigelle e domestici anziani e fidati.

Nel 1378 Artale Alagona decise, con l’approvazione del papa Urbano VI, di condividere il vicariato con Manfredi Chiaramonte, conte di Modica e ammiraglio di Sicilia, Guglielmo Peralta, conte di Caltabellotta, e Francesco Ventimiglia, conte di Collesano. La concordia fra i vicari venne meno quando, nel dicembre 1378, Artale Alagona promise in moglie M. al duca di Milano Gian Galeazzo Visconti. Il duca Ottone di Brunswick, marito di Giovanna I di Napoli, progettava di fare sposare M. con il marchese di Monferrato, Giovanni (III), di cui era tutore. Urbano VI aveva in mente di combinare un matrimonio tra M. e il nipote Francesco Prignano. Invece, Pietro IV d’Aragona progettava un matrimonio fra M. e il proprio figlio Giovanni, duca di Gerona.

Nel gennaio 1379 Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Agusta, escluso dal vicariato, rapì M. per utilizzarla come pedina di scambio e la portò ad Augusta, poi a luglio la trasferì via mare nel castello vecchio di Licata. Nell’ottobre di quello stesso anno le nozze tra M. e l’infante Giovanni sfumarono, perché costui preferì sposare Violante di Bar. Allora Pietro IV d’Aragona decise di dare in moglie M. a Martino il Giovane, figlio del suo secondogenito Martino il Vecchio, duca di Montblanc. L’accordo matrimoniale fu firmato il 24 luglio 1380 da Pietro IV, il duca Martino, Guglielmo Raimondo Moncada ed Enrico Rosso, conte di Aidone. Quando il castello di Licata divenne insicuro, per l’arrivo delle truppe dei vicari, M. fu trasferita ad Augusta. Qui il 5 giugno 1381 Moncada consegnò M. ai legati di Pietro IV, che dovevano condurla in Aragona. Artale Alagona tentò di conquistare il castello di Augusta, attaccandolo per mare e per terra e impedendo il rifornimento di viveri, per ridurre alla fame gli assediati. Nell’estate del 1382 Filippo Dalmao, visconte di Rocabertí, giunto in Sicilia con una flotta, riuscì finalmente a liberare M. e a trasferirla in Sardegna, nel castello di Cagliari, dove rimase sotto la stretta sorveglianza del governatore Joan de Montbuy.

Al processo per il feudo Monsolino, svoltosi nel XV secolo tra Enrico Statela e Maria, figlia ed erede di Artale Alagona (morto nel 1389), i testi favorevoli a questo affermarono che costui rispettava e ossequiava M. e che, mentre assediava Augusta per liberarla, le aveva inviato viveri. I testimoni contrari dissero invece che Artale aveva tenuto M. prigioniera nel castello Ursino, l’aveva maltrattata, ne aveva usurpato il potere e aveva messo a repentaglio la sua vita, bombardando il castello di Augusta e affamando gli assediati.

Nell’ottobre 1382 il duca Martino ordinò di allontanare da Cagliari la nutrice di M., Giacomina, e le figlie di questa, come persone pericolose, mentre rimasero al suo fianco Giovanna Moncada e la contessa Allegranza Abbate, matrigna di Guglielmo Raimondo Moncada. Durante il soggiorno a Cagliari M. fu in contatto epistolare con il duca Martino, che la chiamava «molt alta senyora e cara neboda» (Arch. di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno, reg. 6, c. 29), ma la faceva vivere in isolamento e ristrettezze economiche. Frattanto Pietro IV e il duca Martino trattavano col papa Urbano VI e anche con l’antipapa Clemente VII l’investitura del Regno di Sicilia. Nel 1385 giunsero in Sicilia gli ambasciatori aragonesi, per comunicare che M. avrebbe sposato Martino il Giovane e sondare l’atteggiamento dei vicari in caso di sbarco del duca di Montblanc e di suo figlio.

Nel 1387, dopo la morte di Pietro IV e l’ascesa al trono del primogenito Giovanni detto il Cacciatore, il Regno di Aragona aderì al Papato di obbedienza avignonese e, di conseguenza, Urbano VI si alleò con i quattro vicari del Regno di Sicilia.

Giunta a Barcellona, M. condusse un tenore di vita non adeguato al suo status. Vi rimase fino al luglio 1388, quando il duca di Montblanc decise di trasferirla a Terrasa, ritenuta più salubre, a causa della peste che imperversava a Barcellona dal mese di gennaio.

