MARGARITO d’Arezzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARGARITO (Margaritone) d’Arezzo

Grazia Maria Fachechi

Figlio di Magnano, come si desume dal documento del 1262, l’unico in cui viene menzionato, conservato nell’Archivio dei monaci camaldolesi di Arezzo («in claustro Sancti Michaelis coram Margarito pictore filio quondam Magnani»: Bettarini - Barocchi, 1969, pp. 344 s.) M. fu attivo come pittore nel XIII secolo nel territorio di Arezzo.

Vasari, che chiama M. con il nome «Margaritone», gli attribuisce numerose opere anche di scultura (soprattutto lignea) e architettura (sarebbe stato impegnato nella costruzione della cattedrale aretina), applicando al suo conterraneo la concezione rinascimentale dell’artista poliedrico ma senza fondamento, stando alle attuali conoscenze – e considerandolo quasi un genius loci.

Di M. sono giunte molte opere firmate con la formula fissa «Margaritus de Aritio me fecit», ma non datate, il che ha portato gli studiosi, a cominciare da Dami, a impegnarsi soprattutto nella definizione diacronica della sua attività. L’orientamento critico iniziale, volto a inserire tra il 1260 e il 1290 la produzione di M., considerato un tardo e mediocre seguace dell’artista fiorentino della prima metà del Duecento noto come Maestro del Bigallo (Garrison; Salmi; Ragghianti), è stato superato grazie all’accreditarsi nel tempo della rivalutazione di Longhi. Nel definire M. «un incantevole caposcuola della prima metà del secolo», nel lodarne la freschezza e l’originalità pittorica e nel sottolinearne il ruolo di evocatore di una «antichissima tendenza copto-siriana» (p. 38), Longhi ha avviato la propensione ad anticipare la sua cronologia – collocandone gli inizi negli anni Trenta e il periodo maturo intorno alla metà del secolo (Bologna; Bellosi) –, e a considerarlo il più importante pittore aretino del tempo. Così, il carattere essenzialmente «arcaico» dell’arte di M., lungi dall’essere segno di provincialismo, sarebbe invece indice di effettiva anteriorità cronologica, per cui la sua produzione dovrebbe sistemarsi in definitiva entro il settimo decennio.

La formazione di M., a contatto con la cultura di anonimi pittori toscani duecenteschi, quali, appunto, il Maestro del Bigallo e il senese Maestro di Tressa, nonché con l’ambiente miniatorio aretino, si sarebbe delineata entro la prima metà del Duecento all’interno di un quadro di riferimenti riconducibile anche alla pittura umbro-laziale coeva, in particolare a modelli spoletini, come il Crocifisso proveniente dalla chiesa di S. Antonio di Campi e oggi conservato presso la Castellina di Norcia, firmato da Petrus e databile probabilmente al 1241, e gli affreschi della cripta del duomo di Anagni, del secondo quarto del secolo XIII, in special modo quelli del Terzo Maestro (Davies; Labriola).

A questa fase iniziale risalirebbe la prima di una serie di tavole raffiguranti S. Francesco, dipinte da M. e datate variamente dagli studiosi tra il terzo decennio del secolo, pochi anni dopo la morte di s. Francesco, e la fine del Duecento.

Recentemente Cook ha proposto una seriazione delle tavole francescane di M. in base al modo di raffigurare le stimmate, datandole tra il 1240 e il 1260 circa. Non è noto se il prototipo sia andato perduto o se sia invece da identificare con una delle due tavole oggi al Museo statale di arte medioevale e moderna di Arezzo. Una tavola, proveniente dal convento di Sargiano nei dintorni di Arezzo, interessata da una ridipintura (con l’arrotondamento del cappuccio, parzialmente rimosso col restauro del 1972-73), fu eseguita non prima del nono decennio del Duecento (Maetzke, 1986, p. 365); l’altra proviene dal convento di Ganghereto (Ciardi Dupré). Probabilmente proprio da quest’ultima discendono repliche autografe come le tavole conservate nella Pinacoteca nazionale di Siena, nella Pinacoteca Vaticana, a Castiglion Fiorentino (Pinacoteca comunale), a Montepulciano (Museo civico e Pinacoteca Cruciani), a Zurigo (Kunsthaus) e, infine, nella chiesa romana di S. Francesco a Ripa (considerata opera di un seguace da Cook), dalle caratteristiche molto simili dal punto di vista tecnico, formale, iconografico.