Ottenuta da Clemente VII la dispensa matrimoniale, necessaria perché gli sposi erano consanguinei, nel 1391 furono finalmente celebrate a Barcellona le nozze tra M. e Martino. Sulla carta M. aveva a disposizione un donativo di 1000 fiorini annui, poi quadruplicato; in realtà non ricevette mai tale somma di denaro e visse sempre in grandi difficoltà finanziarie.

Nel luglio 1391 i vicari Andrea Chiaramonte, Manfredi Alagona, Antonio Ventimiglia e Guglielmo Peralta, incontratisi a Castronuovo, decisero di accogliere M. come loro sovrana e di respingere il duca di Montblanc e suo figlio. Bonifacio IX, divenuto papa dopo la morte di Urbano VI, inviò in Sicilia il nunzio apostolico Nicolò Sommariva, che affidò ai quattro vicari il governo dell’isola, a nome del papa romano e di M., disconoscendo i diritti di Martino il Giovane e spingendo il padre di questo a organizzare una spedizione armata per impadronirsi della Sicilia.

Lasciata Barcellona, M. giunse a Port Fangós, dove si era riunita la flotta aragonese, e s’imbarcò col marito e il suocero alla volta della Sicilia. Il 22 marzo 1392 M., il suo sposo e il duca Martino sbarcarono nell’isola di Favignana. Dopo avere occupato Palermo, dove il 1° giugno il ribelle Andrea Chiaramonte fu decapitato davanti allo Steri, sontuosa dimora familiare, il duca Martino e il figlio proseguirono la loro campagna militare. Riconquistata Catania, che si era ribellata per opera di Artale Alagona, figlio di Manfredi, e del vescovo Simone Del Pozzo, M. si stabilì nel castello Ursino, dove rivide i servitori e le dame di compagnia che aveva dovuto lasciare in seguito al rapimento. Dopo una breve sosta a Messina, dove si trovavano i Martini, M. tornò a Catania, che nel marzo 1394 fu occupata nuovamente dai ribelli. Ad agosto, dopo cinque mesi di assedio, i due Martini riuscirono a riconquistare la città etnea e furono accolti da M. nel castello Ursino.

Alla morte di suo fratello, re d’Aragona, Giovanni il Cacciatore (1396), il duca Martino il Vecchio si recò in Aragona per esservi incoronato re, facendo cadere M. in una crisi depressiva, dalla quale non la risollevarono le molte lettere inviatele dal suocero. Nel 1396 M. si ammalò gravemente, assistita da diversi medici, fra i quali l’ebreo Josef Abenafia, e continuò ad avere problemi di salute sino alla fine del 1397, alternando riprese e ricadute.

Il 12 ott. 1396 M. appose la sua firma, l’unica autografa superstite, dopo quella del suocero e del marito, in una pergamena contenente i capitoli di pace stipulati tra questi ultimi e la famiglia Ventimiglia, con una grafia incerta, che denota scarsa cultura e salute malferma.

Dopo una lunga assenza, determinata non solo dal pericolo del contagio, ma anche dalla ribellione di Guglielmo Raimondo Moncada, nel Natale 1397 Martino il Giovane raggiunse a Catania M., ormai del tutto guarita, nella speranza di potere concepire l’agognato erede. Rimasta incinta, M. poté indossare abiti più consoni al suo rango e riscattare alcuni gioielli ipotecati. Il 17 nov. 1398, alle due e mezza di notte, dopo un parto lungo e laborioso, M. diede alla luce il suo unico figlio, battezzato il 23 apr. 1399 con il nome di Pietro, in onore del sovrano aragonese, sebbene M. l’avrebbe voluto chiamare Federico, in ricordo del nonno materno.

L’8 nov. 1400 il piccolo Pietro morì, ucciso da un colpo di lancia in testa durante una giostra, gettando M. nella più profonda prostrazione. Dato che a Catania si era diffusa la peste, si stabilì che M. lasciasse la città, ma il provvedimento non valse a evitarle il contagio; giunta a Lentini, vi morì il 25 maggio 1401, senza ricevere né una visita né una lettera da parte del marito, più interessato al destino dei beni materiali della moglie che alle sue sofferenze. Quando la notizia giunse in Aragona, Martino il Vecchio organizzò in suo onore solenni onoranze funebri nelle corti, cattedrali e città del Regno, per ufficializzarne la morte. M. fu sepolta nella cattedrale di Catania, dove erano stati tumulati la madre Costanza e il figlio Pietro.

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