Le tavole dipinte a tempera misurano cm 100 x 40-50 circa, pensate com’erano, forse, per essere collocate su un pilastro della chiesa, e sono caratterizzate da un’insistente ricerca di emotività, espressa attraverso i grandi occhi dal pesante contorno. S. Francesco viene rappresentato di norma frontalmente, vestito di un saio dai bordi filettati d’oro e il capo coperto da un cappuccio con una punta solitamente rivolta verso sinistra, con un libro chiuso nella mano sinistra e nell’atto di mostrare con l’altra le stimmate. Questa rappresentazione della figura, isolata (priva delle storiette con i miracoli, consuete nei primi modelli di Bonaventura Berlinghieri, come la tavola della chiesa di S. Francesco a Pescia, da cui M. evidentemente deriva l’iconografia del santo) e resa in modo più realistico, quasi a rappresentare un vero e proprio ritratto, con maggiore attenzione a caratteristiche somatiche come gli occhi grandi, la fronte bassa, il naso lungo e affilato, costituì una importante innovazione sul piano iconografico (Frugoni). Nelle tavole di Castiglion Fiorentino e di Montepulciano, invece, il santo stringe in mano una croce, particolare che lo avvicina a un secondo archetipo di tipo assisiate, esemplato in una tavola con S. Francesco e i miracoli post mortem (Assisi, Tesoro della basilica di S. Francesco: Frugoni).

Sul tema mariano sono da ricordare almeno tre tavole, collocabili fra gli anni Cinquanta e Sessanta. La prima è la Madonna in trono con Bambino con ai lati, distribuiti simmetricamente, l’Annuncio a Gioacchino e due Santi di S. Maria a Montelungo, presso Terranuova Bracciolini (Arezzo), oggi nel Museo statale di arte medioevale e moderna di Arezzo, firmata e tradizionalmente datata 1250 in virtù di un’iscrizione seicentesca, nella chiesa dove era collocata, che recita: «Dei perinsignis imago a Margaritone Aretino depicta MCCL».

Qui si evidenzia il gusto di M. per le composizioni equilibrate e scandite, ancora in rapporto con l’elegante ritmo lineare di Petrus, e con la tradizione di classicismo che in questo periodo avvicina la cultura spoletina a quella laziale. Ripropone il modello della Madonna Odigitria (un tributo all’Oriente cristiano sono anche i pendenti della corona, gigliata di chiara ascendenza carolingia e ottoniana, indossata dalla Madonna), mostrandola severamente frontale (la vivacità del suo sguardo lascia però intuire un segnale di scostamento dalla rigida fissità bizantina), con il Bambino seduto in grembo e raffigurato come Dio-uomo in atto benedicente e con lo scettro in mano, indifferente all’affettuoso gesto della Madre che gli accarezza il piede. L’iconografia di questa come delle altre opere sullo stesso tema avrebbe fonti egiziane, i cui modelli potrebbero essere giunti in Italia per il tramite del monachesimo (Maetzke, 1985, p. 365). Il contorno morbido e ampio e il tremolio delle pennellate della Madonna di Montelungo tornano anche nel Christus triumphans della collezione Chigi Saracini di Siena, considerata da alcuni opera della bottega di M. (Id., 1973), riferibile comunque allo stesso periodo.

Assai simile alla Madonna di Montelungo, ma meno plastica ed espressiva, è la Madonna in trono col Bambino e ai lati quattro Santi di Washington (National Gallery of art, Samuel H. Kress Collection). Più complesso è il dossale di Londra (National Gallery), proveniente dalla chiesa di S. Margherita di Arezzo, con la Madonna in trono col Bambino e ai lati scene della Natività e della Vita di santi, firmato e databile intorno al 1260.

Lo scomparto centrale mostra la Vergine seduta su un trono con protomi leonine tra due angeli in mandorla, fuori dalla quale sono i simboli dei quattro Evangelisti. Ai lati sono distribuiti simmetricamente altri otto riquadri più piccoli che mostrano, da sinistra a destra, dall’alto verso il basso: la Natività di Cristo e l’Annuncio ai pastori; il Supplizio di Giovanni Evangelista immerso in un calderone di olio bollente; Giovanni Evangelista resuscita Drusiana; Benedetto si getta sulle spine e fugge la tentazione del diavolo; Caterina d’Alessandria viene martirizzata e poi portata dagli angeli sul monte Sinai; Nicola da Bari istruisce i marinai su come gettare in mare il vaso riempito dal diavolo; Nicola libera i condannati; Margherita d’Antiochia divorata dal drago si salva quando le sue viscere si aprono.

A questa fase matura di M. dovrebbe appartenere anche la croce dipinta della pieve di S. Maria di Arezzo (Museo statale di arte medioevale e moderna), una delle sue opere più significative ed espressive, per la quale sono stati indicati generici riferimenti alla tradizione delle croci lucchesi e riscontri molto più puntuali con l’esperienza di Giunta Pisano e soprattutto di Coppo di Marcovaldo (Id., 1973). La vicinanza sia a opere di quest’ultimo, come la croce di San Gimignano (Museo civico) del 1255-60, sia ai mosaici del battistero di Firenze, porta infatti la datazione dell’opera al settimo decennio.

La croce è stata pesantemente decurtata nelle estensioni terminali, delle quali sono rimasti frammenti, tra cui parte dell’episodio del Rinnegamento di s. Pietro, in basso. Il Christus triumphans si mostra con grandi occhi nerissimi estremamente intensi, caratterizzato da una nervosa e plastica insistenza anatomica. Nei pannelli laterali sono le figure dolenti della Vergine e di S. Giovanni Evangelista.

Alla fase tarda di M. apparterrebbe, infine, il dossale del santuario di S. Maria delle Vertighe presso Monte San Savino (Arezzo, Museo statale di arte medioevale e moderna) con la Madonna in trono col Bambino e, ai lati, quattro Storie di Maria (Annunciazione, Natività di Cristo, Adorazione dei magi, Assunzione).

Privo di omogeneità stilistica, il dipinto ha suscitato nel tempo alcune perplessità in merito soprattutto al problema attributivo. La tavola è corredata di un’iscrizione lacunosa e di difficile interpretazione dipinta ai piedi della Vergine: «Margaritus et Restaur[…]ecerunt hoc opus sub anno Domini MCCL[…]III m(en)se Augusti». Inizialmente la critica, in seguito alla lettura superficiale e interpolata dell’iscrizione, ha ritenuto di circoscrivere l’intervento di M. nel restauro della parte centrale della tavola, che sarebbe stata dunque un’opera più antica, come dimostrerebbero le storie laterali, stilisticamente databili a cavallo tra il XII e il XIII secolo (Dami). In seguito a un restauro relativamente recente, è stata opportunamente ipotizzata l’integrazione della lacuna con il nome di Restoro, riferibile verosimilmente a Restoro d’Arezzo, il monaco autore dell’opera astronomica dal titolo La composizione del mondo (scritta in volgare aretino e datata intorno al 1282, il cui esemplare più antico è conservato a Firenze nella Biblioteca Riccardiana, n. 2164), che fu forse anche miniatore (Maetzke, 1973), il che suggerisce una collaborazione tra i due aretini. La parte centrale della tavola sarebbe stata realizzata da M. (che mostra qui una certa conoscenza anche della miniatura siciliana della corte sveva, come dimostra, per esempio, il rametto con tre fiori che la Vergine tiene nella mano destra, probabilmente ispirato a un’immagine di Federico II in trono del De arte venandi cum avibus della Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat., 1071); mentre le storie laterali, prossime ad alcune scene musive coppesche del battistero di Firenze e all’arte spoletina del sesto decennio del secolo, sarebbero opera di Restoro. Non si conosce ancora l’artefice che attese alla decorazione degli sportelli laterali, con sei figure di santi non identificati (Labriola; Ciardi Dupré). La parte eseguita da M. mostra, a differenza del resto del trittico, una maggiore intenzione plastica e costruttiva e un più ampio e calibrato senso compositivo, dato anche dall’equilibrato disporsi delle figure dai volti dai contorni poco mossi e dall’espressione serena e con i caratteristici grandi occhi sbarrati.

Non si conoscono luogo e data di morte di Margarito.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, La vita di Margaritone, a cura di A. Del Vita, Arezzo 1910; Id., Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, Testo, a cura di R. Bettarini, II, Firenze 1967, pp. 89-93; Commento, a cura di P. Barocchi, II, 1, ibid. 1969, pp. 324-345; R. Van Marle, The Development of the Italian schools of painting, I, The Hague 1923, pp. 329-336; L. Dami, Opere ignote di M. d’A. e lo sviluppo del suo stile, in Dedalo, V (1924-25), pp. 537-549; P. Toesca, Il Medioevo, II, Torino 1927, pp. 992 s., 1011, 1038, n. 43; A. Del Vita, La Madonna delle Vertighe di M. d’A., in Le Arti, V (1942-43), pp. 199-202; R. Longhi, Giudizio sul Duecento, in Proporzioni, II (1948), pp. 38 s.; E.B. Garrison, Italian Romanesque panel painting, Firenze 1949, pp. 22 s.; M. Davies, The earlier Italian schools (catal.), London 1951, pp. 265-267; M. Salmi, Postille alla mostra di Arezzo, in Commentari, II (1951), pp. 169-195; C.L. Ragghianti, Pittura del Dugento a Firenze, Firenze 1955, pp. 34 s.; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma-Dresden 1962, pp. 34 s.; L. Bellosi, M. d’A., in Arte in Val di Chiana dal XIII al XVIII secolo (catal., Cortona), Firenze 1970, pp. 3 s.; A.M. Maetzke, Nuove ricerche su M. d’A., in Boll. d’arte, s. 6, LVIII (1973), pp. 95-112; Id., Arte nell’Aretino, recuperi e restauri dal 1968 al 1974 (catal.), Arezzo 1974, pp. 15-31; M.G. Ciardi Dupré Dal Poggetto, Introduzione, in I codici miniati dugenteschi nell’Arch. capitolare del duomo di Arezzo, a cura di R. Passalacqua, Firenze 1980, pp. 7 s.; A.M. Maetzke, Pittura del Duecento e Trecento nel territorio aretino, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, I, Milano 1986, pp. 364-366; A. Labriola, Ricerche su M. e Ristoro d’Arezzo, in Arte cristiana, LXXV (1987), 720, pp. 145-160; C. Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino 1993, pp. 279-293; W.R. Cook, M. d’A.’s images of st. Francis: a different approach to chronology, in Arte cristiana, LXXXIII (1995), 767, pp. 83-90; E. Antetomaso, in Enc. dell’arte medievale, VIII, Roma 1997, pp. 202-205.

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